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Autore: BlueButterfly93    16/11/2014    3 recensioni
(REVISIONE STORIA COMPLETATA)
MIKI: ragazza che, come il passato le ha insegnato, indossa ogni giorno la maschera della perfezione; minigonna e tacchi a spillo. È irraggiungibile, contro gli uomini e l'amore. Pensa di non essere in grado di provare sentimenti, perché infondo non sa neanche cosa siano. Ma sarà il trasferimento in un altro Stato a mettere tutta la sua vita in discussione. Già da quando salirà sull'aereo per Parigi, l'incontro con il ragazzo dai capelli rossi le stravolgerà l'esistenza e non le farà più dormire sogni tranquilli.
CASTIEL: ragazzo apatico, arrogante, sfacciato, menefreghista ma infondo solamente deluso e ferito da un'infanzia trascorsa in solitudine, e da una storia che ha segnato profondamente gli anni della sua adolescenza. Sarà l'incontro con la ragazza dai capelli ramati a far sorgere in lui il dubbio di possedere ancora un cuore capace di battere per qualcuno, e non solo..
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Lo scontro di due mondi apparentemente opposti, ma in fondo incredibilmente simili. Le facce di una medaglia, l'odio e l'amore, che sotto sotto finiranno per completarsi a vicenda.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ubriaca d'amore, ti odio!'
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Capitolo 14

Da vicino fa più male








CASTIEL

La canzone che piaceva a lei terminò e con quella anche il mio coraggio andò in frantumi. Al quarto squillo -in un gesto automatico- il mio pollice premette contro il tasto rosso chiudendo così la chiamata. Non riuscii a parlare. Appena la sua voce risuonò all'interno del microfono di quell'apparecchio tecnologico non ebbi il coraggio di aprire bocca. Non avrei saputo come iniziare un discorso con lei dopo anni. Non potevo dirle: "Ehi ciao, passa da casa mia; scopiamo, parliamo..." No, con lei non funzionava in quel modo. 

Dopo quella chiamata il cuore batté forte, le mani tremarono; era il suo effetto. Quell'effetto che mai nessun'altra era riuscita a provocare in me. Gli anni passavano ma le cose non cambiavano, avevo dimostrato di essere ancora quel fottuto poppante di due anni prima. Avevo fatto di tutto per nasconderlo, di tutto per dimenticarla, eppure eccola lì con i suoi occhi di ghiaccio, ancora presente nel mio cuore. Non ero riuscito a guarire da lei. Con tutta la forza posseduta in corpo lanciai il cellulare contro il letto, non si ruppe. Com'era possibile? Com'era possibile che desideravo Debrah come il primo giorno? Com'era possibile dopo tutto il male che a causa sua avevo dovuto subire? 

Non avrei dovuto contattarla, lei avrebbe dovuto fare il primo passo. Due anni prima era stata lei ad annientarmi ed era suo compito ricompormi. Poi venni a contatto con la realtà. Non avrebbe mai capito che fossi stato io a chiamarla poco prima, a differenza mia lei non aveva mai imparato il mio numero telefonico a memoria. Non era neanche mai riuscita ad imparare la taglia dei miei vestiti, o dei miei boxer. Lei di me aveva solo imparato quanto scopassi bene. Non provava nient'altro, me l'aveva dimostrato parecchie volte. Ma tante volte io ero stato cieco e me ne resi conto solamente quando fu troppo tardi. 

Sconfitto nella battaglia contro me stesso scossi la testa per cercare di eliminare quei pensieri, spensi la radio e tornai a sdraiarmi sul parquet affianco a Demon. Lui era il mio compagno di avventure, colui che conosceva ogni mio lato, ogni mio segreto, colui che non mi avrebbe mai giudicato. Cominciai ad accarezzarlo, quel gesto rilassava sia me che lui. 

Stavo quasi per addormentarmi quando sentii una voce familiare provenire dal giardino di casa. Per un attimo pensai fosse frutto della mia immaginazione, dopotutto leggermente pazzo lo ero.

Lei era lì. Mia mamma era sotto casa e non era sola. Il pranzo patetico doveva esser finito. Ero ancora leggermente infastidito nei suoi confronti, sebbene le uniche persone realmente colpevoli per tutta quella storia insulsa erano Kate ed Isaac. Mi faceva schifo, al momento, chiamarlo "papà". Non meritava quell'appellativo perché in realtà non mi aveva mai voluto, aveva allontanato mia madre da me per i suoi scopi egoistici e per di più non l'aveva resa felice, l'aveva abbandonata e fatta soffrire. E per finire non aveva avuto neanche il coraggio di comunicarmi del loro divorzio. A tempo debito, quando mi sarei tranquillizzato, avrei voluto un incontro a quattr'occhi con lui, da uomo a uomo; anche se lui di uomo aveva ben poco. 

Nuovamente nervoso mi alzai di scatto dal pavimento e, con me, si mise sull'attenti anche Demon. Sembrava quasi potesse sentire le mie stesse emozioni, con lui non mi sentivo mai solo. Lui mi aveva accompagnato in ogni momento buio della mia infanzia e adolescenza. Aveva i miei stessi anni, lo consideravo un fratello. Poteva apparire stupido ma nutrivo un affetto immenso per quel cane. 

Spostai lo sguardo da Demon e mi avvicinai alla finestra per sbirciare. Quando vidi l'altra persona insieme a mia madre restai sorpreso e sgranai gli occhi. Miki. Era con lei che mia madre stava parlando. Si conoscevano da solamente un giorno e già avevano legato così tanto. Mia madre aveva delle doti innate di socializzazione, se poi qualcuno le stava simpatico era la fine. E Miki doveva starle tremendamente simpatica per arrivare ad organizzare persino dei piani diabolici con lei. Sapevo fossero giunte fin qui per interrompere la mia ipotetica fuga romantica con Debrah, non ero stupido.

 La ragazza bellissima dai capelli ramati era in pigiama, come mai l'avevo vista, ed indossava dei tacchi. Sorrisi davanti a quella visione buffa e, non seppi spiegare il motivo, ma il cuore aumentò leggermente i suoi battiti nel saperla lì, nel mio territorio. Mi concentrai su Miki e, sebbene fosse quasi buio ormai, riuscii a notare la sua espressione sconvolta in viso, sembrava esageratamente triste. Per un attimo pensai egoisticamente che stesse male a causa mia, ma poi ripensai al messaggio che mi aveva mandato qualche ora prima e scacciai quei pensieri dalla testa. Doveva esser accaduto altro. Io non ero così importante per lei. Dopo essermi concentrato sul suo viso, guardai il suo corpo, era in un pigiama davvero troppo infantile per una come lei. Al contrario di come avevo sempre immaginato, non usava pigiama sexy di pizzo o di seta. Anzi aveva addirittura un pigiama largo che nascondeva le sue forme. Quella ragazza era davvero strana; ma quel giorno suscitò ancora più curiosità in me. Quando nessuno poteva vederla si copriva, indossava abiti comodi, mentre quando tutto il mondo poteva ammirarla si scopriva. Era un'assurda abitudine la sua. Ma nonostante ciò sorrisi. Quella ragazza portava sempre un'aura di tranquillità con sé. Mi bastava vederla per sorridere di nuovo. Anche in un giorno di tempesta la sua presenza era capace di portare il sole.

Mentre Debrah provocava ansia ed inquietudine, Miki la placava. Forse erano sensazioni normali da provare. Debrah era l'unica donna che avrei sempre amato mentre Miki era una specie di amica e a tratti anche una vendetta, giusto? E allora perché continuavo a paragonarle da quando Debrah era riapparsa? Era una giornata intera ormai, che non appena pensavo Debrah contemporaneamente mi sentivo in colpa nei confronti di Miki. Non aveva senso. 

Per fortuna l'abbaio di Demon mi richiamò alla realtà. Dovevo sbrigarmi. Miki entrò in casa mentre mia madre restò fuori nascondendosi dietro un cespuglio. Alzai gli occhi al cielo e mi sbattei una mano sulla fronte per la scena ridicola a cui dovetti assistere. Stetti al loro gioco e per qualche motivo estraneo alla mia mente non volevo far scoprire a loro di essere solo. 

Aprii il computer. Iniziai a sentirmi un bugiardo professionista. Quando lo schermo fu aperto cercai la cartella nascosta con tutti i video di Debrah, e ne aprii uno. Erano parecchi mesi che non l'aprivo. Nonostante fosse trascorso del tempo di lei non avevo cancellato nulla. Non era per pigrizia, era per tenerla con me in qualche modo. Lei era rimasta nel mio cuore, nella mia anima, nei miei vestiti e persino nel mio computer. 

Premetti il tasto PLAY, alzai il volume ed il video partì. Quei suoni erano talmente reali che per un momento credetti davvero di avere Debrah vicina. Ringraziai mentalmente le casse professionali acquistate un anno prima grazie ai risparmi uniti con quel lavoro. 

