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Autore: Impossible Prince    20/11/2014    2 recensioni
«Il vuoto è misterioso. Se tu guardi dentro il vuoto, il vuoto poi guarda dentro di te e ti consuma»
Dream è un giovane di venticinque anni con una grandissima carriera di allenatore alle spalle e un presente da giornalista per il più importante quotidiano nazionale.
Sfiduciato e poco stimolato dal mondo degli allenatori, Dream si ritrova in poco tempo, senza opporre resistenza, in balia di party aristocratici, Campioni incompetenti e amici incapaci di stimolare e risollevare la sua vita dalla noia, che ormai è diventata le fondamenta su cui si basa la sua esistenza.
Il ragazzo dovrà destreggiarsi così in un contesto politico precario, dove il Presidente del Consiglio Giovanni porta avanti politiche sempre più autoritarie e liberticide e ricordi di un passato apparentemente invalicabili che costituiscono una pesante ombra sul suo futuro.
Tutti i capitoli sono stati oggetto di una profonda riscrittura.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Giovanni, N, Nuovo personaggio, Red, Team Rocket, Vera
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime, Videogioco
Capitoli:
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Capitolo 18 – Fama Capitale
 
16 Agosto 2011
«Posso darti del tu?» chiese la donna con un sorriso dolce, volto a mettere l’allenatore a proprio agio.
Si trovavano sulla grande terrazza del Centro Commerciale di Fiordoropoli, lei era Elvira, la vice-direttrice de “Il Corriere di Fiordoropoli”. Una donna alta, occhi azzurri e lunghi capelli biondi.
«No problem, assolutamente..» rispose Dream con voce roca, mentre si toglieva gli occhiali da sole con una piccola smorfia per la forte luce solare che gli infastidiva le pupille.
«Ore piccole?» chiese Elvira sorridente, mentre posava il registratore sul tavolo e tirava fuori da una piccola borsetta decorata con le immagini di un Bellossom un taccuino.
«Ormai sarebbe strano per me farle “grandi”, le ore» fece ironico, mentre sollevava delicatamente il viso al cielo dove il Sole aveva già cominciato a scaldare pur essendo solo le nove di mattina.
«Allora, Dream, questa è la tua prima intervista per un quotidiano che non sia sportivo. Prima di pubblicare l’intervista, sono solita a scrivere la biografia del mio intervistato. Ma bene o male scrivo informazioni che conoscono tutti. Con te vorrei fare una cosa differente, perché non ti presenti tu?».
Dream sorrise, abbassò la testa, si grattò per un secondo il naso e poi cominciò ad osservare Elvira negli occhi: «Sono Dream, ho vent’anni e tutti vogliono uccidermi. I miei amici mi hanno condannato ad essere una macchietta, i miei genitori non mi hanno mai capito e il mio lavoro... mi sta facendo perdere la fiamma.
Poi mi guardo allo specchio e vedo esattamente ciò che sono...».
«E cosa sei?» chiese la giornalista dando una fugace occhiata e segnando tutto rapidamente sul blocco note.
«L’incarnazione umana della noia».
«E’ una definizione davvero interessante, ma ci tornerei dopo su questo punto. Perché sarebbe carino sapere com’è tutto cominciato. Com’era il Campione prima di diventare Campione».
«Vengo da Borgo Foglianova, penso che lo sappiano tutti questo.
Tutti parlano di quanto la nostra società sia cambiata dopo la crisi, dopo il buco nei conti, la disoccupazione, la miseria, la paura, gli attentati. Nessuno però parla di come eravamo prima che tutto questo succedesse.
Già, come eravamo prima? Beh, Elvira, io me lo ricordo. Io ricordo da dove vengo.
Vengo da una città in cui le sveglie suonano tutte la stessa condanna. Non è stata sufficiente la Scuola per Allenatori per arginare i fenomeni di degrado sociale e per quanto Bruno Fogli abbia fatto uno splendido, grandioso lavoro, purtroppo anche lui ha dei mezzi limitati.
Quando tornavo a casa dal parco, dopo un pomeriggio passato a studiare e giocare con gli amici, non potevo non passare da dei vicoletti appena illuminati in cui si appostavano spacciatori con chili di droga e i loro clienti, con più buchi sulle braccia che anima. Ricordo i loro sguardi sul mio corpo, le loro occhiaie viola, i loro denti marci, il tanfo che emanavano. Uscivano come ratti appena sentivano qualche passo sull’asfalto, pensando che fosse il loro amico con altra “roba” da condividere.
Ora la situazione è molto migliorata – volle precisare Dream per evitare polemiche sterili con il sindaco di Borgo Foglianova – certe situazioni non le vedo più nei miei soggiorni. Ma posso garantire che quello ha sicuramente inciso sulla mia vita».
«Hai avuto quindi un’infanzia difficile?» chiese la donna, con un tono di compassione.
«Oh, per carità, assolutamente no. La mia vita non è stata difficile. I miei genitori conducevano una vita agiata e hanno permesso anche a me di viverla. Non sono cresciuto in una situazione di degrado economico o sociale. Dico solo che bisognava stare attenti, molto attenti, a dove si andava, con chi si andava e le ore in cui si usciva.
Era una sorta di... stato sovietico quello di Borgo Foglianova di quando ero giovane. Ad una certa ora scattava il coprifuoco. E se non lo rispettavi potevi venire aggredito da questi pazzi eroinomani scatenati».
«Ma ci sarà stato anche qualche lato divertente in tutto ciò, no?».
«Oh, sicuro!
Ricordo che era usanza, durante l’ultimo anno di scuola, salutarmi con “Mi raccomando, Dream, fai il bravo!”. Non ricordo come nacque quel modo di dire, probabilmente non lo sapeva nessuno, ad esser onesto. Non sapevamo neanche chi fu la prima persona ad idearlo o quale evento lo avesse scatenato. Forse non c’era davvero nessuna storia dietro, era nato come un semplice saluto differente...
In ogni caso, io rispondevo con “Sempre”...».
«E tutto questo è curioso, in un certo senso. Nell’ultimo anno possiamo dire che la tua vita non è stata esattamente quella da “bravo ragazzo”». Elvira puntò immediatamente l’attenzione sulle abitudini sregolate che l’allenatore aveva assunto dopo la nona vittoria alla Lega Pokémon.
