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Autore: Toms98    21/11/2014    1 recensioni
Quante possibilità ci sono per la popolazione umana di salvarsi dai pericoli di questo mondo? Isis, pandemie, guerre, minacce nucleari: c'è veramente qualcuno che può salvare l'umanità da tutto questo? Forse nessun uomo può farlo, ma non c'è nessun'altro? Il colonnello McRonald è stato incaricato dal governo degli Stati Uniti di ricercare uomini con capacita al limite del normale. Ne uscirà fuori un team composto da un pugile-cavia da laboratorio russo, un'apprendista ninja, un giovane con un bordone "magico", un genio con un tumore al cervello e un assassino. Ma basteranno tutti loro, guidati dal colonnello e dalla rossa Lauren, nel loro arduo compito?
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- La domanda è un’altra, signore - disse la rossa trentenne - Accetteranno di unirsi a noi? -
- Ne sono certo. All’inizio ci odieranno, odieranno il mondo, odieranno chiunque dovranno difendere. Poi capiranno che è nel loro destino, dobbiamo solo aiutarli. -
- Signore - aggiunse infine Lauren - Forse corre troppo -
- Perché? -
- Dovremmo prima fare di modo che non odino quello che sono diventati -
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Chaotic'
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PROLOGO- Cinque strade differenti
Periferia di Torino
Marco scorreva il dito fra le pagine del libro di Filosofia, assaporando coi suoi occhi marroni i pensieri di Talete e frammenti dei testi di Anassimandro. Da quando aveva iniziato il terzo anno dello Scientifico quella materia in particolare lo aveva affascinato sin da subito, forse perché spesso i pensatori avevano idee così simili alle sue, forse perché la sua professoressa sapeva far amare la sua materia, o forse più semplicemente perché la filosofia era un po’ una tradizione di famiglia. Stava leggendo proprio ora la visione ciclica sulla nascita delle cose di Empedocle, quando una figura alle sue spalle si avvicinò. << Non vorrei disturbare il signor genio incompreso, ma sono arrivati gli zii dall’America >> disse sua madre, facendogli alzare la testa dal libro di scatto. Un enorme sorriso attraversò la sua bocca in un battibaleno, quando capì ciò che gli aveva detto sua madre. Corse in bagno, passò freneticamente il pettine fra i suoi capelli marroni, poi tornò in camera, scelse i vestiti migliori e li indossò. Scese le scale a grande velocità e si fiondò in sala. Al tavolo si erano già sedute Lucia, sua sorella, Antonio, suo padre, ma soprattutto l’anima della giornata, l’esempio da seguire in tutti i modi: suo zio Achille, appena tornato dall’America, con la moglie Elizabeth. Achille Rossi, fratello di suo padre, era da sempre stato per Marco una luce in fondo alla galleria. Di professione era, in teoria, un direttore di banca, ma lui preferiva presentarsi come filosofo neoantico. Certo, le sue teorie non erano famose, però spesso si erano rivelate molto fondate. Era grazie a lui che Marco si era convinto ad andare allo scientifico, e il ragazzo sapeva che ogni volta che tornava a Torino gli regalava qualche apparecchio di innovata tecnologia, poi parlavano dei pensieri filosofici e infine si godevano in sacrosanto silenzio la partita della Juventus. Quella sera non fu diversa: sorrisi, abbracci, Elizabeth che si lamentava di come la cucina a New York non fosse buona come qui, battute, discussioni, e fu così che si arrivò al momento tanto atteso da tutta la famiglia. Achille si alzò, bevve un po’ di