Lui, dopotutto, non apparteneva a nessuno di loro; solo una persona aveva il diritto di avvicinarglisi, di parlagli e di toccarlo e quella era il suo fighter: Cain.
Lui era l’alfa tra i soldati, lui era quello che tutti temevano e rispettavano; lui era il migliore tra tutti quelli che stavano lì dentro. “Un pazzo”, lo definivano, un “depravato zingaro”, ma la loro era solo invidia mischiata ad un pizzico di verità.
Abel era ignaro della sua situazione, in che posizione si stesse trovando, ma non sembrava dargli tanto peso il fatto che tutti lo evitassero, che tutti cercassero di stare il meno possibile nei suoi paraggi e non notava nemmeno quell’ombra silente, di quel topo, che lo seguiva ad ogni suo passo o movimento quando Cain non era con lui.