«Beh, posso ammettere che effettivamente non sono mai stato lontano dai guai... alla fine ho aiutato a sgominare il Team Rocket agli albori della mia vita da allenatore, ho aiutato a sconfiggere il Team Idro e il Team Magma, assieme a tanti altri ragazzi e ragazze come me, sono stato chiamato dalla Polizia Federale per la guerra contro il Team Galassia. Quindi sì, in qualche modo ho sempre giocato con il pericolo, anche a scuola». Dream sgusciò dalla domanda con gran saggezza. Non voleva che gli si andasse a dire che certe cose non si fanno, che è un pessimo esempio. Non voleva sentire ramanzine dalla giornalista e non ne voleva dall’opinione pubblica nei giorni successivi. L’ordine era “evitare”, o al massimo concedere solo nel momento in cui si avrebbe avuto il coltello dalla parte del manico.
«Cos’altro ricordi della tua vita scolastica?». Elvira non tornò immediatamente all’attacco. Sembrò andare in ritirata, magari per colpire successivamente.
«Ricordo che non ero uno studente molto popolare... Per molti ero un semplice miracolato, senza alcuna abilità e capacità da poter sfruttare nel mondo esterno ma che all’interno dell’istituto godevo della simpatia dei professori.
Per altri, invece, avevo la puzza sotto il naso, ingiustificatamente. Si sentivano migliori di me e quando la notizia che avrei ricevuto un pokémon iniziale direttamente dalle mani del Professor Elm, questi soggettoni sono stati i primi a schiumare d’invidia. E’ stato tutto molto divertente ai tempi» concluse il ragazzo sorridendo.
«Questa situazione di invidia, ti ha mai messo in una condizione di pericolo ai tempi?».
«In un certo senso...
Ricordo che un giorno, durante un intervallo, stavo camminando per i corridoi. Mi dicevano sempre “tu cammini con un’impeccabile postura: sempre la schiena dritta e un passo così rapido che puoi consumare il pavimento!” – disse mimando la voce di un’altra persona – Ad un certo punto mi sono sentito un paio di mani posate sulle mie spalle che mi hanno spinto contro il muro facendomi colpire con la nuca lievemente la parete.
Ricordo i suoi occhi azzurri... si chiamava Lorenzo mi pare, e ricordo che mi fissava intensamente, riuscivo a sentire il suo respiro sulla pelle.
Le mani passarono dalle spalle al colletto della mia maglia e potevo vedere i suoi occhi che si avvicinavano minacciosamente.
Mi disse: «Rivolgiti ancora a me in quel modo e ti giuro che…» ma io lo interruppi immediatamente e come un giornalista che si intende di criminalità organizzata o politica, mi son messo a sviscerare tutti i guai della sua famiglia. E provocatoriamente gli faccio: «Cosa fai? Chiami papino? Mi pare che sia in carcere perché si è invischiato nel Team Rocket. Tuo fratello? Pure…  Credi di essere davvero di essere nella posizione di poter minacciare qualcuno?».
Per un momento tale Lorenzo sembrò allontanarsi per poi tornare alla carica mostrando un pugno che si è fermato a pochi centimetri dal mio volto perché grazie a Dio un professore era giunto giusto in tempo!».
In quel momento avrebbe voluto anche dire come si sentiva alla giornalista in quel periodo, ma pensò che era meglio evitare per non dargli troppe informazioni sulla sia vita passata e privata.
Ad esempio, perché ammettere che lui non si sentiva come gli altri? No, lui si sentiva superiore agli altri. Stimava i suoi amici, ma non troppo, li trovava comunque troppo apatici o semplicemente troppo ignoranti rispetto a quello che era lui. Capitava anche che dubitava della bravura di alcuni compagni, solitamente non brillanti, quando prendevano un voto simile al suo nelle varie prove ed esami.
Quando verso la fine dell’ultimo anno di scuola, il professor Blaine, in un momento di inusuale gentilezza, gli chiese «Con chi partirai per il viaggio?» fu l’unico a rispondere con un secco «Nessuno».
Dream era l’unico allenatore a partire da solo. I suoi compagni o i suoi coetanei partirono tutti in coppia o in gruppi da tre, per farsi compagnia durante la notte negli umidi percorsi di Johto, «La notte non è pericolosa se hai un buon pokémon allenato, mamma. La gente scansafatiche è pericolosa» disse a sua madre quando questa tentava di persuaderlo a partire con qualche conoscente. Ma Dream fu irremovibile e partì subito dopo la premiazione di settembre.
 
Giuly si tappò la bocca con le due mani, mimando di soffocare un urlo. La notizia che Dream era in stato di arresto l’aveva sconvolta tanto da farla piangere.
Il ragazzo la strinse forte a sé, poi si avvicinò all’orecchio e sussurrando disse: «Non mi succederà nulla, Giuly. Non accadrà proprio nulla».
«Sì... ma i tuoi pokémon?» chiese lei allontanandosi un attimo, continuando a singhiozzare.
«Sono già stati tutti trasportati a Kalos. Io e Vera li abbiamo spediti un po’ alla volta nelle scorse settimane. Rimane con me un solo pokémon – disse mostrando la sfera poké – ed è talmente bravo che poi raggiungerà gli altri da solo» concluse lui con un certo orgoglio.
«Ma casa tua?».
«Casa mia è svuotata. Totalmente. Son rimasti solo i muri e il pavimento. Quei cretini rimarranno di stucco quando sfonderanno la porta e migliaia di coriandoli li travolgeranno con un fantastico botto!».
«E tu? Che fine farai?».
«Oh, Giuly cara, quante domande mi fai! – Disse il ragazzo allentando la presa e dirigendosi verso l’appendiabiti, dove aveva appeso il proprio giubbotto di pelle – Mew mi porterà a Ponentopoli, da lì prenderò un volo diretto a Luminopoli. Abbiamo fatto i calcoli su quanto tempo ci mette la Commissione a trasmettere i dati alle prefetture e ho tutto il tempo di imbarcarmi e partire. Specie se ho documenti falsi, come nel mio caso. Per questo viaggio mi chiamerò Luca Silbioni – disse tirando fuori dal portafogli la nuova carta d’identità – me l’ha fatta avere Vera».
