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Autore: LilithJow    16/11/2014    2 recensioni
Quello fu il primo istante dopo parecchio tempo in cui Ward, lo Specialista, si sentì estremamente vulnerabile e non era a causa della grave ferita riportata.
Era lei.
Era a causa sua e delle sue ultime frasi.
Era a causa dei suoi occhi color cioccolato che lo stavano fissando incredibilmente da vicino, che lo stavano implorando di dar loro una risposta.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Grant Ward, Skye
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dicono che ci sono cose che accadono per un determinato motivo, previste da qualche fantomatico e sconosciuto ente, e altre, invece, che semplicemente succedono senza bisogno di un perché logico.
Qualunque sia il caso, esse si devono accettare, che siano buone o cattive, che portino al meglio o al peggio.
E poi, se si è felici o meno a riguardo, tali cose continueranno ad accadere, una dopo l'altra, ancora e ancora, senza mai smettere.
Le cose succedono, alcune persone arrivano, restano e altre se ne vanno.
Qui, spesso, spunta fuori qualche sfumatura più poetica.
Si pensa che quando due persone si incontrano per la prima volta e tra loro, fin da subito, si sviluppa una connessione, allora esse sono destinate ad appartenersi come se , sempre quel fantomatico e sconosciuto ente, avesse deciso per loro.
Ma solo perché è scritto che debbano appartenersi l'un l'altro, questo non significa che siano il meglio l'uno per l'altro.
Altri fattori cooperano con il destino e riescono ad incasinarlo e a sballare del tutto i suoi piani.
Quando ciò si verifica, comincia a far male. Parecchio.
E che si fa, allora?
Dicono che quando ci si rende conto che le cose si stanno facendo troppo complicate e dolorose, si dovrebbe lasciar andare la persona che si ama unicamente per il suo bene.
Purtroppo, però, non è facile.
L'amore non è facile.
Ward lo sapeva. Nonostante i suoi sentimenti per Skye, sapeva di essere sbagliato per lei. Era incasinato, lontano anni luce dall'ordinario. Lei non meritava qualcuno del genere. Meritava un uomo normale distante dallo S.H.I.E.L.D., dall'Hydra e da tutto quello che era solita odiare.
Non lui.
Lui era sbagliato e non solo per lei.
Per chiunque.
Lo aveva capito.
Aveva capito di essere la morte per l'amore.
Aveva ucciso l'amore ed esso aveva ucciso lui.

 

***

 

