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Autore: chicca2501    16/11/2014    2 recensioni
Paring: Leonetta, Diecesca, Naxi e Fedemilla.
Dal testo: "Era una brutta giornata, brutta ma adatta a quello che stava per accadere. Le nuvole grigie nascondevano il cielo e il sole, mentre le tenebre stavano cominciando a invadere la pianura ghiacciata.
Tra gli spuntoni di roccia calcarea e di detriti inumiditi dal ghiaccio, la folla si stava accalcando verso un piccolo palchetto di legno fatto alla bell’e meglio che si reggeva a stento.
Sopra quella piattaforma c’era una ragazza slanciata, dal fisico magro e dai capelli lunghi e rossi e con gli occhi castani, i quali scrutavano tutte quelle persone ammassate lì solo per vedere lei, la grande Camilla Torres. "
Un'isola perduta in un mondo caratterizzato da guerre e carestie.
Un popolo magico in attesa di essere liberato.
Un capo dei ribelli pronto a tutto.
Quattro ragazzi diversi, ma uniti da un grande potere.
Amori che superano ogni confine del tempo e dello spazio.
I quattro elementi faranno tremare il suolo.
Acqua, fuoco, terra e aria si dovran temere!
C'è una terra da salvare,
Una battaglia da affrontare.
And I'LL WIN!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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3
 
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Era mattino inoltrato quando Francesca aprì gli occhi. A prima vista non capì dove era, che cosa ci faceva in quel verde e dov’era finita la sua cella.
Poi, come in un flashback, rivide tutto: l’evasione, la camminata verso una nuova vita e la distruzione di quest’ultima da parte dei soldati, lo sguardo deciso di Luca quando le aveva detto di andarsene. Il pensiero del fratello la colpì forte al cuore, ormai spezzato.
E tutto questo era successo in un solo giorno. Sentì le lacrime che le pungevano gli occhi, ma le trattenne: non poteva piangere, non dopo la perdita del fratello, lei adesso se la sarebbe dovuta cavare da sola e non c’era tempo per le bambinate.
Si alzò da terra e si lisciò il leggero abito grigio da carcerata, oramai una seconda pelle; iniziò a camminare avanti e indietro, cercando di razionalizzare la mente in subbuglio.
Doveva mettersi delle priorità, e, in quel momento, la cosa più importante era come procurarsi il cibo, visto che la borsa che aveva portato era rimasta in spalla al fratello.
Sentì un rumore strano, come uno scorrere di acqua, così si diresse in quella direzione. Mentre camminava sentiva il rumore avvicinarsi, e capì che si trattava di un fiume, e la sua ipotesi si dimostrò esatta quando vide il corso d’acqua, di un azzurro cristallino e dall’acqua poco profonda
 Si sporse un pochino e scorse un branco di carpe che nuotavano a poca distanza da lei; si voltò e fissò un piccolo alberello nel bel mezzo della pianura, solo e giovane, ma con rami forti e robusti e nemmeno troppo difficili da staccare, utili per creare dei piccoli arpioni.        
Stava per mettere in atto il suo piano quando una voce la distolse dal suo intento, una voce profonda, da uomo, simile a quella del suo carceriere: - Eccoti qua, piccoletta! – Francesca si girò a fronteggiare la causa della sua prigionia e della sua conseguente fragilità e fremette davanti al corpo possente e pesante dell’uomo.
- Pensavi di farla franca, vero? – continuò il carceriere. – Sai, sei stata scaltra a fuggire e a lasciarci tuo fratello. -
- Che cosa gli avete fatto?! – urlò la ragazza, percorsa da un brivido di rabbia mista a paura.
- Piccoletta, ricordati che io quando voglio una cosa non ho scrupoli, e tuo fratello aveva una cosa che mi appartiene. Così, l’ho fatto fuori, è la vita, piccoletta. –
L’aveva detto tranquillamente, come se fosse la cosa più normale del mondo, come se per lui la vita altrui non valesse niente. Francesca sentì la rabbia affluirle da tutto il corpo, un’ondata di puro odio soppresso durante quei sette anni di carcere, gli anni più putridi e più dolorosi della sua vita, e la causa di tutto ciò era quel cazzo di tizio che odiava suo padre e suo fratello e che aveva mandato tutti in prigione, offrendosi poi di fare il guardiano.
