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Autore: Audrey_e_Marilyn    15/11/2014    1 recensioni
Gli uomini sognano, ma i sogni non hanno alcun valore quaggiù e ciò che prima era un luminoso raggio di speranza, adesso è una lunga notte d'agonia. Questo è il principio della fine, è stato concesso tempo a sufficienza, ma nei meandri della terra ancora giace in attesa l'eredità degli angeli, un'eredità macchiata di sangue e bruciata dal fuoco.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Atto Terzo: Il segreto della Pulzella di Orleans


La luna illuminava flebile Parigi e si rifletteva appena nella senna come un grosso diamante luminoso, stracciato dalle increspature dell’acqua. Neppure la magia che alleggiava per quella città riusciva ad alleviare quel peso che le cingeva il cure come un filo di spine. Il rapimento di Emi era stato un duro colpo per la Base, ma per lei principalmente: era colpa sua e della sua arroganza se la sua migliore amica era caduta nelle mani nemiche. Era colpa sua e doveva esserci lei al suo posto.
 «Che bella!» cinguettò Giselle guardando ammirata la tour Eiffel, «è esattamente come me l’ero sempre immaginata!».
 «È solo una torre!... Ed è più bella quella di Pisa» ribatté Shane.
«Credo sia solo questione di gusti» borbottò lei. «Allora, ci saliamo sopra?»
«Avremo tempo più tardi per fare i turisti» li interruppe Samuele, «ora cerchiamo la spada.»

Percorsero tutta la Rue des Pyramides e raggiunsero il monumento equestre di Giovanna d’Arco. Si erigeva imponente sulla piazza, placcata in oro e, stretta nella mano destra, la bandiera che sfoggiava con fierezza. Clelia si accucciò per vedere l’incisione sulla targa, ma non vi era nulla di strano, nulla che potesse essere utile alla loro ricerca. Era una semplice statua eretta su un basamento in granito. Qualcosa non tornava. Sarebbe stato troppo facile se no, pensò lei, accarezzando l’incisione con delicatezza.
 «Trovato nulla?» domandò la sua amica, avvicinandosi un poco
«nulla».
 «Siamo venuti qui senza neppure sapere chi fu il destinatario di quella lettera, né che fece, o se entrò davvero in possesso di quello che cerchiamo» brontolò Shane.
«Sbagli» lo interruppe Sam, prima che riprendesse a farneticare, «io e Clelia abbiamo fatto due ricerche prima di partire, ma sappiamo chi fu il destinatario.»
 «Pierre d’Arc, fratello maggiore dell’eroina francese» continuò lei.
«Un poco noto alchimista, possiamo dire che fosse alle prime armi e pare che abbia aderito al circolo degli alchimisti della prima ora solo in tarda età.»
 «E pare che abbia nascosto l’artefatto che cerchiamo nella sua tomba…»
«E dove si trova la sua tomba?» domandò Giselle disgustata.
 «Ci sei sopra in teoria» commentò Samuele indicando il terreno.
Giselle saltò all’indietro disgustata, «oh mio Dio!» esclamò, «ma un cimitero normale no?».
«Erano normali catacombe, ci sono anche a Roma» rispose il suo partner.
«Vuoi dire che per arrivare alla tomba di quell’uomo dobbiamo scendere sottoterra tra pantegane e morti?» domandò ancora lei.
«Esatto, qualcosa ti turba?»
  «Sì, come arriviamo alla tomba?» rispose Shane al posto suo.
«Semplice, andiamo nelle catacombe. Non lontano da qui dovrebbe esserci il museo.»
  «Allora muoviamoci.»


