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Autore: Dysia    21/11/2014    0 recensioni
Parlarono Russo per i primi minuti, ma poi cambiarono lingua e non avevo abbastanza lucidità per riconoscerla.
Sollevai lo sguardo solo quando sentii uno dei tre uomini gridare di dolore. Un grido così forte da essere udibile nonostante il mio udito tamponato.
Era un suono piacevole per le mie orecchie.
Mi girai lentamente e faticosamente verso il posto da cui proveniva il grido. Dal tavolo di legno.
Mi concentrai per mettere a fuoco la vista, e vidi che l'uomo entrato pochi minuti prima aveva conficcato uno dei taglierini nella mano di uno dei tra uomini. Lo vidi schiudere le labbra, prendendo un respiro profondo. Cominciò a parlare, e mi concentrai per sentire le sue parole.
- …. Qualcun altro ha ancora di minacciarmi ancora con i vostri inutili giochetti da stregoni della Disney?-
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La solita solfa, la solita giornata lenta, passata incatenato e stanco, grondante di sangue dalla fronte in giù.
La schiena ormai era continuamente umida per via del sangue, e ad ogni movimento avevo la sensazione che si aprisse un nuovo taglio, per quanto potesse essere impossibile visto che ne era completamente piena. O almeno era ciò che temevo, non potevo girarmi a guardare e forse era meglio così.
Non sapevo da quanto tempo ero fermo lì, legato tra due muri e dietro di me una parete di pietra mobile, che si poteva spostare di poco, ma era il tanto giusto per permettere ad un uomo di passare e divertirsi come meglio credeva.
Sapevo solo che da lì a breve sarebbe cominciato l'ennesimo giorno di tortura.

Entrò un uomo, sputando a terra e imprecando per quanto quel posto fosse sporco e puzzasse di sangue.
Parlava con un tono gracchiante e roco assieme ad altri due uomini alle sue spalle.
Facevo fatica ad afferrare le loro parole, cercavo di tenere la mente distante così magari, se fossi stato concentrato su altro (qualsiasi altra cosa), non avrei sentito poi così tanto dolore.
Sentivo solo che parlavano il Russo, come al solito. D'altronde eravamo lì.
Parlavano di quanto fuori facesse freddo e di quanto invece quella stanza fosse calda a causa mia. Secondo loro usavo i miei poteri per scaldarla in loro assenza, quando invece erano loro stessi ad accendere il fuoco del camino.
Ma anche volendo, come potevo usare i miei poteri, se ero al limite delle forze? E se anche avessi avuto un minimo di forza, sicuramente l'avrei usato in modo più intelligente. Ad esempio liberandomi da quel posto e facendoli fuori. Era una scusa come un'altra per punirmi.
Cominciarono a girarmi attorno come avvoltoi affamati.
Portavano tutti e tre un lungo mantello grigiastro e un cappuccio nero, prendevano attrezzi e pozioni laceranti. A quelle avrei preferito l'acido. Si preparavano alla solita routine abitudinaria, ma che ogni volta mi distruggeva. Letteralmente.
Uno di loro mi prese il volto, premendo le dita sporche contro le mie guance.
Avvicinò il volto al mio, fissandomi negli occhi. Schiuse le labbra, avvicinandole al mio orecchio.
Sussurrò che si sarebbe divertito molto, che voleva sentire le mie grida rimbombare per tutte le mura della stanza, come gli altri giorni o anche peggio.
Avrei voluto dire qualcosa, o comunque reagire in qualche modo. Ma non ne avevo più le forze, ed odiavo sentirmi così debole.
Fecero spostare il muro e l'uomo si piazzò dietro di me, lasciandomi andare il volto, e gli altri due si spostarono al lato.
Cominciarono a farfugliare qualcosa in coro, un incantesimo, e in poco tempo sentii ogni singola ferita sul mio corpo aprirsi e sanguinare, come se un coltello con la lama incandescente li stesse squarciando di botto, premendo la lama fino in fondo e gettandoci sopra sale e brace.
Cercai con tutto me stesso di non gridare, ma non riuscivo a trattenermi dal farlo.
Chiusi gli occhi, sperando con tutto me stesso di cadere in un sonno profondo per non sentire dolore, ma probabilmente fecero un incantesimo per impedirlo.