Mi sedetti davanti al computer e la guardai immobile. Quel video risaliva a due anni e mezzo prima, a quando stavamo insieme da circa sei mesi. Eravamo proprio qui, nella mia stanza. Lei molto spinta parlava sul fare l'amore e su cosa voleva che le facessi. Mi piaceva da impazzire quando era così tanto maliziosa. Da ingenuo qual ero pensavo lo facesse solo con me, pensavo fosse in confidenza solamente con me, pensavo mi amasse. In realtà, sei mesi dopo la data di quel video avevo scoperto di quanto mi ero sbagliato. Lei era in confidenza con tutto il sesso maschile, non solo con me. Io non ero stato la sua eccezione, mentre lei era la mia

Un senso di angoscia, nostalgia e nervosismo s'impossessò del mio stomaco mentre continuavo a guardare le immagini che scorrevano su quello schermo. Ma poi, per fortuna, fui distratto da dei passi. Miki stava sicuramente salendo le scale. Così quasi a metà video misi in scena la seconda parte del piano. 

Per farle credere di esser impegnato in un rapporto reale con Debrah, andai verso il letto e, una volta esserci salito con i piedi su, cominciai a saltare come un imbecille per provocare quel cigolio tipico durante un rapporto abbastanza infuocato. In quel momento più rumore riuscivo a fare meglio era. Demon davanti a quei miei gesti strani restò immobile, non mi seguì come avrebbe fatto in altre occasioni. Forse persino lui provava vergogna per me. Eppure io stavo cercando di fare rumori azzardati ed in modo accentuato solamente perché avrei voluto che Miki, vergognandosi, abbandonasse quella casa nel minor tempo possibile. Non avevo voglia di dare spiegazioni sul perché non avessi chiamato realmente Debrah, volevo solamente restare in solitudine continuando a guardare i nostri video senza essere disturbato. 

Miki però non seguì i miei piani. Lei era diversa da tutte le altre, dovevo immaginarlo. Si fermò proprio davanti alla porta della mia camera chiusa a chiave. Non udii alcun rumore di passi affrettati che scendevano le scale per la vergogna di ciò che le sue orecchie avevano dovuto sentire. Non udii alcuna risata provenire dalla sua bocca piena per avermi scoperto a scopare. Niente di tutto ciò che avevo immaginato accadesse, dopo aver inscenato il mio piano, accadde. Fu solo allora che capii quanto stavo risultando idiota. Infondo Miki era stata sempre sincera con me. Se gli avessi detto la verità mi avrebbe compreso. Non mi avrebbe mai classificato come un codardo, non avrebbe mai pensato altre cattiverie su di me. Con lei potevo parlare, con lei potevo rompere la mia solitudine. E allora perché avevo creato tutta quella messa in scena? A quale scopo? Il video finì e nella camera si udì solo il sottoscritto inscenare il finto rapporto sessuale. Non aveva senso farlo. Fermai di colpo ogni mio tipo di movimento sotto lo sguardo inebetito di Demon e, proprio dopo esser sceso dal letto, mi accorsi di alcuni lamenti provenire dalla porta dietro la quale doveva esserci Miki. 

Mi avvicinai alla porta per capire meglio. Solo allora compresi cosa stava accadendo. Miki stava piangendo. Senza capirne il motivo mi venne spontaneo poggiare la mano sul masso di legno, come se lei dall'altra parte potesse vedermi e potesse sentire la mia vicinanza. Volevo darle conforto in qualche modo, anche senza conoscere la causa del suo malessere. 

Uno strano senso di rimorso per un attimo, mi fece pensare che il motivo del suo pianto potessi essere io visto e considerato che si trovava proprio in casa mia, davanti la mia stanza

Uno strano senso di rimorso per un attimo, mi fece pensare che il motivo del suo pianto potessi essere io visto e considerato che si trovava proprio in casa mia, davanti la mia stanza. E se lei provasse realmente un qualche genere d'interesse aldilà dell'amicizia, nei miei confronti? E se fosse andata proprio come sosteneva Lysandre? No, impossibile. Non poteva essere. Scacciai in un baleno quei pensieri insulsi dalla mente e mi concentrai nuovamente sulla realtà. 

Volevo capire cosa le stava accadendo, senza pensare a Debrah, senza riflettere su cosa Miki avesse potuto pensare di me dopo aver scoperto della commedia inscenata. Per una volta volevo essere io ad aiutare quella ragazza. Se lo meritava. Lei c'era stata per me in ogni occasione, sin da quando mi aveva conosciuto. Senza pensare alle conseguenze, ai "se" e ai "ma", feci scivolare la mano sulla maniglia ed aprii la porta.

Lei era poggiata al masso di legno, ma io non potevo saperlo. Non riuscì a reggersi da alcuno oggetto e, senza volerlo, cadde su di me. Colto dalla sorpresa non feci in tempo ad aggrapparmi a qualcosa per reggerla e finimmo entrambi per cadere sul parquet. Mi ritrovai schiacciato contro il pavimento con il suo corpo sopra al mio. Non mi dispiacque affatto quel piccolo incidente. 

A causa dell'impatto la sua testa finì sul mio petto mentre la mia contro il parquet, se la pavimentazione fosse stata di mattonelle mi sarei spaccato il cranio, come minimo. Per fortuna non accadde; non mi sarei voluto perdere per nulla al mondo quella scena. 

Bofonchiando parole incomprensibili e senza incontrare mai il mio sguardo, alzò leggermente la testa senza muovere il resto del corpo e scrutò la stanza con gli occhi in ogni angolo. Voleva controllare dove fosse Debrah. Quando trovò solamente Demon il suo viso cambiò espressione, sembrava quasi felice e nello stesso tempo sorpresa di quella scoperta. Poggiai i gomiti sul pavimento e sollevai leggermente il busto per guardarla meglio. Nonostante il trucco sbavato e sparso per tutto il volto, era così bella.. E noi eravamo così vicini..

«Ma tu... Lei non-» la zittii posando l'indice sulla sua bocca invitante e le guardai le labbra. L'istinto mi suggeriva di baciarla, ma non potevo, non dovevo complicare ancor di più le cose. 

I suoi occhi erano arrossati a causa del pianto ma in quel momento intravidi in loro una strana luce. Mi parve di leggervi dentro un briciolo di felicità, ma non ne fui sicuro. Ciò che mi aveva dal primo momento impressionato di quella ragazza erano i suoi occhi. Erano scuri, due pozzi bui, eppure riuscivano a trasmettere e ad emozionare ancor di più rispetto a due occhi chiari. Lei m'ipnotizzava.  

 Poi spostò lo sguardo su di noi, sui nostri corpi, parve che si rese conto solo in quel momento della posizione compromettente in cui eravamo. Alzò le sopracciglia per la sorpresa, si morse il labbro e poi tentò di sollevarsi per allontanarsi da me, ma non glielo permisi. Le bloccai le braccia senza proferire parola e lei fermò ogni suo movimento, dopotutto non voleva realmente andare via da me. 

Restammo in silenzio, l'una sopra l'altro, guardandoci negli occhi come se fossimo ipnotizzati. Lei non mi chiese il motivo per il quale Debrah non era presente in quella stanza, del perché avessi inscenato un finto rapporto sessuale. Ed io non le chiesi il motivo del suo pianto. Forse non volevo saperlo realmente, perché avrebbe potuto cambiare molte cose ed io non volevo per il momento venire a conoscenza di verità sui suoi sentimenti nei miei confronti. In quell'istante eravamo felici così. Senza domande, senza risposte, senza dubbi, esistevamo solo io, lei e la nostra attrazione. Non poteva essere negata, quella c'era sempre stata sebbene fossimo amici o qualcosa del genere. 

Ad un certo punto, senza capirne il motivo le accarezzai il volto. Uno strano senso di agitazione mi risalì dallo stomaco nel compiere quel gesto. Ma non doveva esserci, doveva esserci pura e semplice attrazione tra noi, ed una specie di amicizia. Nient'altro. Miki davanti a quel gesto arrossì, non lo faceva mai, solo in mia presenza capitava. D'altronde quel gesto da parte mia era inaspettato, non ero solito dimostrare affetto. Mi sollevai mettendomi seduto con lei di sopra e con entrambi i pollici cercai di pulirle il viso dal residuo di trucco. Con quel gesto volevo eliminare anche il dolore dalla sua anima, sperai di riuscirci, mi sentivo incredibilmente in colpa senza capirne il motivo. 

Ma il contatto con la sua pelle morbida e delicata durò per poco, non riuscii a levarle via tutto il dolore, quasi mi dispiacque.

 



ADELAIDE

Erano passati trenta minuti circa, da quando Miki era entrata dentro casa e la mia ansia cresceva ogni secondo sempre di più. Avevo omesso un grande particolare nell'architettare il piano che avrebbe sabotato la fuga romantica di mio figlio e quell'arpia. Miki non provava un semplice affetto amichevole nei confronti di Castiel, tutti se n'erano accorti tranne il diretto interessato, sarebbe rimasta ferita nel vedere mio figlio con la sua ex. Avrei dovuto riflettere meglio sul piano da seguire e soprattutto non avrei dovuto far entrare dentro casa Miki da sola, maledizione!