Raggiunsero dopo poco le catacombe e si unirono ad un gruppo di normali turisti; scesero lungo le catacombe fino ad un bivio non sorvegliato e, invece di seguire la guida, presero il corridoio a destra che portava verso il basamento della statua. I cunicoli erano stretti e angusti, l’aria era sottile e odorava di morto, l’umidità condensava e gocciolava dal soffitto… un luogo perfetto per passare le vacanze estive, pensò Clelia, magari con un bell’analcolico alla frutta e un bikini all’ultimo grido. Giselle soffiava sulle sue mani per riscaldarle e si stringeva nella sua giacchetta di jeans, mugugnava disgustata, di tanto in tanto, quando sentiva lo squittio di un topo e stringeva il braccio di Shane finché non assumeva un colore rossastro.
 «Gise, piantala!» esclamò, «mi stai mandando il braccio in cancrena!»
 «Scusa, ma i topi mi fanno davvero un brutto effetto…» borbottò lasciando il braccio del suo partner.
 «Ci siamo» li interruppe Samuele puntando la torcia contro un sarcofago.
Non era la classica tomba che si poteva trovare nelle catacombe: era grande e monumentale, rappresentava un angelo dal volto celato e le ali che lo inglobavano con fare minaccioso; le livellature erano massicce squadrate, quasi spigolose, e stava racchiuso nelle vesti di pietra, scolpite con sagacia e parsimonia, sopra la tomba.
 «Shane, mi passi il tuo machete?» domandò Samuele. Shane gli mise in mano l’arma e con il retro cominciò a battere sulla lapide del defunto, fino a frantumarla in grossi blocchi.
  «Wow…» mormorò Giselle «certo che ne hai di forza».
«Avanti» disse lei «andiamo».

Scese nel passaggio creato dal suo partner e si appiattì al muro, per avere un punto di riferimento, perché non trapelava neppure un flebile barlume e temeva di scivolare. Gli altri tre la seguirono nel tunnel e puntarono le torce per terra, immortalarono involontariamente una pantegana che subito guizzò in un buco. Giselle urlò nauseata e si avvinghiò a Shane.
 «Che schifo! Che schifo!» esclamò saltando sull’ampia schiena del partner, «tutto ma non i ratti!»
 «Taci Giselle!» ribatté Shane caricandosela sulla schiena, «quando urli spacchi i timpani.»
 Dal profondo corridoio filtrò una debole luce purpurea e, man mano che si avvicinavano, essa si faceva più fulgida e illuminava la loro strada, sempre più ripida e scivolosa. Rimasero al centro del sentiero e, ai loro lati, nelle pareti vi erano incastonati dei rubini che riflettevano la luce e la coloravano di un rosso scarno; si avvicinarono sempre di più ad una fulgida luce dorata mescolata a quella rossa riflessa dai rubini, anche se lo spazio intorno a loro continuava a diminuire e l’aria a farsi più rarefatta. Arrivarono ad un bivio, due strade. Una conduceva verso l’alto dalla quale traspariva una luce fioca; l’altra invece conduceva verso il basso e non sembrava avere una fine da quanto era profonda l’oscurità. Al crocevia delle due strade, un libro, sorretto da un leggio formato da due angeli in marmo, inginocchiati e con le ali spiegate; Samuele sfogliò le prime pagine del libro.
«Cazzo…» mormorò lui.
  «Ahia… qui si mette male…» constatò Shane e tutti si raggrupparono intorno al leggio.
«sulphur et mercurius… in una di queste due strade c’è la spada, sì, ma anche il mercurio.»
 «Il mercurio è tossico sotto forma gassosa…» ricordò Clelia, «non è detto che sia sotto forma di gas Sam».
«Oh sì invece… per gli alchimisti questo processo è una sorta di purificazione… dal basso, lo zolfo che è infiammabile e si trova nelle profondità della terra; all’alto, il mercurio in forma gassosa che si mescola all’aria» spiegò Samuele velocemente. Le venne un brivido e volse lo sguardo verso la strada più luminosa, quella che procedeva verso l’alto.
 «E ora?» domandò Giselle.
«Beh, testa o croce…» rispose Shane tirando fuori una moneta.
 «Croce» risposero Samuele e Clelia in coro.
«Se esce testa andremo io e Gise nella strada d’ombra… se esce croce ci andrete voi».
Shane lanciò in aria la moneta, il silenzio calò fra i quattro ragazzi. Clelia incrociò le dita e si morse con forza il labbro, sperava con tutta se stessa che uscisse la croce. I muscoli tesi, gli occhi serrati e il clangore metallico della moneta che fendeva delicata l’aria per poi cadere silenziosamente nella mano di Shane.
 «Allora?» domandò Giselle col fiato sospeso, «cosa è uscito?»
Shane scostò piano la mano dagli occhi e rispose con voce tremante: «croce».
Samuele riprese a respirare e Clelia frugò nella sua sacca alla ricerca del corsetto. Quando lo tirò fuori vide Shane sbiancare, ad un passo dal mancamento.
 «Potrebbe fare un po’ male… ma almeno aiuta a regolare il respiro e a trattenerlo meglio» cercò di rassicurarlo Clelia, nonostante lei per prima odiasse quel corsetto, «io e Gise grazie a questo riusciamo a combattere senza respirare per almeno due minuti…» sapeva non essere di grande incoraggiamento e l’espressione del suo amico confermò il suo poco tatto.
 «Tranquillo, non lo diremo a nessuno…» promise Giselle sorridendogli gentile.
«A nessuno, GIURATE!»
«Giuro» rispose Clelia decisa facendosi la croce sul cuore.
 «Posso farti una foto?... Sai solo per avere qualcosa con cui ricattarti, se mai servisse ovviamente, una volta usciti di qui… nulla di che, giusto uno scatto… non uso il flash»; Clelia gli tirò una poderosa gomitata sul braccio. «Ahi!... e va bene ho capito!...Giuro sul mio onore di Cavaliere Templare che non dirò a nessuno che ti sei messo il corsetto» anche lui fece una croce sul cuore. «Contento?»
 «E che non farai foto….» continuò Shane poco convinto.
«Te lo giuro, non farò foto! Cavolo, sei esasperante!»
Convinto, Shane, si lasciò mettere il corsetto. Non fu difficile per Clelia infilarlo, a parte il fatto che era da donna e che fosse circa di, minimo, tre taglie in meno, la parte difficile fu stingerlo. Lei e Giselle ci misero quasi mezz’ora e le risate di Samuele in sottofondo non resero le cose più semplici.
 «Fatto!» esalò soddisfatta Clelia una volta legato il corsetto.
   «Non… respiro…» mugugnò Shane con voce soffocata.
«Beh, l’intento è quello» rise Giselle.
«Ragazzi voi cercate di metterci il minor tempo possibile, senza dimenticare la spada. Ci rivediamo fuori e se l’uscita non è la stessa per tutti ci ritroviamo alla base» esplicò Samuele mettendo il cellulare in tasca.
 «D’accordo».