«Sicuro di non venire scoperto?» chiese Giuly avvicinandosi all’amico e prendendo in mano il documento contraffatto.
«Sicurissimo! I laboratori di quella regione socialista sono più funzionali di quanto tu possa pensare... la cosa ha sorpreso anche me. Avranno i treni con più ruggine che ossigeno, ma per le cose criminali su Hoenn puoi contare».
Dream allargò le braccia per salutare definitivamente la ragazza, che ricambiò l’abbraccio ricominciando a piangere nuovamente.
«Su, tranquilla! Ci rivedremo presto! Lo hai sentito il telegiornale, no? Presto questo governo verrà dichiarato illegale in tutto l’universo e abrogheranno tutti gli atti perpetrati da questi ratti fascisti e potrò tornare a casa, presto presto!».
«Hai ragione – disse lei tirando su con il naso – ci vediamo presto» e sorrise delicatamente.
Dream lasciò scivolare Mew fuori dalla Pokéball che cominciò a librarsi in aria con i suoi soliti movimenti irregolari.
«Mew, tocca a te, coraggio».
Il pokémon creò una bolla che lo racchiudeva assieme al suo allenatore, poi la bolla schizzò in aria attraversando tutti gli appartamenti posti sopra quelli di Giuly finché non superarono il tetto del grattacielo. Erano invisibili e avevano lasciato ogni principio fisico entrati in quella speciale sfera che il Novaspecie aveva creato.
Dream ammirò per l’ultima volta Fiordoropoli illuminata da un miliardo di luci che la formavano. Sì, quella Fiordoropoli che l’aveva visto crescere, quella Fiordoropoli che lui ha visto crescere, ampliarsi, diventare una delle città più importanti del mondo. Quella Fiordoropoli che l’ha stretto tra le braccia come una madre e gli ha insegnato tutto quello che sapeva per sopravvivere in quel mondo. Quella Fiordoropoli che tanto gli aveva dato e che tutto gli aveva tolto.
I suoi occhi furono invasi da una forte luce bianca, Mew aveva utilizzato Teletrasporto.
Chissà che cosa avrebbero pensato Davide, Daniele, Alessio di Dream ora. Loro che erano soliti augurarsi che Dream non facesse il cattivo ragazzo, come lo avrebbero considerato ora che era un fuorilegge?
 
18 Settembre 2001
«Croconaw… Croconaw stai fermò! Muoviti! Vieni qua!» gridò a voce soffocata Dream. Il pokémon, impegnato a lottare contro uno Spearow, guardò intensamente Dream, aprì sufficientemente la mascella per permettere al pokémon Uccellino di fuggire e poi corse all’interno della tenda che il suo allenatore aveva montato per passare la notte.
All’interno dell’installazione, oltre a Dream, c’era Cyndaquil. Il piccolo pokémon Fuoco si era addormentato mentre scaldava l’ambiente per la notte.
Il ragazzo rientrò e si sedette a gambe incrociate, tornando a leggere le informazioni sul suo Pokégear.
«Allora, Croconaw – proseguì sotto voce il ragazzino – la prossima città che incroceremo sarà la capitale, Fiordoropoli. Attualmente, sono riusciti a battere Chiara esattamente… zero allenatori della nostra annata».
Era incredibile che nessuno dei suoi compagni fosse riuscito a superare la terza Capopalestra, questo destò in lui non poca preoccupazione sulla preparazione che gli sarebbe servita per superare la sfida. Per un attimo si allontanò con la mente e cominciò a ricordare chi furono gli allenatori sfidati fino a quel momento, tentando di capire come mai loro non erano riuscii ancora a sconfiggere Chiara. Capì che il loro problema era l’allenamento che avevano riservato alla propria squadra. Gli altri ragazzi erano più concentrati a camminare a passo spedito piuttosto che occuparsi della loro squadra. E così una volta sconfitto il primo pokémon mandato in campo, che si trattava sempre del primo pokémon ricevuto, il resto della squadra era completamente impreparato ad affrontare altri pokémon. Dream invece procedeva più lentamente, allenando l’intera squadra in maniera equilibrata, ecco perché il suo Pidgey si era evoluto in Pidgeotto, il suo Ekans in Arbok e Totodile era passato al suo secondo stadio evolutivo, Croconaw.
«Chiara è esperta in pokémon di tipo normale – continuò il ragazzo, leggendo “Introduzione alle Palestre di Johto” – l’interno della palestra è formato da un complesso labirinto di fiori e piante che forma un Clefairy e… blablabla… la capo palestra si trova al centro. Beh, Croconaw, domani saremo i primi allenatori a sconfiggere Chiara» concluse sorridendo Dream, prima di coricarsi e addormentarsi profondamente.
 
Fiordoropoli era stata  scelta come capitale della neonata Repubblica Federale di Pokémon, uno stato di tipo federale fondato ufficialmente il primo gennaio del 2000.
La Repubblica venne fondata da tre stati precedentemente indipendenti: Johto, Kanto e L’Arcipelago Orange. Inizialmente i rapporti tra i vari Paesi erano esclusivamente di natura economica, nel corso degli anni le politiche di integrazione si fecero via-via sempre più profonde arrivando prima ad un’integrazione monetaria, bancaria e infine politica, che ha raggiunto il suo apice più alto con la creazione di un unico Stato formato da una Costituzione, un Parlamento Federale, un Presidente della Repubblica Federale e altri organi federali come la Corte Costituzionale o quelli utili al coordinamento della Magistratura.
Ma proprio perché lo Stato nacque come frutto di un compromesso, tra stati portatori di interessi lievemente differenti, per evitare la creazione di una fusione a freddo, si decise di siglare accordi al ribasso. E così, la legge fondamentale dello stato era stata creata in maniera molto flessibile con i principi fondamentali facilmente aggirabili per permettere al Parlamento – e al Governo Federale – con una ridottissima possibilità di incorrere nelle sanzioni della Corte Costituzionale.
La scelta della Capitale fu frutto di un compromesso politico ben congeniato. Le città candidate erano Fiordoropoli per Johto e Zafferanopoli per Kanto. L’Arcipelago Orange, non possedendo città sufficientemente grandi da poter utilizzare come Capitale della Repubblica si autoeliminò immediatamente dalla questione diventando una bacinella di voti utili per la votazione finale.