Mentre continuavano la loro cantilena, presero diversi strumenti dal vecchio tavolo in legno.
Taglierini pieni di ruggine, fiale piene di pozioni varie in grado di lacerare la carne e agire per mesi interi giorno e notte senza sosta, fruste appuntite, spine di alberi nocivi prese dai boschi più pericolosi esistenti nel piano etereo, ed altri oggetti vari che decisi di non guardare. Solo la vista era una tortura. La cosa peggiore ormai era sempre la schiena, ed era ovvio che puntassero a quella.
Si avventavano prima con la pozione, che entrava nelle ferite aperte fino in fondo alla carne viva, inutile dire che bruciava da matti, poi passavano ad altri strumenti, andandoci giù pesante con la pozione tra un un taglio e un altro.
Gridavo di dolore, ma a cosa serviva? Avrei potuto gridare fino a farmi esplodere i polmoni, ma ero consapevole che nessuno avrebbe mai sentito nulla.
Perdevo i conti di ciò che facevano, delle ore, dei giorni che passavo in quel modo. Non ci badavo più.
Ero oltretutto al limite della sete. Mi davano del sangue solo una volta alla settimana in un bicchiere minuscolo. Non facevo in tempo a mandarne giù un po' che avevo la sensazione di non sentirlo nemmeno.
Sapevano che le mie ferite non sarebbero mai guarite di quel passo, e sicuramente non l'avrebbero mai fatto anche per qualche loro incantesimo.
Non mi sarei stupito nemmeno se quel sangue che mi davano, fosse proprio il mio.
Mi ferivano ovunque, affondando i coltelli (i giorni che erano coltelli) dove capitava, di solito solo sulla schiena, anche mentre bevevo il sangue. Non c'era un attimo di tregua.
Non dormivo praticamente mai, non potevo, anche se ero distrutto e l'unica cosa che volevo fare era proprio dormire.

Passarono ore, ero nuovamente grondante di sangue. La pozza sotto di me era diventata enorme, più di quanto già non lo fosse.
Sentii la porta aprirsi davanti a me ed una folata di vento gelido entrò, lasciando cadere dei fiocchi di neve sul pavimento. Fuori nevicava e nemmeno lo sapevo.
Non riuscii a mettere a fuoco la vista, non vidi il volto di chi entrò, ma solo una figura nera e slanciata. Abbassai la testa appena lo vidi avvicinarsi con un passi lento.
L'ennesimo uomo che era venuto a “giocare”. La cosa non mi stupiva per nulla.
Cominciò a parlare, e solo allora mi resi conto di quanto fossi messo male:
Non vedevo bene, e il mio udito era così basso che cominciai a pensare che l'età cominciava a farsi sentire.
Infatti non capii molto della discussione che ebbero.
Parlarono Russo per i primi minuti, ma poi cambiarono lingua e non avevo abbastanza lucidità per riconoscerla.
Sollevai lo sguardo solo quando sentii uno dei tre uomini gridare di dolore. Un grido così forte da essere udibile nonostante il mio udito tamponato.
Era un suono piacevole per le mie orecchie.
Mi girai lentamente e faticosamente verso il posto da cui proveniva il grido. Dal tavolo di legno.
Mi concentrai per mettere a fuoco la vista, e vidi che l'uomo entrato pochi minuti prima aveva conficcato uno dei taglierini nella mano di uno dei tre uomini. Lo vidi schiudere le labbra, prendendo un respiro profondo. Cominciò a parlare, e mi concentrai per sentire le sue parole.
- …. Qualcun altro ha ancora di minacciarmi ancora con i vostri inutili giochetti da stregoni della Disney?- disse l'uomo, premendo di più il taglierino e facendolo ruotare leggermente - potrei divertirmi in altro modo- sollevò lentamente una mano, facendo uscire la brace bollente dal camino e facendola fluttuare attorno a se.

I due uomini accanto a me cominciarono di nuovo la solita cantilena, ma sta volta, rivolta all'uomo con la mano premuta sul taglierino.
Non sembrò fargli né caldo né freddo. Si limitò a scuotere la testa con fare infastidito.
- Okay, immaginavo che essere "pacifici" non servisse a tanto con voi punitori- fece un leggero movimento con la mano, facendo scontrare la brace contro gli occhi dei due uomini.