Si divisero. Clelia e Samuele imboccarono la strada più buia e man mano che avanzavano l’oscurità si faceva più fitta anche con la luce della torcia, l’odore di zolfo riempiva le loro narici e il sentiero era ripido e sdrucciolevole.
 «Non dovevi fare le foto a Shane…» disse Clelia rompendo il silenzio.
«Non ho fatto nessuna foto…» replicò lui puntando la torcia sul pavimento «…gli ho fatto il video».
 «Tu… fa vedere!» esclamò lei ridendo.
 «Ti giuro che te lo faccio vedere una volta usciti… da… qui».
Davanti a loro vi era un lungo canale rosso sangue, denso e caldo perfino. Clelia sapeva che doveva andare avanti, dopo un primo momento d’indecisione, mise un piede nel canale di sangue e con calma infilò anche il secondo. Procedette normalmente continuando a ripetersi che quello che stava attraversando non era sangue umano. Il canale le parve infinito, ma ad un certo punto, il canale si divise in un bivio: un canale pieno di sangue e uno pieno di acqua.
 «Segui il sangue» disse Samuele alle sue spalle «sangue versato per la Francia… Pierre d’Arc era anche un militare, ricordi?»
 «Sì… un Cavaliere Templare…»
Continuarono a seguire il canale rosso e dopo qualche metro si materializzò davanti a loro una statua in marmo: un angelo incappucciato, senza aureola, avvolto in un manto e nelle ali frastagliate, tra le mani teneva una grossa tavola con riportate alcune frasi dell’apocalisse. Samuele scostò la tavola dalla mano dell’angelo e aprì un piccolo varco.
 «Prego» la incitò «prima le donne…»
«Allora ti conviene sbrigarti» rise lei dandogli una spintarella.
 «Stronza…» abbassò la testa e entrò nel buco. Il silenzio.
«Sam… Tutto bene?» domandò dopo cinque minuti buoni. Nessuno rispose. Si avvicinò alla cavità e subito qualcosa la strattonò portandola dentro. Non era spaventata, ma era sorpresa perché intorno a lei non c’era nulla se non un fitto buio e le pareti gocciolanti della caverna. D’un tratto sentì una forte presa sui fianchi e un leggero morso sul collo; d’istinto si voltò con irruenza e tirò un pugno al suo “aggressore”.
 «CRISTO CLELIA!» gridò Samuele mettendosi le mani sul naso «stavo solo scherzando!»
  «Oddio Sam scusa!» si avvicinò a lui levandogli le mani dal naso «fammi vedere…»
«No grazie, hai fatto abbastanza!»
  « Fammi vedere se il naso è rotto mongolo! Piantala di dimenarti sei peggio di una biscia!» esclamò lei irritata, osservò bene  e sorrise: «tranquillo continuerai ad avere il tuo grazioso nasino alla francese».
«Ah, fai pure dell’ironia dopo avermi dato un pugno del genere?»
 «Eddai, non ti fa mai male niente!» rise lei accendendo la torcia.
«La prossima volta te lo tiro io un pugno sul naso e ne riparliamo…»
 «Me lo rinfaccerai per tutto il viaggio?»
«Anche per tutta la vita se insisti…»

