Fanfic su artisti musicali > Avril Lavigne
Segui la storia  |       
Autore: Cruel Heart    16/11/2014    2 recensioni
C'è sempre un modo per raccontare le storie tristi.
C'è chi vuole addolcirla, come se si trattasse di una tazzina da caffè un po' amara, o c'è chi vuole renderla ancora più tragica di quanto lo sia già.
Sarebbe bello narrare di due adolescenti che si sono innamorati improvvisamente, magari al liceo.
Ma non è la verità, o, per lo meno, non lo è di questa storia.
I piccoli segreti sono ovunque.
Sto parlando di segreti non del tutto svelati, di argomenti tenuti nascosti e di scheletri troppo grandi per essere rinchiusi in un armadio.
E se tutto quello in cui lui credeva, si rivelasse una mera finzione?
E se tutto quello che lei riteneva impossibile, fosse la dura realtà?

Ecco: questa è la verità che voglio raccontarvi.
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Little secrets - Missing Moments'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Salve salvino.

Pronti per un nuovo capitolo leggero e pieno di allegria?

Ehm… in realtà, no.

Questo capitolo, a dir la verità, sarà tutto fuorché allegro: ci sarà rabbia, disperazione, litigi ed altre scene abbastanza “spinte”.

Non uccidetemi, plis.

Ultima cosa e poi me ne vado, aspettando che mi lanciate un’intera cassetta di pomodori addosso: ho intenzione di scrivere due one-shots [Al più presto, si spera]

La prima sarebbe una song-fic su “Adia”, dato che Avril ha fatto una cover del meraviglioso brano di Sarah McLachlan, e la seconda sarebbe una vera e propria one-shot incentrata su Kevin e su cosa sia successo quella sera al locale durante la festa di Matt con Will. [Eheheh]

Che ne pensate?

Bene, ora vi lascio [Aspetto sempre i vostri pomodori, eh] e me ne vo (?)

Al prossimo aggiornamento ~

 

~ Cruel Heart.

 

***

Sum 41 - Skumfuk

 

***

 

Free Image Hosting at www.ImageShack.us

 

Harrisburg, Pennsylvania, Stati Uniti d’America, 24 Giugno 2001

 

Evan's pov

Image and video hosting by TinyPic

Sentii Avril appoggiare la testa sull’incavo della mia spalla e la baciai dolcemente tra i capelli: non volevo svegliarla, ma non riuscivo proprio a concepire l’idea che le mie labbra si separassero da lei.

Che io mi allontanassi da lei.

Ma questo non sarebbe mai successo, perché, adesso, soltanto immaginare una cosa del genere, mi avrebbe provocato un dolore indicibile, mille volte superiore alla sensazione che avevo provato pochi giorni fa, quando lei aveva nascosto il suo amore per me.

Ero lì, a notte fonda, a fissare la ragazza che amavo, mentre dormiva accoccolata al mio petto.

Non ero uno stalker o un vampiro psicopatico, no.

Al massimo solo uno con una faccia da pesce lesso e con un sorriso da ebete.

Oppure, un semplice ragazzo innamorato.

 

Sarei potuto stare lì a guardarla dormire per tutta la notte, senza che io facessi nient’altro fuorché osservarla.

E avrei potuto farlo davvero, se non fosse stato per un rumore.

Proveniva dal piano di sotto e sembrava come se qualcosa… fosse andato in frantumi.

Mi vennero in mente svariate cose: una finestra rotta, un bicchiere caduto in cucina, ma l’unica cosa che mi convinceva sia per la distanza, sia per il tipo di suono, era il vaso nello studio di papà che andava in mille pezzi al secondo piano.

Cercai di focalizzare tutta la mia attenzione su quel rumore, ma niente, le mie orecchie captavano solo il silenzio.

 

Così, staccai piano il braccio dalla spalla destra di Avril e, facendolo scivolare molto lentamente sotto la sua schiena, mi alzai dal letto.

