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Autore: IrethTulcakelume    18/11/2014    4 recensioni
“Il Grande Tempio… non ne restano che le rovine.” E non solo di quello, mi ritrovai a pensare. Era come se insieme a quell’immane struttura, anche coloro che vi avevano passato la maggior parte della loro vita fossero crollati. Come se le nostre vite fossero legate indissolubilmente al luogo che aveva visto la nostra gioventù, i nostri giorni felici, il nostro amore.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Aries Shion, Libra Dohko
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TI ASPETTO
 
Si avvicinò lentamente. La sua armatura d’oro produceva un lieve e rassicurante clangore, che mi ricordava il tempo in cui non c’era fretta… un tempo ormai passato da troppi anni. Quanto poco tempo mi era rimasto: la notte stava per finire, e riuscivo quasi a vedere il sole fare capolino dietro le montagne della Grecia. Guardai di sfuggita la Meridiana dello Zodiaco: l’ultimo fuoco, quello dei Pesci, era ormai in procinto di spegnersi. La mia vita – se così potevo chiamare quelle dodici ore che mi erano state concesse – si sarebbe conclusa con il morire di una piccola fiammella… che senso dell’umorismo aveva avuto il destino quella notte.
“Che cosa stai guardando?” Quella voce… avrei voluto restare lì ad ascoltarla ancora a lungo, ma ciò non sarebbe mai stato possibile. Era troppo tardi.
Sentendo le prime lacrime salirmi agli occhi, strinsi i pugni. Non potevo dimostrarmi debole proprio di fronte a lui… Dohko. “Il Grande Tempio… non ne restano che le rovine.” E non solo di quello, mi ritrovai a pensare. Era come se insieme a quell’immane struttura, anche coloro che vi avevano passato la maggior parte della loro vita fossero crollati. Come se le nostre vite fossero legate indissolubilmente al luogo che aveva visto la nostra gioventù, i nostri giorni felici, il nostro amore.
“Lo so.” Pronunciò quelle due parole in un tono strano… possibile che avesse capito ciò che stavo pensando realmente? Possibile che anche lui sentisse come se qualcosa, all’interno del suo cuore, si fosse irrimediabilmente spezzato? Forse… Sì, forse. Ormai, solo quello mi restava. Una piccola speranza. E un forse. “Beh, a quanto pare, alla fine anche i Cavalieri di Bronzo hanno preso parte a questa epica battaglia.”
“Ne sono molto dispiaciuto.” Eccome se lo ero. Altre battaglie da combattere, altri morti che non sarebbero mai più tornati indietro… Che senso aveva per loro combattere, se avrebbero potuto salvarsi?
“Nessuno avrebbe potuto fermarli.” E aveva ragione. Se neanche la possibilità di continuare a vivere li aveva trattenuti, cos’altro avrebbe potuto farlo? Lo sentii riprendere a camminare; nel superarmi, sfiorò la mia mano sinistra con la sua, e fui quasi certo di vederlo sorridere lievemente. Ma fu solo un istante. Continuò ad andare avanti, per poi sedersi su un gradino poco più in basso della mia posizione. Avrei voluto congelare quel momento, e vivere in quell’istante soltanto: mi sarebbe bastata quella quiete – e continuare a guardare Dohko.
“Purtroppo, probabilmente non sono riusciti a risvegliare il loro arayashiki.”
“In ogni caso, la dea Atena e Shaka devono esserci riusciti, ed ora devono essere nel regno di Ade a combattere. Usare l’arayashiki è il solo modo per entrare nel regno degli Inferi da vivi.” Lo sentii ridacchiare un poco; una risata amara, che nulla aveva a che fare con il suo modo di fare spensierato.
Ormai l’ottavo senso mi era precluso: a cosa mi sarebbe servito? Non ero vivo, non ero morto; non potevo neanche considerarmi uno Specter. E allora, cos’ero io? D’altra parte, in quel momento non aveva più importanza. Questione di minuti, e sarei tornato al mio sonno eterno.