vino, si schiarì la voce e cominciò: << Come sapete, molti filosofi, tra cui Empedocle, pensano che l’archè, il principio di tutte le cose, sia nella combinazione di acqua, fuoco, terra e aria. Ebbene, allora anche noi saremmo fatti di queste cose. Ma siccome siamo esseri di intelletto, se fossimo formati da questi quattro elementi, non potremmo sfruttare la nostra intelligenza per modificarli? Secondo me si può. >> Marco e suo padre si guardarono straniti. Si sapeva che spesso le teorie di suo zio erano al limite della pazzia, ma questa era ben oltre. Controllare gli elementi non era minimamente nelle più rosee aspettative del genere umano. << Lo so che credete che sia pazzo >> continuò il filosofo << ma pensateci un attimo. Gente che sente la pioggia annusando l’aria, uomini e donne che improvvisamente prendono fuoco. Tutto ciò è la dimostrazione del potenziale umano >>. << Quindi, secondo te, solo perché delle persone bruciano senza motivo l’uomo può sparare sfere di fuoco? Non sono argomentazioni valide. >> ribatté Marco. << Punto uno, io non ho mai parlato di sfere di fuoco, punto due... >> Achille respirò un attimo << ...ho qualcosa che lo prova. >>
Kiyomizudera, Kyoto
Il gran maestro si aggirava fra le stanze del tempio per cercarla, ma lei era più furba. Sapeva bene dove il maestro la avrebbe cercata e quanto tempo ci avrebbe messo a trovarla, sempre se ci fosse riuscito. Non appena il suo insegnante passò oltre il suo nascondiglio e svoltò l’angolo, con il massimo silenzio si diresse verso la sala da pranzo, dove lo avrebbe atteso al suo ritorno. Jeshi Yamamoto, bionda, occhi azzurri, sedici anni non ancora compiti, amava e odiava allo stesso tempo il suo addestramento. Lo riteneva troppo rigido e monotono, così fra un allenamento e l’altro scappava e si rifugiava da qualche parte nell'imponente struttura, poi metteva le cuffie nelle orecchie e ascoltava musica. Stava per farlo anche quella volta, quando sentì dietro di lei la voce del gran maestro, che le diceva con voce burbera e serena al tempo stesso: << Jeshi, non dovresti essere qui, ma in camera tua a meditare, allenarti o altro. E di certo non dovresti avere quel coso. >> e porse la mano per ricevere il dispositivo. Jeshi arrotolò le cuffie e lo appoggiò delicatamente sulla mano del maestro. << Però non è giusto. >> ribatté la ragazza << Non violo mai la regola del silenzio, se no non avrei preso le cuffie. >>
<< Non è una questione di silenzio o no, ma di concentrazione. Più ti concentrerai, meno durerà l’addestramento. >>
<< Maestro, non so come ha fatto a sopportare lei questi insegnamenti senza infrangere le regole >> disse la giovane, mentre i due si avviarono verso la sala da pranzo.
<< Non ho mai detto che non le infrangessi >>
<< Allora perché io non posso infrangerle >>
<< Anch’io ero giovane, anch’io ero annoiato da questa vita, anch’io infrangevo le regole, ma ogni volta il mio gran maestro mi rimproverava e mi faceva capire che sbagliavo. Dovresti concentrarti anche tu, visto che... >>
<< Visto che? >> Jeshi finse di non avere la più pallida idea di cosa stesse per dirle, ma in cuor suo sperava fosse quella risposta. << Visto che >> continuò il vecchio << il Consiglio degli Anziani ha fissato la data del tua esame finale per diventare una Kunochi >>
Jeshi trattenne a sento un grido di gioia. Era il suo sogno, fin da quando ancora bambina era stata adottata dal gran maestro a seguito dell’omicidio-suicidio dei suoi genitori. Ringraziò il vecchio e si diresse in camera sua per allenarsi.