Miki era una ragazza fragile, Kate mi aveva confidato qualcosa sul suo passato, perlopiù quel giorno era già stata smossa abbastanza da molti accadimenti, non avrebbe dovuto vedere Castiel e Debrah insieme. Già solo il nome di quell'arpia mi provocava un'orticaria nervosa. Mio figlio come aveva potuto farsi abbindolare di nuovo da lei? Aveva subito già troppo a causa sua e fui sicura che lei stesse architettando un altro piano dei suoi, perché altrimenti non sarebbe ritornata a Parigi. Era una ragazza cattiva e diabolica sebbene avesse solamente diciassette anni. Era tornata nelle braccia di Castiel solo per avere qualcosa in cambio, non poteva essere altrimenti. Ormai la conoscevo bene. 

Mentre incredula ripensavo alla superficialità di mio figlio, guardai nuovamente l'orologio e continuai a non capire per quale motivo Miki ci stesse mettendo così tanto tempo. Avrei dovuto percepire un minimo urlo, delle voci, e invece non si percepì niente all'esterno. C'era troppa quiete. Debrah avrebbe urlato non appena Miki li avesse disturbati. E invece niente di tutto ciò era accaduto. Uscii dal cespuglio dove mi ero nascosta mezz'ora prima e mi avviai verso il portone d'entrata preoccupata per Miki. Ero intenzionata ad entrare anch'io dentro casa.

«Oh carissima suocera, da quanto tempo... Salve!» una voce, la sua voce stridula alle spalle, mi fece sussultare.

Non mi voltai per capire se fosse o meno realmente lei, non ce n'era bisogno. Conoscevo la sua voce fastidiosa alla perfezione, ormai. La rovina di mio figlio. Quindi Castiel non l'aveva chiamata realmente, non subito perlomeno. In quel momento Castiel e Miki erano in casa, da soli. Sorrisi furbamente meditando su un nuovo piano che avrebbe fatto infuriare decisamente Debrah. Aveva avuto il coraggio di definirmi sua suocera, di scherzare, di rivolgermi la parola, di presentarsi davanti ai miei occhi dopo tutti i danni che aveva provocato. 

Non risposi a quella sua provocazione, ero superiore ad un essere del genere. Ma quando si avvicinò un centimetro di troppo sfiorandomi le spalle con le sue luride mani, saltai dal nervosismo e mi allontanai dalla sua figura, quasi come se avesse la peste. Mi voltai di colpo e divenni cattiva come dovevo già esserlo da tempo con lei. 

«Non permetterti mai più a toccarmi con le tue mani zozze. Schifosa puttana!» gesticolai ed emisi una smorfia con la bocca.

Ero stata talmente dura con le parole che persino io stessa, alla loro pronuncia, rabbrividii. Non dovevo abbassarmi ai suoi livelli, lo sapevo bene, ma l'avere davanti agli occhi quel volto fresco e cattivo mi fece perdere ogni lume della ragione. Stavo rivivendo tutto il male che lei aveva provocato. E, d'altronde, le mie parole non erano state nient'altro che polvere se paragonate al dolore di una mamma che stava per perdere suo figlio. 

«Cosa ha detto? Ripeta, prego!» rispose con fare infastidito e superiore poggiando le mani sui suoi fianchi.

Persino la sua voce mi stava antipatica. Era alta, squillante e acuta talmente tanto da poter fare diventare sordi. La sua era la tipica voce da oca, non riuscivo neanche a capacitarmi del fatto che fosse diventata realmente una cantante professionista.

«Sai cara?! Non è bene essere sordi già alla tua età. Conosco i migliori otorini di Parigi, posso consigliartene uno?» ghignai. 

Sdrammatizzai quasi scherzando. La conoscevo bene, sarebbe stata capace di mettermi persino contro mio figlio. Era una manipolatrice professionista. 

«Le parole che mi ha detto non mi toccano, io sono una persona pulita e leale. Non m'importa che le sto antipatica. Mi riprenderò Castiel ugualmente, che le piaccia o no. Lei non è nessuno per giudicare» mi rispose passando in modalità vittima piangendosi addosso.

Era falsa. Persino Isaac era più leale o pulito di lei. Per quella ragazza non avevo altro che aggettivi negativi da affibbiarle. 

«E poi... anche se lei è sua mamma, non ha importanza. Non è stata capace di crescerlo, di stargli accanto, figuriamoci se sarebbe capace ad individuare chi è la ragazza giusta per lui. Lei non lo conosce, Adelaide» mi guardò con un'aria di superiorità e vittoria finendo con il fare un sorriso diabolico. 

Aveva colpito e affondato. Debrah era anche questa. Individuava i punti deboli dell'avversario e poi ficcava il colpo in profondità, uccidendo. 

Ma lei non mi avrebbe battuta, non mi sarei fatta sconfiggere, non quella volta. Ero più grande e più matura di lei; l'avrei ripagata con la stessa moneta.

«Eppure sai?! Devo contraddirti per questa volta; sono riuscita a fare qualcosa di buono per mio figlio. L'ho consigliato bene. Entra tu stessa e guarda con i tuoi occhi quanto Castiel è felice con la sua nuova ragazza» le mostrai la casa per incitarla ad entrare. «Lui non ti pensa più, Miki ha guarito ciò che tu hai distrutto. E' troppo tardi, Debrah!» continuai con tono di voce serio. 

Da lì a pochi minuti avrebbe scoperto la verità, lo sapevo, ma farle pensare totalmente il contrario anche solo per brevi istanti era stata una soddisfazione enorme per me. Castiel probabilmente avrebbe dato di matto non appena avesse scoperto le parole riferite a Debrah, ma non m'importo in quel momento. 

La ragazza dagli occhi di ghiaccio davanti le mie parole cambiò espressione; strinse i denti, le mani in due pugni e il suo voltò si arrossì a causa della rabbia. Stava lentamente avendo la consapevolezza di aver perso, che goduria! 

Senza far trasparire alcuna emozione presi le chiavi dalla tasca e aprii la porta facendole segno di entrare insieme a me. Lei fece come le comandai ed io la seguii. Sbirciai ogni angolo della casa senza muovermi, Castiel e Miki non erano al piano di sotto. Sorrisi furbamente.

«Oh non c'è bisogno che perdi tempo a cercarli in ogni stanza» la bloccai mentre da scostumata qual era aveva iniziato a girovagare per tutte le stanze, aprendo ogni porta presente in quella casa alla ricerca del suo oggetto del desiderio. «Loro sono proprio nella camera di Castiel, lì dove passavate la maggior parte del tempo anche voi due. Te l'ho detto, non esisti più per mio figlio» incrociai le braccia e le sorrisi fintamente dispiaciuta. 

«Lui non mi avrebbe chiamata se n-» la bloccai prima che potesse finire la frase.

«Avrà sbagliato numero. Ah un ultimo consiglio: se dovessi trovare la porta chiusa, non disturbare. E' Natale, di sicuro staranno festeggiando!» conclusi facendole l'occhiolino, e voltandomi per dirigermi con nonchalance verso il divano del salotto senza darle ulteriore importanza. 

Anche se per dei momenti brevi, le stavo restituendo un po' del male che lei ci aveva provocato.

Mi sedetti sulla poltrona in salotto, accanto al camino acceso. Da quella posizione riuscivo ad intravedere le scale ed anche Debrah che si trovava dinanzi a quelle con un'espressione abbastanza provata. Per la prima volta nella sua vita forse si stava sentendo umiliata, scartata. Continuava a guardarsi intorno come per voler cercare un'ulteriore spiegazione. Non voleva credere al fatto che il suo giocattolo personale stesse realmente con un'altra ragazza, che l'avesse sostituita. Andava avanti e indietro, dalle scale alla porta di casa, indecisa sul da farsi. Era totalmente spiazzata. Dopo qualche minuto finalmente gettò qualche sospiro e si decise a salire le scale, anche se lo fece lentamente. Non mi era mai capitato di vederla in quel modo. Solitamente era lei ad uscire vincitrice dagli scontri verbali, da ogni situazione, ma quella volta stava subendo, era la sconfitta. 

Non sapevo se i suoi sentimenti nei confronti di mio figlio fossero realmente cambiati, se si fosse pentita del male che gli aveva provocato, ne dubitavo ma avrei giudicato solo dopo averla studiata per più tempo.

 



MIKI

Mi ero sentita umiliata, usata, stupida, un'illusa quando pensavo che Castiel e Debrah fossero insieme. Non era accaduto come quando avevo scoperto fosse chiuso nel bagno sotto la tour Eiffel con Ambra, quel pomeriggio provai altre emozioni. Perché infondo presagivo che un rapporto con Debrah sarebbe stato diverso; lei era l'unica per lui e qualora fossero stati insieme sarebbe stata la fine per ogni cosa presente tra noi. Non sapevo definire bene quel sentimento, non volevo neanche farlo, ero forse troppo gelosa di lui per provare una semplice attrazione fisica, ma non potevo ammetterlo. 

In quel momento ero sopra il suo corpo tonico, lì dove ero caduta qualche minuto prima dopo che spalancò la porta sulla quale ero poggiata, avevo provato ad alzarmi dai suoi muscoli ma lui non me l'aveva permesso. Voleva sentire la mia vicinanza ed io gliel'avevo concessa. Il suo volto si era finalmente rasserenato rispetto a quando l'avevo osservato poche ore prima a casa mia, bastava quello per tranquillizzare anche me. Accarezzava il mio volto e cercava di eliminare i residui di trucco con entrambe le mani, sembrava essere a suo agio ma nello stesso tempo anche leggermente in imbarazzo; non ci eravamo mai trovati in quella situazione così intima. Le sue carezze erano addirittura quasi dolci, in netta contrapposizione alla personalità ed ai suoi soliti modi bruschi. Quello era un altro suo lato mai visto prima, mi ritenni fortunata a ricevere le sue attenzioni. 

