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Autore: D per Dolcetta    20/11/2014    1 recensioni
Dalla traccia del concorso "D per Dolcetta": Che segreti nasconde il blocco da disegno di Violette? E il quaderno perennemente disperso di Lysandre? Quali mirabolanti avventure avranno vissuto Armin e la sua amatissima PSP? Scegliete un personaggio, il suo oggetto caratteristico e raccontate!
1- E lei disegnava
2- Who cares?
3- Ciò che non sono
4- ...
Genere: Generale, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lysandro, Violet
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Who Cares?

 
Autrice: Sakyo91



Le note del pianoforte che risuonavano nel palazzo provenivano da una delle stanze agli ultimi piani.
Quella melodia era così affascinante che Lysandre ebbe la voglia, per la prima volta in dodici anni, di salire le innumerevoli rampe di scale che portavano alle vette più alte della sua dimora.
Ogni gradino, un sussulto al cuore. Non aveva mai sentito una musica tanto bella. Raffinata sì, ma potente. Il musicista di corte non poteva competere in alcun modo con chi stava dando vita a quel connubio di suoni tanto… vigoroso.
La corsa su per le scale di pietra, il fiatone per cercare di arrivare prima che l’esibizione finisse, l’aspettativa che aumentava come l’acqua di un fiume in piena.
Percorse quel lungo e buio corridoio col cuore in gola, in altre circostante avrebbe avuto paura di trovarsi lì, ma la curiosità era più forte di tutto il resto.
Finalmente si trovò di fronte la porta che racchiudeva quella straordinaria magia.
Esitò appena un momento, poi abbassò piano la maniglia d’ottone, sperando con tutto il cuore che il misterioso pianista non interrompesse la sua musica…
Ciò che gli si presentò dinanzi agli occhi lo fece rimanere senza fiato.
Una bambina dai capelli dorati sedeva al grande pianoforte sotto la vetrata da cui penetravano i raggi del sole, talmente accecanti da velare ogni figura dentro la stanza.
D’istinto Lysandre si portò una mano sugli occhi, cercando di attenuare quella luce tanto forte. Pian piano, la sagoma della bambina si delineò sotto al suo sguardo concentrato.
Gli occhi chiusi per respingere il sole, o chissà, per assorbire totalmente la melodia a cui stava dando vita, un vestito argentato che catturava ogni singolo raggio di luce e creava impossibili giochi di colore ad ogni suo dolce movimento, le braccia esili e diafane e le mani minuscole, così piccole che sembravano quasi ridicole su quella distesa di tasti bianchi e neri.
Una bambola di porcellana che aveva catturato ogni singola fibra del corpo di Lysandre.
Paralizzato, era questo lo stato in cui si trovava.
La bambina continuò a suonare e quando finì, le ultime note vibrarono nell’aria alcuni istanti prima di sparire completamente, lasciando un senso di eternità in quella stanza miracolosa.
Con disinvoltura, si voltò verso Lysandre e inclinò un po’ la testa, lasciando ricadere i riccioli biondi nel vuoto.
Non sapeva se lo aveva sentito, o solamente immaginato, ma credeva che la bambina gli avesse rivolto una domanda.
«Sì» rispose, e la sua voce risuonò inadatta in quel luogo fuori dalla realtà.
Sentendo quell’unica misera parola, la bambina, più o meno della sua età, sorrise gioiosa, e la luce del suo sorriso illuminò ancor di più le mura che li circondavano.
 
***
 
Passeggiavano ore e ore per i sentieri del palazzo, inseguivano gli scoiattoli e si rotolavano per i giardini, sgualcendo di terra le loro vesti pregiate.
Non parlavano mai, o meglio, Lysandre qualche volta ci provava, ma aveva capito da subito che era inutile.
«Mio fratello dice che nella foresta ci sono dei cervi, ma io non ne ho mai visti»
La bambina lanciò uno sguardo verso la foresta, ma la notizia non sembrava interessarla più di tanto.
Lysandre allora cercò di trovare un argomento che potesse incuriosirla.
«Una volta ho visto un tasso! Era così buffo, sai?»
Il suo tentativo andò a buon fine, perché la bambina assunse un’espressione interrogativa. «Non sai cos’è un tasso?»
Cercò un bastoncino in mezzo alla terra per fare un disegno, ma non ne trovò.
«Come posso descriverlo…»
Mentre si tormentava, la bambina frugò in una taschina del suo vestito e poco dopo ne tirò fuori un libricino consumato.
Glielo porse, sorridendo.
«Cos’è?» chiese, iniziando a sfogliarlo.
Non era un libro, bensì un taccuino, su cui la bambina aveva annotato delle cose.
A Lysandre non parve buona educazione mettersi a sbirciare in un oggetto così personale, perciò la guardò in attesa di spiegazioni.
La bambina frugò ancora nella tasca e stavolta tirò fuori una penna d’oca e una piccola boccetta d’inchiostro.
«Ah, vuoi che disegni qui sopra!» esclamò Lysandre quando capì le sue intenzioni.
L’altra annuì energicamente, e si avvicinò ancora di più a lui per osservarlo mentre era all’opera.
Lysandre arrossì, sia per la richiesta che per la vicinanza inaspettata della bambina. Non era molto bravo a disegnare, suo fratello se la sarebbe cavata sicuramente meglio di lui, ma se questo era il desiderio della bambina…
Impugnò la penna e iniziò a disegnare un tasso.
Il risultato fu uno scarabocchio talmente insensato che lui stesso si chiese cosa diavolo fosse quella roba sul foglio.
«Ehm, forse era meglio descriverlo a parole…»
L’imbarazzo nascente fu subito sovrastato dalla risata più cristallina che avesse mai sentito.
La bambina non parlava, ma sapeva ridere di gusto.
Anche lui venne contagiato, e insieme risero così tanto da farsi venire le lacrime agli occhi.
Intanto, il vento solleticava le pagine del taccuino poggiato a terra, un oggetto di poco valore ma che per qualcuno sarebbe diventata la cosa più preziosa del mondo.
 
