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Autore: Seabreeze    19/11/2014    1 recensioni
ATTENZIONE: QUESTA ONE-SHOT É UNA SPIN-OFF DI 'A LUCI SPENTE'
Bill guardò il libro e poi la bustina, con un espressione di disappunto.
Si abbassò per prenderla, ma gli cadde nuovamente dalle mani quando sul retro lesse il proprio nome scritto con l’inconfondibile grafia di Tom.
Lasciò cadere la busta a terra e il cuore gli scoppiò in petto, ma le prime, se non le uniche, cose che gli passarono per la mente erano pensieri atroci. [...]
Dopo essersi parzialmente ripreso da quello shock iniziale, raccolse il plico e, quasi fosse brace ardente, la inserì di nuovo tra le pagine del libro con una velocità incredibile, chiudendo il volume nel primo cassetto della sua scrivania.
Non poteva leggere.
Che cosa poi?
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
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Disclaimer: I personaggi di questa storia non sono di mia proprietà. Tutto ciò che è narrato è solo frutto della mia fantasia, i fatti, quindi, non sono realmente accaduti.
Il racconto non è a scopo di lucro, ma è stato scritto per puro svago.
                                                          






Prima Spin-off di A luci spente

Farewell
 





Da quella notte, che Bill ricordava come la peggiore della sua vita, non aveva più rivolto la parola a Tom. Non perché avesse paura di venire umiliato ulteriormente, a dire il vero quello non gli interessava granché, ma perché aveva il terrore che negli occhi di Tom potesse leggere il più profondo e freddo disprezzo verso di lui e verso quel ruolo che aveva investito spudoratamente per tutto quel tempo.
Non avrebbe potuto sopportare anche quello, sarebbe stato davvero un dolore troppo grande.
Sentiva di essere sopraffatto dall’angoscia e le giornate in quella villa diventavano sempre meno tollerabili.
Doveva ammettere che tutte queste nuove esperienze vissute in così poco tempo lo avevano reso terribilmente confuso.
Non faceva che svolgere passivamente tutte le mansioni che gli assegnava David e poi correva a rifugiarsi nella sua camera, dove trovava davvero un po’ di quiete, perlopiù nell’ambiente che lo circondava. Lì c’era silenzio, tanto silenzio, e non era attorniato da gente che lo squadrava dalla testa ai piedi senza un po’ di pudore.
Nella sua stanza si sentiva libero da quel terribile macigno che portava con molta fatica durante tutta la giornata.

Le occhiate di Tom lo distruggevano, soprattutto perché non sapeva interpretare il suo sguardo, maggiormente perché non si era mai fermato molto ad osservarlo, non voleva dargli adito di pensare o fare qualcosa che lo avrebbe fatto stare male.
Eppure sentiva di vivere la vita con maggiore pesantezza, ma tentava di non faci troppo caso.

Come di routine, dopo essersi congedato dalla camera di David che doveva ammettere non si stava comportando affatto male, sembrava che lo lasciasse più libero ed erano poche le volte in cui gli si avvicinava un po’ troppo, si diresse a passo svelto verso la propria camera.
Raggiunta le grande porta di legno, abbassò la maniglia e oltrepassò la soglia.

La camera era totalmente buia, anche le persiane erano abbassate, proprio come le aveva lasciate lui. Il letto era ordinato e il tappeto ben sistemato sul pavimento. Questo era quello che riuscì a vedere con la poca luce proveniente dal corridoio, ma poi, dopo aver chiuso la porta alle proprie spalle, accese la luce.
Ogni volta che sentiva lo scatto dell’interruttore gli venivano i brividi.
Quella notte era stata davvero deleteria.
Gli sembrava già effettivamente troppo strano che Tom non l’avesse ancora fatto licenziare e che non gli avesse fatto una sfuriata in pubblico, ma Bill si aspettava qualcosa del genere in ogni momento, perciò cercava di essere preparato psico-fisicamente.

Sbadigliò sonoramente a causa della stanchezza e stava per raggiungere il bagno in camera, quando vide un libro nero posizionato proprio al centro della propria scrivania.

Bill si avvicinò con interesse al mobile e spalancò gli occhi quando si rese conto di cosa si trattava.

Romeo e Giulietta.

Possibile che non si fosse accorto di averlo portato via con sé pochi giorni prima?
Tentò di inghiottire un po’ di saliva, ma il suo esofago sembrava essere annodato. Il sudore freddo gli impregnò la fronte calda e stava quasi per mettersi a piangere.