Guymon, Oklahoma
Una goccia cadde dal soffitto. Shawn non se ne accorse. Era troppo preso da quello che aveva fatto. Rosso. L’unico colore che vedeva. L’unico colore che avevano le pareti e il pavimento. Anche lui era rosso; grondava rosso sin dai capelli corvini. La lama, la katana, che teneva ancora in mano cadde a terra. I suoi occhi scuri erano fissi alla scena che gli si delineava davanti. Per terra, che ancora perdeva sangue, c’era il corpo senza vita e senza testa di Warren Withman, alcolista, burbero e malvagio nell’animo, sposato con moglie e due figli. Il maggiore, che aveva trent’anni, era Shawn. Le orecchie di Shawn lo destarono da quello stato di shock. Dalla cucina, la madre continuava a piangere, appoggiata ai piedi del frigorifero. La faccia piena di sgraffi e di lividi, l’occhio destro nero, la mano bruciata da poco. I vestiti, laceri, le coprivano le ferite peggiori. A lato, un coltello e una tanica di benzina che perdeva ancora il liquido. Dall’altra parte, una scatola di fiammiferi, caduti per terra. In braccio, la signora Withman teneva la figlia, Sonya, di poco più di dieci anni. La piccola era molto meglio vestita e sembrava perfetta, se non per la testolina, adagiata in modo non naturale sulla spalla. I segni dello scarpone che la aveva colpita le erano ancora impressi sulla guancia delicata. Shawn si abbandonò allo shock. La spada che teneva in mano, appartenente alla collezione di suo padre, gli cadde di mano e colpì una bottiglia di vodka, ancora in mano a colui che era, e ora non è più. Cercò di rimettere insieme i pezzi, di ragionare. Impossibile. La televisione era ancora accesa. L’unica cosa che si muoveva in quella stanza. Shawn era ancora sotto shock, ma qualcosa lo spinse a muoversi. Conosceva i suoi vicini, degli impiccioni senza capo né coda. Sentendo le grida di quella casa, avranno già chiamato la polizia. E lui sarebbe stato incolpato. Corse in bagno, cercò di pulire il sangue. Una voce gli ronzò nella testa, mentre lavava via il sangue dalle mani. “Non sei diverso da lui!” diceva “Sei malvagio!”. Shawn prese tutto quello che poteva. Vestiti, soldi e poco altro. Il resto lo avrebbe preso durante la fuga. Non riuscì a cambiarsi i vestiti, quindi si mise addosso una felpa e corse verso l’uscita secondaria con uno zaino in spalla. Passò per la cucina. Si avvicinò alla madre. Provò a sfiorarla, ma lei sembrava non accorgersi di lui. Canticchiava singhiozzando una dolce ninna nanna al suo angioletto. << Addio mamma >> disse fra i denti << Spero che tu possa essere felice >>. Uscì di corsa dalla casa. Il giardino era, per sua fortuna, invisibile dalla casa affianco. Il retro della casa dava su un torrente. Era la sua salvezza. Doveva solo nuotare fino al Beaver, quindi seguirlo fino a Oklahoma City, a quel punto poteva scendere a sud verso il Texas, proseguire a est verso l’Arkansas o, se fosse stato fortunato, prendere un treno e raggiungere New York o Miami. Si tuffò. L’acqua era gelida, ma non gli importò. Sentiva come se quell’acqua gli lavasse via le sue colpe. Appoggiò le sue scarpe da tennis sul fondo del fiume e avanzò seguendo la corrente. Le sirene della polizia risuonarono in lontanza.
San Pietroburgo
Igor Romanoff colpì l’avversario con un diretto sinistro. La protezione del suo avversario non resse. Indietreggiò un paio di metri e finì alle corde. Il Gigante Biondo, così era chiamato Igor nel giro dei tifosi di pugilato, sorrise beffardo dall’alto dei suoi due metri. Iniziò quindi una serie continua di montanti, ganci e diretti. I guantoni blu colpivano a gran velocità il suo avversario. Dopo una serie di colpi, si fermò a far respirare il suo avversario. Poi, mentre l’avversario preparava un diretto, lo colpì alla mascella con un uppercut. Dieci secondi dopo Ivan era, di nuovo, il campione mondiale dei pesi massimi. Sorrise, con tutto lo stadio casalingo che inneggiava il suo nome. Il Gigante Biondo, non solo alto ma anche enorme, scese dal palco e fu avvicinato dal presidente russo, che si congratulò con lui. Mentre entrava negli spogliatoi, un cronista americano che aveva seguito il match disse che non era ancora nato un Rocky ma era nato un Ivan Drago. Un uomo in giacca e cravatta lì affianco sorrise e si diresse verso lo spogliatoio. Igor lo aspettava affranto su una panca. << Complimenti IR/7 >> disse il russo, parandosi davanti a lui con austerità << Vedo che i nuovi test sono andati bene. Le dosi sono state aumentate. A breve dovremmo essere in grado di passare alla fase due. >> Igor sbuffò mentre l’uomo usciva dalla porta di servizio. Non lo aveva scelto lui il su destino, ma era stato costretto dalle circostanze. Deformò con un pugno l’armadietto lì vicino e si allontanò verso la porta principale. Entrò quindi nella limousine. Si sedette sui sedili e provò a riposare. Una voce lo disturbò mentre socchiudeva gli occhi. << Salve signor Romanoff >> disse una donna con forte accento russo << Il mio nome e il mio ruolo dovranno rimanere segreti. Se ti può tornare utile chiamami Boulevard. E sono qui per proporti un accordo. >> Igor aggrottò la fronte.
