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Autore: Ink Voice    21/11/2014    2 recensioni
Raccolta di one shot appartenenti all'universo dei Soulwriters Team, seguito di quelle di Andy Black e Barks.
1. ESCAPE. Frammenti di ricordi la svegliarono nel cuore della notte anche quella volta.
2. COLLAGE. Frammenti di sentimenti. Sentimenti forti, che mai vogliamo condividere con il prossimo.
3. RUINS. Frammenti. Stavolta di paure, intimi segreti e timori nascosti, che ci domandiamo se riusciremo mai a superare… forse con l’aiuto di qualcun altro sarebbe più semplice.
4. AGAIN. Frammenti del passato. Del passato che fa male, che ci tormenta con i suoi fantasmi. [...] C’è un modo per dimenticare? Cosa faremmo se il doloroso passato ci si ripresentasse davanti all’improvviso? E ancora… se decidessimo noi di affrontarlo?
Buona lettura e buon proseguimento del vostro cammino nelle opere dei Soulwriters.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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4. AGAIN
Frammenti del passato. Del passato che fa male, che ci tormenta con i suoi fantasmi.
E i ricordi ci trasmettono brividi freddi, sgradevoli e sgraditi alla nostra sensibile spina dorsale.
C’è un modo per dimenticare? Cosa faremmo se il doloroso passato ci si ripresentasse davanti all’improvviso?
E ancora… se decidessimo noi di affrontarlo?

Proprio quello a cui iniziava a pensare Helen.
Si era stancata di convivere con le sue paure e non riuscire a darci un taglio, voleva fronteggiare il suo passato e non averne paura. Ok, forse avrebbe evitato di farlo da sola, ma con l’aiuto di qualcuno sperava di farcela una volta per tutte.
Si guardò allo specchio. Era la mattina del primo novembre, il giorno successivo agli eventi accaduti nelle Rovine d’Alfa - la gita era risultata un disastro a tutti gli effetti - , si sistemò i capelli mossi spazzolandoli velocemente e poi continuò a studiarsi.
Il suo sguardo si spostò dalle labbra poco grandi, per niente pronunciate, fino al nasino all’insù che Sean trovava tanto divertente punzecchiare. Sbuffò mentre finalmente i suoi occhi incontravano quelli della sé stessa riflessa sul vetro.
Rosso. Ultimamente le tracce di marrone nelle iridi erano definitivamente scomparse per cedere il posto a quel colore innaturale. Lo trovava molto bello, enigmatico, ma innaturale. La faceva sentire diversa e la cosa non le andava molto a genio, perché troppo spesso la gente per la strada la guardava davvero a lungo.
Molte persone non riescono a capire quanto mettono a disagio gli altri.
Secondo Helen il tatto era stato praticamente dimenticato, così come la sensibilità e l’empatia. Cose fondamentali per il rapporto con le altre persone. Helen sapeva quando essere gentile, premurosa e protettiva con coloro a cui voleva bene o chi ne aveva bisogno… ma era altrettanto brava a non preoccuparsi minimamente del prossimo, tanto da apparire menefreghista ai più.
Ma dell’opinione altrui non le interessava più da molto tempo.
-Toh, che menefreghista sono- brontolò, le sopracciglia sottili inarcate. Sorrise.

-Che cazzo ho fatto…?!
Sean avrebbe tanto voluto squarciare con le sue stesse mani il cuscino su cui si era accanito.
Non poteva credere di aver fatto tanto del male alla sua Helen e di non essersene accorto finché la situazione non era degenerata, fino a diventare insostenibile non solo per lei, ma per tutti e quattro loro.
Era colpa sua. Lui aveva avuto l’idea di visitare le Rovine per scoprirne i segreti e la sua amata ci aveva rimesso. Quello che era successo non poteva essere cambiato, ma avrebbe dato qualsiasi cosa per poter tornare indietro di qualche ora e impedire al sé stesso della sera prima, anzi di giorni prima, di organizzare quella dannata gita.
Helen era chiusa in bagno da tantissimo tempo e lui non sapeva cosa stesse facendo, se stesse addirittura meditando di finire lì la loro relazione - la cosa fece saltare un battito al suo cuore. -Ti scongiuro, no- pregò in un mormorio rotto dalla paura e dall’insicurezza.
Non sapeva cosa pensare: se la situazione gli fosse sfuggita di mano non se lo sarebbe mai perdonato, avrebbe perso definitivamente la ragazza che amava da anni.
Se invece Helen avesse avuto la forza di lasciar correre, non se lo sarebbe mai perdonato comunque perché si sarebbe sentito ancor più in colpa nel ricordare che aveva fatto una colossale… stronzata. Solo così riusciva a definire ciò a cui aveva costretto la sua ragazza.