David lo avrebbe davvero ucciso se lo avesse scoperto.

Già aveva dato un risvolto tragico a quella situazione che, ammesso che le cose fossero state come penava lui, non sembrava poi un dramma.
David non teneva neppure così tanto ai libri che conservava in quella biblioteca e forse non sapeva neppure di possedere un volume chiamato “Romeo e Giulietta”.
Ma a Bill bastava sapere che quel libro non apparteneva a lui per rendere tragico qualsiasi cosa lo riguardasse.

Si avvicinò maggiormente, deciso a rimetterlo al suo posto, ma quando lo prese tra le mani, dall’interno cadde una piccola bustina bianca che rovinò ai suoi piedi.

Bill guardò il libro e poi la bustina, con un espressione di disappunto.
Si abbassò per prenderla, ma gli cadde nuovamente dalle mani quando sul retro lesse il proprio nome scritto conl’inconfondibile grafia di Tom.

Lasciò cadere la busta a terra e il cuore gli scoppiò in petto, ma le prime, se non le uniche, cose che gli passarono per la mente erano pensieri atroci.
- Mi vorrà minacciare, mi vorrà licenziare - Classico, L’essere paranoico era una sua caratteristica.
Queste sue ossessioni lo portavano a vivere una vita angosciosa, non permettendogli di riflettere razionalmente sulle situazioni.

Dopo essersi parzialmente ripreso da quello shock iniziale, raccolse il plico e, quasi fosse brace ardente, la inserì di nuovo tra le pagine del libro con una velocità incredibile, chiudendo il volume nel primo cassetto della sua scrivania.

Non poteva leggere.
Che cosa poi? 


Stava per andare via, quando si rigirò e finì per gettare lo sguardo sul cassetto, dove aveva appena conservato il libro e la lettera.
Chiuse gli occhi, sperando di ottenere qualche segno, ma niente.
Tornò indietro e prontamente lo tirò fuori da lì, poi fece scorrere le pagine, fino a raggiungere quello spazio occupato dalla lettera bianca.
Poggiò il libro sulla scrivania con estrema cura e poi prese la busta tra le mani, rigirandola tra le dita, fino a quando non ebbe l’istinto di stringerla forte, tremendamente forte per far sì che si rendesse conto di quanto fosse vera.
In un lampo la sua mente fu sfiorata dall’ipotesi che il contenuto di quella busta potesse essere positivo e fremette dalla voglia di aprire la busta, ma trattenuto dal troppo desiderio di sapere cosa contenesse e sapeva che quell’immensa curiosità non era affatto un buon segno, perché se avesse deluso le sue aspettative, lo sconforto sarebbe stato davvero troppo grande.
Impaurito da quel pensiero, richiuse tutto in quel cassetto, esattamente come aveva fatto la prima volta.



 
*






Due giorni. Erano passati solo due giorni, ma a Bill sembrava già una settimana.
Aveva riflettuto molto in questo lasso di tempo ed era, finalmente, giunto alla conclusione che quello che stava facendo era solo un’inutile e patetica scenata.

A cosa gli sarebbe servito ostinarsi a non leggere quella lettera?
Assolutamente a niente.


Era seduto ai piedi del letto e teneva tra e mani tremanti quella busta.
Il cuore batteva in modo irregolare e la testa aveva preso a girargli.
Non era possibile che viveva con un’ansia terribile tutto ciò che riguardasse Tom.
Si disprezzò fortemente e aprì la busta, decidendo di tagliare la testa al toro una volta per tutte.
Dalla busta bianca ne estrasse un foglio dello stesso colore, sporco d’inchiostro nero.
Inghiottì un paio di volte e, prendendo un bel respiro, spiegò il foglio, iniziando a leggere .

“ Caro Bill, “

Alla sola lettura di quelle due parole, sentì di poter perdere i sensi.
Lo stomaco aveva dei crampi assurdi e sentiva un peso al centro della gabbia toracica.
Ebbe il forte impulso di lasciar perdere tutto e rimettere la lettera nella busta, impaurito da quelle fortissime emozioni che quasi gli facevano male.
Ma non sentiva di essere triste, anzi, tutt’altro, ma quel grappolo in gola non accennava a voler andare via.