L’accordo su Fiordoropoli venne raggiunto solo quando il governo di Johto autorizzò la chiusura dei casinò cittadino rendendoli legali solo nell’area di Azzurropoli; esclusività che perse anni dopo con l’annessione dello Stato di Hoenn che, con la sua Ciclamipoli, ridusse notevolmente l’importanza del Casinò della città di Kanto. Numerose furono le proteste da parte dei cittadini di Zafferanopoli che vedevano la loro città perdere grado passando da capitale di uno stato indipendente a capitale di uno stato federato.
Non era la prima che Dream visitava Fiordoropoli. Aveva visitato la Capitale già altre volte, per accompagnare i genitori nello svolgere diverse commissioni. Il 19 Settembre 2001 era però la prima volta che camminava per quella giunga di cemento solo con la sua squadra.
Incontrò prima il quartiere de “Il Mercato”, posto a meridione, che gli diede un’immagine abbastanza controversa della città. Mai aveva visitato quella zona ferma nel tempo, in un primo momento pensò addirittura di essersi perso ed esser giunto in qualche paesino non segnato sulla “Mappa Città” del Pokégear. Fu solo continuando per la strada che riconobbe alcune vie che aveva già percorso con i genitori e in breve tempo si trovò all’incrocio tra “Corso della vittoria” e “Corso dell’onore”, le due vie più grandi di Fiordoropoli che si univano in una grande piazza di forma circolare su cui era costruita una fontana che emetteva una grossa fiamma rossa.
Provava una particolare emozione dentro di sé, qualcosa mai sentito prima di quel momento. Né Violapoli, per quanto fosse stata la prima città con una Palestra e neanche Azalina, gli avevano fornito quella sensazione così particolare. Saranno forse stati i grandi palazzi, sarà stato l’incredibile dinamismo, così lontano dalla tranquillità di Borgo Foglianova o sarà stata anche l’emozione di poter essere il primo sfidante che sarebbe uscito vittorioso dalla battaglia con Chiara, mai lo capì esattamente. Ma sentiva dentro di sé che ogni passo che faceva, quella città gli rubava una parte di sé e che presto lo avrebbe inglobato completamente. Voleva esser parte di quel luogo dove venivano raccontate quotidianamente più di sette milioni di storie. Voleva essere la sette milionesima e una storia.
Voleva guardare la città dal basso. Voleva carpirne i segreti, conoscere le persone. Per la prima volta capì cosa significava volere l’amicizia di qualcuno, anche se non sapeva ancora di chi, ma tutto il dinamismo visto sino a quel momento gli fece pensare che non avrebbe trovato persone prive di voglia di vivere come invece le aveva conosciute nella sua città natale.
Il suo cuore pulsava e i suoi occhi erano lucidi. Che cos’era quella sensazione? Era la stessa cosa che si provava quando si aveva sei, sette anni e a Natale si apriva il grande pacco incartato dai propri genitori.
La felicità.
Per l’ora di pranzo arrivò davanti alla Palestra di Fiordoropoli, ma non soddisfatto pensò di ricominciare a camminare e di tornare più tardi. Voleva esplorare ogni angolo della città.
Entrò in un piccolo bar, nella zona nord orientale della città, poco distante da un piccolo negozio di biciclette. Si sedette in un piccolo tavolino afferrando il quotidiano da quello affianco e ordinando un paio di toast e una Coca-Cola. Nel addentare il panino, nel sorseggiare con una cannuccia di plastica il contenuto della lattina, non aveva sentito alcuna voce che commentava le sue azioni. Una pace per le orecchie.
Nessun «Uh, guarda Dream che beve», nessun «Guarda come mangia Dream» e nessun altro commento tipico dei compagni di scuola di Borgo Foglianova, che aveva anche incontrato nella più piccola Azalina o Violapoli. Il silenzio di un bar poco frequentato nella calura di un’estate che non ne voleva sapere di finire mentre la radio trasmetteva “It’s Raining Men” di Geri Halliwell.
Tornò davanti alla Palestra e in quel momento le porte si aprirono, permettendogli di vederlo.
Il ciuffo nero usciva ancora dal cappellino, rigorosamente oro e nero, esattamente lo stesso che indossava il giorno del primo incontro. Indossava una felpa rossa e un paio di pantaloncini lunghi fino al ginocchio dello stesso colore del cappello.
Dream fece un cenno con la mano sinistra, sorridendo, ma dall’altra parte non arrivò nulla. Lo osservò attentamente, alla sua visione, Oro aveva mosso in maniera quasi impercettibile il labbro superiore. I suoi occhi non erano vuoti, come quelli di una persona distratta. Tutt’altro, erano pieni, ricolmi di rabbia, pronta ad esplodere.
Venne a sapere qualche ora più tardi, dalla temibile Capopalestra, che anche lui era stato sconfitto, informazione che Dream riuscì ad ottenere solo perché era riuscito a battere Chiara e il suo Miltank.
Oro venne rivisto solo quasi un anno più tardi, durante il tentato colpo di Stato da parte dell’allora Generale Rocket Archer divenuto poi Governatore di Johto.
Ma nel non venire salutato, Dream trovò qualcosa di poetico. Fiordoropoli si rivelava essere la città in cui le persone gentili, alla mano, disponibili diventavano l’esatto opposto, indifferenti, incuranti, quasi aggressive. Mostravano la loro vera faccia, la loro vera essenza. Si spogliavano delle ipocrisie, dei vestiti messi per compiacere e indossavano la loro vera pelle. Capii in quel preciso momento perché stava amando quella città: perché a Fiordoropoli tutti diventavano Dream.
Il resto della giornata venne passato in un piccolo parco, all’ombra della Torre Radio, assieme ad un compagno di classe incontrato per caso. Il giorno dopo partì, alla volta della storica Amarantopoli, ma in cuor suo lo sapeva che ci sarebbe tornato a Fiordoropoli, perché lui sarebbe arrivato a possederla. Il suo divenne un pensiero fisso, quasi maniacale, al pari di diventare il miglior allenatore della storia.