Ma, nonostante questo, sentii il suo respiro tranquillo interrompersi. «Evan, non… non lasciarmi.» mormorò, ancora con gli occhi chiusi.

Mi cercò con la mano e io gliela presi subito tra le mie.

Le baciai le nocche, una per una, senza fretta, e le sussurrai che tutto andava bene e che tra poco sarei tornato da lei.

Sebbene fosse ancora assonnata, mi ascoltò e si girò su un fianco, portando le mani sotto la testa, a mo’ di cuscino.

 

Appena sentii che il suo respiro era ridiventato regolare, presi la mazza da baseball che tenevo sempre accanto alla scrivania.

Poi, uscii di soppiatto dalla stanza e, cercando di fare il meno rumore possibile, mi diressi verso lo studio di mio padre: non sapevo cosa aspettarmi, e l’ultima cosa che volevo era essere disarmato di fronte a dei ladri.

Scesi le scale, un gradino alla volta, stando attento a dove mettessi i piedi, e iniziai a percorrere il lungo corridoio.

Già appena incominciai a muovere i primi passi, riuscii nettamente a distinguere due voci piuttosto alterate: una era quella bassa e baritonale di mio padre, autoritaria come al solito, e l’altra era una femminile, già conosciuta.

Non ci misi molto a riconoscere il tono della madre di Avril, la signora Judith, ma mi sfuggiva il motivo per cui stessero litigando, e a quest’ora, poi.

Così, posai la mazza da baseball accanto al muro, senza far rumore, e sbirciai dalla porta, da cui riuscivo a vedere una parte piccolissima della scena.

 

La prima cosa che notai furono i cocci di ceramica sparpagliati per quella piccola porzione di pavimento che riuscivo a scorgere: ci avevo visto giusto, si trattava del vaso di mio padre.

Poi, iniziarono le urla:

 

«Non puoi fare sempre così, Judy!» Sgranai gli occhi: da come mio padre le si era rivolto, sembrava come se… la conoscesse da molto tempo.

 

«Io faccio quello che mi pare! LEI È LA MIA BAMBINA!» urlò la donna. Sentii scorrere un gelido brivido sulla schiena al pensiero che l’argomento della discussione era Avril.

 

A quel punto, riuscii a distinguere solo la sagoma di mio padre che andava incontro a quella di Judy: lui, decisamente più alto, la sovrastava completamente e la fissava con uno sguardo gelido e furioso allo stesso tempo.

«Lo sai che non è così, Judy. È anche la mia bambina.»

 

Appoggiai la mano al muro, barcollando.

Che cosa… cosa voleva dire?

 

«Non ti azzardare a dire una cosa del genere, Mark. Credi che non sappia cosa hai fatto appena me ne sono andata, eh?» sibilò Judy, furente. «Non sei mai stato un padre per lei e pretendi di esserlo adesso?»

 

«Lo so, ho sbagliato, ma adesso… adesso voglio porre rimedio ai miei errori. Sono entrambi figli miei e questo, purtroppo per te, non cambierà mai.»

 

Un dolore incontenibile mi fece vacillare.

Le ginocchia mi tremavano, ma la morsa non si fermò, non arrestò la sua corsa.

Così, non riuscendomi a reggere neanche sui miei piedi, travolsi tutto quello che mi trovai davanti e, con le lacrime agli occhi, mi misi a correre.

 

***

 

Duke Mark's pov

Image and video hosting by TinyPic

 

Avevamo avuto un’accesa discussione io e Judy, quella sera.

Non riusciva ancora a capire come potessi decidermi a voler conoscere mia figlia, di punto in bianco.

Ebbene sì: dopo anni di silenzio, dopo anni di oscurità, avevo deciso di redimermi.

Feci un mezzo sorriso crudele: certo, agognavo la redenzione, ma l’avrei ottenuta soltanto alle mie regole.

Judy se n’era andata furibonda, dopo l’ultima frase che ci eravamo scambiati.

Sospirai, infastidito. Come al solito, mia moglie voleva sempre avere l’uscita di scena e, beh… io l’avevo semplicemente accontentata.