«Porti sempre un'aura di serenità assurda dietro di te e riesci anche a trasmetterla agli altri. Infatti mi basta vederti per tranquillizzarmi. E' bella questa sensazione» accennò un sorriso e finalmente si scomodò a parlare guardandomi negli occhi. Nel suo sguardo lessi sincerità. Si era tranquillizzato e l'aveva fatto con me. 

Percepii il mio volto andare in fiamme, ma sorrisi ugualmente per poi abbassare lo sguardo. 

Per la prima volta, quel pomeriggio, mi sentii importante per lui. Non era tipo da confidare ogni giorno quel genere di cose. Non aveva utilizzato parole o termini eclatanti, ma per me lo furono. Era raro o addirittura impossibile intravedere quel Castiel, fu la prima volta che accadde. 

Avrei tanto voluto fargli alcune domande sulla risposta breve al mio messaggio di qualche ora prima, volevo capire cosa intendesse, volevo anche capire il motivo per il quale aveva voluto farmi credere di essere con la sua ex ragazza, ma evitai. Quell'istante era perfetto così com'era. Niente e nessuno avrebbe potuto distrarci. Tornai a guardarlo negli occhi e notai fossero più chiari del solito grazie alla sua evidente tranquillità interiore. Non aveva provato neanche a baciarmi eppure avrebbe potuto, eravamo così vicini...

«Se le cose stanno così, allora perché mi hai chiamata?» la voce stridula che avevo imparato a conoscere quel giorno riecheggiò per tutta la stanza. 

Non mi voltai nella sua direzione, preferii guardare la reazione di Castiel e fu proprio quella a darmi la coltellata finale. Se fino a pochi secondi prima ero riuscita a volare grazie a quello sguardo, quegli stessi occhi negli attimi successivi mi spezzarono le ali. Stavo per precipitare negli abissi più profondi, ma quella volta al mio fianco non ci sarebbe stato nessuno pronto a sorreggermi. Sarei rimasta sola. Non sarei caduta su Castiel, no, lui non mi avrebbe più salvata, protetta, ricomposta. Quella volta lui avrebbe salvato solo lei... il suo vero ed unico amore.

Appena la vide gli s'illuminarono gli occhi e con un sorriso a trentadue denti sollevò la testa per guardarla. Era come ammaliato, un po' come Ulisse con Nausicaa. Da quando lei si fermò sulla soglia della porta per lui non esisté nessun'altra, io diventai trasparente e le parole, la dolcezza di pochi istanti prima diventarono solo un lontano ricordo. E, come se non bastasse quell'umiliazione, ecco arrivare da parte sua il colpo di grazia. Le stesse mani che poco prima stavano accarezzando il mio volto, mi spinsero via e lontano da quel corpo di cui ero attratta da ormai tanti mesi. Mi spinse con forza, senza curarsi di quanto avrebbe potuto farmi male, ed io caddi col sedere sul parquet. Aveva fretta di raggiungerla. 

«Lei è soltanto un'amica...» disse alzandosi e posizionandosi di fronte a lei.

D'altronde gli aveva riferito la verità, ma allora perché il cuore faceva così male? 

Debrah mi guardò di sbieco emettendo un sorriso di vittoria, poi tornò a guardare Castiel e gli raccontò -senza perdere tempo- di un litigio avvenuto con Adelaide pochi minuti prima. Non si vedevano da anni e lei pensava solo a fare la vittima, possibile che Castiel non riusciva a rendersene conto? Mi accigliai davanti a quella scena patetica. Erano a pochi centimetri di distanza, l'una di fronte all'altro; lui voleva baciarla, lo desiderava con tutto se stesso mentre io restai sul parquet, proprio lì dove ero caduta dopo aver volato. Mi allontanai da loro, mi facevano ribrezzo; strisciai fino ai piedi del letto di Castiel dove mi ci poggiai di spalle. Potevo considerarmi una spettatrice a tutti gli effetti, non interferii nei loro discorsi né tantomeno loro calcolarono me. Ero diventata trasparente per il rosso, lui ormai pendeva solo dalle labbra della sua ex. L'aveva perdonata in una velocità assurda, non me lo sarei mai aspettato da un tipo come Castiel. 

Totalmente persa tra i miei pensieri, non mi accorsi neanche di star accarezzando Demon. Era stato un gesto automatico, quasi un anti-stress. Avevo il timore dei cani come lui, eppure in quel momento non riuscivo a sentire alcuna paura. Cercai ugualmente e d'istinto di spostarmi, ma lui mi seguì poggiando la testa addirittura sulle mie gambe. Aveva bisogno di coccole ed io feci un'eccezione concedendogliele. Dopotutto non mi aveva ancora abbaiato contro, quel giorno. 

Dopo essermi distratta portai nuovamente lo sguardo su Castiel. Non appena la strega finì il suo monologo, lui prese le sue mani, le sollevò insieme alle sue e le portò sul cuore. 

«Mi dispiace per tutto, ma ciò che hai visto o sentito non è nient'altro che un equivoco. Ciò che ti ha detto mia madre è un equivoco. Io non potrei mai amare Miki, né nessun'altra ragazza che non sia tu. E' vero, mi hai ferito come mai nessuno avrebbe potuto fare, hai sbagliato in parecchie cose durante il nostro rapporto, ma di questo parleremo e chiariremo in un altro momento. Ora mi basterebbe che tu mi dicessi di volerci riprovare, ed insieme cercheremo di superare ogni cosa. Io ti amo ancora Debrah e l'ho capito oggi, dopo averti rivista. Non posso continuare a mentire a me stesso!»

L'aveva perdonata ancor prima di farla parlare. 

«Tesoro mio, te lo prometto. Non ti farò mai più del male. Tutto ciò che voglio è riuscire a farmi perdonare da te» 

Patetico! Tutto ciò a cui fui costretta ad assistere era patetico ai miei occhi ed alle mie orecchie. Il tono di voce di Debrah risultò talmente falso da scaturirmi un conato di vomito, mentre Castiel sembrò persino essere contento delle parole uscite dalla bocca di quell'oca. Ero incredula, come poteva farsi abbindolare così facilmente? Era forse quello l'effetto dell'amore? L'amore accecava, intontiva, faceva vivere in un mondo parallelo o era semplicemente lui a non voler entrare in contatto con la realtà perché troppo cruda e dolorosa? Non conoscevo gli effetti dell'amore, io non avevo mai provato quel sentimento così forte e se le cose stavano come con Debrah e Castiel, allora non avrei mai voluto provarlo. I miei principi ferrei che avevo prima di atterrare a Parigi non era poi così tanto sbagliati.

I due continuarono a parlare e a scambiarsi effusioni, ma io mi estraniai volutamente senza più ascoltare; avevo sentito già abbastanza.

Avevo sempre immaginato che anche il rosso avesse un cuore. Lo stava mostrando e donando proprio in quel momento. Peccato però che la diretta interessata non fossi io. Debrah doveva ritenersi fortunata, eppure lei non sembrava neanche accorgersi del tesoro posseduto. Castiel poteva essere il ragazzo più testardo, arrogante, presuntuoso ed imbecille al mondo, ma quando donava il proprio cuore donava se stesso. Persino io mi ritenni fortunata ad assistere alla versione di un lui innamorato, anche se per me non avrebbe mai potuto provare sentimenti simili; l'aveva persino detto esplicitamente nel suo discorso... "Io non potrei mai amare Miki", aveva detto. Dovevo solo rassegnarmi. Forse era meglio così, lui mi avrebbe portato solo problemi, mi avrebbe ferita proprio come già stava facendo. La corda non poteva essere tirata più di così. Sperai per lui che Debrah non lo tradisse nuovamente, che non gli facesse del male, ma dentro il mio cuore già sapevo come sarebbe andata a finire. Ed io a quel punto avrei solo potuto aiutarlo a sanare le ferite, se ne fossi stata capace, se ne avessi avuto le forze. Quel giorno mi sentivo senza quindi evitai. 

«Miki scendi di sotto con noi. Dobbiamo parlare!» finalmente Castiel si accorse della mia presenza in quella stanza. Mi parlò con tono arrogante quasi come se gli avessi fatto un torto. 

Sconfitta ancor prima di conoscere il risultato, mi alzai di malavoglia dal parquet salutando Demon, da quella sera mi sarebbe stato simpatico. Quando fui sulla soglia, mi fermai accanto alla porta per poco e la guardai per poi spostare lo sguardo su Castiel. Ripensai inevitabilmente a qualche istante prima, a quando per fatalità ero finita su di lui, a quando insieme -soli- stavamo bene. Il rosso ricambiò lo sguardo capendo a cosa stessi pensando, ma subito lo spostò riportandolo sulla sua amata. A causa di tutto quel trambusto non avevo neanche avuto modo di ammirare la camera del rosso, avrei potuto farlo in quel momento se solo Castiel non mi avesse tirata in modo brusco giù dalle scale. Tenendomi stretta dal polso mi fece scendere di fretta la rampa di legno trascinandomi nel salotto. Dietro di me c'era Debrah, quando mi voltai verso lei, aveva ancora dipinta sul volto quell'espressione di vittoria che non l'aveva abbandonata neanche per un secondo da quando Castiel le aveva concesso un'altra possibilità. I suoi occhi erano malvagi, diabolici, non mi piaceva il suo sguardo. Avrei pagato tanto pur di poterle tirare uno schiaffo in pieno volto. 