- Che cos’era quella cosa che volevi? – chiese in un sussurro disperato.
- Tu, piccoletta, solo tu. Sai, il mio padrone ha bisogno di te. –
La ragazza rimase basita alla risposta inaspettata. Doveva andarsene, doveva fare in modo che non la prendessero, ma era bloccata tra il fiume e il nemico.
Abbassò lo sguardo e vide che l’uomo di fronte a lei aveva una spada e a quel punto le venne un’idea, l’unica possibile in quella situazione impossibile.
Con un urlo si getto sull’altro che, colto alla sprovvista, non riuscì a difendersi dall’attacco e così Francesca riuscì a sfilargli la spada dal fianco, per poi puntarla contro il suo petto.
Poi, rivolta al carceriere, disse: - Mi dispiace Lorenzo, ma credo che non darò una mano al tuo padrone. – detto questo, si infilò la spada nel petto.
 
Camilla alzò gli occhi al cielo, sorpresa: cosa stava accadendo? L’urlo era finito poco dopo il suo inizio, lasciando tutti esterrefatti.
La rossa scrutò le nuvole un’ultima volta, prima di riabbassare lo sguardo, seguita a ruota da tutti i presenti; solo il piccolo elfo che aveva cantato prima la profezia continuò a guardare in su, curioso. D’un tratto, senza preavviso, il bambino gridò: - Vedo qualcosa, vedo qualcosa! – attirando l’attenzione della gente intorno a lui.
Si sentì un tonfo sordo, un gracchiare di cornacchie spaventate, un’imprecazione.
La folla si precipitò verso uno spuntone di roccia più alto degli altri, quello su cui era piantata la bandiera giallo-rossa dei ribelli.
Camilla sentì la voce di Leon sovrastare il brusio circostante: - Chi c’è la dietro? Chiunque voi siate venite fuori di vostra volontà o saremo costretti a utilizzare la forza! –
Non una parola da dietro lo spuntone, nemmeno un sospiro, il silenzio più totale; Leon fece un cenno a un gruppo di uomini bardati con i colori della ribellione, sguainò la spada e marciò verso la roccia. Ci volle un po’ per riuscire a tirare fuori gli stranieri, ma alla fine la forza e il numero superiori dei soldati vinsero e questi ultimo ritornarono dai loro capi con tra le braccia dei…. ragazzini……
Camilla corrugò la fronte e fissò i prigionieri con occhio indagatore: la prima era una ragazza che poteva avere si e no diciotto anni, i capelli biondi prima legati in un’impegnativa acconciatura ora erano tutti scompigliati e il vestito rosso fuoco tutto strappato, i suoi occhi brillavano come se fossero in fiamme; il secondo era un diciassettenne allampanato, magro come uno stecco e ricoperto da vestiti stracciati e stinti, troppo grandi per quel corpo sottile, gli occhi castani screziati di verde; la terza era sicuramente un’amica del ragazzo magro perché si stringeva a lui in modo morboso, lo sguardo emanava paura e il suo corpo anch’esso piuttosto esile tremava.
Il capo dei ribelli si accorse che anche quel trio strano la stava fissando e doveva già averla inquadrata; con un cenno della mano, la ragazza disse alle guardie di avvicinare i prigionieri e dopo chiese loro: - Quali sono i vostri nomi? – cercò di farlo con il tono più autoritario possibile, anche se aveva i nervi in tensione.
Per primo parlò il ragazzo: - N-noi d-due siamo Federico Pasquarelli e Nata Rico Navarro – indicò prima se stesso e poi la ragazza al suo fianco.
Poi Camilla si rivolse alla bionda, la quale le rivolse un sorriso di sfida, come a chiederle solo di provarci a farle qualche domanda. A Camilla ricordava tanto qualcuno.