“ Come la maggior parte di noi sa, chiedere scusa è una cosa molto complessa.
Molti, addirittura, considerano il ‘ saper farsi perdonare’ come un arte.
La regola più importante, quella universale, è di non sentirsi mai perdenti quando si chiede scusa. Chiedere perdono non è sinonimo di debolezza ma di controllo e di forza, vuol dire tornare subito dalla parte della ragione, spiazzando letteralmente la persona a cui sono rivolte le scuse che si trova così costretto ad ascoltare.
Chi l’avrebbe mai detto che io, Tom Kaulitz, avrei mai detto o scritto queste cose?
Eppure sì, sono arrivato alla conclusione che ammettere i propri errori è anche un gesto liberatorio: aiuta a portare all'esterno le emozioni senza reprimerle e a viverle più intensamente. “


Sentiva chiaramente che il suo cuore aveva smesso di battere e ci avrebbe persino creduto se non avesse avuto la certezza di essere ancora vivo e vegeto.

 Bill, sai benissimo quanto sia stato difficile per me buttar giù queste quattro righe. Non sono bravo con le scuse, perché, aimè, non è mai stata mia abitudine scusarmi con qualcuno, ma ognuno fa quello che può e anche se sono perfettamente consapevole che quello che ho fatto è spregevole, veramente raccapricciante, vomitevole, sgradevole, terribile, disgustoso o quant’altro, non potevo far finta di nulla.
Non mi aspetto che tu mi perdoni, ma quanto meno che tu sappia quanto mi dispiace.
So di essere terribilmente impulsivo e … stupido alcune volte, ma non posso farci niente, sono semplicemente io
. “

Le lacrime iniziarono a rigargli le guancie senza contegno, ma infondo lì non avrebbe mai potuto vederlo nessuno.
Si sarebbe davvero aspettato di tutto da Tom, ma non una lettera e, soprattutto, le sue scuse.
Tom Kaulitz non si scusava mai, allora perché lo stava facendo?
Forse avrebbe dovuto smettere di leggere, forse avrebbe dovuto evitare tutto questo mix di sensazioni che sentiva di non aver mai provato prima e che sapeva di non poter riprovare in futuro.

Faceva male, ma era un dolore dannatamente delizioso.

 Ti starai chiedendo per quale motivo ti ho scritto questa lettera, ma, a dire il vero, nemmeno io lo so. Ultimamente faccio tante cose senza riflettere e questa è sicuramente la migliore che abbia potuto fare.
Mi dispiace averti trattato male per tutto questo tempo, ma non capisco per quale motivo tu mi abbia tenuto nascosto quella verità per tutto questo tempo.
Avevi forse paura di me?
Sono stato esageratamente duro nei tuoi confronti.
 “

A queste parole strabuzzò letteralmente gli occhi.

Perché?
Avrebbe davvero voluto sapere il perché?


Era la dannatissima paura di perderlo che lo aveva spinto a nascondersi dietro questo segreto occulto del quale solo lui era a conoscenza.

Non aveva assolutamente nulla da perdonargli, ma il ricordo di lui sarebbe stato sempre troppo forte da sopportare.
Si sentiva oppresso e legato ad un sentimento che lo avrebbe distrutto.

E insieme all’enorme montagna di difetti che ho, sono anche uno di poche parole e sento di averne già dette troppe per i miei canoni.
Bill, so di non essere capace di scrivere una lettera, ma almeno ci ho provato.
Mi dispiace davvero.
Sii felice almeno tu e spero che un giorno ti ricorderai di me, che mi conserverai nei tuoi pensieri, ma non per quello che ti ho fatto quel giorno, ma per tutte le notti passate insieme.
Prego che almeno ricorderai tutto questo e voglio che tu sappia che sei stato l‘unico ad avermi costretto ad abbassare le mie difese.

Mi dispiace dirtelo così, ma so di non essere capace di farlo di persona.
Ti amo
. “

No.
Non poteva essere vero.
Ci doveva essere uno sbaglio.
Per forza.

Il foglio gli cadette dalle mani, proprio come la prima volta, ma a questo giro era certo che il suo cuore non avrebbe retto.