Sentì all’improvviso un timido, leggero bussare alla porta e il cuore perse nuovamente un battito. Andando avanti così gli sarebbe preso un infarto se quella situazione non si fosse risolta il prima possibile. Aprì la porta.
Non riuscì a spiccicare parola a Helen che lei lo abbracciò con forza. Dopo un primo momento di tentennamento ricambiò la stretta e rimasero così per lunghi istanti, assaporando l’uno l’essenza dell’altra. Sean affondò la mano tra i capelli sciolti di lei mentre l’altra le cingeva le spalle.
-Hel…
-Sean- lo interruppe lei -voglio tornare ad Amarantopoli.
Il ragazzo le chiese di ripetere, incredulo nell’aver sentito quelle parole. Helen disse esattamente le stesse cose e Sean subito ribatté con un secco, deciso e soprattutto amareggiato “No”.
-Come no?!- esclamò lei sorpresa. Si aspettava una reazione di positivo stupore alle sue parole, finalmente aveva deciso di pareggiare i conti con il suo passato… e ora la persona che avrebbe dovuto aiutarla e sostenerla le remava contro. “Qualcosa non va” pensò Helen dubbiosa e perplessa.
-Assolutamente no- disse freddamente Sean, con un tono intenzionato a liquidare il prima possibile la questione.
-E perché? Ho finalmente il coraggio di affrontare il mio passato e proprio tu mi vuoi ostacolare?!- Helen aveva quasi preso a gridare ora, frustrata dalle parole glaciali del ragazzo.
-Non ho intenzione di permetterti di farti nuovamente del male, ok? E poi dopo così poco tempo dalla gita di ieri!- il ragazzo mise teatralmente le mani tra i capelli spettinati, arruffandoli ancor di più. Se possibile era ancor più frustrato di lei, meravigliato dal fatto che lei sembrava aver rimosso gli eventi della sera precedente.
-Senti, non m’interessa cos’è successo ieri, voglio solo tornare ad Amarantopoli e vedere come reagisco. Forse ce ne andremo subito dopo aver messo piede in città, forse rimarremo un po’, non lo so…
-Non puoi fare come ti pare, Helen- borbottò Sean con disapprovazione. -C’è bisogno di organizzarsi. O andiamo, o non andiamo, e se vuoi fare ‘sta cosa si resta in città finché non finisce la “vacanza”- mimò le virgolette con le dita. -Ma comunque sia non andremo, non tornerai ad Amarantopoli per i prossimi dieci anni!
-Sì, vabbè, allora chiudimi in un convento di clausura!
-Non ho detto questo, cretina, ho detto che…
-Zitto- fece lei secca e seccata. -Che ti piaccia o no, noi torneremo alla mia città. E se non vuoi venire andrò da sola con i miei Pokémon. Ora che Larvitar è diventato un Pupitar mi può difendere ancora di più, e…
-E niente! Possibile che non capisci che sto cercando di rimediare al casino di ieri? Mi sento in colpa come mai prima d’ora, mi sento uno schifo, ho avuto paura che tu mi mollassi per la cazzata che ho fatto e ora mi chiedi di fare qualcos’altro che potrebbe farti nuovamente star male?!
Sean si fermò a riprendere fiato e avrebbe pure proseguito, ma si bloccò quando vide l’espressione mortificata di Helen.
“Allora vuole proteggermi…” pensò, abbassando la testa. Sean la abbracciò mentre il battito del cuore riprendeva i suoi ritmi consueti e lei, bassina com’era, appoggiò la fronte sul suo petto ampio.
Stava cercando di rimediare ai suoi errori, al fatto che non si fosse accorto di star facendo soffrire la sua ragazza. Stava male, davvero male per ciò che era successo… e aveva addirittura avuto paura che per il suo errore la loro relazione sarebbe finita.
Helen ricambiò l’abbraccio e stettero nuovamente un po’ in silenzio a coccolarsi durante quella fredda mattinata di inizio novembre. -Ok, va bene, ho capito. Ma…
Sean cercò di non sbuffare nel sentire quel “ma”. Si trattenne e Helen proseguì: -Io voglio davvero andare incontro al mio passato e sconfiggere tutti i miei fantasmi. Non sarà certo colpa tua se mi accompagnerai, perché sono stata io a volerlo… per favore…
Il ragazzo difficilmente riusciva a resistere alle sue richieste, dette con voce così dolce e supplichevole. Tentò di dissuaderla: -Ma Hel, se te lo facessi fare e tu ti sentissi male io starei ancora peggio.
-E perché mai?- Helen alzò la testa e lo guardò negli occhi, sinceramente sorpresa.
-Perché… ti avrei permesso di star male, in un certo senso.
Lei inarcò le sopracciglia in un’espressione comica. -Non dire sciocchezze.