Giunti in salotto trovai Adelaide seduta su un divano grande di stoffa marrone e verde, era abbastanza accogliente quella stanza ma in quel momento m'incusse ulteriore ansia. Di fronte al grande divano c'era un enorme camino acceso e accanto a quello una tv a schermo piatto spenta. Il parquet in quella camera era coperto da un tappeto verde abbastanza grande e ai lati di questo, oltre al divano su cui era seduta Adelaide, vi erano altre due poltrone dello stesso colore. 

Quando Castiel mollò la presa dai miei polsi, mi accomodai affianco ad Adelaide. Entrambe guardammo il fuoco. Probabilmente anche lei stava immaginando di spingere Debrah dentro il camino. L'ipotetica scena mi fece sorridere, ma questo a Castiel non piacque.

«Se fossi al tuo posto non riderei...»

Ma cosa gli avevo fatto? Per quale motivo doveva sfogare la sua rabbia su di me? Con Debrah avrebbe dovuto essere in ira, non con la sottoscritta. Ero stanca di quel suo comportamento privo di senso, così senza rifletterci sbottai. 

«Ma si può sapere cosa vuoi? Perché mi tratti in questo modo? Hai di nuovo la tua Debrah, ora lascia in pace me. Non ti servo più!»

Non avevo meditato, avevo sputato quelle parole come se fossero fiamme roventi. Stavo parlando con dolore e gelosia. Già... Gelosia. Ma che diritto avevo, io, di essere gelosa? Non potevo essere gelosa di qualcuno che non era e non sarebbe mai stato mio. Eppure lo ero.

Mi sentivo il cuore, come un pezzo di carta, bruciare. Il mio cuore stava sanguinando a causa della gelosia. Non mi ero mai sentita in quel modo prima d'allora.

Nonostante le mie parole Castiel non si mosse, non mi rispose e né fece trapelare alcuna emozione. Debrah era vicino a lui, entrambi erano alzati affianco al camino. La mora gli prese la mano e gliela strinse come per dargli coraggio. Solo sei ore prima ero io a stringere quella stessa mano, quando i suoi genitori avevano comunicato lui quell'amara verità. Io ero stata vicina a Castiel in quei mesi, non Debrah, eppure era bastato così poco per stravolgere le cose; per far cambiare idea a Castiel.

Rabbrividii ripensando a quei dati di fatto e Debrah se ne accorse, infatti di proposito alzò la mano del rosso e se la portò davanti alla bocca baciandone il dorso per dispetto. Era furba. Tremendamente. 

«Mamma, ascolta: da oggi in poi evita di rivolgere a Debrah determinate parole. Abbiamo deciso di riprovarci ed io voglio darle un'altra possibilità, voglio chiarire con lei, quindi portale rispetto gentilmente. Durante l'anno in cui siamo stati insieme ha preso il tuo posto, mentre tu per me non ci sei mai stata lei invece c'era sempre. Mi ha curato quando ero malato, mi ha amato e accudito come una mamma avrebbe dovuto fare. Ha sbagliato molto, sì lo so, ma nello stesso tempo ha portato tante cose belle nella mia vita; ora mi ha promesso che cambierà ed io voglio crederle. Le darò un'ultima possibilità. Se a te non sta bene la decisione che ho preso, se devi iniziare con le tue solite opposizioni inutili, allora quella è la porta» finì il discorso mostrando la porta d'uscita. 

Adelaide sembrò innervosirsi davanti alle parole del figlio, lo si capiva dall'espressione dura assunta dal suo volto. Mentre Castiel aveva sostenuto il suo discorso senza far trapelare alcun sentimento tranne che il menefreghismo più totale. Stava difendendo la donna amata sminuendo sua madre; aveva fatto intendere che Debrah avesse preso il suo posto, io non potevo conoscere la verità, ero ancora in Italia in quegli anni tirati così tanto in ballo quel giorno. Eppure quelle parole mi risultarono talmente false da non riuscire minimamente a crederci. Era come se Castiel si volesse giustificare di aver perdonato Debrah così velocemente, quasi come se volesse convincere se stesso. Avrei tanto voluto conoscere quel passato, le vicende, ma quel momento non era adatto per scoprirlo o per fare domande. Ma pur non conoscendo i retroscena ero in grado di giudicare e riconoscere una persona che esagerava con le parole e Castiel stava decisamente ingrandendo la situazione. Non avrebbe dovuto permettersi di togliere sua mamma di casa qualora non avesse accettato la sua relazione con Debrah. 

«Hai ragione, mi metterò da parte. Spero solo che questa volta prenderai le cose con più maturità quando lei ti abbandonerà... Perché lo farà e lo sappiamo entrambi. Avrò sbagliato anch'io da giovane è vero, ma ricorda una mamma è per sempre, io ti ho messo al mondo e so cosa è giusto per te; non posso obbligarti certo, ma devo tentare di farti cambiare idea. E poi... Tante volte ti ho chiesto perdono per le mie azioni passate, tante volte negli ultimi anni ho cercato di recuperare il nostro rapporto e pensavo di esserci riuscita, ma è bastata una semplice ragazza sbagliata per annebbiarti la mente, di nuovo. Io mi sono pentita di molte cose del mio passato, l'amore a volte porta a sbagliare, per questo ho cercato di far ragionare almeno te, di farti capire che una come Debrah è meglio perderla che trovarla. Ho cercato d'insegnarti -per esperienza personale- di non ascoltare solamente il cuore, perché a volte ti porta in strade totalmente errate, ma tu non ascolti... E va bene così. Non sono per nulla d'accordo con questa tua decisione di rimetterti insieme a lei, per questo scelgo la seconda alternativa che mi hai imposto. Esco dalla porta, tanto ormai questa casa è tua e puoi ospitare chi vuoi. Almeno le hai raccontato della tua vita dopo che lei è partita? Lei sa del tuo tentato suicidio, eh? Scommetto che non lo sa. Ma certo... Come potrebbe saperlo?! E' arrivata soltanto pochi minuti fa, ti ha sedotto e tu l'hai accolta tra le tue braccia, cedendo ancor prima di chiarirvi o di parlare di qualsiasi cosa. Ma d'altronde non c'è da stupirsi, è quello che fanno le manipolatrici professioniste, le puttane come lei e...» Adelaide venne interrotta da Castiel che si avvicinò a lei e stringendo il suo braccio la fece alzare dal divano.

Il discorso di Adelaide era partito con calma, inizialmente, ma più le parole uscivano dalla bocca e più fuoriuscivano emozioni come l'odio, la rabbia, la disperazione e la delusione. Era una donna distrutta dagli errori, dai pentimenti. Avrebbe voluto poter cancellare il passato, fermare il tempo e spostare le lancette dell'orologio indietro di qualche anno, per essere forte tanto da coccolare e crescere suo figlio. Le si leggeva negli occhi il senso di colpa per averlo abbandonato. Voleva inoltre che il suo unico figlio non sbagliasse come lei, che non si facesse accecare dall'amore e invece lui continuava a non ascoltare, a non capire. Avrei tanto voluto urlare contro Castiel, scuoterlo e inculcargli in testa i giusti ragionamenti, ma sapevo bene che sarebbe stato tutto inutile.

«Mamma ti ho detto di non rivolgerti a lei in questo modo. Esci fuori. Va via. Vattene!» Castiel urlò contro sua madre mentre ancora teneva stretto il suo braccio. 

Dopo aver pronunciato quelle parole con un tale odio da far rabbrividire spinse sua madre verso la porta mentre lei sembrò essere sotto shock. Una volta giunti sull'uscio di casa si staccò e allontanò da lei e stringendo le mani a pugno continuò a guardarla con odio e rabbia. Debrah, ancora accanto al camino teneva le braccia incrociate sotto al petto e osservava la situazione con un misto tra vittoria e divertimento. 

Ed io a quel punto non ragionai più. Scattai dal divano, come una furia mi diressi davanti Castiel, ancora di fronte a sua madre, e guardandolo dritto negli occhi con una rabbia fuori dal normale gli mollai uno schiaffo in pieno viso. 

Non sapevo cosa sarebbe successo a quel punto, ma non potevo sopportare quella sua mancanza di rispetto nei confronti della madre. Sapevo non spettava a me il compito di rimproverarlo o di aprire i suoi occhi alla realtà, ma essendo presente a quella discussione non potevo starmene con le mani in mano come invece stava facendo la sua attuale fidanzata. Ormai ero convinta che Debrah non lo amasse. Altrimenti non avrebbe permesso quei suoi comportamenti, non lo avrebbe messo contro la sua famiglia. Lei voleva solamente allontanarlo, manipolarlo e voleva qualcosa da lui ancora a me ignara. Ero convinta di questo. 