Il buco si apriva in una piccola scappatoia, stretta e angusta, la attraversarono uno per volta, in silenzio e arrivarono in un piccolo santuario, con al centro un altare in granito e sopra di esso un corpo ancora integro. Si avvicinò piano all’uomo, la pelle d’avorio e gli occhi chiusi come se dormisse, la croce d’argento sulla veste e tra le sue mani una pregiata lama, brillante e argentea come appena forgiata.
 «Eccola…» disse Samuele estraendola dalle mani del cadavere, dopo un primo minuto di tombale silenzio tutto cominciò a tremare con forza. «Ah giusto… ci sono i trucchetti…» brontolò ironico «e io che speravo in qualcosa di tranquillo per una volta». Clelia gli strappò di mano la lama e la infilò velocemente nel suo stivale, lo prese per il braccio e si infilarono in una fessura. Erano stretti e lei poteva sentire il fiato del suo amico sul collo. «Accidenti dolcezza, non sapevo avessi una terza!» ghignò lui d’un tratto.
 «Ma che…?!» abbassò lo sguardo e la mano di Samuele era posata sul suo seno «Sam… togli quella mano oppure te la stacco a morsi….»
  «Come sei violenta dolcezza…» sorrise e strinse la presa «e pensare che io ho solo buone intenzioni…»
«Se certo…» gli scostò la mano «non ci provare playboy, te la passo solo perchè sei mio amico…»
 «Grazie per la tua clemenza…» sogghignò lui.
«Prego».
 «Era ironia».
«Anche la mia… forza andiamo» rise lei addentrandosi in un corridoio che dopo un po’ si allargò e in esso alleggiava un forte e pessimo odore, poco dopo uscirono dal cunicolo per arrivare nelle fogne di Parigi.


Uscirono da un tombino e guardarono la statua di Giovanna d’Arco che scintillava sotto i flebili raggi della luna, troppo forti per loro che si erano già abituati al buio del cunicolo. La piazza era vuota e illuminata dalla luce sfusa dei lampioni, nell’aria alleggiava un silenzio inquietante che si mescolava al sibilo di un vento freddo e solitario.
«È tutto troppo… silenzioso…» fece notare Clelia.
«Hai ragione», Samuele tirò fuori le due pistole dalle fondine, « dove sono Shane e Gise?»
  «Devono essere sbucati da un’altra parte…»
«Oh loro saranno impegnati per un po’» ghignò malefica una presenza, nascosta tra le colonne dell’edificio affianco, il volto celato da un nero manto di velluto che calzava morbido lungo le sue forme sinuose. A Clelia non serviva vedere il suo volto per riconoscerla, estrasse la sua pistola dalla fondina e sparò senza scrupoli contro la donna. Si scansò un attimo prima che il proiettile la colpisse, «pessima mira Clelia…» sogghignò malefica.
 «Dana…» digrignò i denti e sparò un altro colpo assicurandosi di prenderla alla testa, ma, ancora una volta, non ebbe successo. Imprecò pesantemente.
 «Andiamo Clelia… sono qui solo per chiacchierare…»
«Non voglio giocare!» gridò furiosa.
 «Perché no?... Infondo ho io il coltello dalla parte del manico…» Dana schioccò le dita e dall’ombra comparve un uomo, rachitico e ricurvo, la spina dorsale e il costato vennero messi in risalto dalla poca pelle che aveva. «Mortimer…» sibilò feroce all’uomo, «vai sotto la luce».  Egli si avvicinò lentamente al centro della piazza e quando i raggi della luna piena lo colpirono la sua pelle scomparve sotto un irto pelo grigio, la pupilla parve scomparire mescolandosi ai suoi occhi corvini e i canini si allungarono lasciando cadere per terra fiotti di viscida bava; a Dana bastò schioccare le dita il lupo si accanì su di loro. «Scappate fringuelli, scappate… non avete dove nascondervi, lui vi troverà…»
 