L'odore del sangue che sgorgava dalla mano dell'uomo mi inebriò i sensi, e la mia concentrazione venne catturata più su quello che sullo scenario della battaglia attorno a me.
Di quella vedevo solo il fuoco che brillava attorno a me, grida e vari incantesimi. Polvere che si sollevava dal pavimento e altre grida.
Giravo lo sguardo solo quando sentivo il sangue cadere, e non veniva dall'uomo entrato poco tempo prima.
Sentivo ogni goccia che entrava in contatto col terreno. Ero quasi in grado di contarle.
I suoni attorno a me si isolarono, e i miei sensi si concentrarono solo sul sangue che continuava a colare dalla mano al pavimento.

Poi, di botto, sentii due rumori sordi. I corpi che cadevano a terra.
Mi sforzai di guardare, vedendo con i due uomini morti accanto a me.
Pieni di tagli e con gran parte del corpo bruciato.
Abbassai lo sguardo, sorprendendomi di non sentire nessun tipo di emozione.
Solo allora capii che mi non mi avevano portato via solo la libertà, ma anche la capacità di provare dei sentimenti, sensazioni o emozioni. Tranne odio, dolore o terrore.

L'uomo col taglierino conficcato nella mano era accasciato sul tavolo, fissando l'aggressore con un espressione mista tra odio e terrore.
Lo minacciava, diceva che non avrebbe ceduto così facilmente, poi tramutò le sue parole in scuse e pregava per la sua vita, come se si fosse appena accorto di essere spacciato.
Faccia falsa, dato che tentò di colpirlo con la mano libera pochi secondo dopo. Dalla sua mano vidi un bagliore di scosse elettriche bluastre.
Colpì l'uomo davanti a lui, che contrasse la mascella. Nessun espressione di dolore, nessun lamento.
Evidentemente non aveva abbastanza forze per recargli un vero danno, data la grossa quantità di sangue che aveva perso.
Si passò una mano sulla guancia colpita, accennando un sorriso. Si guardò la mano, poi alzò gli occhi verso l'uomo che non osava muoversi dalla posizione inchiodata al tavolo e dichiarò game over.
Ma non fece nulla. Si limitò a fissarlo negli occhi.
Notai solo minuti dopo che il taglio sulla mano si stava estendendo lungo tutto il braccio, fin sotto le maniche. Non dovevo usare la fantasia per immaginare che si fosse esteso in tutto il colpo.
Il sangue che colava giù dal tavolo sembrò trasformarsi i lava incandescente.
Brillava di linee color oro, si sentiva puzza di carne bruciata.
Provai una sorta di piacere perverso a quella vista, sebbene sfocata, e mi fece quasi sorridere.

Qualche minuto dopo, l'uomo si accasciò definitivamente al tavolo, e l'altro ritrasse il taglierino, pulendoselo sul braccio nel quale aveva un tatuaggio dalla forma che non riuscivo a distinguere per via della vista sfocata.
Per quello che ne sapevo, poteva anche essere un semplice disegno a penna.
Mi si gelò il sangue nelle vene quando si girò nella mia direzione, avvicinandosi lentamente mentre teneva in mano il taglierino.
Si fermò davanti a me, poggiandomi una mano sotto il mento.
Feci un respiro profondo, cominciando a pensare che fosse anche il mio turno, e provai a metabolizzare la cosa e ad accettarla. Forse sarebbe finito tutto.
Ma quell'uomo rimase fermo a guardarmi dalla testa ai piedi, facendomi girare il volto a destra e a sinistra un paio di volte.
- Ma che diavolo ti hanno fatto?- domandò, ma era più una riflessione che una domanda vera e propria.
Si avvicinò di più, passando dietro e con mia sorpresa, cominciò a smontare gli attrezzi che mi tenevano legato.
Non sapevo di avere dei ganci metallici conficcati nella schiena che mi tenevano stretto alla parete posteriore. Dovevano averli messi pochi attimi prima del suo arrivo, ma una cosa era certa: facevano malissimo.
Stacco le manette che legavano mani e piedi e sentii le punte uscivano fuori dalla carne una ad una, lacerandola.
Il mio corpo, privo di forze, cadde in avanti una volta libero, finendo contro quell'uomo.
