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Autore: Smaugslayer    22/11/2014    2 recensioni
[seguito di Quidditch con delitto, http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2540840&i=1]
I (doppi)giochi sono aperti, e questa volta condurranno Sherlock Holmes e John Watson dal 221B di Baker Street al numero 12 di Grimmauld Place, Londra.
Se a Hogwarts i due eroi erano al centro delle vicende, ora saranno trasportati dalla storia del Ragazzo Sopravvissuto fino al cuore della Seconda Guerra Magica. E per tenere fede alle proprie convinzioni dovranno tradirle...
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sirius Black fu ucciso alcune settimane più tardi in uno scontro al Ministero della Magia, e il ritorno di Voldemort fu ufficialmente riconosciuto da Cornelius Caramell in persona.
 
Non era difficile notare quanto Sherlock fosse abbattuto, benché lui cercasse di non darlo a vedere; non era mai stato in stretti rapporti con Black, ma lo considerava uno dei maghi più versati mai esistiti per aver contribuito alla creazione della Mappa del Malandrino, e credeva quindi che la sua morte fosse un grandissimo spreco di potenziale.
 
John pensava a Remus Lupin, che aveva atteso la verità per dodici anni e ora aveva perso l’unico amico che gli era rimasto. Possibile che la sorte fosse tanto ingiusta? Sembrava impossibile per quell’uomo trovare un momento di pace.
 
“Si sta avvicinando il vento da est, John” commentò Sherlock di punto in bianco quel pomeriggio.
Erano entrambi seduti davanti al caminetto spento. Mentre John leggeva il giornale, Sherlock era rimasto in silenzio per ore, perso nelle sue riflessioni. Il sole stava calando e il cielo si era rannuvolato, ma l’aria era stranamente pesante e afosa, come in una giornata d’agosto.
 
“Non credo” disse John, riponendo a terra il volume. “Fa molto caldo, oggi.”
 
Sherlock sogghignò a questa sciocca risposta. “È la guerra, John. Il vento dell’est è la guerra. E faremo meglio a coprirci molto bene, perché sarà fredda e impetuosa, e noi ci saremo dritti in mezzo.”
 
“Da dove deriva l’espressione?” domandò John, più incuriosito che turbato da una simile predizione.
 
“Era così che i miei genitori chiamavano la Prima Guerra Magica, soprattutto dopo che mio... insomma, ora il vento dell’est sta tornando, anzi è già qui. Il ritorno di Voldemort è stato rivelato, e gli scontri si sono finalmente aperti. Ormai non è più possibile ignorare la realtà.”
 
In quel momento, un gufo picchiettò alla finestra dell’appartamento. John la aprì con un cenno della bacchetta e il volatile gli posò in grembo una lettera, per poi appollaiarsi con un frullo d’ali sopra la credenza, in attesa di riconsegnare la risposta.
 
“È di Mary” constatò John, rigirandosi la busta fra le mani.
 
“Certo, ovvio.”
 
John alzò gli occhi al cielo, strappando la fragile pergamena con un dito ed estraendo il foglio contenuto al suo interno. Sherlock vide il suo volto accigliarsi sempre di più man mano che leggeva. “Alcuni amici danno una cena stasera e i genitori di Mary estendono l’invito a me e Simon” riportò John con una smorfia di disgusto, appallottolando la pergamena e scagliandola in un angolo della stanza con uno scatto rabbioso. “Un uomo muore e loro danno una festa.”
 
“E noi ci andremo. Sarà un’occasione d’oro per Simon.” Sherlock unì le dita sotto il mento con un sorrisetto furbo.
 
“Lo so, lo so, ma comunque… per Merlino, non vedo l’ora che questi Purosangue si estinguano una volta per tutte. Ci saranno molti meno problemi, allora. E anche molti meno idioti.”
 
“Tu e Mary siete di sangue puro” gli fece notare Sherlock, inclinando la testa da un lato.
 
“Sì, e allora? Non è che ne vada fiero.” Disse John inarcando le sopracciglia.
 
“Se avrete figli…”
 
“Oh, sta’ zitto.”
 