-Non sono sciocchezze!- si lamentò l’altro. -È molto importante invece!
-Quando partiamo?- fece lei.
Sean si rassegnò. -Peggio per te, cretinetta- ripeté, per poi schioccarle un lieve bacio sulla fronte.

Helen dovette aspettare ancora un bel po’ di tempo, però, per tornare ad Amarantopoli. Impegnati com’erano sia lei che Sean con la scuola, decisero di ritagliare qualche giorno delle vacanze natalizie per andarci. Non erano ancora maggiorenni perciò sarebbero stati ospitati da alcuni amici della famiglia Morgan.
I giorni di novembre trascorsero velocemente, secondo Helen per fortuna: non le piaceva quel mese. La foschia, ogni mattina e a volte anche al crepuscolo, si posava sul mare e nascondeva l’orizzonte dai colori, prima accesi dal sole estivo, ora spenti dal clima autunnale e invernale.
Il carico di compiti era piuttosto pesante e poche volte prima delle vacanze stesse Helen e Sean ebbero l’occasione di uscire insieme agli amici. La ragazza studiava in un liceo linguistico e lui al classico.
Ma Natale e le vacanze arrivarono salvando i nervi dei due, fin troppo provati durante quell’anno scolastico. I genitori di Sean fermarono i loro viaggi intorno al mondo per tornare a Olivinopoli fino al 27 dicembre, giorno in cui sarebbero partiti per i paesi orientali. Il 28, invece, Helen e Sean avrebbero lasciato casa fino al 3 gennaio e poi sarebbero tornati.
Helen non era tranquillissima, ma se lo aspettava. Sapeva di non essere fredda e imperturbabile come a volte riusciva ad essere, in un modo a lei del tutto sconosciuto, il suo ragazzo. Con gli estranei sapeva essere aperto, disponibile e solare, al contrario di lei; ma quando doveva confrontarsi con chi non gli stava a genio, Helen quasi lo ammirava per il suo carattere. Le piaceva questo suo “lato oscuro”.
Inoltre, per la prima volta, i due avrebbero passato il capodanno lontani da casa e avrebbero partecipato ai festeggiamenti di Amarantopoli, famosi in tutto il mondo per la loro bellezza, creatività ed originalità.
Novembre fu un mese duro sia per la scuola, sia perché era brutto agli occhi di Helen, sia per l’imminente viaggio. Anche per Sean non era un gran mese: i suoi preferiti erano quelli estivi, quando poteva passare intere giornate al mare a nuotare o ad allenare i suoi Pokémon. Mancava poco perché le sue Horsea e Kirlia evolvessero rispettivamente in Seadra e Gardevoir; ogni momento libero era buono per andare ad allenarsi insieme a Helen.
I Pokémon di lei non crebbero molto ma presto si sarebbero evoluti anche Quilava e Houndour, finalmente. Erano anni che li conosceva in quella forma e mai era riuscita ad allenarli per bene, mai aveva avuto abbastanza tempo per dedicarsi totalmente a loro.
Almeno erano in grado di difenderli, e questo era ciò che contava.
Quello del Natale fu un bel periodo: i genitori di Sean tornarono a casa e come al solito furono molto solari, gentili, premurosi e disponibili con i due ragazzi. Il nonno di lui poté star via per fatti suoi qualche giorno anziché fare da guardia ai due fidanzati.
Helen li trovava un po’ soffocanti, ma voleva loro un gran bene ed era loro riconoscente per tutto ciò che avevano fatto. Se avessero saputo che stava per tornare nella città da cui era scappata avrebbero sprangato porte e finestre di casa, ma non ci fu motivo di spiegare cosa avrebbero fatto dopo la loro partenza. Mike e Linda portarono come regali una vagonata di ricordini provenienti dalle più disparate zone del mondo e anche inutili quanto carini.
Festeggiarono il Natale da soli, loro quattro, perché era una delle poche occasioni in cui potevano riunirsi insieme e volevano condividere quei momenti solo tra loro e nessun altro.

Amarantopoli e Olivinopoli erano abbastanza vicine, tanto che Sean e Helen intrapresero il viaggio in autobus. Non c’erano molte persone a bordo e poterono sistemare le valigie - non troppo piene e grandi, comunque - come più gli faceva comodo.
Quel giorno il sole faceva capolino dalle nuvole ogni tanto e scaldava appena appena la strada, gli alberi, i prati… e un po’ più tardi anche le mattonelle, la pavimentazione delle vie della città da cui proveniva Helen.
L’autobus li lasciò poco fuori dalla città. Appena varcarono gli antichi, maestosi cancelli che segnavano l’ingresso in Amarantopoli, Helen ebbe un tuffo al cuore. Prese a battere forte, molto più di quanto aveva fatto durante il viaggio verso le Rovine d’Alfa.