Manhattan, NY
<< Oramai è giunta la mia ora >> disse fissando la telecamera Alfred Wald << Un genio ha sempre una vita tormentata, un destino segnato. Mostrare al mondo un barlume di speranza, per poi essere distrutto dall’uomo stesso. Questo è il male supremo di questo mondo. Loro potevano agire, se solo avessero voluto. Ma la diagnosi è arrivata tardi, troppo tardi dicevano. Tumore al cervello. Incurabile, se non con l’asportazione di quella parte di cervello. E io avrei accettato, se non fosse che è una pratica illegale ovunque su questo pianeta. Ma ciò non mi fermerà. E non solo. Io non sarò morto. Io sarò tutto. Grazie a questo meccanismo. >> e così dicendo mostrò la specie di casco che aveva al lato della testa << Con questo, sarò in grado di non morire e di continuare ad usare il mio cervello anche se infettato ancora dal male. Spero che chi vedrà questo filmato, possa capire le motivazioni che mi hanno spinto a questo folle volo, ma... >> Non riuscì a finire la frase che fu colpito da una fitta. Ultimamente erano molto più frequenti. Alfred impallidì. Non doveva succedere. Il meccanismo doveva salvarlo. Cadde a terra esanime. gli occhi gli si chiusero e morì. Dieci secondi e riaprì gli occhi. << A scoppiò ritardato, ma funziona bene. >> disse rialzandosi da terra. Spense la telecamera. Ora era il Frankenstein di se stesso, ma non aveva nessuna intenzione di uccidere il suo creatore. Indossò un esoscheletro rinforzato e uscì
<< Alfred Wald è morto. Il Rinato è sorto. >> disse uscendo da casa.
San Pietroburgo
Boulevard accennò leggermente da sotto l’uniforme rubata. Igor rispose abbassando lo sguardo. Si superarono senza considerarsi, come prevedevano i piani. Igor, scortato da due poliziotti, stava attraversando il corridoio verso quella odiosa sala che avrebbe visto per l’ultima volta. Arrivato alla porta, le guardie lo fecero entrare. Il professore che lo aveva trasformato in una cavia da laboratorio era lì, con in mano l’ultima fiala di quell’odioso siero che lo rendeva una massa incontrollata di muscoli. Il dottore lo fece sdraiare lentamente sulla sedia, quindi gli iniettò il composto. Igor strinse i denti mentre il prodotto faceva dolorosamente effetto. Il professore si era appartato nel frattempo con l’uomo in giacca e cravatta, al cui fianco stava, fingendosi un'inesperta stagista, Boulevard.  Il dolore era passato, ma Igor continuava ad essere contratto. Il professore si avvicinò e lo tranquillizzò. In quel momento il piano si attuò. Igor scattò contro il dottore e gli ruppe il collo con un colpo secco. Da dietro, l’uomo in giacca e cravatta estrasse rapidamente una pistola, ma Buolevard fu più rapida di lui e lo freddò in un instante. Igor si affiancò a lei, prese la pistola che gli porgeva la donna e spalancò la porta. Le guardie erano a terra, morte, mentre davanti un giovane li stava aspettando, anche lui armato. << Ce ne avete messo! >> disse poi mentre correvano verso l’uscita. Buolevard rispose parlando della difficoltà di far stare zitta quella stupida stagista. Erano a qualche metro dall’uscita, quando si parò contro loro un cospicuo gruppo di soldati armati di mitra. Igor aprì di scatto una porta e vi entrò con Buolevard, mentre Tracker, quello era il nome in codice del giovane, riuscì a malapena a ripararsi dietro un mobile, rimanendo però ferito alla gamba. << Andate, ve li tengo occupati >> disse sganciando una granata. I due corsero verso l’uscita secondaria, fortunatamente quei pochi soldati che incontrarono non furono un problema, e si ritrovarono in men che non si dica fuori. Lì Headchief, un altro dell’organizzazione terrorista di Buolevard, li aspettava travestito