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Autore: Black_Tear    16/11/2014    1 recensioni
La strada di una cacciatrice dal passato misterioso si incrocia per la seconda volta con quella dei fratelli Winchester, vecchi amici d'infanzia, che la aiuteranno ad ottenere la vendetta da lei agognata per tanti anni.
-Che fine ha fatto la ragazza dolce e timida che conoscevo?- chiese con un sorriso provocatorio stampato in faccia mentre si avvicinava di qualche passo.
-E' morta quella notte.-ribattei, più bruscamente di quanto avrei voluto, voltandomi verso la finestra per accertarmi che non ci fosse nessuno.
Con la coda dell'occhio vidi il suo sorriso incrinarsi in una smorfia.
Sentivo i suoi occhi su di me e fui travolta da un'ondata improvvisa di tristezza.
Deglutii cercando di sciogliere il nodo che si era formato in gola impedendomi di respirare.
-Ora è rimasta solo un cumulo di carne, sangue e rabbia- dissi con finto tono solenne, ma strinsi la pistola che avevo in mano mentre pronunciavo l'ultima parola.
-Non per migliorare la tua autostima, ma sei un po' più di questo- replicò serio.
-Cioè?- sospirai, tornando a guardarlo negli occhi, scettica.
-Sei un'irritante mozzarella sotuttoio- disse, una smorfia divertita sulla faccia.
Genere: Horror, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Non ricordavo di essere mai stata più stanca di quella sera quando, dopo un giro di interrogatori al bar in cui era stato Peter Johnson la sera della morte della moglie, io e Dean tornammo alla centrale di polizia. Avevamo parlato solamente lo stretto necessario, mentre il resto del tempo era stato riempito da un silenzio a dir poco imbarazzante. Non che avessimo provato ad iniziare una conversazione: ciascuno dei due si era limitato a guardare fuori dal finestrino dell'auto senza proferire parola. Per quel che mi riguardava, meno parlavamo meglio era soprattutto per me, per mantenere il "distacco emotivo" ed evitare di rievocare ricordi spiacevoli.
L'orologio sul cruscotto segnava le 19.43 quando parcheggiai davanti alla centrale, dove avremmo dovuto incontrare Sam. Speravo che fosse stato sfortunato quanto noi, ma la pila di fascicoli con la quale ci venne incontro non appena mettemmo piede all'interno dell'edificio demolì le mie speranze.

-Ho trovato qualcosa- annunciò.Non riuscii a capire se il tono che aveva usato fosse sorpreso o cos'altro, ma non ci prestai attenzione.
Lo osservai mentre veniva verso di noi, o meglio osservai ciò che aveva in mano cercando di contarli. Otto. Le farfalle iniziarono a volare forsennatamente nel mio stomaco. Probabilmente tra i fascicoli due riguardavano le vittime più recenti perciò ne rimanevano sei, e io sapevo perfettamente il loro contenuto. Avevo pregato che andassero persi, ma a quanto pareva non era servito a niente.
Sapevo che quel momento sarebbe arrivato, ma non pensavo così presto. O meglio, non volevo credere che arrivasse così presto. Era ovvio che sarebbe stata una delle prime cose in cui si sarebbero imbattuti, anche perché non c'erano stati molti altri casi di omicidi in quella cittadina, ma non avevo mai considerato seriamente il problema e solo allora mi resi conto che avrebbero scoperto la mia identità. "Ma forse è la cosa migliore" sussurrò la vocina nella mia testa. No, non era la cosa migliore. Non volevo che sapessero ciò che era successo alla mia famiglia, che si mettessero in mezzo a cose che non li riguardavano come facevano sempre, come avevano fatto anche con la mia vita, per poi sparire nel nulla. Non avrei permesso che si intromettessero nella mia caccia e lasciare che scoprissero il mio segreto avrebbe significato dare loro una buona ragione per intromettersi. Non eravamo stati insieme a lungo, ma abbastanza perché capissi che il senso del dovere da cui erano oppressi i Winchester, soprattutto Dean, avrebbe fatto sì che si ritenessero responsabili della morte della mia famiglia e questo li avrebbe spronati ad aiutarmi, con o contro la mia volontà. Dovevo trovare una scusa ragionevole per depistarli e, possibilmente, sottrarre loro i fascicoli. O, almeno, dovevo impedire che ci pensassero troppo. Magari avrei potuto fingere uno svenimento: dopotutto avevo già fatto tante figuracce che una in più non avrebbe cambiato le cose.