Stava fissando le proprie mani tremanti, quelle dita consumate artefici di mille azioni, mille gesti, dai più eroici ai più egoisti.
Ricordava ogni minima cosa fatta, ma, soprattutto, ricordava la divina sensazione che lo aveva pervaso quando quei polpastrelli avevano sfiorato la sua pelle, avevano toccato il suo viso e si erano fermati sul suo collo sottile.
E poi ricordava quelle stesse dita stringere armi improvvisate come lo erano state un bottone e un pezzo di carta, e incidere nella propria pelle tagli netti e successivamente tingersi di rosso vivo.
Eppure, anche in quel momento così vicino alla morte, non aveva avuto timore. Perlomeno, non di morire. Aveva soltanto in sé il rimpianto di non aver potuto fare nulla per farsi perdonare, neppure l'occasione di parlare con lei e tentare di spiegare ciò che era successo dal proprio punto di vista.
E quando era successo, quando ebbe l'opportunità di parlarle, dalla sua bocca non fuoriuscì ogni parola che avrebbe voluto dirle, solo in parte, come se qualcosa al suo interno lo bloccasse, urlandogli quanto tutto ciò fosse sbagliato poiché era lui stesso ad esserlo.
E dopo... Dopo era fuggito per scampare all'intricata trama tesa dal fratello maggiore, con il solo obiettivo di fargliela pagare per tutto quello che gli aveva inflitto in passato.
Nonostante i buoni propositi, tuttavia, la sua mente era focalizzata su Skye per quasi tutto il tempo così da addirittura impedirgli di ragionare lucidamente. Era stato forse a causa di ciò che non si era accorto di come un uomo a terra fosse riuscito a raggiungere la propria pistola e a premere il grilletto.
Era accaduto in una frazione di secondo: il proiettile era partito alla velocità della luce e si era piazzato dritto nel petto di Ward.
Ricordava anche quello.
Ricordava di non aver sentito il benché minimo dolore prima di accasciarsi al suolo e chiudere gli occhi.
Poi il vuoto, il nero più assoluto almeno fino a che non sollevò le palpebre e si ritrovò legato per mani e piedi ad un letto in una stanza dalle pareti bianche e dalle luci fin troppo forti.
Non vi era alcun rumore lì se non per un leggero fruscio e dei beep costanti che probabilmente scandivano il proprio battito cardiaco.
Aveva tubi ficcati pressapoco ovunque, ma, ancora, non percepiva alcun dolore.
Non provò a liberarsi, sarebbe stato inutile e, stando alle proprie condizioni, non sarebbe andato lontano. Rimase semplicemente immobile, dimenticandosi di relazionare il tempo. Se lo lasciò scivolare addosso, continuando a fissarsi le mani.
Per tal motivo non seppe quanto fosse effettivamente passato quando qualcosa interruppe la monotonia di quella camera. 
Non qualcosa, qualcuno.
Non qualcuno, lei.
Ward vide entrare Skye nella stanza e fu come osservare il sole subito dopo un'eclissi: era estasiato, meravigliato, sorpreso.
La ragazza indugiò sulla soglia della porta per più di qualche secondo prima di compiere un solo passo in avanti e chiudersela alle spalle.
Lui non disse una parola. Fu come le tante volte nella cella e, in più, non sapeva se parlare gli avrebbe causato quel dolore che stava evitando.
Aveva però timore che lei se ne potesse andare a causa del troppo silenzio, ma, per fortuna, non accadde e fu proprio Skye a introdurre un nuovo suono nella stanza, quello della sua voce.
«Sei di nuovo sotto custodia dello S.H.I.E.L.D.» disse, tentando in tutti i modi di apparire autoritaria. Ward sforzò un sorriso. Era strano vederla in quelle vesti sapendo che sotto quell'inutile corazza si nascondeva ancora la sarcastica hacker di fin troppo tempo prima.
«Lo.. Lo avevo immaginato» sussurrò, alludendo alle stringhe che gli cingevano i polsi.
Skye annuì distrattamente. «Ti terremo qui finché avrai bisogno di cure mediche e poi...».
«Poi la mia cella è lì che aspetta».
Lei serrò la mascella e strinse forte i pugni lungo i fianchi. «Già» esclamò. «Forse avresti dovuto stare più attento e controllare che chi avevi atterrato fosse effettivamente privo di conoscenza».
«Errore mio. La prossima volta non sbaglierò».
«Non ci sarà una prossima volta».
La sua ultima affermazione assomigliò quasi ad un urlo, come se attraverso di essa volesse porre fine a tale conversazione. E fu ciò che provò a fare, voltandosi e appoggiando le dita della mano destra sul pomello della porta. Ward non potè vederla mentre iniziava a torturarsi il labbro inferiore con i denti e a strizzare gli occhi, probabilmente per impedire a se stessa di piangere.
«Ti odio» mormorò.
Se fino a quel momento lui non aveva provato alcun dolore, tali due parole bastarono per aprirgli una voragine nel petto e i battiti del suo cuore si alterarono. Quando la ragazza si girò nuovamente nella sua direzione, la vide con occhi lucidi ed era pressapoco sicuro che la sua espressione affranta fosse la stessa che si era appena stampata sul proprio volto.