A vederlo così infuriato, a vederlo così cambiato nel giro di un'ora non avevo più risposto delle mie azioni. Se fossi rimasta un minuto di più in quella casa, in quell'aria così pesante, in presenza di Debrah e del nuovo Castiel, sarei stata in grado di commettere un omicidio. 

Il rosso davanti al mio schiaffo si portò le mani sulla parte colpita e subito dopo mi guardò incredulo. Ancora non avevo finito con lui. 

Mi avvicinai maggiormente alla figura imponente di Castiel e gli urlai contro senza farmi intimidire da lui: «Ma che cazzo combini coglione? Che cazzo ti frulla in quel cervello minuscolo che ti ritrovi, eh? Come diavolo ti permetti a rivolgerti in questo modo ad Adelaide? E' tua mamma, cazzo. Lei vuole solo il tuo bene, svegliati!» toccai con l'indice il suo petto, involontariamente. Poi mi allontanai e spostai lo sguardo verso Debrah, ancora immobile vicino al camino, ma il salotto essendo in un unico ambiente con la porta d'entrata e la cucina, mi permise di vederla ugualmente «E tu manipolatrice del cazzo così lo ami? Così ti sei pentita? Così? Io non conosco tutta la storia, non conosco te e non ho neanche la minima intenzione di conoscerti meglio, ma già mi è bastato oggi per capirti. Non so cosa tu abbia in mente, è quasi impossibile comprendere una pazza, ma stai cercando di metterlo contro tutti, questo è palese, vuoi ferirlo e nello stesso tempo vuoi che lui segua solo te, che stia solo con te. E sei una cretina; qualunque cosa tu abbia in mente spero non riuscirai mai a realizzarla. Sei una persona orribile. Spero che Castiel lo capisca prima o poi. Stavamo tutti così bene senza di te... Non hai mosso neanche un dito per evitare questa lite, anzi sei stata tutto il tempo a ridere e a godere del dolore degli altri. Vergognati stronza!»

Finalmente riuscii a togliere fuori un po' di veleno presente nel mio cuore. Non potevo starmene in silenzio, lo ero già stata per troppo tempo. Io ero fatta così, dovevo parlare, sfogarmi, provare ad aprire gli occhi alla gente dal cervello bacato come quello del rosso. Castiel dopo le mie parole iniziò a guardarmi con disprezzo e rabbia, un po' come aveva fatto fino a poco prima con sua madre, mentre Debrah non si scomodò a rispondere, quelle parole non l'avevano toccata minimamente, si spostò semplicemente dal salotto raggiungendo Castiel e si mise dietro di lui, sorridendo soddisfatta e felice. Che persona orribile!

«Lascia che sia io a scegliere chi può o non può far parte della mia vita, che sia io a giudicare Debrah, a te non deve minimamente interessare. Tu non sei nessuno per giudicare. Anzi spero che tu possa conoscere Debrah per quello che è realmente, potreste diventare anche amiche, magari, mi farebbe piacere. Ah e a proposito, colgo l'occasione per chiarirti un paio di cose. Non t'illudere che tra noi possa nascere qualcosa, aldilà dell'amicizia, un giorno. Quei baci, quelle parole e tutto il resto erano dati e dette solo in amicizia o con l'intenzione di portarti a letto. Lo so, non sono cose carine da dire forse... Ma credo sia meglio la sincerità. Tu non eri, non sei e non sarai mai diversa dalle altre. Sei stata una buona amica, questo sì. Nulla di più»

Non aveva dato peso alle parole, aveva concluso con il ferire anche me; non bastava Adelaide. Quelle parole mi fecero male al cuore, all'anima, molto male. Avevo sempre sospettato che il suo interesse nei miei confronti si limitasse solo al sesso, al brivido della conquista di una ragazza non troppo facile come dava a vedere. Eppure da vicino faceva più male. Sebbene sapessi e percepissi ogni cosa già da tempo, detta palesemente e davanti a terze persone faceva più male. A volte le parole potevano ferire più di una reale coltellata, di uno schiaffo, di pugni. Perché in quel momento sembrava che Castiel mi avesse sparata, picchiata ed accoltellata contemporaneamente. Il cuore faceva male, la carne, gli occhi, ogni parte del mio corpo era indolenzita. Volevo scappare, sotterrarmi, cancellare quel ragazzo dalla mia testa. 

Ma perlomeno non mi sarei più illusa, da quel giorno in poi non avrei avuto più dubbi. La verità mi era stata sbattuta in faccia definitivamente. Non c'erano dubbi ai messaggi risposti, ai gesti compiuti. Ero stata illusa, derisa dal ragazzo che un'ora prima mi aveva accarezzata, che mi aveva fatto volare anche se con una semplice frase. Mi aveva mentito per tutto il tempo, per tutti quei mesi. 

Dopo aver assorbito temporaneamente il colpo riuscii ad utilizzare le ultime forze per rispondergli e chiudere ogni cosa esistente fino a quel momento tra noi: «Mi dispiace deludere le tue aspettative, ma io e lei non potremo mai essere amiche, neanche in un'altra vita. Poi tra me e te non c'è mai stato niente di così importante, l'ho sempre saputo e non mi sono mai illusa. Non so da dove tu abbia pensato che io potessi provare qualcosa per te, ma le mie intenzioni erano identiche alle tue.» riuscii persino a strizzare l'occhio e fare l'occhiolino «Castiel non credere di essere al centro del mondo, sul serio scendi dal piedistallo, tu sei l'ultima persona che potrebbe piacermi. E poi se proprio ci tieni a saperlo c'è già chi mi piace e non sei di certo tu. A me piace Nathaniel, solo per lui potrei provare qualcosa di diverso, qualcosa di speciale. Ma ora non starò qui a dire queste cose a te perché tu non sei niente per me. E poi sai che ti dico?! Fin quando starai con questa qui io non ti rivolgerò mai più la parola, non mi piace la persona che diventi quando sei con lei. Vedervi insieme mi fa schifo, quello che le hai detto mi fa schifo. Tu mi fai schifo. Ti fai tanto il forte e poi non sei stato neanche in grado di dimenticarti di una così... Ma non la vedi che è bastato soltanto un giorno per farti litigare con tutte le persone più importanti della tua vita? Davvero.. non ti capirò mai!» sbuffai e poi sospirai finendo finalmente di pronunciare quelle menzogne.

«E chi sarebbero queste persone? Sentiamo... Tu saresti una delle persone più importanti della mia vita? Ma non farmi ridere Miki» e rise, anche se nervosamente, ma rise.

Dopo quelle parole le lacrime uscirono senza avvertirmi. Il mio cuore, la mia anima erano contro la mia testa. Piangere era l'ultima cosa che avrei dovuto fare in quel momento. Non avrei dovuto davanti a lui, non davanti alla sua nuova ragazza. Ero riuscita a mentire così bene fino a quel momento... E invece il mio cuore aveva dovuto tradirmi proprio quando avrebbe dovuto fare l'ultimo sforzo. Ero persino riuscita a dire di provare sentimenti veri per Nathaniel, che Castiel non fosse niente e nessuno per me, quando la realtà delle cose era un'altra. Castiel era dal primo giorno al centro del mio mondo. L'avevo difeso, aiutato, avevo provato per lui sentimenti ed emozioni contrastanti, ma in ogni situazione lui e solo lui persisteva nella mia mente e nel mio cuore. Ma quella verità non importava, non più. Avevo sputato quelle menzogne a fin di bene, per bene mio e di tutti. 

Prima di scappare a gambe levate nel buio, prima di liberarmi nel pianto totalmente, aspettai una sua risposta, un suo gesto, volevo e speravo dimostrasse di essere dispiaciuto. Mi aggrappai all'ultimo briciolo di speranza, ma ancora una volta e per l'ultima volta sbagliai.

«Comunque perfetto! Chiudiamo anche quel briciolo di amicizia che c'è stato tra noi finora, se è quello che preferisci. A me non importa. Addio Miki!»

E il gesto arrivò, abbastanza diverso dalle parole sputate. Gli occhi di Castiel diventarono leggermente lucidi, il volto gli si scurì. Ma arrivati a quel punto pensai fosse semplicemente una mia illusione ciò che riuscivo a leggere nel suo sguardo. I suoi occhi mi avevano mentito fino a quel giorno? A giudicare dalle sue cattiverie gettatomi addosso sì. In ogni caso era troppo tardi per rimuginarci sopra. Lui voleva lei, i sentimenti per lei erano di gran lunga superiori a quelli provati per me -se di sentimenti si poteva parlare- e visto che Debrah e Miki non potevano coesistere all'interno di uno stesso gruppo, all'interno della stessa stanza, io mi sarei fatta semplicemente da parte. Non ci saremmo parlati più. Proprio il giorno di Natale suggellammo quel patto. Un Natale da dimenticare, un Natale che finalmente stava per giungere alla sua fine.

Guardai un'ultima volta gli occhi di Castiel per imprimere il suo ricordo dentro la pelle. Dopotutto non avrei mai voluto dimenticare quel ragazzo. Seppure volessi in un primo momento, presa dalla rabbia, non avrei mai potuto dimenticarlo. Lui era stato il mio primo bacio e nonostante tutto sarebbe rimasto lui. 

E senza guardare nessun altro uscii dalla porta di quella casa e dalla vita di Castiel Black. 