E così, dopo aver battuto la Lega, il suo primo pensiero fu quello di comprare un appartamento nella Capitale. E una volta messi da parti soldi sufficienti, il primo appartamento venne venduto e acquistato il loft dove abitò a lungo, fino alla sua condanna da parte della Commissione Giustizia del Parlamento Federale.
 
15 Agosto 2011
«You make me this,
Bring me up,
Bring me down,
Play it sweet,
Make me move like a freak
Mr.Saxo beat»
La musica pompava dalle casse ad un volume esageratamente alto. Il pavimento tremava a causa dei bassi e le luci stroboscopiche illuminavano quell’insieme di volti, quel mucchio di corpi che si muovevano sinuosamente tra loro, mentre le illuminazioni arrivando a lambire anche il cielo senza fermarsi un attimo.
«Chissà come ci si sente a diventare Campioni» gridò nell’orecchio un ragazzo dai capelli rossi, lentiggini sul viso e occhi azzurri. Si rivolse al suo amico di fronte a lui, mentre con gli occhi osservava Dream saltare sulle spalle di quello che gli sembrava essere il Campione Rosso. Si chiamava Dereck.
«Lessi l’intervista di un Campione qualche giorno fa in cui disse che quando riuscì a battere il Lance gli bruciavano gli occhi e sentiva la testa vicina all’esplosione» rispose l’amico. Capelli rasati, sopracciglio destro con un taglio e occhi castani, il suo nome era Pablo.
La musica si abbassò e si unì al duo un terzo ragazzo, carnagione scura, occhi neri, capelli ricci: «Parlavate di Campioni?».
Pablo annuì, andando a tempo di musica: «Sì, Christian, stavamo parlando di che sensazione si prova quando si vince».
«Beh – fece Christian alzando le spalle con spavalderia – vi manderò un messaggio con scritto cosa ho provato» concluse lui cominciando a muoversi anche lui con il ritmo della canzone.
«Sempre se riuscirai a battere Dream... dicono che vogliano farlo Campione Reggente della Lega di Johto» fece notare Dereck mentre con lo sguardo cercava di guardare Dream che sembrava essersi volatilizzato.
«Dereck, in tutta onestà, il mio obiettivo è batterlo, uguagliarlo e superarlo. Arriverò a vincere il titolo di Campione non per nove volte, ma per dieci e vi dirò come ci si sente».
«In realtà, se proprio lo volete sapere, la prima volta che divenni Campione, non capii assolutamente nulla» disse una voce alle spalle dei tre ragazzi. I loro sangue si raggelò sul momento e il cuore cominciò a pulsare in maniera forsennata, «Lo ricordo come se fosse ieri, la voce al megafono continuava a ripetere “Incredibile, Dream è il nuovo Campione! Dream è il nuovo Campione!” ma io non mi rendevo conto di nulla, e quando Lance è venuto ad abbracciarmi, per me era come se fosse un amico che mi stesse salutando come se stessi partendo per un lungo viaggio...
Le altre otto volte, invece... provavo delle vertigini. Sì, delle vertigini, perdevo quasi l’equilibrio» si prese un momento di pausa, bevve dal bicchiere di cristallo che aveva in mano e diede il tempo ai tre ragazzi di girarsi e osservare con sguardo imbarazzato che colui che avevano alle spalle era Dream.
«Tu poi, hai detto che vuoi superarmi – disse osservando attentamente negli occhi Christian – prego fai pure. Ma io alla tua età venivo chiamato dalla polizia federale per salvare il mondo, tu invece utilizzi il cognome del tuo paparino per imbucarti ai miei party. Alla tua età ero già diventato Campione otto volte... tu? “Bip bip” nessun titolo rilevato, ritenta, sarai più fortunato.
La verità che molti, come te, non hanno accettato, è che io sono il Campione e lo sarò per sempre. Anzi, ti dirò di più – disse avvicinandosi all’orecchio di Christian e abbassando la voce, fino a sussurrargli – io sono il Campione dei Campioni. Neanche nei tuoi sogni potrai raggiungermi» Dream si congedò con un cenno della mano.
«Ma cos’è che stiamo festeggiando esattamente?» pronunciò una voce femminile, rauca, lenta, emessa come se si stesse pronunciando una preghiera alla Madonna.
«Cosa stiamo festeggiando...» disse Dream sorridente alla ragazza, osservando dapprima gli occhi arrossati, l’iride azzurra, le ampie occhiaie sotto le palpebre della giovane donna. «A Settembre di dieci anni fa, cominciavo il mio viaggio di allenatore».
«Ma non sei un po’ in anticipo?» chiese lei, lasciando la bocca aperta come se fosse sconvolta.
«Ma poi a settembre siete tutti occupati e stanchi per il lavoro, io non sono superstizioso, cara... Come ti chiami?».
«Alexandra».
«Io non sono superstizioso, cara Alexandra… Alexandra come?» chiese il ragazzo per capire chi avesse davanti.
«Alexandra Del Vino».
Il nome non gli diceva niente.
La ragazza riprese a parlare: «Grazie per l’invito, Dream».
«Di niente – fece nascondendo l’imbarazzo per non sapere chi avesse di fronte – ci ha pensato l’organizzatore della festa a mandarli».
«Oh… – pronunciò, distogliendo lo sguardo e sentendosi mortificata – Fai bene comunque, neanche io sono superstiziosa, infatti non passo mai sotto le scale aperte e non lascio mai il cappello sul letto, non si sa mai che uno Zubat possa afferrarmi per i capelli».
Dream la osservò per un attimo perplesso, ricordandosi poi che quella probabilmente non sarebbe stata neanche la più grande assurdità che avrebbe sentito quella sera.
«Ma tu non alleni più?» continuò lei, proprio quando Dream si stava staccando per salutare una giovane ragazza che gli aveva appena fatto l’occhiolino.
Il ragazzo lanciò gli occhi al cielo, poi tornò sorridente a osservare la sua interlocutrice.
«A dire il vero sono in pausa... è come se mi avessero tolto la voglia di lavorare».
«E chi te l’ha tolta?» chiese lei, allargando gli occhi e socchiudendo la bocca.
«Le scimmie».
«Le scimmie?».