Fuggirono verso il cimitero e Clelia lanciò a Samuele dei proiettili in puro argento. «Sam!» il ragazzo li prese al volo e caricò frettolosamente la pistola, prese la mira e sparò contro il grosso canide. Lo colpì alla zampa e questo si accasciò terra dolorante permettendo loro un vantaggio di qualche minuto. Si rifugiarono nel cimitero di Parigi e si nascosero dentro un mausoleo di un antica famiglia parigina.
 «Cazzo…» imprecò Samuele cercando di ricaricare le pistole, una delle quali priva di qualsiasi genere di proiettile, « quante munizioni in argento ti rimangono?»
 Clelia frugò nelle tasche dei pantaloni, «solo tre…» gliele mise fra le mani.
«Quindi ho in tutto sei colpi… tu?»
 «Mi restano due pallottole, ma non sono in argento».
«Allora è meglio se al cagnolino ci penso io…» proferì caricando le munizioni «non sarebbe congeniale vivere con un lupo mannaro…»
  «Grazie Samuele, ma sei tu quello che deve fronteggiarlo quindi… pensa a non farti ammazzare piuttosto che a come sarebbe vivere con uno della sua specie» rise lei dandogli una pacca sulla schiena.
«Sarebbe un incubo! Scusa già sei lunatica di tuo, sei una donna coi pro e i contro, se poi ti trasformi in un lupo mannaro io non faccio più vita!» scherzò lui alzandosi.
 «Sono seria Sam… non farti mordere».
«Farò attenzione, parola mia…»

Il silenzio del cimitero venne rotto dal pesante fiato del lupo, gli argentei e affilati artigli graffiarono le lapidi di granito che stridettero al contatto con esse. Dana scese dalla groppa dell’animale e questo cominciò a fiutare meticolosamente l’aria, li avrebbe trovati a breve. Samuele uscì dalla tomba e fischiò al grosso canide che, dopo averlo individuato, si accanì contro di lui come gli avvoltoi si accerchiano attorno ad una carcassa, lo condusse ai margini del cimitero, lontano da Clelia. I passi di Dana si facevano sempre più vicini e il tintinnio dei tacchi faceva eco nel cimitero come il pendolo di un orologio, si allontanò dalla tomba e anche lei uscì allo scoperto, armata e con la guardia alta, ma la sua carnefice non era davanti a lei. Sentì  un flebile spostamento d’aria alle sue spalle e si voltò di scatto, sparando un colpo a vuoto. I suoi muscoli erano tesi e l’adrenalina circolava nel suo corpo accelerando i suoi battiti cardiaci.
 «Colpo mancato signorina...» ghignò Dana seduta su una lapide « ritenta, la prossima volta avrai più fortuna…»
 «fossi in te non farei dello spirito… so come cogliere la gente alla sprovvista».
«Di certo non mi farò bagnare il naso da una diciottenne» rise lei giocando con una ciocca dei suoi fluidi capelli.
 «Dove tieni Emi? Perché sei qui e cosa vuoi da me?» domandò con schiettezza.
«Quante domande tutte assieme ragazzina, frena altrimenti potrebbe esploderti il cervello… Sono qui solo per vedere come procede la ricerca della spada, vogli assicurarmi che tu e il tuo Ordine manteniate la promessa».
 Clelia guardò lo stivale in cui teneva la lama con la coda dell’occhio, «noi cavalieri manteniamo sempre la parola data» ribatté piccata.
Dana scoppiò in una fragorosa risata: «nessuno di voi mantiene le promesse, basta guardare tuo padre…»
 «Mio… mio padre?»
«Come? Il Gran Maestro non…» rise ancora più forte e per poco non scivolò dalla lapide. «Tu non sai nulla, non è così?» le parve molto una domanda retorica e quindi non rispose. Dana le fece segno di seguirla e non seppe perché, ma la seguì senza aprir bocca.