Tom aveva fatto in modo che lui provasse ogni tipo di sentimento o sensazione, buona o cattiva che fosse.
Lo aveva fatto piangere, lo aveva umiliato, deriso, violentato e gli aveva perfino fatto desiderare di morire, ma nello stesso tempo lo aveva reso la persona più felice e completa del mondo e aveva fatto in modo che apprezzasse fino in fondo quegli attimi di contentezza, solo perché lo aveva distrutto in precedenza.
Li aveva gustati a fondo e non avrebbe mai smesso di ringraziarlo per quello, ma non avrebbe mai e poi mai potuto immaginare di leggere quelle due piccole parole che lo avevano allietato e devastato allo stesso tempo.

“ Non so se ti farà piacere o meno, ma stamattina ho comprato per te questo libro, mi avevi detto che era il tuo preferito.
Spero che apprezzerai il mio regalo e ti prego di accettarlo
.“

Tutto il resto non contava più.



 
*






La notte stava passando inquieta e struggente.
Bill non riusciva a chiudere occhio, ma nemmeno voleva farlo.
Non faceva che ripensare a quella lettera che gli aveva letteralmente sconvolto l’esistenza.
Era giunto a svariate conclusioni in una ventina di minuti, ma nessuna che lo convincesse a fondo.

Non sarebbe potuto stare con Tom. No.
Il chitarrista si sarebbe presto scocciato di lui e Bill sapeva di non poterlo tollerare. Non poteva sopportare di averlo avuto e di non poter averlo più.
A quel pensiero gli vennero i brividi e si girò dal lato opposto del letto.

Era molto meglio non averlo proprio invece che doverci rinunciare in seguito forzatamente.

E quando si era quasi arreso al pensiero di non trovare una soluzione soddisfacente a quella situazione, gli sfiorò la mente la scelta più drastica che avrebbe mai potuto fare.

Sarebbe andato via.
Sarebbe ritornato in Germania.


Subito sentì di avere trovato il metodo giusto per mettere finalmente la parola fine a tutto quello, però il suo cuoricino, che continuava a battere troppo forte per i suoi gusti, lo pregava di ripensarci, ma non l’avrebbe fatto, mai.
Se ci avesse anche pensato semplicemente un momento in più, si sarebbe di certo pentito.



 
*






Quella mattina alle sue orecchie giungeva più chiasso del solito, il ché non capitava spesso.
Diciamo che quel fracasso bastò per svegliarlo dal suo sonno.
Tom aveva sempre odiato essere disturbato mentre era a letto, soprattutto la domenica che poteva dormire più a lungo.
Si tirò giù le coperte e sbruffò annoiato dal pensiero che quei rumori non erano affatto la causa del suo risveglio.
Erano passati tre giorni da quando aveva lasciato la lettera nella camera di Bill e il ragazzo non mostrava nessun cambiamento particolare.

Lo aveva sognato.
Era la quarta volta che lo faceva in una settimana.

Dopo essersi infilato un jeans e una maglietta, raggiunse il bagno per sciacquarsi il viso.
Rabbrividì quando quel liquido freddo sfiorò la sua pelle calda e tirò su il capo, contemplando la sua immagine nello specchio.
Era stanco. Gli si leggeva in faccia.

Stufo anche di quello, si infilò un paio di scarpe, deciso ad andare a parlare con Bill di persona.

Sì, era la cosa migliore.
Lo avrebbe fatto.


In fondo chi se ne fotteva del suo stupido orgoglio di merda?
Non poteva continuare a vivere come un pazzo nevrotico, evitato da tutti a causa del suo nervosismo cronico e non era solo questo il problema.

L’attesa era snervante.




 
*






<< David! Dov’è Bill? >>

Tom irruppe nella stanza tempestivo, dopo aver trovato vuota la stanza di Bill.
Il letto era disfatto, la scrivania vuota come l’armadio.
Il chitarrista pregò di aver cambiato stanza e la spiegazione più plausibile gli era sembrata quella che David gli avesse assegnato una nuova camera.

<< E’ andato via. >>

Tom spalancò gli occhi.

Cosa? Aveva sentito bene?

Bill era andato via.
Era andato via!
Cosa voleva dire che era andato via.

Non poteva essere vero …

Tom sentì di avere il fiatone senza aver fatto nessun particolare sforzo.
Lo stomaco gli stingeva e in quel momento avrebbe spaccato davvero tutto, compresa la faccia di pasqua di David.
Lo irritava.

<< Cosa? >>

<< E’ andato via! >> ripeté, alzando le braccia.

Tom si sentì davvero morire.
Non aveva mai potuto capire il significato di quella frase prima di quel momento.