«Questi animali» disse lui, indicando tutti i presenti alla festa, che continuavano a ballare e strusciarsi tra loro, senza fermarsi, mentre il sudore grondava dalle loro fronti, dalle loro ascelle, bagnando il collo, la maglietta e venendo poi lanciato inconsciamente e involontariamente sulle altre persone. Contemporaneamente, la mano sinistra si posò sui capelli biondi di Alexandra, osservandola con un sorriso paterno e poi si allontanò, lasciando la giovane da sola, con in mano un bicchiere di Martini e niente più.
 
16 Agosto 2011
«Scimmie? Che cosa intendi per “Scimmie”, Dream?» domandò Elvira, mentre il Sole continuava ad illuminare la terrazza del Cetro Commerciale di Fiordoropoli.
«Queste persone senza cultura, senza uno scopo, senza idee, senza personalità. Persone che vivono perché morire è troppo faticoso. Vanno quindi alle feste, ogni festa, nessuna esclusa, bevono drink su drink, tirano su le strisce ideate da Pollon e continuano a fare quello che fanno solitamente: niente».
«Mi sta dicendo che gira della droga alle feste?» chiese la donna come se avesse tra le mani uno scoop bollente.
«Avanti, il Papa è cattolico?».
«Deduco di sì».
«Non ho mai aspirato coca, e neanche me l’hanno mai proposta, ad esser onesti. Ma quando dici ad una persona che non sei superstiziosa e questa ti risponde che neanche lei lo, accertandosi sempre di non passare sotto le scale, di non posare il cappello sul letto...».
«Non può essere semplice... ignoranza?».
«Oh certo, ma quando le assurdità arrivano in compagnia di occhi arrossati, vuoti, e occhiaie lunghe come la ferrovia Ferruggipoli-Lavandonia, un paio di domande se sia effettivamente ignoranza, me le pongo».
«Quindi non si diverte con i trenini dei party? Mi han detto che anche alla sua festa di ieri ce ne sono stati parecchi».
Dream sorrise amaramente, alzando la mano e schioccando le dita, chiamando il barista del piccolo baracchino posto a qualche metro da lui.
«Oh, ti dirò. Quando allenavo, dovevo viaggiare molto, ovvio, no? E tra me e i viaggi c’era una sorta di rapporto conflittuale, una specie di bipolarismo: amavo viaggiare, amavo consumare le suole delle mie scarpe sul terreno, oh, come se lo adoravo. Dio solo sa quante volte sono passato nel deserto di Hoenn, o quanto ho usato Surf tra Fiorlisopoli e le Isole Vorticose...
Però poi arrivavo a destinazione, no? E quella è la parte che odio. Quando le porte del Centro Pokémon si aprono e mi siedo in attesa che i miei pokémon si riposino. Quando poso o bagagli nel piano di sopra e passo la notte lì. Ecco, quella è la parte che apprezzo meno. Amo il viaggio, odio arrivare a destinazione».
Al tavolo arrivò un ragazzino che aveva forse 16 anni, con un grembiule bianco e una camicia nera a maniche lunghe, arrotolate fino al gomito sotto cui stava patendo un caldo infernale. Dream ordinò una bottiglia di acqua naturale fresca, mentre Elvira un succo di frutta ai frutti di bosco.
«Sì, ma questo cosa c’entra con i trenini?» lo incalzò Elvira.
«Giusto – fece Dream ponendo gli indici in direzione della giornalista – a me quei trenini piacciono un sacco, e sai perché?».
«No, sono qui ad aspettare la tua risposta, perché?».
«Perché nessuna di quelle scimmie andrà da qualche parte. Rimangono nella loro giungla. Nessuno di loro andrà mai da nessuna parte, nessuna». Dream cominciò a ridere di gusto mentre la giornalista lo fissò gelida, mentre la penna si piegò di lato sorpresa dalla risposta data.
«Quindi tu non arriverà da nessuna parte?».
«Io non so più dove andare, Elvira. Dove devo andare, di grazia? Ho frequentato più party nell’ultimo anno che catturato pokémon. Gli allenatori che all’inizio si mettevano in mezzo nel mio percorso per incrociare il mio sguardo, ora si nascondono al mio passaggio e un allenatore che non combatte con altri allenatori è un allenatore a metà. E che noia, essere a metà, che noia».
«Neanche il suo amico Rosso arriverà mai da qualche parte?».
«Rosso ha deciso, di sua spontanea volontà, di non arrivare da nessuna parte. E’ diventato Campione, si è impiantato sul Monte Argento e non si schioda da lì. Certo, è divenuto una leggenda, “L’Allenatore del Monte Argento” lo chiamano. Ha tirato forse il più grande colpo da maestri alla più grande associazione criminale di questo Paese, bisogna dargliene atto, ma poi? Una volta finita l’epoca del Rosso, una volta finita la guerra al Team Rocket, Rosso cosa ha fatto? Niente».
«E’ sempre così critico nei confronti dei suoi amici?».
«Oh – Dream sbuffò sarcastico – sono tanto critico con me stesso, mi potrò permettere il lusso di esserlo nei confronti degli altri?».
«Sì, ma quest’intervista verrà pubblicata su un giornale nazionale. Non ha paura che possa sentirsi offeso?» chiese lei, incerta sul da farsi.
«Ma no, assolutamente. Sono tutte cose dette tante volte. Tutti sanno quanto io adori Rosso, ma tutti sanno anche che non approvo certe scelte».
La giornalista rimase muta, immobile davanti a quella risposta. Dream era un fiume in piena, si aspettava un’intervista pacata nei contenuti, e invece era un tornado, una diga fratturata che avrebbe travolto l’intera città.
Avrebbe potuto chiedergli di una qualsiasi persona e avrebbe trovato materiale che avrebbe fatto vendere il giornale comunque.
«C’era la Capopalestra di Fiordoropoli, Chiara, alla sua festa. Anche lei non andrà più da nessuna parte?».
Dream sorrise sentendo la domanda.
«Dieci anni non c’era Palestra più temuta di quella di Chiara. Incuteva paura anche solo pronunciare il suo nome. Siamo usciti dalla Scuola per Allenatori, nel 2001, con il terrore della terza Palestra. “Chiara è impossibile da battere se non allenate come vi abbiamo insegnato”, o ancora “Poi allenate la vostra squadra con i piedi e ci pensa Chiara a darvi una lezione”.