All’improvviso, mi bloccai: avevo sentito un rumore, come un qualcosa che andava a sbattere.

Strinsi gli occhi e parlai, in modo chiaro e sicuro. «Coraggio, so che sei lì.»

Aspettai qualche secondo e non ebbi alcuna risposta.

«Avanti, non essere timido, su.»

Questa volta, invece, riuscii a captare un leggero fruscio di passi.

Bene, si stava avvicinando ancora di più.

«Vieni avanti… Kevin.» gli ordinai, con voce imperiosa.

 

Davanti a me, comparve una figura con la testa china, le spalle incassate e con quell’andatura dannatamente strascicante che avevo sempre odiato con tutto me stesso.

Eccolo lì. Ah, quant’era facile piegare le persone con così poca personalità.

«Sai tutta la verità adesso. Vero?» gli chiesi.

 

La sua risposta non arrivò e io gli ribadii il concetto. «VERO?» gridai.

Annuì guardando verso di me, velocissimo, come se le mie parole lo avessero ferito irrimediabilmente.

«Ottimo. E dimmi, come ti senti, adesso?»

 

Abbassò lo sguardo, pieno di vergogna. «Io… io non so come…»

 

Fece una pausa e ne approfittai, avvicinandomi a lui. «Prima regola della persuasione, Kevin. Non devi mai staccare lo sguardo dal tuo interlocutore. Mai.» gli dissi, afferrandogli il mento, e costringendolo a guardare nei miei occhi.

Mi allontanai, dandogli le spalle. «Ma so, comunque, che tu faresti di tutto per farmi felice, no?»

Questa volta, non aspettai la sua risposta e continuai direttamente. «Ho bisogno che tu faccia una cosa per me, Kevin.»

 

Mi girai verso di lui e, inaspettatamente, lo vidi stringere gli occhi, sospettoso.

Finalmente, adesso lo riconoscevo!

«Che genere di cosa?»

 

Gli spiegai brevemente quello che volevo che facesse, ma la sua ostinazione fu ancora più grande della mia capacità persuasiva.

«No, assolutamente no!» mi rispose, quasi gridando. «Non potrei mai fare una cosa del genere. Non a loro, poi! Sono i miei amici!»

 

Sollevai un sopracciglio, meravigliato da tanta audacia. «Oh, davvero? E, dimmi…» continuai, prendendo dalla tasca interna della giacca la busta da lettera. «Con queste, potresti cambiare idea, magari?»

 

Lasciai che aprisse il plico, lasciai che vedesse quelle foto, lasciai che ogni singolo fotogramma gli si piantasse e gli scoppiasse nella mente.

 

«Tu… tu… queste foto… Will… COME HAI POTUTO?!»

 

Risi, prendendomi gioco della sua ingenuità. «Andiamo, credevi davvero che quei due ragazzi al di fuori dei bagni di quello stupido locale dove siete andati a sbaciucchiarvi tu e quell’altro fossero davvero solo due tipi sbronzi che stavano facendo qualche foto all’ambiente?»

 

Vidi i suoi occhi traboccare di rabbia, ma non gli diedi il tempo di farla fuoriuscire.

«Ti propongo un patto, Kevin: tu accetti di fare quello che ti ho chiesto e tu e quel finocchio del tuo fidanzato potete continuare a vivere la vostra… ridicola… “storia d’amore.”» [N.d.A. Scusate per il termine volgare e se ho urtato la sensibilità di qualcuno, ma mi sembrava più adatto al contesto.]

 

«NON OSARE CHIAMARE WILL IN QUEL MODO!»

 

«Oppure…» dissi, interrompendolo nuovamente. «Se tu non dovessi accettare, beh… mi troverei costretto a fare una telefonatina al preside, e ad indurlo a far allontanare il tuo amichetto per… diciamo… tutti gli anni a venire?»

 

«VUOI FAR ESPELLERE WILL?!»