da generale in una jeep parcheggiata lì fuori. Riuscirono a fuggire dal piccolo appartamento senza problemi. << E Tracker? >> chiese Headchief. << E’ rimasto indietro >> rispose Buolevard, poi si rivolse a Igor e disse << Come ben saprai, siamo un'organizzazione terrorista mondiale che impedisce che vengano fatti esperimenti sull’uomo. Tu sei il caso più eclatante, quindi prima fuggiremo dalla Russia, prima saremo salvi e potrai raccontare cosa ti hanno reso. Fino a quel momento non farne parola con nessuno. Capito? >> Igor annuì lentamente, per lui non era un problema, era sempre stato un tipo taciturno, anche prima, credeva, ma ormai i ricordi di quando era ancora giovane e normale erano annebbiati. Pensava sempre se fossero stati loro a cancellargli i ricordi o lui stesso, ormai arresosi al non poter più essere il bambino dolce e gracile che era prima, a cancellarli gradualmente. Era assorto in quei pensieri quando Headchief alla guida della macchina imprecò. Boulevard scrutò oltre il sedile davanti al suo e si morse il labbro. C’era un posto di blocco della polizia. Incredibile, pensò Igor, dopo essersi salvato dal laboratorio ora doveva ricominciare da zero per uno stupido posto di blocco. Poi, ragionando, capì che non  doveva preoccuparsi. Solo i piani alti sapevano del progetto IR/7, quindi non erano lì per lui. D’altro canto, i terroristi della Human Gene agivano nell’anonimato, quindi erano semplicemente il più famoso pugile del momento, una donna, forse la sua nuova fiamma, e il loro autista. La copertura reggeva bene, anche perché era noto a tutti che Igor adorava le jeep e la vita semplice. Quando i poliziotti li fermarono, i tre rimasero tranquilli e sorridenti. Igor non poté fare a meno di stupirsi della bravura a fingere di Boulevard. Dopo aver restituito i documenti, l’ufficiale che li aveva fermati li invitò a proseguire. Dopo aver ringraziato, i tre si allontanarono.
<< Preparatevi a scappare >> disse Headchief. Igor lo guardò stranito e fece per chiedere informazioni, ma Boulevard lo precedette: << Credo che sia troppo tardi, ormai. >> disse la donna << Tracker ci ha traditi! Verremo arrestati. >>
Non fecero più di duecento metri che un elicottero sbucò dal cielo notturno, puntandogli un faro luminoso addosso. Nel giro di qualche minuto decine di truppe di forze speciali sbucarono dai lati della strada, puntando i fucili contro l’auto. Headchief frenò di botto, alzò le mani e fece cenno agli altri due dietro di fare altrettanto. << Guardate il lato positivo >> disse, mentre i soldati si avvicinavano ad armi alzate  << Sono delle forze internazionali. >>
Oklahoma City, Oklahoma
Shawn entrò nel negozio con nonchalance. Era il secondo negozio che visitava da quando era scappato, e nel primo per poco non veniva scoperto. Qui non doveva commettere lo stesso errore. Entrò e si diresse verso gli scaffali degli alimentari. Prese un paio di snack, qualche bottiglia d’acqua e si diresse verso l’uscita. Si fermò poco prima di svoltare l’angolo. Dalla vetrina si vedeva una volante parcheggiata, mentre un poliziotto stava entrando. Salutò la commessa del negozio, si avvicinò al bancone e cominciò a parlare: << Signora, stiamo indagando su un omicidio, ne avrà sentito parlare. >>
<< Certamente >> rispose la donna << Quel giovane che ha ucciso il padre e la sorella, e per il quale la madre è finita all’ospedale sotto shock >> Shawn strinse i denti. Quel burbero ubriaco aveva ucciso sua sorella e ora tutti pensavano fosse colpa sua.
<< Proprio quello signora >> rispose l’uomo << abbiamo una foto dell’omicida, sa dirmi se lo ha visto da queste parti? >> Shawn impallidì, e si preparò alla fuga.