Non avevo le forze per stare in piedi, e lui lo sapeva.
Mi resse, poi cominciò ad avviarsi fuori, trascinandomi con sé.


Dovevo essere svenuto, o forse mi ero addormentato senza accorgermene, ma una volta aperti gli occhi mi ritrovai in una stanza illuminata. Ero su un letto. Un vero letto.
E mi sentivo in forze. Più o meno.
Mi guardai il braccio, notando che avevo una flebo di sangue accanto.
Questo spiegava almeno il perché sentivo di avere più energie di quanto ormai fossi abituato ad avere.
Poi ricordai l'accaduto.
Un uomo entrò in stanza. Quell'uomo. Era seguito da una donna rossa con una cartellina in mano.

Quell'uomo aveva un aria familiare. Ero sicuro di averlo visto già da qualche parte.
- Sei sveglio, finalmente- disse, sedendosi su una sedia accanto al lettino. Finalmente riuscii a vederlo bene in volto, la mia vista era decisamente più lucida.
- Che.. che è successo?- Era strano sentire la mia voce. Era strano sentir uscire alla mia bocca qualcosa che non fossero urla.
- È successo che ti ho salvato e liberato. Sorridi ragazzo, almeno quei tizi ti hanno lasciato i pantaloni addosso. Ti sentirai un po' spaesato e confuso, sicuramente, ma è del tutto normale direi. Drew Tyler Stilinski, Giusto?- i suoi occhi castano scuro caddero sulla sacca di sangue, ormai semi vuota - Jillian, cambia la sacca con una nuova-
- Subito signore- rispose gentilmente la donna, che nel frattempo si era poggiata ad un tavolino bianco non troppo distante dal lettino sul quale mi trovavo. Sistemò la cartellina e poggiò una siringa accanto a questo – Faccio venire anche sua moglie e la principessa, signore?-
- No, solo la sacca, grazie- riportò l'attenzione su di me, mentre la donna usciva dalla stanza.
Presi un respiro profondo - come fa a sapere il mio nome?- mugugnai frastornato. Cominciava a venirmi il mal di testa.
- Ho le mie fonti- inclinò la testa, poggiandosi allo schienale della sedia.
Mi venne quasi da ridere, effettivamente mi sentivo confuso e un po' agitato per via della nuova situazione, quindi cercai di trattenermi - vuole uccidermi anche lei?-
Rise e scosse la testa - non pensi che se avessi voluto ucciderti l'avrei già fatto da tempo?-
‹‹ Touche ›› pensai.
- no, comunque. Al contrario- poggiò i gomiti sulle ginocchia, piegandosi in avanti
- chi è lei?- lo realizzai pochi attimi dopo. Anticipando la risposta. Finalmente capii perché aveva un aria familiare – Tu sei …. Adam Boris Tempest?-
Si limitò ad annuire, anche se in verità non avevo bisogno di una risposta.
Strizzai gli occhi. Era possibile? Perché il primo Satanasso era venuto in mio soccorso?
Forse mi ero addormentato, o mi avranno tirato una botta in testa.
Scossi la testa, decidendo di non arrovellarmi di pi - So che sei più confuso di prima- disse, ammorbidendo l'espressione fredda che aveva mantenuto durante gran parte del discorso – ma credimi, da adesso in poi sei al sicuro. Lontano dai punitori o chiunque cercherà di fartela pagare. Devi solo fidarti di me. Di noi-
- I punitori?- corrugai la fronte
- I fanatici della giustizia fai da te che ti hanno preso. Maghi oscuri molto potenti. Astuti i punitori. Ti indeboliscono lentamente, poi quando sei abbastanza debole ti prendono, ti legano e ti torturano- schioccò la lingua – hai ucciso lo zar, nonché i tuoi genitori, e tua madre era anche una mezza menade. L'hai fatta bella grossa. Ma comunque è quasi certo che i punitori usino la scusa “giustizia fai date” per giustificare la loro depravata passione per la tortura.
Una demone vampirizzato capacità da menade, il giochino perfetto per loro.
Capita una volta su mille che il primo primogenito maschio di una menade erediti anche le sue capacità-
- Come...-
- Ripeto, ho le mie fonti. La stessa persona che mi ha detto il tuo nome, e mi ha detto dove ti trovavi... All'incirca- si prese le mani, restando piegato sui gomiti.