- E tu invece chi saresti? – cercò di porle questa domanda nel modo più conciliante possibile, e nel caso lei si fosse rifiutata di rispondere per più volte avrebbe pagato le conseguenze, semplice.
- Credo che per prima cosa dovrei chiedervi io chi siete voi. –
- Come, chi sono io?! Non mi conosci? – era impossibile che quella ragazza non sapesse il suo nome, lei era conosciuta in tutta Atlantide per la sua lotta contro il potere, tutti l’avevano vista in qualche modo, ma perché la biondina no. Poi quella lì era strana, le aveva dato del voi, inusuale nel suo paese, ma forse negli altri posti al di là del mare…. Un’idea folle iniziò a farsi strada sempre di più nella sua mente.
- No, signorina, non so chi siete voi e di sicuro voi non conoscete me, visto che mi parlate come se io fossi una volgare plebea. –
Camilla incassò il colpo e proseguì: - Io sono Camilla Torres, capo della ribellione contro il popolo Sarchatan, il quale minaccia le nostre terre. Ora che mi sono presentata voi dovreste ricambiare il favore. – calcò bene sul voi, ma con suo stupore, la rivale non era scesa di un millimetro dal suo piedistallo.
- Uffa, ok signora Capo dei Ribelli, io sono Ludmilla Ferro, direttrice in carica delle industrie Ferro di Buenos Aires. Ora avrei un’altra domanda: dove siamo? -
Camilla sentì la folla scoppiare a ridere, ma lei non capiva cosa c’era di tanto divertente. Di nuovo le venne in mente quell’ipotesi così strana, ma non poteva essere che così.
- Aspettate, aspettate! Smettetela di ridere! – gridò, senza successo. Guardò Leon, disperata; il ragazzo sorrise e le fece segno di tapparsi le orecchie e lei ubbidì.
Un secondo dopo un fischio acuto e lamentoso sovrastò le risate e elfi, nani, uomini e tutte le altre razze presenti si piegarono in due dal dolore.
Camilla rivolse al suo secondo uno sguardo carico di riconoscenza, prima di annunciare: - Popolo di Atlantide, non ti rendi conto di chi hai davanti? Sei così cieco, così sordo da non vedere e non sentire la tua salvezza. Guardate negli occhi questi ragazzi, vedrete che due di loro hanno i Particolari! –
L’attenzione di tutti si concentrò sui tre ragazzi e, a poco a poco, tutti si resero conto di quello che avevano davanti. Iniziò il caos: gente che urlava di gioia, che cercava di andarsene ma veniva fermato chi si teneva spaventato al braccio del vicino e iniziava a singhiozzare.
La rossa sentì Leon urlare a tutti di seguirlo all’accampamento, mentre i prigionieri venivano legati e trasportati su un carro.
 
- Diego non ce la faccio più! – la bionda si lasciò cadere a terra, esasperata.
- Come non ce la fai più Vilu! Dobbiamo raggiungere un luogo abitato! – Diego si stava esasperando, già aveva sbagliato Portale, poi se ci si metteva pure Violetta potevano pure arrestarlo per omicidio.
Lui era abituato alle camminate e alle marce forzate, ma a quanto pare la sua amica no, visto che era da due giorni che si lamentava; ma lei non giocava a pallacanestro, cazzo?! Non doveva sopportare il dolore?! Poteva capire lo sbalordimento nel vedere dov’erano e la paura, ma non poteva essere così frignona.
L’unica cosa che era andata secondo i suoi piani durante quei giorni, era il fatto che lei non aveva capito che era stato lui a portarla lì, credeva soltanto che anche lui non ci capisse niente ma sapesse mantenere il sangue freddo.
Si guardò intorno: il bosco Nero li circondava nelle sue braccia oscure, ma li lasciava in pace, forse perché c’era il suo figlio prediletto; già, lui era cresciuto in quel bosco, tra le chiome verde scuro e gli animali feroci che popolavano quel luogo; era lì che aveva imparato a usare la spada combattendo contro suo padre e contro…. No, meglio non pensare a quella traditrice.