Arrivarono fino ai margini del cimitero e, in un piccolo spiazzo circondato dai cipressi, due lapidi in marmo, molto austere e prive di fiori o candele. Dana si sistemò dietro di esse aspettando che Clelia si avvicinasse, lo fece con riluttanza e guardò le foto sulle lapidi, ebbe un sussulto. Erano le sepolture dei suoi genitori. Si inginocchiò dinnanzi ad esse e le lacrime cominciarono a colarle dal volto in silenzio, senza che lei potesse fermarle o ingoiarle.
 «Povera cara, piccola ed ignara creatura…»le prese il mento tra il pollice e l’indice alzandole il volto, « deve essere dura scoprire di essere la figlia di due traditori».
 «I miei…che cosa?»
  «I tuoi genitori erano dei traditori dell’Ordine convertiti alla Confraternita» cominciò lei  guardandosi assorta la manicure, «vennero a Parigi per il rito d’iniziazione dove maledissero il tuo nome, il loro giuramento da Cavalieri Templari e qui, in questa città, abbracciarono le nostre regole e inostri dogmi, li fecero loro… peccato che, nella punta di diamante del rito, tuo zio irruppe con rabbia durante la cerimonia e non solo li uccise, ti strappò via da loro. Io ero lì».
Nel suo cuore e nella sua mente imperversarono un’infinità di dubbi e di domande: i suoi genitori erano dei traditori e suo zio, il fratello di suo padre, il loro carnefice. Sentì una lancinante fitta al petto, una crepa sul suo cuore che, poco a poco, diventava una voragine. «No…» mormorò sconvolta, «non… no può essere» le lacrime le rigavano il viso con insistenza, quasi a consumarlo.
«Sì invece, è così… tu sei solo una pedina Clelia, rinnegata da tutti… perfino dalla famiglia» scoprì i candidi denti nel suo solito ghigno malefico. Accecata dalla rabbia e dal dolore, estrasse il pugnale dalla tasca intera dello stivale e lo conficcò nella spalla di Dana che urlò per il dolore. «Piccola bastarda» sibilò allontanandosi da lei, «non è finita ragazzina, la guerra è appena iniziata… ma… fossi in te, cercherei il tuo amico» fischiò e scomparve nell’ombra, così com’era apparsa.


Clelia scattò in piedi e cominciò a cercare Samuele, lo chiamò a gran voce e scandagliò i vari sepolcri familiari, ma di lui nessuna traccia. Se anche a lui fosse accaduto qualcosa non se lo sarebbe perdonato, non poteva più fidarsi di nessuno se non di lui e neppure sapeva fino a che punto poteva confidarsi, ma… era tutto quello che le rimaneva, si sentiva tradita e pugnalata dalla sua stessa famiglia, si sentiva l’unico agnello in un branco di lupi. Per la prima volta si sentiva indifesa.
 «Samuele!» gridò disperata, « dove sei?»
«Sono qui» rispose comparendo tutto d’un tratto alle sue spalle, «non c’è bisogno di strillare come un’aquila»
Clelia gli saltò al collo contenta e lo strinse forte, ma tutta la sua euforia si spense quando sentì uno strano calore, una strana sensazione di umido le percorreva piano il braccio, si sciolse dall’abbraccio e guardò la manica della sua camicia bianca, tinta di rosso e fradicia di sangue. Alzò lo sguardo verso la divisa del suo partner e, oltre che essere strappata e insanguinata, era marcata da una ferita fresca che partiva dalla sua spalla fino al suo petto.
 «Sam… mi avevi dato la tua parola…» bisbigliò con voce tremante, «avevi promesso che avresti fatto attenzione…»
 «Ma sto bene…»
«Dobbiamo trovare Shane… lui ha il kit del pronto soccorso, forse siamo in tempo per…»
 «Clelia basta, sto bene io non sento il dolore, non mi fa male…»
«Ma quanto sei scemo?!» urlò, «se ti ha morso è la fine! Devo vedere che cos’hai…»
 «Anche se mi avesse morso che cosa cambia? Al massimo nelle notti di luna piena mi metti in cantina!»
 «Siamo Cavalieri Samuele, se diventi un lupo mannaro mi obbligheranno ad ucciderti!»
Samuele si ammutolì e lei comprese che si era completamente dimenticato di quel particolare. Lei non poteva e non voleva fargli del male, lo stesso valeva per lui. Nessuno dei due avrebbe mai torto un capello all’altro. «Dobbiamo trovare Shane e Giselle… ORA!» sentenziò Samuele, sempre più pallido.