«Lo sai, per... Per mesi ho desiderato che questo accadesse» continuò lei. «Ho pregato affinché tu morissi, volevo essere io stessa a piazzarti un proiettile in testa al punto che immaginavo la tua faccia sulle stupide sagome con cui May mi faceva esercitare. E poi è successo».
Skye avanzò lentamente verso il letto di Ward e più si avvicinava, più il suo tono di voce aumentava, divenendo stridulo e giungendo sul punto di spezzarsi. Lui, d'altra parte, riuscì a stento ad ascoltare e sopportare le sue violente e taglienti parole.
«
È successo che un tizio è spuntato fuori dal nulla e... E ha detto a Coulson che ti avevano ritrovato in una pozza di sangue, che ti avevano portato in ospedale, ma... Ma nessuno sapeva se ce l'avresti fatta o meno. Avrei voluto gioire. Avrei voluto farlo perché saresti stato un problema in meno e finalmente, tu... Finalmente avevi ottenuto ciò che meritavi».
Fece una pausa quando ormai si era avvicinata talmente tanto da tenere i loro visi a pochi centimetri di distanza. «Ma non è stato così» biascicò. «
È stato tutto il contrario. Mi sono sentita come se... Come se la terra sotto di me fosse venuta a mancare, mi è crollato tutto addosso. Ho continuato a ripetere a me stessa che non era giusto, che sentirmi in quel modo per te era sbagliato, che tu... Che tu sei sbagliato. Ma non ha funzionato nemmeno quello perché nonostante ogni mio sforzo di negazione, non ho smesso di preoccuparmi e trattenere il respiro finché qualcun altro ci ha comunicato che eri fuori pericolo».
Ward ascoltò in silenzio tutto il suo discorso senza osarsi ad interromperla, anche perché non aveva la benché minima idea di cosa replicare. Non sapeva neanche il motivo per cui gli stava dicendo quelle cose. Avrebbe potuto tenerle per sé, dargli la sua comunicazione e andarsene e, invece, era rimasta.
Così aspettò che terminasse l'ultima frase per pronunciare qualche parola.
«Mi dispiace» disse soltanto.
Skye rise, isterica. «Non... Non devi dispiacerti, Ward, tu...» replicò. «Tu devi dirmi come farlo smettere».
«Fare smettere cosa?».
«Questo». La ragazza allargò le braccia, esasperata. «Il fatto che io desideri ancora parlarti e starti intorno anche se sei una persona orribile, pur essendo a conoscenza di ogni tua ignobile azione. Il fatto che oggi hai rischiato di morire e... Io ho rischiato di farlo con te».
Quello fu il primo istante dopo parecchio tempo in cui Ward, lo Specialista, si sentì estremamente vulnerabile e non era a causa della grave ferita riportata.
Era lei.
Era a causa sua e delle sue ultime frasi.
Era a causa dei suoi occhi color cioccolato che lo stavano fissando incredibilmente da vicino, che lo stavano implorando di dar loro una risposta.
«Io...» balbettò lui. «Io non lo so».
Skye tremò appena. «Non posso farlo» mormorò. «Non posso continuare a rischiare di spezzarmi per te».
«Spezzarti è l'ultima cosa voglio».
«E allora cosa devo fare?».
Ward non sapeva nemmeno quello. Non aveva idea di come reagire dinanzi a ciò che lei gli aveva confessato o se quella fosse un'altra messa in scena per estorcergli ulteriori informazioni.
Forse per evitare di farsi male ulteriormente, scartò quell'ultima ipotesi.
Decisa di ritenere ogni cosa genuina poiché nel suo sguardo non leggeva nulla che affermasse il contrario e gli piaceva pensare che ormai avesse imparato a leggere nei suoi occhi.
«Puoi restare» disse, con un filo di voce. Fu l'unica cosa che gli venne in mente; per quanto scontata e banale fosse, la trovò essenziale perché era tutto ciò che desiderava: che lei rimanesse lì.
La ragazza esitò. Una parte di sé le stava suggerendo di andar via da quella stanza in quel preciso momento, di non cedere perché, ancora, lui era sbagliato. Eppure, quella stessa parte che solitamente urlava a squarciagola, in tale istante era calma, solo un sussurro a malapena percettibile, così facile da ignorare.
E, allora, decise di restare.
Non aggiunse l'altro. Abbassò lo sguardo a fissare le stringhe che gli cingevano i polsi e, lentamente, le slegò, prima una e poi l'altra, sotto gli occhi socchiusi dell'uomo.
Sospirò e, muovendosi nella maniera più delicata possibile, gli si sdraiò accanto, appoggiando il capo sulla sua spalla e cercando di non gravare troppo sul suo petto.
Ward riuscì a stento a sollevare un braccio e appoggiare la mano su uno dei suoi fianchi. Avrebbe voluto stringerla più vigorosamente, ma la mancanza di forze ed energie iniziò a farsi sentire.
«Non dirlo a nessuno» disse Skye, a bassa voce. Lui sorrise, rilassato. «Non lo farò» mormorò. «Sarà il nostro piccolo segreto».

  
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