Assorta com'ero nella difficile arte del tessere bugie, quasi non mi accorsi che i Winchester si stavano allontanando e si dirigevano verso la stanza degli interrogatori. Mentre mi esibivo in una sorta di cosetta per raggiungerli, mi chiesi perché avessero scelto proprio quella stanza.
Era abbastanza grande, con pareti grige e arredata con un semplice tavolo di acciaio e tre sedie dall'aria piuttosto scomoda. Al posto della parete alla mia sinistra c'era uno specchio enorme. Non mi sentivo a mio agio sapendo che qualcuno avrebbe potuto osservarci e ascoltarci da lì, e mi ripromisi di stare molto attenta a ciò che dicevo. I Winchester presero posto uno di fronte all'altro. 
-Non si siede?- chiese Sam.
-Preferisco stare in piedi, la ringrazio- risposi e solo allora, quando posai lo sguardo su di lui, notai il suo aspetto stanco e oserei dire sconvolto.
-Sta bene?- gli chiesi, sinceramente preoccupata. Era una caratteristica che mi portavo dietro da quando ero nata, l'empatia, un aspetto del mio carattere che non ero riuscita a cambiare nonostante tutti i miei sforzi: quando qualcuno soffriva, soffrivo anch'io.
-No, in effetti no- rispose. Quella era l'ultima risposta che mi sarei aspettata. Ammettere in quel modo i propri momenti di debolezza davanti ad una persona che si conosce appena è una cosa molto stupida. Esitai,indecisa su cosa dire. Un'altra caratteristica indelebile era la mia incapacità di consolare le altre persone. Di solito ero capace solo di peggiorare tutto.
Fortunatamente Dean interruppe il silenzio quasi immediatamente:- Quando voi ragazze avrete finito di parlare dei vostri sentimenti potremo passare alle cose importanti, cosa ne dite?- Ed eccolo lì, il sorriso più irritante del mondo tornato a peggiorarmi ulteriormente la giornata. Lanciandogli un'occhiataccia, mi spostai verso la mia sinistra, dietro a Sam, e mi appoggiai alla parete-specchio. In quella posizione non vedevo i fascicoli, coperti dal corpo di Sam, e nemmeno la parete-specchio. Mi sarebbe piaciuto trovare un modo per evitare di vedere anche Dean, che non aveva ancora perso la sua espressione arrogante, ma sfortunatamente la stanza era troppo piccola e dovetti accontentarmi.
-Bene, voi avete scoperto qualcosa?-chiese Sam.
-Solo il numero della barista.- Dissi, guardando Dean. Non ero riuscita a fermarmi, ma non avevo mentito. Il resto delle persone con cui avevamo parlato erano ubriaconi che non ricordavano nemmeno il proprio nome.
-Ha dato la sua disponibilità per aiutarci- si difese Dean, distogliendo lo sguardo. Effettivamente aveva scritto il suo numero su un pezzo di carta, dicendo che se avessimo avuto bisogno sarebbe stata più che disponibile ad aiutarci. La cosa non sarebbe stata tanto strana se non avesse sussurrato le parole con una voce seducente, guardando Dean negli occhi e sbattendo le ciglia, esattamente come la cameriera del ristorante.
- Certo, per aiutarci...- commentai con un mezzo sorriso.
-I clienti non sapevano dirci niente e lei non se lo ricordava. Quella sera c'era un sacco di gente e non faceva attenzione alle facce.- aggiunsi prima che Dean potesse ribattere. -Ma secondo me non è stato lui.- 
-Cosa glielo fa dire?- chiese Dean.