Doveva realizzarlo per bene. Era… a casa. Dopo anni passati a scappare da quella città, eccola tornare di sua volontà. Non le sembrava vero.
L’aria di Amarantopoli era tutta particolare. Si vedeva che era lontana dal mare, al contrario di Olivinopoli che era una città marittima, con il porto, il molo, la spiaggia e il famoso faro.
La Torre Campana svettava sopra gli edifici dal gusto orientale, nessuna costruzione presentava colori freddi. Le case avevano i tetti rosso-arancio e le pareti color porpora. Tutti i colori erano accesi dai tenui raggi di sole. La Torre era più lontana rispetto alla città, separata da essa da un fitto boschetto di alberi dalle foglie rosse e gialle, autunnali.
Helen ricordò le primavere ad Amarantopoli: i Pidgey che volavano per il cielo della città, gli Hoothoot con il loro verso lugubre che riempiva la serata, Vulpix e Sentret che scorrazzavano per le città liberamente o in compagnia dei loro allenatori. Le aiuole fiorite, il laghetto con la fonte, i marciapiedi larghi… poche macchine giravano per la città, in favore di una grossa percentuale di mezzi come le biciclette o, più semplicemente, i propri piedi.
Helen sentì qualcosa sopra la spalla e si voltò di scatto per incontrare lo sguardo tranquillo e rassicurante di Sean. Il ragazzo le sorrise e lei ricambiò, socchiudendo gli occhi cremisi e poi distogliendo lo sguardo.
Si incamminarono verso il centro della città, mentre Sean cercava di intavolare qualche conversazione per distrarre la ragazza, timoroso che potesse mostrare segni di disagio… eccessivi.
-Potrei sfidare il capopalestra Angelo, sai? Dovrei prima ottenere la medaglia di Chiara, in realtà, ma molti mi hanno detto che è più difficile battere lei e la sua Miltank. Sono un duo molto forte, perciò ho deciso che presto andrò a sfidare Angelo. Se non riuscirò a batterlo avrò un po’ di tempo per recuperare, resteremo qua quasi una settimana…
Helen ogni tanto annuiva o mormorava un “Mh” mentre con lo sguardo esplorava i dintorni, le vie, in cerca di negozi o punti di riferimento che le erano stati tanto familiari da piccola.
Ma era tutto cambiato. Non riconosceva più nulla, eppure Amarantopoli l’aveva esplorata in lungo e in largo in cerca di angoli nascosti dove giocare con Larvitar, Houndour e altri Pokémon e ragazzini. Conosceva quella città come le sue tasche, ma ora le erano familiari solo i nomi delle vie.
Solo quelli erano rimasti immutati. E casa sua? La madre viveva ancora là oppure se n’era andata anche lei?
Si chiese se volesse saperlo, se volesse scoprire come era cambiata la vita di Miriam dalla sua fuga. Avrebbe mai avuto la forza di tornare nella via dove abitava? Ricordava bene, d’altronde, il numero civico e la zona di casa sua.
E se per puro caso si fosse imbattuta nella madre mentre girava per le strade con Sean? Quale sarebbe stata la sua reazione? Non sapeva nemmeno lei che risposte dare a queste domande.
Ma se avesse trovato il coraggio di visitare il suo vecchio quartiere, l’avrebbe fatto l’ultimo giorno di “vacanza”, per evitare di rovinare il tutto.
L’albergo che avevano prenotato si trovava nella zona centrale della città. Era piccolo ma confortevole, c’era tutto ciò di cui Helen e Sean avevano bisogno per quella breve settimana ad Amarantopoli.
Sean osservò attentamente la ragazza in cerca di qualcosa che gli potesse comunicare il suo stato d’animo: se fosse sempre in tensione o agitata era la sua prima preoccupazione. Ma quando passò il primo giorno fu molto insicuro riguardo le sue osservazioni.
Helen sembrava a proprio agio. Le cartine di cui si erano muniti per visitare la città non le servivano, anzi faceva lei da guida a Sean. Lo portava con sicurezza nei caratteristici vicoli che si facevano strada tra gli edifici e conosceva le zone verdi e i musei più interessanti.
Eppure, come confessò al suo fidanzato, erano cambiate molte cose. Non aveva più i punti di riferimento a cui si affidava da bambina. La cosa velò la sua espressione di malinconia, ma dopo poco si riprese.
Un po’ perché era davvero sincera, un po’ perché voleva impedirsi di star male. Soprattutto ora che non si sentiva più fragile, anzi si credeva addirittura forte, coraggiosa. Si era spinta nel luogo che prima per lei era un tabù.