Abbassai lo sguardo, guardando la flebo – perché è venuto a salvarmi?-
- Perché sono abbastanza sicuro che nessuno dovrebbe passare un esperienza del genere. E poi, se sei rimasto vivo tutti quei mesi, è abbastanza evidente che sei più potente di quanto gli stessi puntori si aspettassero. Sopratutto se erano costretti ad indebolirti fino allo stremo delle loro stesse forze, per tenerti a bada. Sei un essere raro, Drew, lo leggo nella tua aura- si girò a guardare dietro di sé con la coda dell'occhio appena la porta si aprì e la ragazza, Jillian, entrò con un sacco di sangue – non sono molti i demoni con le tue capacità. E comunque, a prescindere da questo, ripeto, non è giusto che qualcuno passi un esperienza simile.
Jillian e altri dell'equipe medica hanno fatto i salti mortali per curarti tutte quelle ferite. Hai poche cicatrici davanti, dovrebbero sparire tutte o quasi in un anno o due, ma nella schiena... beh, ne rimarrà sicuramente qualcuna- si indicò e cominciò a ridere – a parte che appena ti ho portato dentro, ti hanno portato praticamente subito qui per curarti. Mia figlia si è presa uno spavento enorme, l'unica cosa che ha visto è il sangue sui miei vestiti e credeva fosse il mio. Ha cominciato a piangere come una disperata e si è gettata verso di me-
sorrisi e mi guardai di nuovo il braccio, sollevando poco dopo lo sguardo verso di lui – grazie-
- Preg..- venne interrotto dalla porta che si apriva, sbattendo rumorosamente contro il muro.
Una donna con i capelli biondi e mossi si fermò sulla soglia, facendo sobbalzare l'infermiera che stava sostituendo il sacco di sangue.
- Adam?- chiese quella donna, chiudendosi la porta alle spalle e correndo in direzione di Adam.
Doveva essere Annabelle, la moglie di Adam. Nonostante il primo Satanasso fosse spesso in televisione per vari motivi, Annabelle era da tre anni che si mostrava di meno al pubblico, o comunque dava spesso le spalle. Quasi nessuno ne sa il motivo, anche se si sospetta sia perché lei allontana l'erede dai media. Nessuno, infatti, conosce l'aspetto della bambina. I Tempest ci tengono a non rivelarlo, e probabilmente avrebbero preferito evitare di far sapere che fosse nata.
La donna si sedette sulle gambe di Adam, e sembrò non curarsi del fatto che ci fossi io davanti. Prese il volto di Adam tra le mani, sfiorando la cicatrice che aveva sulla guancia – stai bene? La bambina mi ha detto che eri pieno di sangue-
- Non era mio, Anna, non preoccuparti-
Lei lo guardo, portando lo sguardo sulla cicatrice e accarezzandola lentamente – sei un idiota, te l'avevo detto di fare attenzione-
- Ma io faccio sempre attenzione- brontolò Adam, arricciando il naso
- Mhmh- la mano con la quale accarezzava la guancia si illuminò, e il suo tocco si fece più lento e attento. Adam chiuse gli occhi per un attimo, riaprendoli poco dopo.
Lei spostò la mano. La cicatrice non c'era più – Ecco. Così va meglio- sorrise con fare soddisfatto, e Adam sembrò quasi arrossire, strappandogli un sorrisetto accennato.
Annabelle si girò verso di me, poggiando la testa sulla spalla di Adam – Lui è Drew, vero?-
annuii, insieme ad Adam, e lei avvicinò la mano nella mia direzione, porgendomela. La presi, cercando di non stringere troppo. La sua mano era piccola e le dita erano lunghe e affusolate, la pelle pallida. Sembrava di porcellana. – Io sono Annabelle, ma se preferisci puoi chiamarmi Diantha-
- Annabelle ha preparato alcune delle pozioni curative che ti hanno somministrato per curarti gran parte delle ferite- disse Adam, prendendo la mano della donna
- Avrei voluto fare qualcosa di più, tipo qualche incantesimo, ma ho dovuto sbrigare delle faccende e compilare diverse noiosissime pratiche al posto di Adam.