Mi strinsi nelle spalle. Non volevo che il signor Johnson fosse accusato di una cosa che non aveva fatto, ma non avevo vere e proprie prove per sostenere la sua innocenza.
-Non mi ha dato l'impressione di essere i grado di uccidere una persona.E non credo che avrebbe avuto interesse ad uccidere Stan Marly- dissi. 
- Ammetta però che aveva qualcosa di strano.-
Ripensai al sorriso che mi aveva rivolto, al suoi sbalzi d'umore e al suo interesse per la mia famiglia.
-In effetti era...particolare...-
-Quel "particolare" in grado di fare a pezzi la moglie.- ribatté Dean. Un brivido percorse la mia schiena. Sangue. Grida. Armadio. Fui costretta a combattere nuovamente con le lacrime.
-Che delicatezza.-commentai, rendendomi conto di quanto suonassero ipocrite solamente dopo averle pronunciate. Avevo usato le stesse parole con Peter Johnson, e non avevo pensato a come si sarebbe sentito. Il disprezzo per me stessa aumentò ulteriormente. Ero un'assassina bugiarda, insensibile e ipocrita.
-Mi scusi, non era mia intenzione turbarla!- ribatté scontroso. -Non so se se n'è resa conto, ma la delicatezza non serve a niente in questo lavoro.- continuò, passandosi una mano tra i capelli.
Per qualche secondo ci fu silenzio. Nemmeno Sam, che di solito faceva di tutto per far sentire le persone a proprio agio, non accennava a voler prendere la parola, anzi, aveva lo sguardo perso nel vuoto. Non ci voleva un genio per capire che tra i Winchester c'era qualcosa che non andava, anche se non riuscivo a capire cosa. Certo, era più di un semplice litigio. Odiavo vederli in quello stato. 
-Ha ragione, mi dispiace.- dissi istintivamente e velocemente, fissando un punto a caso del pavimento.
-Agente Wilson, lei ha trovato qualcosa di meglio?- chiesi, cercando di cambiare argomento. Sentivo lo sguardo di Dean su di me, ma io fissai il mio sulle spalle di Sam. Sapevo benissimo che quella domanda avrebbe portato a galla ciò che preferivo rimanesse sepolto, ma ormai le emozioni stavano prendendo il sopravvento su di me, anche se cercavo qualsiasi pretesto per nasconderle. Procrastinare non faceva altro che agitarmi ulteriormente e, come si dice, tolto il dente, tolto il dolore, anche se in quel caso temevo che il dolore mi avrebbe distrutta.
-Diamoci del tu, le va? Jeff.- disse, girandosi verso di me. Gli sorrisi. Fingere di non conoscerli diventava sempre più strano.
-Va bene, Jeff. Qualcosa di interessante?- Le mani iniziarono a tremare più violentemente di prima e fui costretta a infilarle in tasca e brividi freddi mi scorrevano lungo la schiena mentre prendeva in mano il primo pacco di fogli.
-C'è stato un altro caso simile a quelli che si stanno verificando...o meglio, altri quattro.- disse prendendo altri tre fascicoli. Quattro morti, due dispersi. Lo sentii sospirare mentre apriva un documento.