Fuori pioveva, ma poco importava, dentro di me era iniziato il temporale già da un po'. Senza curarmi della pioggia mi fermai al centro del giardino per l'ultima volta, non sarei mai più tornata in quella casa. 

Dopo neanche un minuto già le mie lacrime si confondevano con la pioggia. Pioveva forte, un po' come nel mio cuore. Mi sentivo sconfitta, sola e abbandonata. Castiel era l'unico ad essermi rimasto realmente vicino per tutto quel tempo. Avevamo litigato, ci eravamo allontanati per un periodo ma poi era pur sempre ritornato da me, quella volta non sarebbe accaduto. 

«Vieni Miki, ti accompagno a casa. Lascia perdere Castiel, capirà da solo di aver sbagliato.» 

La voce di Adelaide aveva cambiato tono, si era rassegnata. Beata lei. Ma non volevo tornare a casa. Volevo stare sola. Le feci cenno di diniego con la testa e togliendomi quei tacchi fastidiosi dai piedi, cominciai a correre scalza sotto la pioggia senza alcuna destinazione.

L'acqua cadeva sul mio capo, sul mio pigiama, ero fradicia, ma non me ne curai. Intanto la pioggia aumentava e insieme a lei, il mio pianto.

 



CASTIEL

Il mio amore era tornato, era tra le mie braccia proprio in quel momento. 

Eppure non ero felice come immaginavo, come volevo. Sentivo che c'era qualcosa di sbagliato in me, in noi. Mi ero già pentito di tutte le cattiverie lasciate dalla mia bocca. Micaela senza conoscere Debrah aveva colto in pieno il problema. Debrah mi allontanava dalle persone più importanti, dalla gente e dal mondo in generale, l'aveva sempre fatto e sapevo non fosse giusto, ma non riuscivo a controllarmi, a gestirmi. Nonostante conoscessi la verità continuavo a stare con lei, non riuscivo ad allontanarla. Non sapevo cosa mi accadeva in sua presenza. 

Riavere tutta per me Debrah era stato il desiderio espresso ogni Natale, ad ogni mezzanotte da quando se n'era andata. Eppure riaverla non era stato emozionante. Non ancora. Ero turbato, distratto da altro.

«Allora hai trovato qualcuna più brava di me a letto? Non credo; ed anche se a quella... ehm, come si chiama?! Miki?! Comunque, anche se non te la sei scopata non credo sarebbe migliore di me, insomma l'hai vista? Non ha nulla da darti ora che puoi avere me!» Debrah venne verso di me con fare seducente. 

Voleva già darsi da fare. Avevamo tante cose da chiarire e lei voleva scopare. Pensava solo a quello. Mi stava dando fastidio. Non doveva permettersi a parlare male della mia Miki. 

"Mia? Miki, mia? Ma che diavolo mi sta prendendo? Cazzo! Non dovrei neanche pensarla"

«Sta' zitta!» le urlai semplicemente trucidandola con lo sguardo. 

Nonostante avessi messo da parte tutti per darle un'altra possibilità, in quel momento non avevo tanto voglia di averla tra i piedi. Mi stava antipatica, prima di giudicare gli altri avrebbe dovuto guardare dentro se stessa e invece non lo faceva. Non era dispiaciuta per quella situazione, non aveva neanche provato a giustificarsi per gli sbagli passati e non si era scomodata a spiegarmi i motivi del suo ritorno. Finsi di dover andare in bagno, feci accomodare Debrah in salotto e mi recai nella mia stanza. La voce di Debrah era irritante, la sua presenza insopportabile. Avevo bisogno di stare solo.

L'addio di Miki mi aveva spiazzato, era questa la verità. Le avevo rivelato i miei reali sentimenti, eppure non facevo altro che pensarla, che desiderarla anche in quel momento. Miki aveva il potere di calmarmi, colmarmi, lei e solo lei. Ma avevo rovinato tutto, persino la nostra amicizia. Lei aveva da sempre avuto quello strano potere su di me. Nei momenti difficili, nei momenti tristi, nei momenti di rabbia pura, bastava ammirare i suoi occhi, il suo volto ingenuo ed angelico per stare meglio. 

Così senza pensarci troppo, presi il cellulare dal comodino e cercai una sua foto.

La trovai. Miki...

Eravamo a scuola, quella foto l'avevo scattata in un'ora di supplenza, senza farmene accorgere da lei. Anche se le si vedeva solo il busto ricordavo perfettamente cosa aveva addosso. Aveva una minigonna a quadri dove le s'intravedevano delle gambe favolose, un top rosa e nero aderente dal quale le si potevano inquadrare bene le sue forme. I capelli ondulati di quel colore ramato particolare. E poi gli occhi... I suoi occhi che lei odiava ma che per me erano perfetti, bellissimi, in netto contrasto coi suoi capelli chiari. Nonostante il nero, colore banale per un paio di occhi su di lei erano bellissimi. Dentro quegli occhi mi ci sarei potuto perdere, erano profondi ed esprimevano tutto ciò che a voce non riusciva a pronunciare. Proprio come pochi minuti prima. Mi aveva detto e sputato in faccia di non essere niente per lei, eppure i suoi occhi mi avevano espresso altro. Era così ferita tanto da piangere senza volerlo, senza accorgersene. Era stato straziante vederla soffrire a causa mia. Ero stato uno stronzo, non dovevo permettermi di spiattellarle le verità in faccia in quel modo. 

Restai a guardare quella foto immobile. Mi fece sorridere, ancora una volta. Era normale ciò che provavo?

Non avrei dovuto, forse, nutrire quell'emozioni per lei. Miki era un'amica, nient'altro. Mi faceva sorridere da amica, mi rasserenava da amica. Nient'altro. Cercai di convincere me stesso di quell'evidenza, mentre il cellulare vibrò tra le mie mani segnandomi l'arrivo di un messaggio. 

Era mia madre.

"Miki è fuggita da sola sotto la pioggia. Di sicuro tu saprai dove trovarla, la conosci meglio di me sicuramente. Corri da lei, consideralo un ringraziamento speciale per tutto ciò che di bello ha fatto per te. Con Debrah ci starai un altro giorno se proprio dovrai. Per favore almeno ora ascoltami.. và da Miki!"

 




MIKI

Castiel mi aveva ferita, un'altra volta. Non era la prima volta che capitava, ma quel giorno le aveva superate tutte. Aveva toccato il fondo ed io non l'avrei perdonato; probabilmente neanche voleva essere scusato. Ormai aveva Debrah, Miki sarebbe stata solamente un ricordo, anzi qualcuno da deridere. Li immaginai avvinghiati a recuperare il tempo perso nello stesso momento in cui io mi trovavo da sola, a correre sotto la pioggia. Strano ed ingiusto il mondo; a chi donava molto, a chi toglieva tutto. 

Ero scalza con i tacchi tra le mani; sotto i piedi a volte sentivo dei sassolini pungermi ma non m'importava. Ero immune al dolore.

La pioggia scendeva copiosa ed inesorabile, insieme a questa le mie lacrime s'intensificavano. Per non pensare a fatti che mi avrebbero lesionata ancor di più, scollegai la mente e mi feci guidare solamente dal corpo in un viaggio senza ritorno. 

Senza volerlo realmente mi ritrovai davanti alla gelateria dove Castiel mi aveva portata dopo la punizione, il primo giorno di scuola. 

Inizialmente ed inconsciamente pensavo mi avesse portata lì per essere carino, per farmi integrare, per non farmi sentire fuori posto, dopotutto lui era l'unico che conoscevo maggiormente. Il nostro primo incontro, quello sull'aereo non era stato dei migliori, vero, ma avevo lo stesso maggiore confidenza con lui rispetto che con gli altri compagni di classe. A distanza di tre mesi avevo scoperto, invece, che avesse giocato ogni carta solamente con l'intenzione di portarmi a letto. Crudele la vita. 

Mi fermai proprio di fronte la porta del locale, ora chiusa, e stringendo gli occhi rivissi quel giorno. Avevamo scelto lo stesso gusto di gelato, avevamo dialogato per la prima volta pacificamente senza però farci mancare le nostre solite frecciatine. Era stato bello quel pomeriggio passato in sua compagnia.

Ripensando a quei momenti, fu come riviverli. Cominciai a scappare con la testa bassa; avevo ribadito di dover pensare ad altro ma inevitabilmente avevo finito col rimuginare su di lui. Senza avvertirmi, poi, la mente volò al giorno che più mi era rimasto impresso. Quel giorno lo avrei ricordato come uno dei più importanti della mia adolescenza. Il mio primo bacio col ragazzo più stronzo, più scorbutico e più sbagliato di tutti. Ricordavo le parole di Castiel prima del bacio, purtroppo le ricordavo a memoria.

Iniziai a pronunciare ad alta voce la frase che lui mi aveva rivolto nel momento anteriore al bacio «Dove scappi? Adesso che...» ma qualcuno m'interruppe prima di poterla finire.

«Adesso che sei qui, tutta per me, non ti lascio andare da nessuna parte».