Fortuna che sapevo che saresti arrivato, almeno ho potuto rendermi utile-
corrugai la fronte, e Adam fece le spallucce – È stata Annabelle a dirmi dov'eri e chi eri- rispose tranquillamente.
- Ti ho visto in una delle mie visioni- ammise lei, raddrizzandosi e spostandosi dalla spalla di Adam – sentivo ogni cosa che dicevano, e per un attimo ho avuto un assaggio di ciò che provavi- scosse la testa e si abbassò la manica del vestito, mostrandomi il polso. Aveva gli stessi segni che avevo io, quelli lasciati dalle catene, quando avevo le punte conficcate nella carne – vedi?
Ho detto ad Adam dove ti trovavi, anche se l visioni erano molto confuse, sicuramente non volevano che ti trovassimo. I Punitori sono persone puntigliose, sopratutto con esseri come te. Sicuramente avevano fatto un incantesimo per evitare di rintracciarti, ma l'ho superato. Non potevamo lasciarti lì. Se mi è apparsa la visione su di te, evidentemente sei speciale.
Uh! Quasi dimenticavo. Tu hai un famiglio, vero?-
Mi passò per la mente l'immagine del mio famiglio, Benji. Non lo vedevo da un sacco di tempo, e avevo quasi perso completamente i contatti con lui per via della debolezza, che non mi permetteva nemmeno di comunicarci telepaticamente.
Annuii rapidamente, e prima che potessi porle qualche domanda, lei sollevò l'indice – sta benissimo, tranquillo. È al piano di sotto. Si stanno occupando anche di lui, non era messo molto bene. Era chiuso in una gabbia minuscola circondata da aculei velenosi enormi che non gli permettevano nemmeno di trasformarsi, se no sarebbe morto nel giro di poche ore per via dell'avvelenamento.
Era pieno di tagli anche lui, probabilmente lo ferivano attraverso le aperture della gabbia.
Ma ora sta benissimo -
Arricciai il naso, lasciandomi sfuggire un sorriso – Posso solo ringraziarvi. Vi devo la vita-
- Dove pensi di andare una volta rimesso completamente in sesto?-
- Non ne ho la minima idea- ammisi. Effettivamente non lo sapevo – potrei tornare in Russia, ma... Non me la sento. Potrei cercare casa qui vicino. Sarebbe una buona idea. O magari ne costruirò una da zero, i fondi non mi mancano-
- Sì, sarebbe una buona idea- Annabelle si strinse nelle spalle, rivolgendomi un ampio sorriso, poi rivolse lo sguardo ad Adam.
Si dondolò un po', cacciò i capelli biondi dietro le spalle e sorrise ancora – Penso che dovresti farlo entrare nell'armata.- Adam sollevò entrambe le sopracciglia con aria interrogativa – fargli fare la prova per entrare e diventare un demone di prima fascia-
‹‹ Diventare membro dell'armata infernale più potente? ›› Pensai. Era il minimo che potessi fare, dopo tutto.
- Io ci sto- dissi, consapevole che avrei dovuto giurare fedeltà, ma a pensarci bene, la cosa non mi pesava. Sapevo già cosa comportava entrare nell'armata reale e i rischi che si correvano.
Adam mi guardò – sei sicuro?- annuii.
Chiuse gli occhi, riaprendoli poco dopo – va bene, allora-




Passarono 3 giorni, e nel corso di questi giorni Adam e Annabelle mi spiegarono diverse cose sul mio futuro compito.
Mi diedero tutto quello che erano riusciti a recuperare dal posto in cui mi tenevano rinchiuso.
La mia collana, il mio anello, i miei vestiti, il mio famiglio (che mi balzò addosso appena mi vide). Lentamente, mi stavano restituendo anche la capacità di provare sentimenti, emozioni, sensazioni, e Annabelle mi promise di avere la cura per quello, e che un giorno non troppo lontano sarei stato in grado di provarle al meglio, ma avrei dovuto portare pazienza per capire di cosa parlasse.
Mi spiegarono come andavano effettivamente le cose da quelle parti, mi trattavano come se fossi... Umano. Cosa che non facevano da parecchio.
Annabelle si preoccupava parecchio per le ferite che erano rimaste. Mi trattava quasi come se fossi suo figlio, nonostante mi conoscesse solo da 3 giorni.