-Dieci anni fa la famiglia Russo è stata...aggredita.- Una fitta violenta si propagò dallo stomaco alla gola, spingendo le lacrime ad uscire. Chiusi gli occhi. Mi sentivo in trappola. Ogni parte di me voleva correre via, gridare e prendere a pugni qualcosa, ma non riuscivo a muovermi. Respirai profondamente, come avevo imparato a fare nei momenti difficili, ma nemmeno questo funzionò. Dentro le tasche, le mani erano strette a pugno e le unghie conficcate nei palmi. Iniziai a mordermi violentemente il labbro mentre la tristezza e il senso di colpa mi prendevano a pugni, inghiottendo il dolore. Oltre il buio delle mie palpebre non volava una mosca. Solo dopo qualche secondo sentii un -Cosa?!- pronunciato dalla voce profonda di Dean e una sedia spostarsi con un suono metallico. Sentii il fruscio dei fogli dei fascicoli, poi il tonfo dello stesso oggetto che veniva lasciato cadere sul tavolo. Per un attimo, fu come se il resto del mondo sparisse e rimanessi sola in compagnia del mio dolore e di quei suoni. Inspira. Espira. Fai quello che devi fare, non lasciar cadere il muro. Con uno sforzo sovrumano riuscii a ricacciare indietro le lacrime e ad aprire gli occhi. Il dolore non si era attenuato, anzi, si accentuò quando vidi che Sam mi osservava e Dean, in piedi, leggeva un foglio con una foga inaspettata, passandosi una mano sulla bocca di tanto in tanto. Dovevo trovare una scusa per giustificare le mia reazione o Sam avrebbe capito, ma la mia testa si rifiutava di collaborare. Avrei dovuto dire qualcosa, ma non sapevo più cosa sarebbe suonato credibile e cosa no, e soprattutto se sarei riuscita a nascondere il tremore della voce. Non dissi niente e Sam non fece domande.
Dopo un silenzio interminabile, Dean lasciò cadere il foglio alzando gli occhi al soffitto mentre sbuffava. Aveva gli occhi lucidi? Mi morsi le labbra ancor più violentemente. Non fare l'idiota, non si ricorda di te, è andato avanti. Non gira tutto intorno a te. 
-E' quella famiglia di cui parlava Gilda, non è vero?- chiesi debolmente. -Quella con una dozzina di figli?- Provai a sorridere ma tutto ciò che uscì fu una smorfia. Sam annuì, alzandosi in piedi. Fece qualche passo verso la porta e poi di nuovo indietro fino alla sedia.
- Fabrizio Russo, 45 anni, camionista, sposato con Alessandra Fabian, 40, disoccupata. Avevano quattro figli, un maschio, Michael, 19 anni, e tre figlie: Diana, 17, Jade, 16, e Cara, 5. Venivano dall'Italia e si erano trasferiti qui per cercare lavoro. - Prese quattro fascicoli e me li porse. Esitai prima di tirare fuori una mano tremante dalla tasca e afferrarli. Li strinsi al petto e mi appoggiai alla parete dietro di me. Sentivo che sarei potuta cadere da un momento all'altro. -L'assassino si è introdotto in casa la notte del 23 Novembre. Le vittime furono Michael, Diana, Cara e la madre. Fabrizio Russo era fuori città e non sono più riusciti a rintracciarlo.- Fece una pausa, cosa che mi permise di fare quello che non volevo fare: ricordare. Le immagini di quella notte irruppero nella mia testa con la violenza di una valanga. La neve fredda mi stava trascinando via, ma non riuscivo a reagire. Stavo immobile, a contemplarla mentre mi faceva a pezzi.
-Non è stato trovato il corpo di Jade Russo, dichiarata dispersa.- continuò Sam. -Le ricerche nel territorio circostante si sono rivelate inutili, perciò si esclude l'ipotesi che sia scappata...-
-Non sarebbe scappata...- mormorò Dean. Il battito del mio cuore aumentò mentre mi voltavo verso di lui. Invece è proprio quello che ho fatto, Dean.
-...e si è pensato che sia stata rapita dall'assassino. Ovviamente non è mai stata ritrovata.- finì Sam, lanciando una delle sue solite occhiate eloquenti a Dean. Non mi preoccupai di decodificare la loro ennesima conversazione silenziosa. Il mal di testa stava iniziando a farsi sentire, e cresceva assieme ai miei tentativi di controllare i miei pensieri e il mio corpo. Il nodo alla gola pesava, le gambe tremavano e gli occhi bruciavano, ma dovevo pretendere che fosse tutto normale. Come prima di conoscere i Winchester.