Ma ora ripeteva la parola “Amarantopoli” ad alta voce, oltre che nella sua mente.
Sean, quando lei non lo guardava ed era occupata a mostrargli qualcosa, sorrideva fiero della sua ragazza. Helen non seppe subito spiegarsi il motivo di un suo improvviso abbraccio, ma dopo poco capì.
Le sue labbra si distesero in un ampio sorriso.

-Cosa vediamo ora?- chiese Sean dopo aver scattato qualche fotografia alla Torre Bruciata e alla Torre Campana.
-Ho visto che al teatro della città c’è uno spettacolo delle Kimono Girls programmato per la sera del 31 dicembre. Che ne dici? Ti va di vederlo?
-E me lo chiedi pure? Ovvio!
Sean di rado aveva potuto ammirare le famose danze delle Kimono Girls, venerate ed elogiate unanimemente dalla critica e dal pubblico. In pochissime occasioni qualche loro spettacolo non era piaciuto granché.
Si esibivano di rado anche per preparare bene le coreografie, la musica e i copioni, ma l’ultimo dell’anno, i solstizi e gli equinozi erano date obbligatorie in cui esibirsi.
I due prenotarono un paio di biglietti online appena in tempo, poiché come al solito andavano a ruba. Era la mattina del 30 dicembre e quel dì passò tranquillamente tra visite e passeggiate.
Il giorno successivo, invece, Helen e Sean si alzarono presto. Lui aveva intenzione di sfidare Angelo. Era molto in tensione, preoccupato per l’esito della battaglia, e certamente non intenzionato a perdere.
L’esterno della Palestra di Amarantopoli era identico a quello di tutte le altre della regione di Johto, ma quando varcarono l’entrata Helen strinse più forte la mano del fidanzato.
La palestra era immersa nell’oscurità. Una nebbia nera, densa, nascondeva l’intera Palestra agli occhi dei due.
-Serve aiuto?- domandò gentilmente una voce, che però fece sobbalzare un’agitatissima Helen.
-Salve- salutò invece Sean con tranquillità, rivolto verso un uomo che era spuntato dalla foschia scura. -Vorrei lottare contro il Capopalestra Angelo.
-Capitate nei giorni giusti: non c’è nessun allenatore che ha prenotato e Angelo è libero. Prego!- li invitò l’uomo, che Helen identificò come la “guida alla Palestra”. Egli indicò una porta sul fondo: la parete più lontana andava mano a mano dissolvendosi nella nebbia. -Entrate là, io avverto Angelo di prepararsi. Chi è lo sfidante?
Sean alzò la mano. -Io. Ho due medaglie, comunque. Non ho preso quella della Palestra di Fiordoropoli.
-Nessun problema. Andate pure.
I due fidanzati aprirono da sé le grosse porte di legno ed entrarono nella vera Palestra. Un grandissimo campo di lotta li divideva da Angelo. Il Capopalestra era appoggiato con la schiena al muro e li osservava sorridendo, con l’aria di chi sta aspettando da un po’ qualcuno.
-Benvenuti- mormorò, una nota lugubre nella voce. -Io sono Angelo, il Capopalestra di Amarantopoli, specializzato nei Pokémon Spettro. Tu sei…?- domandò rivolto a Sean.
Il ragazzo si presentò. Era piuttosto in tensione. Le medaglie di Valerio e Raffaello le aveva ottenute mesi prima, in estate, e non era sicuro di essere ancora “abituato” alle lotte in Palestra.
Dopo aver ricordato le regole e stabilito il numero totale di Pokémon da usare, la lotta cominciò. Sean mandò in campo Horsea e Angelo un Gastly.
Il piano di Sean era fare sì che Horsea evolvesse durante lo scontro con Gastly. Il professor Elm, ormai amico di famiglia, aveva controllato i suoi dati al pc e aveva notato che mancava pochissimo al momento della sua evoluzione.
-Gastly, usa Malosguardo- ordinò placidamente Angelo.
Il Pokémon sparì, lasciando Sean e Horsea di stucco. Riapparì poco dopo, il volto a pochi centimetri da quello della Horsea. I suoi grandi occhi erano illuminati di luce rossa e il Pokémon Acqua si impietrì.
-Horsea, scaraventalo via con Surf!
Horsea, che si teneva in equilibrio precario sul terreno, fece un piccolo saltò e piroettò su sé stessa, dando vita ad un’onda d’acqua di inaudita potenza che si abbatté su Gastly, arrecandogli non pochi danni.
-Usa Leccata!
Sean temporeggiò. Gastly si avvicinò a Horsea e la attaccò, ma poi l’altra replicò con Acquadisale. Il Pokémon avversario era messo parecchio male, ma attaccò con Dispetto e la mossa divenne inutilizzabile a causa di quella sua maledizione. Ma ormai era fatta: Horsea usò di nuovo Surf e Gastly fu messo al tappeto.