 

Sporsi il labbro inferiore. «Se la vuoi mettere in questo modo, sì.»

 

«Brutto bastardo…» sibilò.

 

«Alt, alt, niente insulti. Allora, che fai? Accetti di mantenere questo piccolo segreto solo tra noi due?» Non potei fare a meno di sorridere. Faceva uno strano effetto pronunciare di nuovo le stesse parole dopo quasi undici anni.  

 

Mi fissò, lanciandomi occhiate di odio puro.

Ma a me non importava, volevo solo arrivare al mio obiettivo, qualunque fosse il mezzo.

Dopo qualche minuto, lo vidi annuire leggermente, a testa bassa.

 

I miei occhi si accesero di felicità. «Bene, bravo.»

Così, pensai di finirla lì, di lasciarlo andare, ma mi venne in mente un’altra idea.

 

«Ah, un’ultima cosa.» aggiunsi, muovendomi verso di lui. «Dimmi…» gli chiesi, grattandomi leggermente il mento. Riuscivo a vedere la paura nei suoi occhi, riuscivo a vedere il terrore nel fronteggiarmi, nello stare occhi negli occhi. Un’altra volta.

«Sai dove posso trovare Evan?»

 

 

***

 

Evan's pov

 

Image and video hosting by TinyPic

Non sapevo neanche io come, ma ero riuscito a raggiungere la biblioteca.

Fin da piccolo, era sempre stato il mio rifugio: l’unico luogo in cui mi sentivo al sicuro in quella casa enorme.

Ma, adesso, non era più così.

Cercavo il conforto in un altro luogo, tra le braccia di un’altra persona… l’unica persona che non potevo avere.

Mi avvicinai alla scrivania di fronte alla finestra e rovesciai tutti i libri su di essa, buttandoli a terra.

Volevo spaccare qualcosa. Dovevo spaccare qualcosa.

Mi presi la testa fra le mani e iniziai a tempestare il muro di pugni.

Forte, forte, sempre più forte: non mi fermai neanche quando il sangue cominciò a scorrere tra le mie dita.

Urlavo di dolore, di rabbia, di frustrazione, ma quello che il mio fisico provava non era niente in confronto a quello che mi sentivo dentro.

Poi, mi fermai, con le mani sporche di sangue e con il respiro ansante.

Lui era lì.

Mi stava fissando con uno sguardo compiaciuto, come se gli facesse piacere vedere la mia sofferenza esposta davanti ai suoi occhi.

«CHE COSA VUOI?» gridai.

 

Si accigliò, ma non smise di avere quel sorrisino falso spalmato sulla faccia. «Voglio che tu stia bene, Evan. E che mi stia a sentire.»

 

Distolse lo sguardo dal mio e si avvicinò alla scrivania, dandomi le spalle.

«Ascolta, so che le rivelazioni di questa notte possono averti fatto male, ma…»

 

«Fatto male?! Fatto male, papà? MI HANNO DISTRUTTO! SONO TOTALMENTE DEVASTATO!»

 

Espirò brevemente. «Lo so, e mi dispiace.» Sembrava quasi che gli costasse molto pronunciare quelle parole.

 

«E allora perché non me l’hai detto prima?»

 

«Perché non volevo che tu soffrissi. Vedevo come la guardavi, vedevo come ti struggevi per lei, e nonostante questo, ho cercato in tutti i modi possibili per interrompere il vostro rapporto malsano senza provocarvi altro dolore.»

 

Spalancai gli occhi, avvicinandomi a lui. «Rapporto malsano?»

 

Fece un mezzo sorriso. «Beh, come credi che si possa definire una relazione di questo tipo? Hai bisogno di staccare, di non pensare più a lei. E, a questo proposito…» disse, frugando nella sua tasca e tirando fuori un biglietto. «Mi sono permesso di darti una mano e di anticipare le cose.»

 

Presi il biglietto e lo lanciò sul tavolo, infilando poi le mani nelle tasche dei suoi pantaloni eleganti.