Basta, dovevo smetterla di comportarmi da vigliacca e affrontare il contenuto di quelle cartelle. Facendo appello a tutto la mia forza interiore appoggiai i fascicoli sul tavolo e aprii il primo. Guarda caso, era proprio il mio. Una ragazzina mi guardava sorridente dalla foto attaccata al primo foglio. Gli occhi grandi di un marrone spento mi fissavano da un viso rotondo e pallido, privo di trucco. Aveva i capelli scuri e ricci e indossava una semplice maglietta grigia, che era appartenuta a Michael, su cui brillava la collana con il pentacolo. Riconobbi lo sfondo blu e il mio sorriso forzato: era la foto dell'annuario. Era stata scattata lo stesso giorno in cui Sam e Dean se n'erano andati, pochi giorni prima della morte della mia famiglia.Non mi soffermai sulla foto e scorsi velocemente i fogli . Volevo sapere cosa sapevano e cosa non sapevano di me, e fortunatamente non sapevano nulla di importante. Una cosa,però, colpì la mia attenzione: all'ultimo foglio era allegata una foto di mio padre.
Era la prima volta che lo rivedevo dopo quasi undici anni. La barba nera e incolta presentava già alcuni peli canuti, e la pelle abbronzata e rovinata gli donava qualche anno in più. La ragazzina di qualche pagina prima non gli somigliava se non per il colore degli occhi, di quel marrone che avevo sempre detestato. Fissai la foto qualche istante, provando a ricordarmi il suono della sua voce, il suo profumo, ma tutto quello a cui riuscivo a pensare erano le grida di mia madre mentre veniva uccisa. 
E tu non c'eri,papà. Respirai profondamente un paio di volte per calmare il battito cardiaco e impedirmi di distruggere il foglio che tenevo tra le mani. Lessi velocemente ciò che era scritto: era stato accusato lui per gli omicidi e per il mio presunto rapimento e il fatto che non fosse più tornato a Jefferson City forniva una prova sufficiente a fare di lui il sospettato principale. Poveri sciocchi. Probabilmente aveva sentito dell'omicidio alla radio ed era scappato per evitare rogne, oppure aveva già deciso di filarsela una volta per tutte e che l'omicidio fosse accaduto nello stesso periodo era una coincidenza.
-Che c'è?-  In un primo momento non capii che la domanda di Dean era rivolta a me.
-Cosa?-
-Non lo so, stai tenendo quel foglio come se lo volessi distruggere.- Abbassai lo sguardo sulle mie mani e constatai che effettivamente lo stavo stringendo con troppa foga e i bordi si erano spiegazzati. I Winchester mi guardavano e mi sentii avvampare, anche se non sapevo spiegare il perché, dato che non era la prima volta che mi rendevo ridicola davanti a loro. Lo appoggiai sul tavolo cercando di riparare al danno mentre cercavo una scusa convincente.
-Sospettavano del padre.- fu tutto quello che riuscii a dire.
-Figlio di puttana...- mormorò Dean, prendendomi il foglio dalle mani.
-Cosa vuoi dire?-. Ero confusa. Credeva veramente che fosse stato mio padre? O era un'imprecazione generica?
-Dobbiamo prendere quel bastardo- disse, senza rispondere alla mia domanda e lasciandomi ancora più confusa. 
-Chi, Fabrizio Russo?- Alla domanda si girò verso di me, come se mi notasse per la prima volta. Lo sguardo che mi rivolse mi spaventò; sembrava studiarmi con un'attenzione che mi fece sospettare che avesse capito tutto. Rimanemmo in silenzio per qualche istante.
-Cosa c'è?- chiesi infine con l'ansia che saliva sempre di più. Scosse la testa.
-Mi ero dimenticato che fossi italiana.- Merda. Sapevo che l'accento mi avrebbe tradita, prima o poi.
-Quindi?- chiesi di nuovo, con il cuore in gola.
-Niente, ma è una strana coincidenza.- disse, togliendomi dalle mani l'intera cartella.
Non ero sicura che la sua reazione fosse dovuta solo a quello, ma decisi di lasciar perdere. Inoltre se avessi insistito avrei rischiato di peggiorare le cose. Per questo mi limitai a mormorare un "Già...". 