Fissò Violetta stesa a terra, i ciuffi tinti di biondo che le ricadevano sulla fronte, la divisa della squadra ormai tutta sporca di fango. Le si avvicinò e si stese anche lui, poi la abbracciò, sperando di ottenere qualcosa; la ragazza appoggiò la testa sul suo petto e ascoltò i battiti del cuore dell’amico.
Lui la stava proteggendo e lei gli stava solo facendo perdere tempo; anche Diego era nella sua stessa situazione di smarrimento, ma riusciva a restare calmo. E lei avrebbe fatto lo stesso! Si sollevò e tirò su anche il moro, poi insieme continuarono a camminare, uno affianco all’altra.
All’improvviso, nel silenzio del bosco, sentirono una voce, un pianto disperato e solitario che proveniva da uno degli alberi alla loro destra; poco dopo scoprirono che la fonte di quel pianto era una ragazza alta e magra, i capelli neri e lunghi le coprivano come una tenda la testa, mentre lei stringeva le ginocchia con le braccia e si dondolava avanti e indietro.
Alla fine si accorse di essere osservata e alzò il capo e mostrò i suoi occhi, neri ed espressivi. Diego ne fu incatenato immediatamente.
 Non sembrava che avesse paura di loro, o, almeno, che fosse sorpresa.
- Anche voi spiriti? – chiese la sconosciuta.
I due amici si guardarono con aria interrogativa, spostando lo sguardo dalla ragazza al compagno. Il primo ad avere il coraggio di rispondere fu Diego: - No, non lo siamo. Perché questa domanda? –
- Perché io lo sono. Non siamo nel mondo dei morti, negli Inferi? –
- Questi ti sembrano gli Inferi? – questa volta a parlare fu Violetta, il tono intriso di ironia.
La ragazza non rispose ma guardò la sacca appesa al collo di lei dove c’era il cambio e il pranzo che si era portata dietro il giorno prima.
- Sento odore di cibo. Ho fame, molta fame. -
- Se sei uno spirito non dovresti avere fame. –
L’altra sgranò gli occhi e assunse un’aria pensierosa, mentre apriva e chiudeva ripetutamente la bocca. Infine disse: - E allora, se non sono nel mondo degli spiriti, dove sono? –
- È quello che ci stiamo chiedendo anche noi. – rispose Violetta.
- Vilu, ha fame vuoi dargli da mangiare? – la rimproverò Diego, dandole una lieve gomitata, per poi prendere la borsa, frugarci dentro e prendere il pezzo di panino avanzato e la bottiglia d’acqua, l’ultima.
Non sapeva perché, ma quella ragazza gli spirava fiducia, e voleva accontentarla, farla felice.
Le porse il cibo e le disse: - Ascolta, questo è il cibo, ma tu ci devi raccontare la tua storia, e noi ti porteremo via di qui. – gettò un’occhiata a Violetta, che la guardava esterrefatta.
Intanto la mora lo guardava diffidente: - Cosa mi dice che posso fidarmi di voi? –
- Beh, innanzitutto abbiamo il cibo, poi.. – iniziò la bionda, ricevendosi un’altra occhiataccia da Diego e una pietra sul piede, sempre lanciata da quest’ultimo.
Il ragazzo parlò: - Tu ti puoi fidare di noi, siamo buone persone. – poi, avvicinandosi al suo orecchio, disse: - E poi, come posso anche pensare di fare del male a una ragazza così bella. –
L’altra arrossì violentemente, lo fissò, poi prese il panino e iniziò a trangugiarlo; quando finì, si pulì la bocca con la mano e iniziò a parlare: - Mi chiamo, Francesca Cauviglia. Sono nata il 24 aprile 1840 a Roma e ho diciotto anni. Mia madre è morta dandomi alla luce, mio fratello Luca è morto cercando di salvarmi e mio padre, beh, lui è finito in prigione.
Lui faceva il banchiere, ma aveva tanti nemici, uno in particolare: il barone Lorenzo Fossi. È stato lui ad accusare mio padre di furto e omicidio, facendo apparire le prove misteriosamente, di sicuro era un piano precedentemente programmato. Mio padre dovette andare in carcere, e visto che io e mio fratello, ancora tutti e due bambini, non avevamo parenti da cui andare, ci rinchiusero a nostra volta con nostro padre, a quel tempo non c’erano mezze misure. Io avevo sei anni quando successe.