<< No, mi dispiace >> la risposta della commessa lo lasciò spiazzato. Solo allora capì che molto probabilmente avevano la sua patente e quindi la foto, sfasata di qualche anno, non lo rappresentava esattamente. Si rasserenò vedendo l’uomo uscire e risalire in auto. Corse a rimettere tutto a posto e cercò una porta di servizio. La trovò e uscì dal retro. Si ritrovò in un vicolo deserto. si tirò su il cappuccio della felpa e sbucò in strada, proprio mentre un’auto stava passando. Cadde a terra dolorante, ma per sua fortuna non si era rotto niente. Il guidatore scese velocemente dall’auto. << Come sta signore? >> chiese preoccupato. Istintivamente Shawn si voltò per rispondere, ma davanti a lui si parò il poliziotto che aveva incontrato all’interno. Sulle prime, l’uomo non riconobbe in lui l’omicida, poi se ne rese conto e puntò in faccia la pistola. << Shawn Withman, per la legge dello stato di Oklahoma la dichiaro in arresto. Ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato durante l'interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato, gliene sarà assegnato uno d'ufficio. >> disse il poliziotto, mentre metteva le manette ai polsi di Shawn.
Kiyomizudera, Kyoto
Jeshi era preoccupata, mentre cercava il suo maestro. Questa improvvisa assenza era completamente ingiustificata, di solito non perdeva mai una lezione. Si avviò verso il magazzino, nella speranza di trovarlo lì a scegliere un tipo diverso di allenamento. Arrivò alla porta, e vide che il cappello che portava sempre era lì  su un tavolo. Stava per esordire con una frase del tutto poco rispettosa, quando sentì all’interno delle grida. << Vi prego, farò tutto quello che volete, ma non toccate la piccola >> era la voce del suo maestro che implorava pietà. Jeshi aprì leggermente la porta per vedere meglio la situazione. Un uomo puntava una pistola alla testa del vecchio, mentre altri due lo tenevano fermo e un terzo lo osservava da dietro. << Forse non ci siamo intesi, allora. Io non voglio te, io voglio la ragazza >> disse l’uomo minaccioso
<< Mai! >> rispose duro il maestro << Non seguirà mai le vostre folli idee! >>
<< Hai ragione. Di sua spontanea volontà, non ci ubbidirà mai. Però so come convincerla. >> l’uomo si avvicinò all’orecchio e sussurrò ad alta voce << Sai che ci sta guardando? >> poi si tolse e fece cenno all’uomo dietro. Questi prese una lancia e con forza la conficcò nella gola del vecchio. Jeshi urlò ed entrò spalancando la porta. Gli uomini che tenevano fermo il suo maestro imbracciarono i fucili e li puntarono verso lei, ma il loro capo li fermò. << Ma guarda! >> disse << La piccola Jeshi Yamamoto. Non ci posso credere! Quanto sei cresciuta! >>
<< Perché lo hai fatto? >> urlò piangente Jeshi, china sul vecchio maestro.
<< Io non ho fatto niente, la colpa è tutta tua. >> disse l’uomo
Jeshi stava per controbattere, quando osservò bene l’assassino. Aveva dei guanti. Poi osservò bene la lancia che aveva inconsciamente afferrato. Era la sua. E visto che lei era l’unica che lo aveva toccato a mani nude l’asta, sarebbero state trovate solo le sue impronte. Troppo tardi. << Cosa volete da me? >> chiese la ragazza.
<< Te. La tua bravura è quello che ci serve. Ah, non sai quanto ci sei mancata! >>
<< Chi sei, come fai a conoscermi? >>
<< E’ così che rispondi al tuo adorato zio? Sapevo che quella puttana di tua madre ti avrebbe mandato in un qualche posto dimenticato da Dio, ma non credevo che dopo aver ucciso i tuoi genitori tu me li ricordasti così tanto! >> Esclamò infine l’uomo. Jeshi passò dallo sbigottimento alla rabbia in pochi istanti. Afferrò la lancia, la sfilò dal cadavere e la lanciò con tutta la forza verso l’uomo, che la schivò agilmente.
<< E’ proprio di questo che parlavo. Sei una ragazza tosta, mia cara! Comunque ora ti pongo davanti ad una scelta. O ci segui e, a fino addestramento, potrai provare ad uccidermi, o uscire, essere arrestata dalla polizia ed essere giustiziata a morte. E qui non siamo in America, qui ti fucilano per questo >> disse l’uomo sorridendo << A te la scelta. >>
Jeshi rimase lì impietrita. Avrebbe voluto seguire il malvagio, per poter vendicare sua madre, suo padre e il suo maestro. Ma sapeva che quest’ultimo non avrebbe mai accettato un tale comportamento. Decisa, colpì alla pancia uno di quelli con il fucile, glielo sfilò e lo puntò verso quell’altro che aveva il fucile, poi indietreggiò fino alla porta. << Jeshi, cara, sei sicura che la tua vita vale più della mia? >>
<< No >> poi indicò il corpo << Ma la sua vita valeva più di qualunque altra. >> detto questo gettò il fucile e uscì. La polizia era lì ad aspettarla. La intimarono di fermarsi e lei lo fece, alzando le mani. Sorrise, sentendo di aver fatto la cosa giusta.