Helen era dietro di Sean e osservava rapita la lotta. Trattenne il fiato all’unisono con Sean alla vista della luce bianca di cui Horsea si era appena illuminata. La riconobbe, era la stessa che aveva avvolto Larvitar poco tempo addietro e l’aveva trasformato in un Pupitar. Horsea quindi stava evolvendosi.
La sua sagoma mutò di forma e dimensioni finché la luce non divenne troppo accecante per guardarla, tanto che i presenti furono costretti a chiudere gli occhi. Quando li riaprirono, una Seadra esclamava fiera e orgogliosa di essersi finalmente evoluta.
-Non ci credo…- mormorò Sean ammirato.
Angelo non si fece dominare dalle emozioni e, continuando a sorridere sornione, lanciò la sua seconda Ball in campo. Gengar. Iniziava subito a fare sul serio.
Seadra però non pareva spaventata e, dopo aver bloccato con Surf una Palla Ombra, gli scagliò l’onda addosso. Il Pokémon indietreggiò ma insistette con Palla Ombra e riuscì a colpire Seadra, la quale stava cercando di non apparire affaticata dalle due lotte.
-Ora usa Ipnosi!- ordinò Angelo.
Il sonno di Seadra fu decisivo per l’esito della lotta: bastarono altre due Palle Ombra per metterla K.O.. Sean scelse Lapras come secondo Pokémon, sperando che le sue ottime difese si rivelassero d’aiuto nella battaglia.
-Usa Stordiraggio, Lapras!
Un raggio di luce che partiva dal corno del Pokémon Acqua e Ghiaccio attirò l’attenzione di Gengar e in breve lo confuse. Il Pokémon si colpì da solo con Palla Ombra e svenne dopo un paio di Geloraggio.
Mancava l’ultimo Pokémon di Angelo, che rivelò un Haunter. La battaglia fu breve e volse a favore di Sean: Lapras era eccezionale in battaglia, resisteva bene e assestava colpi durissimi che mandarono al tappeto Haunter presto.
Angelo, alla fine della battaglia, aveva ancora quel sorriso beffardo e placido dipinto sul volto pallido. Dalla tasca dei pantaloni tirò fuori una Medaglia dipinta di viola, a forma di nuvoletta stilizzata.
-Questa è la Medaglia Nebbia. Ti conviene andare a prendere quella della Palestra di Fiordoropoli, ora. Batterai Chiara senza problemi, sei un ottimo Allenatore. Complimenti- si congratulò Angelo.
Sia Sean che Helen sorridevano. Strinsero la mano al Capopalestra e se ne andarono, soddisfatti.

-Pensavo peggio- fu il primo commento di Sean appena uscirono dalla Palestra.
-Anche io! Sei stato bravissimo, amore!- Helen stampò un bacio prima sulla guancia del ragazzo e poi sulle sue labbra.
I due sorrisero e, prendendosi per mano, proseguirono la loro ennesima passeggiata per le vie di Amarantopoli. Ormai era quasi l’ora di pranzo e le strade erano deserte, in attesa di essere affollate dai giovani festanti la sera stessa.
Passarono dal Centro Pokémon per rimettere in sesto sia Lapras che Seadra e poi andarono a pranzo al ristorante. Ora entrambi erano molto curiosi di assistere allo spettacolo al Teatro di Amarantopoli e confermare le voci secondo cui le danze delle Kimono Girls avessero un non so che di magico.
E lo fecero, promossero a pieni voti lo spettacolo a cui assistettero.
Il Teatro di Danza era una costruzione sobria ma elegante. Rispettava lo stile esotico di Amarantopoli ma comunque si distingueva: i colori sgargianti del blu e dell’arancio spiccavano soprattutto la sera, illuminati dalle torce e dalle lanterne sulle quali erano dipinti ideogrammi e disegni anch’essi dal sapore orientale.
Già alla vista esterna del Teatro, Sean e Helen erano impressionati dalla sua bellezza. Si sentirono insignificanti e piccoli piccoli. Si erano vestiti il più elegantemente possibile per non “sfigurare”, temendo le occhiatacce degli eventuali spettatori molto ricchi. Entrambi si sentivano un po’ a disagio in quei vestiti, non erano abituati.
Lo spettacolo iniziava alle nove, mancavano dieci minuti quando la coppia si sedette. I loro posti, essendo gli ultimi rimasti, non erano vicini al palco ma esso tutto sommato si vedeva bene.
L’atmosfera era rilassata ma al contempo pervasa da una grande trepidazione, il pubblico fremeva per assistere ad uno degli eventi più attesi di tutto l’anno ad Amarantopoli, se non nell’intera Johto. I posti accanto a Helen erano occupati da un’anziana coppia che, a giudicare dall’accento e dal modo di parlare, pareva provenire da Azalina.