Per me non fu un problema, ma quell’anno la metà dei diplomati lasciò perdere la Lega Pokémon a causa sua. Poi vai a vedere i dati di quest’anno, emanati dall’Associazione Nazionale della Lega Pokémon e cosa risulta? Risulta che praticamente tutti gli allenatori che hanno sfidato Chiara sono riusciti ad ottenere quella medaglia. Tutti, nessuno escluso. Mentre per le altre Palestre la media rimane sempre quella.
Direi che la signorina Chiara forse dovrebbe lasciare il posto a qualcun altro di più competente, perché il suo treno ha terminato la sua corsa cinque anni fa, forse. E ora sta aspettando che il treno riparta, ma il “ciuf ciuf” sta per essere rottamato».
«E’ un ritratto interessante quello che si può fare di te, Dream – pronunciò Elvira osservando le note prese – perché ecco, parli tranquillamente, non hai peli sulla lingua, attacchi te stesso, gli amici, i tuoi “colleghi”, eppure non posso scrollarmi di dosso la sensazione che io sia insoddisfatta, che di te manca qualcosa che non ho sottolineato.
Parlami di questa noia, parlami delle scimmie. In che modo queste persone hanno contribuito a farti perdere la voglia di allenare?».
«Ma vedi... ‘ste scimmie sono sostanzialmente persone che si reputano superiori, dei... radical chic. convinti di avere la ragione l’esperienza dalla loro, anche se al massimo hanno sfidato e conquistato una sola medaglia. Sono davvero pochi gli allenatori che mi lasciano un sorriso a fine battaglia, sono molti di più quelli che mi lasciano con l’amaro in bocca. E’ davvero difficile al giorno d’oggi incontrare qualcuno che lotta con una squadra con cui ha un reale legame affettivo. Se gli chiedi perché sono diventati allenatori non ti rispondono, rimangono lì a respirare inermi, senza saperti dire uno straccio di parola».
«E tu perché sei diventato allenatore?».
«Per dimostrare qualcosa a me, più che altro. Vedi, sono sempre cresciuto con il dramma di non essere bravo, di essere inferiore. Volevo dimostrare di non esserlo. Ma non a qualche persona in particolare, a me più che altro».
«Ne sei assolutamente certo?» chiese la giornalista alazando il sopracciglio destro.
«No, di certo al mondo c’è solo la morte, nient’altro».
«Ma parliamo un attimo di gossip».
«Sono tre ore che mi stai intervistando, dove vuoi arrivare, Elvira?» tentò di interromperla Dream, senza successo.
«Dicono che dal suo appartamento ci sia un via vai di donne. Non pensa che forse questo possa in qualche modo essere un cattivo esempio per tutti i giovani ragazzini per cui tu sei un modello?».
«Ma io non voglio essere un modello per nessuno, proprio per nessuno, manco per me stesso, figurati! Chi vuole diventare come me?».
«Il Nove volte Campione? Tutti, direi!»
«Come siamo superficiali. Comunque, son tutte maggiorenni, consenzienti e uso sempre il profilattico. E’ sufficiente come risposta?».
«La sua ex ragazza, la figlia del Professor Birch, l’anno scorso, dopo la vittoria alla Lega di Johto ti ha definito “Il Campione puttaniere”, come rispondi?».
Dream sorrise, prese una sigaretta dalla tasca del pantalone e ne offrì una alla donna porgendole il pacchetto, che scosse con la testa.
Con tutta la calma del mondo l’accese e fece suo il fumo, per poi ributtarlo nell’aria.
«Mi piacciono queste allenatrici fallite che allora si buttano nella “scienza” per rimanere a galla. Evidentemente il suo ultimo progetto ha bisogno di notorietà e si butta in queste battute infelici. Peccato che se non me ne avessi parlato tu io non avrei mai saputo di quella dichiarazione, quindi fallisce pure nel fare scandalo la cara Vera».
«Ma non ha paura che Dio possa giudicarti in maniera... negativa?».
«Io e Dio… non andiamo d’accordo. Secondo alcuni io vorrei prendere il suo posto…»
«E’ un po’ azzardata come affermazione» chiosò la donna.
«Ma almeno lei ha la sua frase infelice con cui titolare la mia intervista e mi lascerà andare».
Dream aveva ragione. «Dream – Il Rottamatore: “Secondo alcuni sarò il prossimo Dio”» fu il titolo dell’intervista di Dream sbattuta in prima pagina su “Il Corriere di Fiordoropoli”.
Un fiume di commenti e di parole venne versato sul ragazzo criticato da più parti di esser troppo supponente o saccente nei confronti dei suoi coetanei, altri invece ne plaudevano la sua comicità pungente. L’intervista fece vendere moltissime copie al quotidiano e spinse Elvira a chiedere a Dream di lavorare a tempo perso con loro. Dream accettò e il suo primo grande articolo fu la recensione del Parco Lotta di Johto che venne inaugurato nel mese di Settembre 2012.
A sorpresa di molti poi, e forse dello stesso Dream, decise di partecipare a tutte le sfide che il Parco offriva, uscendone vincitore in tutti i casi e guadagnando il Trofeo d’Oro, che poi vendette all’asta e con quei soldi finanziò la ricostruzione di Primisola, distrutta parzialmente a seguito di una fortissima eruzione vulcanica e del conseguente tsunami che colpì l’isola nel Dicembre dello stesso anno.
 
13 Aprile 2014
Le grandi porte di legno si aprirono davanti a Dream che ricominciò a camminare con passo spedito, prendendo le scale di pietra e raggiungendo il primo piano. Al bivio, prese la strada di sinistra, girò rapidamente a destra e prese la prima porta a destra, girando rapidamente la maniglia in ottone.
Sorrise leggermente guardando i presenti ed entrò nella stanza, sedendosi nella prima sedia che incrociava, quello a capotavola.
La stanza era illuminata da un piccolo camino di pietra, acceso, su i lati erano poste due grandi statue che raffiguravano un Dragonite e un Salamence.
Dall’altro lato del tavolo, fatto di roccia liscia e lungo forse una decina di metri, sedeva Lance, al suo fianco una ragazza dai capelli rosa con un acconciatura molto di moda negli anni ’60 e un paio di occhiali da sole con grandi lenti tonde e la montatura bianca, sebbene non ci fosse molta luce all’interno della stanza.