Periferia di Torino
In un edificio vecchio e abbandonato, quello che pensi di trovare sono i segni del vandalismo o del tempo. Marco invece vide qualcosa di più strano. Al centro della sala, attaccato a terra, era presente una specie di lancia corta. Achille indicò la lancia e cominciò a parlare di come lo avesse trovato. Marco ne rimase affascinato. Era del tutto incredibile. Sul bordone era incisa una strana formula in greco antico. Achille la tradusse sommariamente: << Solo un puro di cuore potrà gestirne il potere >> disse
<< Toh che strano, mi sa tanto di cliché >> controbattè Marco, avvicinandosi. Anche il resto della famiglia, per la prima volta, prese in giro Achille. Marco, nel frattempo, si era avvicinato alla lancia e, incuriosito, la stava osservando nei minimi dettagli.
<< Cosa succederebbe se la sfiorassi? >> chiede il giovane
<< Non ne ho la più pallida idea. >> rispose il filosofo << Ma io non proverei >>
<< Io sì >> rispose il giovane, e detto questo prese la lancia con una mano e la alzò al cielo. Per pochi secondi non accade nulla, poi un esplosione invase l’aria. Immediatamente Marco si ritrovò nell’occhio di un ciclone che stava distruggendo tutto intorno a lui. Provò a staccarsi dal bordone, ma la mano sembrava bloccata, così come tutto il corpo. Cadde in una specie di trance. Vedeva tutto. Disastri naturali, prodotti in tutto il mondo. Era forse colpa sua? Era quel maledetto bordone ad aver fatto tutto questo? Un brivido gli avrebbe potuto attraversare il corpo, sennonché era ormai della stessa consistenza del marmo. Provò a concentrare le sue vedute. Riuscì a focalizzarsi su quello che stava accadendo affianco a lui. La sua famiglia era fortunatamente al salvo. Una squadra speciale stava entrando nell’edificio abbandonato per fermarlo. Allora riaprì a forza gli occhi. Un uomo armato gli urlò, attraverso la tromba d’aria che lo avvolgeva: << Getta l’arma >>
<< Mi dispiace, ma non posso. Sembra essersi attaccato. >> rispose il giovane, e sentì l’uomo, a circa cinque metri da lui, parlare ad un suo compagno, ma non riuscì a capire niente di quello che dicevano. Poi quello che gli aveva già urlato disse << Ok, questo potrebbe farti un po’ male, ma dovrebbe fermare il potere del bordone >> poi gli spararono un potente narcotizzante. Marco svenne, ma sentì la tromba d’aria infrangersi.
Sede della ARMED, USA
Il colonnello Donald McRonald si avviò verso la sala principale. Le si avvicinò Lauren, la giovane stagista che gli avevano affidato, con in mano una cartella. << Signore, abbiamo fermato altri quattro individui che rientrano nei parametri. Tre stanno per essere giustiziati, mentre uno è definito morto. Possiamo unirli alla squadra >> disse
<< Mi pare ovvio, anche se sarà difficile tenerli uniti >> disse il colonnello
<< Signore, non siamo in Avengers, loro non si odiano, andranno più d’accordo di quanto pensa >> Lauren era fatta così, non riusciva a rimanere formale per più di dieci minuti. Subito si scusò per la caduta di stile. Il colonnello sorrise sotto i suoi baffi autoritari, poi tornò serio e osservò Wald rintanato in una cella.
<< La domanda è un’altra, signore >> disse la rossa trentenne << Accetteranno di unirsi a noi? >>
<< Ne sono certo. All’inizio ci odieranno, odieranno il mondo, odieranno chiunque dovranno difendere. Poi capiranno che è nel loro destino, dobbiamo solo aiutarli. >>
<< Signore >> aggiunse infine Lauren << Forse corre troppo >>
<< Perché? >>
<< Dovremmo prima fare di modo che non odino quello che sono diventati >>
 
   
 
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