Bloccai la fuga. Era Castiel. Era la sua voce, l'avrei riconosciuta anche tra altre mille simili. La sua voce era inconfondibile. La voce scorbutica che poco prima mi aveva bloccato il respiro, la voce che da sempre -dal mio arrivo a Parigi- mi aveva fatto battere il cuore. Era lui, non avevo dubbi. Ma sembrava impossibile che potesse essere lì, non avrebbe potuto trovarmi, non avrebbe potuto ricordare anche lui ciò che mi aveva detto mesi prima. Era impossibile per uno come lui, per uno che voleva solamente divertirsi con me. 

L'acqua doveva essermi entrata in testa tanto da rendermi matta, avevo immaginato la sua voce senza che lui fosse lì realmente.

Alzai la testa con l'intenzione di cercarlo, ma davanti a me non c'era nessuno. Neanche l'ombra di una persona. Diluviava, solamente dei pazzi avrebbero passeggiato a piedi con quel tempo, la sera di Natale per giunta. Tanti brividi percorsero le mie braccia e non per il freddo. Avevo udito chiaramente il suono della sua voce calda, non potevo essermi immaginata tutto. 

Appena cercai di voltarmi, per capire se ci fosse qualcuno alle mie spalle, venni coperta da un giubbotto di pelle nera. Conoscevo bene quel capo, era inconfondibile. Il proprietario non usciva mai senza. Era lui, Castiel era lì proprio alle mie spalle, proprio accanto a me, sotto la pioggia. Non potevo credere alla realtà. Era impossibile. 

«Sapevo di trovarti qui» sussurrò poggiando le mani sulle mie spalle. 

Lui era dietro di me, non potevo vedere il suo volto e fu meglio così per la mia salute mentale.

«Che emozione! Ora sei anche un mago» lo derisi con tono infastidito. Non potevo mostrare le mie reali emozioni, mi avrebbe distrutta altrimenti. Dovevo rialzare la mia corazza, dovevo tornare ad essere come ai primi mesi. 

Ero ancora molto delusa e ferita da lui, non sarei di certo caduta tra le sue braccia nonostante apprezzai il fatto che mi avesse inseguita. Non sapevo neanche per quale motivo, tra l'altro.

«No, semplicemente ti conosco.» 

«Giusto! Il cercare di conoscermi meglio faceva parte del tuo piano per portarmi a letto. Cos'è hai stilato una lista delle cose che avrebbero impressionato Micaela Rossi?!» il cercare di essere pungente e l'andare alla ricerca delle battute adatte avevano calmato il mio pianto facendomi risultare ai suoi occhi, al contrario, fredda.

Era snervante parlargli senza poterlo guardare in viso, avrei dato tanto pur di scoprire l'effetto che le mie parole avevano sui suoi occhi. Quelli mi facevano capire sempre tutto, o quasi. 

«Smettila con queste battute poco divertenti e vieni con me. Ti accompagno a casa!» 

Ma chi si credeva di essere? Non poteva inseguirmi e pretendere di voler ricominciare tutto da capo. Avevamo preso una decisione entrambi, non dovevamo rivolgerci la parola. Era finito tutto.

«Come facevi a ricordarti le parole esatte che mi hai detto quel giorno?» Non risposi al suo comando, anzi al contrario cambiai totalmente argomento senza muovermi di un millimetro. Non l'avrei seguito. Non c'era bisogno di specificare ulteriormente la mia domanda, aveva capito a cosa mi stessi riferendo.

«Non sono poi così tanto rimbambito, evidentemente. Le cose che dico le ricordo» ghignò. 

Grazie a quelle battute riconobbi nuovamente Castiel, il solito ragazzo dai capelli rossi perennemente imbronciato e dalle battute taglienti. Quando era lontano da Debrah ragionava normalmente, in poche ore avevo potuto captare la differenza.

«Oh bene. Allora ricorderai anche ciò che ci siamo detti poco fa a casa tua. Non siamo più niente, neanche conoscenti. Non dovremmo più rivolgerci la parola» lentamente le mie autodifese stavano cedendo, stavo facendo la preziosa senza crederci a pieno. Ma non potevo permettermi di cedere, non quella volta. 

«Ma dai... Non abbiamo mica firmato un contratto, le cose possono cambiare. E poi ho esagerato con le parole, questo è vero. Se vieni con me in un posto all'asciutto, ti spiego meglio.» 

Non aveva ancora imparato la lezione. Pensava lo avessi perdonato con uno schiocco di dita, pensava che io non avessi un cuore, ma si sbagliava di grosso. 

Mi girai verso di lui, guardai per un attimo il suo volto totalmente bagnato, i suoi capelli rossi gocciolavano e sembravano essere più lunghi e più scuri a causa dell'acqua. Sussultò per quel mio gesto improvviso, ma continuai ad ignorarlo e gli puntai il dito contro iniziando a parlare ad alta voce, nuovamente nervosa «No! Io non vado proprio da nessuna parte con te. Non sono mica una marionetta. L'hai detto tu stesso di avermi usata solo con l'intenzione di portarmi a letto, hai detto anche tante altre cose e mi dispiace avvertirti che non è più possibile riavvolgere il nastro. Ormai ciò che è stato detto, è stato detto. Ora hai Debrah, quindi va da lei. Hai lei e hai tutto. Io torno a casa. Addio Castiel!»

Senza alzare lo sguardo verso i suoi occhi buttai il giubbotto sul marciapiede, mi voltai nuovamente e m'incamminai verso casa mia senza voltarmi indietro. Ero stanca di essere sempre buona con lui. Meritava quel trattamento per tutte le volte in cui lui me ne aveva riservato uno peggiore. 

Ma feci solamente qualche passo prima di sentirmi afferrare per un braccio saldamente, anche se senza farmi male. Non avevo bisogno di voltarmi per capire chi fosse, ormai conoscevo anche il suo tocco.

«Fermati, cazzo Miki. Devo fare una cosa prima che finisca tutto...» parlò affannosamente. Aveva corso per raggiungermi. Era pazzo quasi più di me ad inseguirmi sotto la pioggia senza neanche un ombrello, sicuramente anche lui avrebbe preso l'influenza. 

Mollò il braccio per poi far cadere le mani sui miei fianchi. A quel contatto rabbrividii. Decisi di non spostarmi momentaneamente per capire dove sarebbe arrivato. Inoltre quel contatto era terribilmente piacevole. Lasciando le mani sui miei fianchi mi voltò nella sua direzione e si avvicinò pian piano al mio corpo. Dopo neanche cinque secondi eravamo praticamente attaccati l'uno all'altra. Cominciò a guardarmi dritto negli occhi, i suoi erano chiari in quel momento, quasi tendenti all'azzurro in netta contrapposizione al cielo cupo. Poi avvicinandosi all'orecchio sinistro sussurrò: «Punto primo: non puoi dire che i tuoi occhi sono brutti perché altrimenti non mi ci perderei dentro ogni volta che li guardo» si riferì ad ogni volta in cui avevo affermato di odiare il colore dei miei occhi. Lui si ricordava anche di quello.

Fu bellissimo sentire il suo fiato sul mio collo. Ad ogni parola mi riscaldava il corpo, il cuore e l'anima. Mi ricomponeva. A quel contatto così intenso chiusi istintivamente gli occhi. Sapevo di star sbagliando, non dovevo cedere, ma il modo in cui mi fece sentire era troppo speciale per restarne inerme.

Dal collo passò alle labbra. Me le sentii solleticare a causa del suo fiato; a quattro millimetri di distanza mi sussurrò ancora: «Punto secondo: sai trovare una spiegazione al perché solo quando sono con te sorrido?»

A quel punto ingoiai un grosso groppo di saliva formatosi per l'agitazione. Erano così intense le sensazioni che mi trasmetteva... Ma anche se quelle parole mi stavano ammaliando, non riuscivo a capire per quale motivo le stesse dicendo neanche un'ora dopo avermene dette altre orribili e opposte a quelle. L'unica risposta che riuscii a darmi fu che si sentisse in colpa e in quel momento stava cercando di alleggerire il colpo utilizzando altre menzogne per non farmi restare troppo male. Ma io dovevo essere cattiva almeno la metà di quanto lui lo era stato con me. Non dovevo dargliela vinta.

Ma non mi lasciò neanche il tempo di reagire o di oppormi che senza capirlo mi ritrovai bocca a bocca con lui. Posò le labbra delicatamente sulle mie. Cercò di schiudere la bocca leccando il labbro inferiore, ma io non glielo permisi. 

Anche se il mio cuore e il mio corpo desideravano avere di più, mi allontanai da quel contatto pericoloso. 

Giunti a quel punto non potevo far altro che cercare di ferirlo nell'orgoglio. Uno come lui non veniva rifiutato quasi mai, ma quella volta invece accadde e fui io a farlo. Mi sentii vittoriosa anche se delusa e distrutta dentro. Sperai di averlo ferito anche se minimamente.

Ad una distanza di sicurezza rassicurante uscii di scena con la mia battuta finale, sperando di schiarirgli le idee: «Non sono la tua bambola. Io non ero, non sono e dovrò continuare a non essere niente per te. Ora hai Debrah, va' a baciare o a divertirti con lei. Lasciami in pace, Castiel!»

Non gli permisi di rispondere, non lo feci fiatare. Lo lasciai lì sul marciapiede sotto l'acqua senza curarmi di ciò che avrebbe risposto, e m'incamminai nuovamente verso casa. 

  
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