-Inizia!- Helen sussurrò quella che avrebbe dovuto essere un’esclamazione quando la presentatrice richiese il silenzio totale. La donna fece il suo breve discorso rituale, non c’erano dubbi che fosse molto simile a quelli che pronunciava prima degli altri spettacoli; poi si ritirò dietro il sipario color bordeaux, mentre partivano gli applausi meccanici del pubblico.
Dopo lunghissimi istanti d’attesa, una singola nota riverberò nel silenzio, prodotta da uno strumento a corde. La musica, come da tradizione del Teatro quando si esibivano le Kimono Girls, proveniva dai paesi dell’ lontano Oriente. La melodia accompagnò il lento movimento del sipario che si alzava e rivelava dietro di sé… il buio.
Passò un altro lungo momento che bastò a Helen per chiedersi quando sarebbe, finalmente, partito lo spettacolo. Ma non fece in tempo a finire quel pensiero che cinque luci si accesero, una seguendo l’altra, illuminando le pose composte che avevano assunto precedentemente le ballerine.
I loro abiti, gli eleganti e coloratissimi kimono, erano quasi tutti uguali ma differivano per i colori. Uno era bianco decorato con motivi astratti, neri; un altro per la maggior parte nero e sulla stoffa erano stati ricamati dei fiocchi di neve candidi. Gli altri tre erano sfumature diverse di celeste, blu e azzurrino, la cui freddezza era però compensata da una percentuale di colori caldi.
Solo alla vista dei bellissimi kimono, l’attenzione di Helen e Sean - e probabilmente del resto del pubblico - era stata catturata.
Poi, lentamente, le figure di quelle donne presero vita e iniziarono a danzare.
Passò qualche minuto prima che i presenti potessero scambiarsi qualche commento, presi com’erano dallo spettacolo. Era qualcosa di magico e stupefacente, la rappresentazione ricreava l’ambiente di una foresta spogliata dall’inverno e le ballerine si muovevano leggiadre e perfette.
Ogni tanto una di loro si fermava e cantava con voce sublime, oppure continuava a muoversi, ma recitando anziché danzando. Dopo poco fecero la loro entrata in scena anche i Pokémon delle Kimono Girls.
Erano cinque delle evoluzioni di Eevee e, secondo il copione dello spettacolo, stavano aiutando le fanciulle perse nella selva buia, grigia, priva del manto verde primaverile o dei caldi colori autunnali.
-Oh… non ti fa venire la pelle d’oca la loro danza? È così bella che mi fa rabbrividire, sono così aggraziate e armoniose con i loro passi… e anche i Pokémon…- mormorò Helen.
-Già- sospirò Sean, ammaliato da quelle giovani donne bellissime. Helen gli aveva scoccato tantissime occhiatacce di nascosto, ma un po’ riusciva a comprendere la sua ammirazione verso quelle ragazze. Solo un po’, perché la gelosia offuscava tutto il resto.
-Tempo fa ci fu uno scandalo che le riguardò. Io ero piccolo, ma ogni tanto ne riparlano, anche in televisione- proseguì Sean dopo poco.
-Di quale stai parlando?
-Di quello in cui fu coinvolto il Team Rocket. Avevano rapito le Kimono Girls dato il loro stile di lotta… sono molto brave anche nei combattimenti, oltre che nella danza, nella recitazione e chissà quante altre cose… una di loro passò anche dalla parte del Team malvagio.
-Oh, sì!- Helen corrugò la fronte, ricordandoselo. -Noi eravamo piccoli, forse non eravamo nemmeno nati. Ma se ne parla spesso anche tutt’ora.
-Sì. E la popolazione di Amarantopoli fu sconvolta anche dal tentato assassinio di un bambino, sempre ad opera dei Rocket, che però è riuscito a salvarsi proprio grazie ad una delle Kimono Girls.
-Che schifo…- bisbigliò la ragazza, disgustata. -Come hanno potuto anche solo pensare di poter uccidere un bambino così… indifeso?
Sean scosse la testa, gli occhi vitrei a fissare i movimenti sinuosi e leggiadri delle ragazze, senza vederli realmente. Si riprese e continuò a parlare: -Grazie al cielo si sono sciolti una volta per tutte. Merito di quei ragazzi, com’è che li chiamano?
-Dexholders- rispose Helen mentre la prima parte dello spettacolo si concludeva e gli applausi sinceri del pubblico scrosciavano rumorosi, stavolta sinceri.