Clelia rintracciò i suoi compagni con un colpo di telefono e i quattro si riunirono nell’infermerie della base parigina, Samuele era sempre più pallido e continuava a perdere sangue a fiotti.
 «Okay, ora disinfetto la ferita così vediamo se si tratta effettivamente di un morso o di un graffio…» proferì Shane prendendo dalla sacca dell’acqua ossigenata e del cotone.
 «Perché, c’è differenza tra l’uno e l’altro?» domandò Giselle  saltellando intorno al partner per sbirciare quello che faceva.
  «Sì, molta a dire il vero… se ti mordono sei condannato a mutare in un lupo mannaro ad ogni luna piena dimenticando completamente la tua identità; quando ti graffia, invece, non cambia nulla in te fisicamente solo si comincia a prediligere la carne al sangue e  si tende a comportarsi in modo strano durante le notti di luna piena… tutto qui» spiegò lui mentre puliva meticolosamente la ferita di Samuele che, di rimando, faceva qualche smorfia ogni volta che gli versavano l’acqua ossigenata sula ferita. «Sei fortunato Sam, è solo un graffio» sentenziò Shane e Clelia, a quell’affermazione, poté tirare un sospiro di sollievo. Era fuori pericolo, non avrebbe dovuto ucciderlo. Giselle aiutò il suo compagno a mettere i punti e le bende, poi, una volta finito, tornarono nelle loro stanze lasciandoli soli.

Calò il silenzio. Clelia passò a Samuele una felpa e si sedette affianco a lui sul lettino dell’infermeria, così vuota e fredda, senza colori, scarna e austera; un’unica finestra, chiusa e  nascosa da una fitta tenda. Continuava a far dondolare le gambe e a giocare con le punte dei capelli, incapace di intrattenere una conversazione, rabbia? Paura? O forse entrambe?... Non sapeva bene cosa dire e se le conveniva veramente farlo.
 «Che cosa succede?» domandò lui spezzando il silenzio.
«Perché dovrebbe succedere qualcosa?»
 «Perché hai la faccia di una che deve dire qualcosa… avanti dolcezza, spara»
«Credo di essere solo confusa, di aver bisogno di chiarimenti e di certezze… per ora ho solo tanti dubbi e troppe domande, tutte senza risposta» cominciò lei guardando la punta degli stivali per non incrociare il suo sguardo.
 «Ebbene?... Quali sono questi dilemmi?» gli raccontò tutta la storia che Dana gli aveva riferito, non voleva essere sgridata o aggredita, ne tantomeno compatita o consolata, voleva un consiglio, un giudizio. «Credi davvero che il mio mentore, tuo zio, ti mentirebbe su una questione del genere?»
 «No… il mio cuore non lo pensa, ma la mia mente… è che mi da poca fiducia ultimamente, fa tutto di nascosto e mi tiene segrete delle questioni, che possono riguardarmi o meno, anche se prima non mi nascondeva nulla… insomma avrebbe potuto dirmi che i miei genitori erano dei traditori e che sarei dovuta appartenere allo schieramento nemico, quanto gli costava dirmi la verità?»
 «Tu parli di verità, ma la verità non è sempre bella e magari non ti ha detto nulla perché eri, o sei, troppo immatura per coglierne il senso. Tu da lui pretendi fiducia, ma tu per prima non gliene stai dando… ricorda Clelia, i genitori non sono quelli che ci mettono al mondo, ma quelli che ci crescono, se  considerassi questa teoria al contrario mi sarei già impiccato almeno tre volte» rise amaro. «Sai qual è il tuo problema? Tu non ti fidi di niente e di nessuno, non sai affidare la tua vita a nessun’altro se non a te stessa per… per paura che ti pugnalino alle spalle».
 «E tu come lo sai?»
«Perché è il mio stesso problema è il motivo per cui siamo partner».

Lo sentì più vicino quella sera, meno perfetto, e il fatto che si fosse aperto un po’ con lei le fece dimenticare per un attimo tutti quei dubbi e le domande che le attanagliavano feroci la testa. Oltretutto lui non le aveva sbraitato, non l’aveva compatita, si era confrontato con lei in modo molto ragionevole e razionale, con quelle poche parole era riuscito a darle un’altra prospettiva della situazione. Samuele aveva mescolato le carte a suo favore, la sua opinione di lui era cambiata radicalmente e incominciava a credere che non fossero poi così diversi, anzi, erano fin troppo simili.
 
 P.S. Scusate il ritardo e se è scritto un po' male, ci sono stati dei problemi durante la battitura, per il resto speriamo vi piaccia :)
 
 
 
 
   
 
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