Mi chiese diverse cose, tra cui il perché avevo ucciso i miei genitori e raso al suolo un intero villaggio. Glielo raccontai, e non sembrò nemmeno minimamente sconvolta dalla cosa. Sentivo di potermi fidare di loro, e lo feci.
Una volta rimesso completamente in sesto, feci tutte le prove fisiche assieme al capo delle armate e braccio destro di Adam, Sebastian.
Un demone mutaforma, capace di trasformarsi cambiando completamente aspetto, prendendo anche le somiglianze di altre persone. Adam non mi diede molte spiegazioni su Sebastian, disse solo che era il suo amico più fidato.
Passai tutte le prove, ed entrai nell'armata.
Il primo giorno che entrai lì, andai al mio posto guidato da uno dei vice comandati, e Adam mi raggiunse poco dopo.
Si complimentò e mi strinse la mano, mi fece fare il giuramento ed infine mi diede una leggera pacca sulla spalla.
- Sono sicuro che non mi deluderai- disse, accennando un mezzo sorriso
- Farò di tutto per evitarlo e svolgere il mio ruolo-
Adam abbassò lo sguardo, cosa che feci anche io contemporaneamente a lui.
Una bambina si era fermata a fissarci, e appena si accorse che la guardavo, si aggrappò al pantalone di Adam e si nascose dietro la sua gamba.
Adam passò la mano tra i suoi capelli, dandole una leggera spinta per portarla davanti a sé.
- E questa è mia figlia, Daphne Karol Tempest- disse con un tono dolce, accarezzandole i capelli per calmarla, poi mi indicò – Lui è Drew Stilinski- disse, tenendo quel tono mentre continuava ad accarezzarle i capelli.
Quindi era lei la figlia di Adam e Annabelle, la bambina di cui mi avevano parlato. Quella che i media erano così curiosi di conoscere.
Capelli neri e occhi azzurri come sua madre, la stessa pelle pallida e delicata. Sembrava una bambina di porcellana, ed il vestitino, il fiocchetto tra i capelli e le bamboline contribuivano a darle quell'idea.
Mi piegai sulle gambe, arrivando bene o male alla sua altezza di bambina di 3 anni. Le sorrisi, sembrava sentirsi in soggezione – E così ho davanti la piccola erede, la principessa Tempest-.
Abbozzò un sorriso, poi alzò gli occhi verso i miei capelli.
Corrugai la fronte quando la vidi allungarsi, poi sentii la sua mano tra i miei capelli, sussultando un attimo per quel tocco e rilassandomi pochi attimi dopo, ridacchiando.
Il suo tocco era delicato, non invadente come spesso ce l'hanno i bambini di quell'età.
Adam si poggiò una mano sulla faccia, sussurrando un “scusa” quasi imbarazzato.
Daphne mi prese la mano, passando l'indice attorno all'anello che portavo al dito – tu sei il ragazzo che si era fatto la bua?- domandò. La sua voce era squillante.
Annuii, e si vide una leggera punta di amarezza nei suoi occhi – ora tai bene? Sei guarito, vero?-
si poteva provare tenerezza nei riguardi di una persona conosciuta nemmeno 2 minuti prima? Poggiò le mani sul mio viso, toccandomi le guance facendo con il labbruccio.
Adam contrasse la mascella – Daphne!- la riprese, senza scomporsi troppo col tono.
Annuii nuovamente, reggendo lo sguardo della bambina, che non si ritrasse nemmeno se il padre l'aveva ripresa. Detestavo le mani in faccia, ma il tocco della bambina non mi causava problemi. Al contrario. In pochi minuti mi aveva tempestato di domande.
Adam cercò di farla andare da sua madre, ma gli dissi che non c'erano problemi, e che se voleva poteva lasciarla un po' con me. Lei voleva stare con me, perché voleva assicurarsi che stessi bene.
Si fece prendere in braccio, mi chiese se avevo ancora i segni delle “bue” nel corpo e nelle braccia. Sollevò una manica della mia maglietta, e quando vide la cicatrice sul polso, ci diede un bacio sopra, aprendo le braccia ed esclamando “la bua non c'è più!”.
Sembrerà strano, ma in quell'istante sentii come se, effettivamente, tutto il dolore provato in quell'ultimo periodo si fosse affievolito.

  
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