Afferrai il piccolo foglio rettangolare e capii subito di cosa si trattava.

Era un biglietto aereo. Di sola andata.

 

«Cosa…? Come…?» riuscii a balbettare, fissandolo confuso.

 

«Io so solo che devi starle lontano, Evan. E, questo, adesso, lo sai anche tu. Devi troncare.» mi disse, scandendo lentamente le parole.

 

Inspirai bruscamente. «E se mi rifiutassi?»

 

Inclinò la testa da un lato e si strinse nelle spalle. «Allora… vorrà dire che Judy e Avril saranno buttate fuori da questa casa e se ritorneranno in Canada.»

 

Strinsi gli occhi. «Loro hanno una casa, lì.» Evitai di dirgli che ci ero già stato.

 

«No, ti sbagli. Non l’hanno mai avuta, in realtà. Quella casa è sempre stata intestata a me e l’avevo ceduta a Judy solo temporaneamente.» Puntò il suo sguardo nel mio. «Se non accetti, Evan, credo che la loro nuova casa sarà un grazioso monolocale sotto un qualche ponte.»

 

Non ci vidi più dalla rabbia e tentai di addossarlo al muro. «RAZZA DI FECCIA UMANA!» gli urlai.

Provai a colpirlo con un gancio destro, poi con uno sinistro, ma riuscii entrambe le volte a bloccarmi.

 

Con il respiro ansante per lo sforzo, cercai di ribellarmi e di sfuggire alla sua morsa, ma era inutile.

Alla fine, dopo qualche minuto, mi lasciò andare e io, di conseguenza, mi arresi: ero completamente impotente e non riuscivo ad oppormi.

Mi aveva fregato.

Ci aveva fregati tutti.

 

«La scelta è tua, Evan.» Mi guardò serio.

«O la sua felicità» disse, poggiando un dito sui biglietti.

«O la sua disperazione.» concluse.

E spostò il dito sul mio petto.

 

***

 

Take the pictures off the wall.
Erase the thoughts, forget them all.
The choice is yours to save yourself,

or in the hands of someone else.

 

Broken thoughts and alibis
conscious disappears in time.
My voice is all that I can show,
That all that I have is a soul.

[…]

What can I say?
Guess it’s obvious you would end up this way.
When you live amongst the dead,
the best of luck,
as the one and only resident skumfuk.
A victim or just a tragedy?

I hear you talk, 
but I don't hear you speak.
You don't make sense.
Your mind is incomplete,

I can't believe all 
the things that you say.
You just can't get enough.
We'll all be waiting here just for the day,
guess your time is up.
[…]

All that I need
is time for me to breathe.
Dreams, little dreams,
that only I believe.
Now that I see,
beyond the light.
I know I'll be…
I'll be alright.

 

 

Togli le foto dal muro.

Cancella i pensieri, dimenticali tutti.

La scelta di salvarti è tua,

o nelle mani di qualcun altro.

 

Pensieri distrutti e alibi
scompaiono consapevolmente col tempo.
La mia voce è tutto ciò che posso mostrare.
E tutto ciò che ho è un'anima.

 

[…]

 

Beh, cosa posso dire?
Suppongo sia ovvio 
che tu abbia voluto terminare in questo modo.
Quando vivi ad un passo dalla morte,
il meglio dalla fortuna
come l'unica e sola feccia. 
Una vittima o solo una tragedia?

Ti sento parlare, ma non ascolto cosa dici.
Dici cose senza senso.
La tua mente è incompleta,
non posso credere alle cose che dici.
Non puoi semplicemente averne abbastanza.
Aspetteremo qui il giorno,
immagino che il tuo tempo sia scaduto.
[…]

Tutto ciò di cui ho bisogno è tempo per respirare.
Sogni, piccoli sogni, gli unici in cui credo.
Ora ciò che vedo, oltre la luce.
Starò...
Starò bene.

 

~ Sum 41 – Skumfuk

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Avril Lavigne / Vai alla pagina dell'autore: Cruel Heart