«E’ sempre bello poter tornare alla Conferenza Argento. Queste mura sono cariche di... ricordi. Quasi mi commuovo» disse scherzando Dream osservando la stanza in cui era entrato. «Dunque, mi avete chiamato per...».
«Ciao anche a te, Dream» disse Lance con un sorriso ironico, «Lo sai bene perché siamo qui, no?».
«Visto anche gli ospiti, deduco di sì...» pronunciò Dream osservando Chiara, che però non si voltò verso il ragazzo. «Suvvia Chiara, non sarai ancora arrabbiata con me per l’intervista di anni fa...» fece Dream simulando una voce triste.
«Dream, lascia stare Chiara. E’ qui solo per ragioni burocratiche» lo ammonì Lance, come se fosse il maestro tra due compagni di classe litigiosi. «Allora, Chiara ha deciso di dare le dimissioni e noi dobbiamo cercare un nuovo Capopalestra per Fiordoropoli. In accordo con Chiara, la scelta è ricaduta su di te, anche nonostante quell’intervista».
«Ma ancora ve la ricordate?» chiese Dream, accendendosi una sigaretta.
«Quando dobbiamo formulare la proposta alla Lega Pokémon Regionale, dobbiamo studiare tutti i documenti, pubblici e privati su un allenatore ed esporli. Ecco perché ce ne ricordiamo».
«E perché proprio me? Non sto quasi più allenando» disse Dream rapidamente, con un guizzo di soddisfazione negli occhi.
«Dream, parliamoci chiaro – pronunciò Chiara, togliendosi gli occhiali e osservando per la prima volta il Campione – sei l’unico allenatore valido di prendere il mio posto. E soprattutto si parla di Fiordoropoli. Chi meglio di te può prendere il posto di Capopalestra? E’ uno sfregio, ripeto, uno SFRE-GIO, che una persona come te passi il tempo tra i party a girarsi i pollici, piuttosto che a mostrare il tuo talento. Quell’intervista, per quanto orrida, mostra una terribile realtà: quella che tu che stai solo buttando via il talento. E non me ne frega niente se mi hai insultato e praticamente costretto alle dimissioni, dopo che ho resistito per anni. Io voglio che tu prenda il mio posto. Di allenatori falliti ne è pieno il mondo, non ne sarà piena anche questa stanza».
Ci fu qualche istante di silenzio.
«Non so se posso accettare, Lance» pronunciò Dream a labbra strette.
«Che problemi hai, Dream?» chiese Chiara.
«Già Dream, che problemi hai?» continuò Lance.
«Le Palestre hanno tutte una tematica. Coleottero, Erba, Volante... Vedi, io non sono esperto in nessun tipo».
«Avevo pensato anche a quest’eventualità». Il Campione dei Draghi prese in mano una cartellina giallina e la posò sul tavolo, facendola poi scivolare fino a farla arrivare a Dream.
«Ho ottenuto il permesso preventivo dall’Associazione Nazionale di poter accordare la creazione di una Palestra multi-tipo. Puoi utilizzare i tuoi pokémon Acqua, Fuoco, Erba, Psico, Buio e Volante».
«E per quale motivo hanno fatto questa concessione?».
«Ritengono che sia ora di alzare l’asticella della Lega Pokémon di Johto, giudicata negli ultimi tempi fin troppo semplice. Una palestra di questo tipo è un interessante esperimento» dichiarò Lance con la sua voce sempre precisa e puntuale.
«Lance ma io non so perdere...».
Chiara tossì dolcemente, per poi riprendere la parola: «L’obiettivo di un Capopalestra è quello di valutare gli altri allenatori, non quello di perdere per dare la medaglia. Puoi anche dare la medaglia nel caso vinci, e sappiamo tutti che sarà così, nel caso tu ritenga che l’allenatore abbia un ottimo modo di allenare la squadra».
Ancora silenzio. Dream osservò le carte e cominciò a riflettere sull’opportunità. Lance e Chiara avevano ragione. Poteva creare la sua Palestra. Aveva rifiutato il posto di Campione Reggente perché non lo ispirava come compito, ma quello di Capopalestra sarebbe stato adatto a lui.
Sorrise di gusto: «Chi altro è stato proposto?».
«Il primo nome spetta alla Capopalestra dimissionaria e io ho deciso di appoggiarla immediatamente. Poi ogni Capopalestra può fare un nome, mentre è obbligatorio per i Superquattro. Quindi tu vieni proposto per ben due volte, da Chiara e da me. In ogni caso, se le voci di corridoio che ho sentito nei colloqui informali venissero confermati, non hai possibilità di esser battuto. Allora, ci stai?».
«Sapete cosa disse una volta un politico italiano?».
Chiara e Lance si guardarono perplessi e poi, contemporaneamente, fecero di no con il capo.
«“So di essere di media statura, ma non vedo giganti attorno a me”».
«E’ un “sì”?» chiese il ragazzo
«Sì, Lance. Accetto ufficialmente la candidatura a Capopalestra di Fiordoropoli» disse sorridendo Dream.
Lo sentiva tra le dita il più alto riconoscimento della città. Lo teneva quasi stretto, a pochi centimetri da lui. Finalmente poteva dirlo, era riuscito a conquistare la città, come desiderava fare da bambino.
Ma poi un colpo di cannone lo investì e un mese dopo comunicò ufficialmente che intendeva ritirare la candidatura pur “ringraziando sentitamente la Capopalestra Chiara e il Campione Lance”.
Era precipitato indietro, lontano e ora il riconoscimento era scomparso.
Al suo posto venne eletto “un incapace” come lo definì lui, Pietro Boschelli che mantenne la Palestra di tipo Normale.
E la palla di cannone si chiamava “Cancro” e più che Dream aveva colpito Umbreon. Aprire una palestra con una squadra che necessitava di più cure e più attenzioni. La motivazione ufficiale parlava di “Problemi personali”.
Quando ad un evento della Lega di Johto, nell’ottobre del 2014, Dream si presentò senza Umbreon ma con un Dragonite, le speculazioni sulla vera ragione della rinuncia si fecero via-via sempre più insistenti, e in quel momento Lance capì il perché del ritiro e un nodo gli si formò in gola per averlo giudicato un “coglione senza ritegno”.

 
   
 
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