Sean annuì. L’intervallo fu breve e non parlarono per niente né durante la pausa né quando la rappresentazione teatrale riprese, e con essa il racconto della tenebrosa, indesiderata avventura che le sfortunate fanciulle stavano vivendo. La musica era intervallata dagli ululati dei lupi, il fruscio del vento che non incontrava foglie da scuotere e gli attacchi dei Pokémon rivolti a nemici e ostacoli immaginari.
Chissà come sarebbe stato vivere un’avventura, si chiedeva Helen. Proprio lei che aveva scoperto cosa si provava a lasciare casa e perdere tutto nella speranza di trovare un futuro migliore.
In alcuni momenti né lei né Sean capivano se si trovavano nella foresta spoglia, spettatori della frustrazione delle Kimono Girls disperate per essersi perse, oppure a teatro.
Quasi non fecero caso al momento in cui la musica iniziò a rallentare, a dissolversi pian piano, calando di tono. Una nota poco udibile ma decisa, la stessa che aveva dato inizio allo spettacolo, lo chiuse definitivamente.
Di nuovo gli applausi, stavolta anche esclamazioni ammirate - qualcuno si azzardò a gridare “Vi amo!”, suscitando l’ilarità dei presenti ma non quella delle imperturbabili ballerine.
Helen e Sean uscirono abbastanza presto, si era fatto piuttosto tardi: erano le undici passate. Meno di un’ora mancava ai fuochi d’artificio che sarebbero stati lanciati da una piazza della città occasionalmente chiusa al pubblico.
Il posto migliore in realtà sarebbe stata la Torre Campana o in alternativa la Torre Bruciata, ma per ovvi motivi non potevano essere violati quei luoghi sacri.
Le vie di Amarantopoli erano affollatissime da giovani, non tutti sobri e tranquilli. Helen stringeva forte la mano di Sean, il quale cercava di farsi strada tra la calca che li sballottava da una parte all’altra. I due erano in cerca di un posticino riparato, tranquillo, dove poter ammirare in pace lo spettacolo pirotecnico che avrebbe avuto luogo di lì a, ormai, mezz’ora.
Trovarono finalmente il posto perfetto in un parco dentro il quale si innalzava una collinetta. Una piccola terrazza, anch’essa purtroppo affollata, si trovava sulla cima di essa. I due si accontentarono di una panchina.
Si sedettero vicini, ancora in silenzio. Non sapevano perché non si stessero parlando da parecchio tempo, ma effettivamente non avevano nulla da dirsi.
Helen poggiò la testa sopra la spalla di Sean, poi dopo aver controllato l’ora sul cellulare - 23.41 - decise di rompere il silenzio, anche per passare i lunghi minuti che li separavano dallo scoppio del primo fuoco d’artificio. -Sono felice di aver assistito allo spettacolo delle Kimono Girls…
-Anche io- replicò Sean. -Non me l’aspettavo così… era perfetto. Non c’è stato un momento in cui la melodia abbia stonato, una ballerina si sia dimenticata un passo o un attacco dei Pokémon sia stato poco controllato.
-Chissà quanti anni servono per diventare così.
-Come?
-Nel senso… quanto tempo devono studiare la danza, la recitazione, il canto e probabilmente anche la musica. E le lotte Pokémon, ovviamente.
Sean annuì e la discussione cadde. Helen si sistemò meglio, mise la testa sul petto di lui che le cinse le spalle con un braccio. Dopo qualche minuto lui mormorò: -Helen, ti amo.
Lei non rispose, ma sollevò la testa e incontrò presto le labbra di lui.
Si baciarono a lungo, raccontandosi l’un l’altro i teneri sentimenti che provavano senza dover usare le parole. Gli occhi di entrambi erano chiusi, non c’era modo di tener conto del tempo, non ce n’era bisogno.
E presto i fuochi d’artificio si alzarono nel cielo, illuminando i volti innamorati dei due per brevi istanti.
I due interruppero insieme il bacio per augurarsi buon anno.



Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Ehilà, gente! So che mi aspettavate l'11, ma a causa di vari impegni, scolastici e non, non ho avuto il tempo di finire il Frammento. Che poi quando ho avuto più tempo - grazie ad Andy Black che mi ha sostituita - ho scritto qualcosa come 4 pagine in più, ma dettagli :°D
E così si conclude la mia raccolta di Frammenti: questo è il mio preferito e penso si noti, mi piace molto. Spero che anche a voi sia piaciuto leggerlo, fatemelo sapere con una recensione!
Avviso i lettori di Not the same story che il capitolo è quasi pronto; Minaccia dallo Spazio invece no - manco ho iniziato ç.ç
Per il resto, ci vediamo a dicembre sul profilo in comune per la mitica long scritta tutti insieme!
Il 26 ricordatevi di passare dalla raccolta di AuraNera_.
A presto!

 
Eleanor
  
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