“L’arayashiki, l’ottavo senso, l’ottavo livello della conoscenza; è un privilegio di pochi. Senza di esso, una volta negli Inferi si è costretti a sottostare alle leggi di Ade.” Quella volta fui io a ridacchiare. Chi meglio di me avrebbe potuto saperlo? Ero stato costretto a sottostare alle leggi di Ade… e di lì poco avrei smesso definitivamente di respirare, di parlare, di vivere.
“Noi siamo riusciti ad elevare il nostro cosmo fino al settimo senso, e questo ci ha dato la forza di vincere le battaglie più terribili, per uscire dagli scontri più duri.”
“Non questa volta…” Quello di Dohko fu appena un sussurro, probabilmente era anche convito che non l’avessi sentito. Mi morsi il labbro inferiore quasi a sangue pur di trattenere le lacrime.
Ci fu qualche interminabile istante di silenzio – l’unico suono era quello del vento, che nonostante la guerra, nonostante la morte… nonostante l’amore, continuava imperterrito a soffiare.
Fu Dohko a rompere quello strano silenzio; così breve, eppure così perfetto da essere eterno. “Anche Seiya e gli altri Cavalieri di Bronzo hanno raggiunto questo stesso livello di conoscenza. Forse in qualche modo ci hanno perfino superati. Non è lontano il giorno in cui risveglieranno il loro ottavo senso.”
Quando smise di parlare, la tentazione di lanciare un’occhiata furtiva alla Meridiana dello Zodiaco prese il sopravvento. Era così poco il tempo che mi restava, e quella fiammella azzurrognola così flebile… “Dohko… vorrei che tu rimanessi qui a parlare con me ancora a lungo.”
Appena udì queste parole, lui si alzò e si girò, guardandomi negli occhi. Fu allora che le vidi: calde lacrime solcavano il suo volto. Ormai non aveva più senso trattenere le mie, che prive di freni sgorgarono copiose dai miei occhi. Dohko salì quei pochi gradini che lo separavano da me e appoggiò la sua fronte sulla mia, prendendo il mio viso tra le mani. “Oh, Shion…” cominciò, la voce spezzata dal pianto che usciva a fatica, “perché il tempo è così crudele con noi? Duecentoquarantatré anni ho atteso… sono stati così lunghi senza di te, Shion, così lunghi…” E poi fece la cosa più giusta che potesse fare, l’unica – il tempo delle parole era finito: mi baciò. Non fu lento o delicato, niente di tutto questo: fu un bacio quasi aggressivo, pieno di rabbia. Rabbia verso Ade, che mi aveva dato solo dodici, effimere ore; rabbia verso quella maledetta Guerra Sacra, che si protraeva da troppo tempo e che aveva rovinato troppe vite; rabbia verso quell’esile fiammella, che presto avrebbe smesso di bruciare. Era colmo della nostra paura, della nostra disperazione. Fu un bacio bagnato delle nostre lacrime salate, che non doveva finire. Ma tutto, anche quel bacio, era destinato a finire, prima o poi.
Ci fermammo per riprendere fiato, i respiri affannosi avidi di ossigeno. Per un attimo ritrovai la forza di sorridere. “Hey, abbiamo aspettato duecentoquarantatré anni, cosa vuoi che sia qualche altro secolo per noi?” In quel momento, mi sentii davvero in grado di aspettare. Nulla sarebbe mai cambiato, avremmo continuato ad amarci, avessimo anche dovuto aspettare mille anni.
La fiammella si spense.
Continuai a sorridere. Pian piano, sentii una sensazione di leggerezza pervadere il mio corpo. Dopotutto, non era così doloroso morire.
Mentre mi dissolvevo e la mia vista si appannava, ebbi il tempo di dirgli un’ultima cosa: “Ti aspetto.” Gli lasciai un’ultima, evanescente carezza sul viso.
Nonostante le lacrime, vidi il suo sorriso.
Sì, l’avrei aspettato. Sempre.
  
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