Restammo in prigione per dodici anni, ma mio padre si ammalò e morì il sesto anno di prigionia, così restammo solo io e mio fratello. – si interruppe, singhiozzando, ma riprese subito dopo. – Mio fratello lottò a lungo per farci uscire, facendo appello ad amici, giustizia, insomma, di tutto. E alla fine ci riuscì: tre giorni fa uscimmo di prigione, ma il barone e le sue guardie ci raggiunsero subito dopo. Io riuscii a scappare, ma Luca non ce la fece, salvandomi la vita. Loro volevano me, non so perché ma mi desideravano e io per non farmi prendere mi sono suicidata. –
Francesca sentì le braccia del ragazzo moro avvolgerla e lei si sentì al sicuro, stranamente. Percepì il suo odore alla cannella misto a quello del muschio e del sudore e si lasciò inebriare. Non sapeva perché stava così, non lo capiva, ma appoggiò comunque la testa sulla spalla del ragazzo e iniziò a piangere.
Sentì la voce dell’altra ragazza che diceva: - Quindi tu sei del 1858. Quasi duecento anni in più di noi! –
- Perché voi da che anno provenite, scusa. -
- Dal 2014, cara mia. –
L’italiana si irrigidì e fissò il ragazzo che la stava abbracciando. – Come del 2014? Il mondo doveva finire almeno cento anni fa. –
- No, il mondo dovrebbe finire tra miliardi di anni, Francesca. -
- Non importa, tanto adesso non siamo nel nostro mondo. Io mi sono presentata, ora tocca a voi. –
Fu la ragazza bionda a parlare: - Noi siamo Violetta e Diego, veniamo da Buenos Aires e… - non fece in tempo a finire la frase che si sentì il suono di un corno.
- Lo avete sentito? – chiese Violetta. – Vuol dire che c’è qualcuno! – detto questo iniziò a correre all’impazzata verso il luogo da cui proveniva il rumore.
Diego iniziò a rincorrerla, seguito a ruota da Francesca. Il primo aveva riconosciuto il suono del corno e gridava a Violetta di non avvicinarsi, ma era troppo tardi, la ragazza era entrata nell’accampamento e Francesca, che l’aveva superato, pure, attirando l’attenzione dei presenti.
Diego corse e senza pensare entrò nell’accampamento; fu allora che la vide: i capelli rossi che le ricadevano sulle spalle, l’aria autoritaria. Vide che anche lei lo stava fissando e che l’aveva riconosciuto.
Infatti, poco dopo, urlò, indicandolo: - Prendetelo! – guardie giallo- rosse si avventarono su di lui, eseguendo gli ordini.
Quello che successe dopo fu stranissimo: Violetta e Francesca, vedendolo in pericolo, si gettarono verso di lui a braccia aperte, come a proteggerlo, poi, il caos; acqua e vento si unirono, scatenando una tempesta fortissima. Diego si voltò verso le due ragazze e vide che i loro corpi risplendevano di luce. Subito dopo, la tempesta cessò e tutti restarono a fissare il miracolo appena accaduto.
 
Angolo dell’autrice: Salve a tutti! Come va? Ok, come sempre pubblico i capitoli ogni millennio, ma tra scuola, sport e catechismo per la cresima è difficile trovare il tempo.
Comunque, in questo capitolo succedono molte cose importanti che poi avranno delle conseguenze; ormai avrete capito chi sono i leggendari quattro salvatori, ma ci voleva poco a capirlo; tra Diego e Francesca c’è già sintonia al primo sguardo, e ci credo!
Ma cosa c’è tra Camilla e Diego, cosa nascondono? Vi lascio con questo interrogativo e vi saluto, al prossimo capitolo e al prossimo millennio! Questo capitolo è più corto ma credo vada bene così. Ditemi cosa ne pensate, accetto anche critiche e consigli
Un bacione da Chicca2501
 
   
 
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