***
 
La foresta al calar del sole diventava un luogo spaventoso, ma l’unico ad essere impaurito era Lysandre. Camminava dietro la bambina, che al contrario procedeva sicura, con portamento fiero, noncurante dei rami che strappavano il suo vestito.
Una civetta spiccò il volo e il battito improvviso delle sue ali fece sobbalzare Lysandre, che a stento trattenne un urlo.
La bambina si voltò e con fermezza gli prese la mano. Lysandre avvampò, ma grazie a quel contatto si fece coraggio.
Arrivarono nei pressi di una radura e si appoggiarono ad una roccia ricoperta di muschio.
«Perché siamo venuti qui?» domandò Lysandre, continuando a guardarsi intorno nervosamente.
La bambina si mise un dito davanti la bocca, per suggerirgli di restare in silenzio.
Lui la guardò cercando di capire cosa volesse fare, e d’improvviso sentì qualcosa di umido sulle sue labbra.
La bambina lo baciò, e gli strinse la mano.
Lysandre non riuscì a muoversi, e quando lei si staccò lui notò che le sue ciglia erano lunghissime, ma di un biondo trasparente che rendeva impossibile vederle a una certa distanza.
«Come… Ti chiami?»
A quella domanda la bambina prese il suo taccuino e scrisse qualcosa, sorridendo mestamente.

 
Che importanza ha?
 
Indicò un coniglio che saltellò velocemente fino a sparire dietro il tronco di un albero, e strinse ancor più forte la mano del ragazzo.
Lysandre aveva la sensazione di voler dire qualcosa, ma in fondo… Che importanza avevano le parole?
Lei annuì, come se gli avesse letto nel pensiero, e di colpo iniziò a cantare.
Fu la prima volta che sentì chiaramente la sua voce.
Non erano parole, quelle che uscivano dalle sue candide labbra.
Erano suoni senza senso, ma erano i suoni più belli che Lysandre avesse mai udito.
Gli parve quasi che ad accompagnare quella voce celestiale vi fosse la melodia del pianoforte che la bambina aveva suonato il giorno del loro primo incontro.
Continuò a cantare, mentre il vento smuoveva la vita nella foresta, e lui si sentì contemporaneamente pervaso da gioia sconfinata e tristezza infinita.
Si accorse che stava piangendo solo quando iniziò a sentir freddo alle guance.
La luna, quella sera, era uno spettacolo miserabile di fronte a quello a cui lui aveva assistito con le orecchie e con il cuore.
 
***
 
«Castiel, Castiel!»
Lysandre aveva un aspetto decisamente trafelato quando raggiunse l’amico.
«Mh?»
Il rosso lo squadrò dalla testa ai piedi: ancora quel bizzarro stile di vestiti che ricordava il principe di un’epoca lontana. Non che ormai non ci fosse abituato, ma vederlo correre in mezzo a orde di studenti vestiti con normalissimi jeans e t-shirt gli faceva sempre un certo effetto.
«Hai visto il mio taccuino, per caso?» chiese con aria decisamente preoccupata.
«L’hai perso ancora?» Castiel scosse la testa, «Non fai prima a comprartene un altro? Oltretutto quello è talmente vecchio che…»
«Ah, lascia stare…» tagliò corto Lysandre. Se avesse detto la verità, di certo nemmeno il suo miglior amico gli avrebbe creduto.
Era inspiegabile, ma il taccuino gli appariva ogni volta in un luogo diverso. La sera, prima di andare a dormire lo poggiava sul comodino, e la mattina non c’era più. Lo ritrovava poi sul banco di scuola, nell’armadietto, nei bagni, nel giardino della città, addirittura nel negozio del fratello.
Non era colpa della sua memoria, ne era certo.
Ma non poteva spiegarlo a Castiel, come non poteva spiegargli il motivo per cui andava in giro con un abbigliamento considerato da tutti inadatto all’epoca moderna…
«Trovato» annunciò, e come per magia tutta la preoccupazione svanì dal suo volto. Stavolta era finito sotto una panchina del cortile.
Si sedette e fece un respiro profondo. Sfogliò quel piccolo blocchetto malandato, come ogni giorno. Non era cambiato nulla.
C’erano ancora tutte le sue canzoni, gli appunti illeggibili e frettolose annotazioni.
E poi c’erano quelle due pagine, vecchie e ingiallite. Una riportava lo strano disegno di un tasso, mentre l’altra aveva una scritta in una calligrafia minuscola ma elegante.
 
Che importanza ha?
 
Sorrise. Non avrebbe mai saputo se ciò che sognava tutte le notti era accaduto realmente, magari in una vita precedente… L’unica cosa che sapeva con certezza era che poteva perdere il taccuino infinite volte, ma alla fine era sempre lì, tra le sue mani.
Ogni tanto gli capitava di scorgere qualche ricciolo biondo tra le ragazze del suo liceo, ma nel momento in cui riusciva a vedere anche il viso, il suo cuore sembrava rompersi in mille pezzi.
Ispirò a pieni polmoni l’aria fresca che scuoteva le foglie degli alberi e la sua chioma argentata.
Un giorno avrebbe ritrovato la vera proprietaria di quel taccuino.
Lo sentiva nella musica, lo sentiva nel vento.
  
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