Sam aveva preso il fascicolo di Jeanne Johnson e lo stava leggendo e Dean era impegnato con il mio. Sul tavolo, di fronte a me, c'erano quelli del resto dei miei famigliari. Una morsa d'acciaio mi strinse lo stomaco. Era l'ultima cosa che avrei voluto fare, ma d'altra parte non potevo continuare a vivere ignorando il passato,no? No che non potevo. Dovevo leggere. Li avrei letti. E l'avrei fatto veramente, se fossi stata capace di muovermi.
Non ero pronta, mi serviva tempo. Qualsiasi pretesto sarebbe stato buono per allontanarmi da lì.
- Io...prendo un caffè. Volete qualcosa?-  
Sam mi rivolse una specie di sorriso, declinando l'offerta con la testa, mentre Dean non mi degnò nemmeno di uno sguardo. Lo presi per un no. Uscendo, mi lasciai la porta aperta alle spalle.
Non andai alla macchinetta del caffè, ma mi fiondai in bagno, ignorando gli sguardi straniti degli agenti di turno. Feci appena in tempo a chiudere la porta prima che le gambe mi cedessero. Mi appoggiai al lavandino per non cadere mentre il sangue mi pulsava nelle tempie.
Dieci anni. Per dieci anni ero riuscita a tirare avanti senza problemi a fare finta che quella notte non fosse mai esistita, pretendendo di essere stata sempre sola, di aver sempre dato la caccia al mostro e di essere nata per fare quello. Poi, all'improvviso, l'equilibrio era stato spezzato da quella città e soprattutto dai Winchester e dalla mia determinazione a tener loro nascosto chi ero veramente.
Guardai il mio riflesso nello specchio. La donna riflessa era completamente diversa dalla ragazzina nella foto. I capelli erano biondi e lisci, gli zigomi sporgenti e le guance lievemente incavate. La pelle cadaverica era risaltata dal trucco nero e gli occhi sembravano più scuri di quelli che avevo nella foto. Al posto della vecchia maglietta grigia di mio fratello indossavo una camicia, verde scuro, coperta dalla giacca di pelle nera. Portai la mano al collo, estraendo dalla camicia la collana d'argento e stringendola, come per accertarmi che fossi la stessa persona. Esteriormente ero cresciuta e cambiata, interiormente ero rimasta la ragazzina della foto.
Misi i polsi sotto l'acqua e aspettai di riprendere un po' di colore prima di uscire dal bagno e tornare dai Winchester. Non avevo preso il caffè, ma non credevo se ne sarebbero accorti.
-Sono morti, Sam!- Sentii quando arrivai in prossimità della porta che avevo lasciato aperta. Capii subito che stavano parlando della mia famiglia.La voce di Dean era lievemente alterata, ma contenuta e dovetti avvicinarmi allo stipite per riuscire a sentire meglio. 
-Ce ne siamo andati e sono morti!- continuò Dean.
-Non...Jade potrebbe...-
-Credi davvero che si sia salvata? Cos'è, scappata in mezzo ai boschi in pieno inverno, sconvolta, senza avere un posto dove andare e si è salvata?-
Silenzio.
-Ecco, appunto.- disse Dean, con un tono di voce considerevolmente più basso.
-Se fossimo rimasti solo qualche giorno in più...-questa volta era stato Sam a parlare.
-Non potevamo saperlo.-
-Ma tu avevi insistito per rimanere ancora. Se papà ti avesse ascoltato...-
-Non scaricare la colpa su nostro padre.-
-Non sto dando la colpa a nessuno,Dean.-
Silenzio.
Una breve risata.
-Che c'è?- chiese Sam.
-Venendo qui sapevo che non l'avremmo rivista. Voleva andarsene da qui...Solo...Non pensavo che se ne sarebbe andata in questo modo.-
Non me ne sono andata, sono ancora qui.
Il silenzio regnò sovrano per un tempo che parve interminabile.
-Ci vorrebbe del whisky.- continuò Dean, prima che nella stanza piombasse di nuovo il silenzio.
  
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