Bill era andato via solo per colpa sua.

<< Ma da quando? Come? Perché? >> avrebbe voluto fare mille domande, pur sapendo bene che David non conosceva la risposta, esattamente come lui.

<< Tom! Ma cosa ti prende? >> rise stupito David << Io non lo so … E’ andato via, più o meno mezzora fa. >>

Gli occhi di Tom brillarono improvvisamente di una luce nuova: la luce della speranza.

Solo mezz’ora fa?

Stentava a credere che fosse vero. Forse era ancora in tempo a fermarlo.

Non diede peso all’atteggiamento di David e non si curò neppure di dargli alcuna spiegazione. Come un lampo si fiondò alla sua auto per raggiungere la stazione il più in fretta possibile.

Per favore, aspetta ancora un po’.

Proprio in quel momento sperò che Bill potesse sentirlo, sperò che potesse esistere una sorta di telepatia che lo avrebbe trattenuto qualche minuto in più.
Quando si immise sull’autostrada, pur andando quasi a duecento all’ora gli sembrava di procedere troppo lentamente.
Avrebbe potuto fare un incidente e morire in meno di due secondi, ma in quel momento passava tutto in secondo piano, perfino la sua stessa vita.
Aveva commesso davvero un grosso errore, anzi, più di uno.
Si odiava per quello e sarebbe stato disposto anche all’autoflagellazione, se fosse davvero servito a qualcosa.

Bill era una persona magnifica, forse davvero troppo per lui.
Se era andato via voleva dire che non lo aveva perdonato, non ne era stato in grado e Tom non poteva di certo fargliene una colpa, ma quel pensiero lo lacerava e non poteva credere che fosse vero se non l’avesse sentito uscire dalle labbra di Bill, poi lo avrebbe lasciato andare.

Gli faceva terribilmente male la testa. Le tempie gli rimbombavano come due tamburi, ma non avrebbe lasciato che un piccolo malessere lo fermasse. Doveva arrivare alla stazione il prima possibile, doveva trovare Bill e doveva parlargli. Le lacrime iniziarono a premere per uscire e Tom non nascose di essere un tantino infastidito per quello.
Si odiava. L’aveva già detto?

Appena arrivò alla stazione, lasciò la macchina dove si trovò, senza porsi minimamente il problema di dare fastidio a qualcuno o chi sa cosa. Tutto il resto era secondario.
Contò i passi che lo separavano dai binari e un’ondata di felicità lo invase quando vide il treno ancora fermo si di essi, ma ebbe un tonfo al cuore quando, al suo ingresso, il treno iniziò a muoversi e avvistò Bill affacciato ad uno dei tanti finestrini.

Bill.

Tom avrebbe voluto dire davvero tante cose, forse troppe, che si accavallarono l’una sull’altra, non permettendogli di pronunciare neppure una sillaba.
Quella situazione gli sembrava del tutto impossibile, il suo malessere gli sembrava impossibile, il fatto che gli importasse così tanto di Bill gli sembrava totalmente impossibile.

Sentendosi davvero amareggiato cominciò a correre affiancando il treno, pur sapendo di non potere, ormai, più nulla.

Lo aveva perso.












 
Fine



























Note Autrice: 
Buonasera! Ed ecco che senza troppa attesa - come promesso -, ho postato questa spin-off, molto semplice, di A luci spente. Quindi, per chi l'avesse letta e non ci ha capito niente, non preoccupatevi, non è colpa vostra - né mia -, ma il problema è che non avete letto la "long" - se doveste essere interessati, potete trovarla qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2213076-

Non ho voluto scrivere qualcosa di complesso, ma soltanto rendervi noto il punto di vista di Bill al momento della lettura della lettera. Pensavo fosse importante 'sbirciare' la sua reazione, oltre che seguire Tom nella stesura. 
Così come sentivo l'esigenza di rendere più chiaro i motivi ( o meglio il motivo) che aveva spinto Bill a tornarsene a casa nel giro di così poco tempo. 

Spero vi sia piaciuta, per quanto non sia un granché, ma serve per chiarire la cornice. 
Notizia super shhh: ci sarà un'altra spin-off di questa fanfiction che è tutt'ora in fase di stesura. É al momento inedita e verrà postata a breve proprio qui su EFP.

Vi lascio tanti baci e un immenso GRAZIE!
  
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