Si alzò di scatto e si spostò a passì pesanti in camera propria per prepararsi, sentendo Sherlock fare lo stesso dopo pochi secondi. Si vergognava della propria asprezza e del proprio atteggiamento brusco, ma non riusciva a comportarsi in modo diverso. A Hogwarts era stato un ragazzino impacciato, insicuro, e forse un po’ troppo sentimentale. Da quando Sherlock se n’era andato, era diventato sempre più rigido e distaccato, e non riusciva più ad abbandonare quell’atteggiamento. Soprattutto, non si sentiva più in grado di recuperare il suo vecchio rapporto con l’amico. Da quando Sherlock era stato trasferito al lavoro si vedevano poco, e a casa erano entrambi cupi e chiusi in se stessi; le pure e semplici chiacchiere erano scomparse, sostituite da pesanti silenzi che nessuno dei due provava a riempire. Nonostante ciò, John sapeva di non poter fare a meno di lui: aveva trascorso troppi anni senza averlo al suo fianco, e la sua sola presenza lo calmava e lo confortava. Nel corso degli anni Sherlock lo aveva coinvolto in innumerevoli avventure rischiose, ma averlo accanto lo faceva comunque sentire al sicuro.
 
Circa mezzora dopo si presentarono a casa Morstan, tirati a lucido e impeccabili.
 
Un’elfa domestica aprì loro la porta e li condusse nel vestibolo con modi ossequiosi, lasciandoli sudare nell’ambiente saturo di vapori in attesa che qualcuno li ricevesse. John non conosceva bene quel posto, perché Mary non viveva lì stabilmente e lui c’era stato poche volte, nessuna delle quali gli aveva lasciato un piacevole ricordo; tuttavia, non gli era mai parso che la casa venisse riscaldata costantemente in quel modo.
 
La fidanzata di John lo raggiunse poco dopo, elegantissima nel suo impalpabile vestito lilla, ma molto pallida in viso. Abbracciò rapidamente Sherlock e si concesse di indugiare tra le braccia del fidanzato. “Scusate per la temperatura” disse, districandosi da lui e levando gli occhi al cielo con esasperazione. “I miei hanno il terrore dei Dissennatori. Dicono che stanno già occupando le strade e presto invaderanno le case. Che sciocchezza. Ah!” La ragazza fece una smorfia di dolore e si strinse lo stomaco con un braccio, mentre con l’altro cercava a tentoni una parete su cui appoggiarsi.
 
“Mary. Ehi, Mary, va tutto bene” tentò di tranquillizzarla Sherlock, seppur confuso.
 
John la prese per le spalle. “Mary, che succede?”
 
Lei raddirizzò la schiena, assumendo una posizione impettita per darsi contegno, e annuì. “Va tutto bene, non ti preoccupare. Partiremo tra poco con la Metropolvere.”
 
“Chi sarà presente alla cena?” chiese Sherlock in tono leggero.
 
“Oh, solo qualche amico di mamma e papà” rispose Mary, con un’aria da ragazzina frivola che non le apparteneva. “Credo che l’età media si aggiri attorno ai 130 anni. Sono contenta che abbiate accettato l’invito con così poco preavviso, o mi sarei annoiata da morire.” Parlava in modo formale, dicendo ciò che ci si aspettava di sentirle dire a beneficio di eventuali ascoltatori indiscreti. “Credo che ci saranno i Fawley, i Greengrass e forse qualcuno dei Malfoy.”
 
I due non replicarono, limitandosi a scambiarsi un’occhiata.
 
“Mary, stai tremando” fece notare Sherlock dopo qualche secondo.
 
John non aveva mai visto la sua ragazza così scossa. La costrinse ad appoggiarsi al muro rivestito di pannelli di legno, sorreggendola perché non scivolasse a terra.
 
“No, sto bene” protestò debolmente lei. “È solo un po’ di influenza.”
 
“Bene un corno. Che cosa succede?”
 
Lei guardò implorante Sherlock, che levò la bacchetta ed esclamò “Muffliato… Ecco, ora puoi parlare liberamente. Nessuno ti sentirà.”
 
“Non…” Mary si portò una mano allo stomaco, boccheggiando per prendere fiato.
 
Mai John si era sentito tanto impotente. Non capiva nemmeno se il malessere di lei fosse fisico o psicologico.
 
“John, tu mi ami, vero?” mugolò lei.
 
Spiazzato da quella domanda, John lanciò un’occhiata all’amico, che però rimase impassibile. “Certo che ti amo, ma si può sapere che cos’hai?”
 
Mary trattenne un conato portandosi una mano alla bocca, e il suo respiro si fece affrettato.
 
“È incinta” disse seccamente Sherlock.
 
Lei sospirò e annuì.
 
“È… è fantastico” disse John dopo un attimo. “Un figlio. Noi avremo un figlio.”
 
La possibilità che Mary fosse in grado di rimanere incinta non gli aveva mai nemmeno sfiorato il cervello, ma ora… ora lei era lo era, era incinta, avrebbero avuto un bambino, lui sarebbe diventato padre, sarebbe stato padre, era tutto reale, stavano per diventare genitori…
 
“John, ti sei bevuto il cervello?” L’acidità della voce di lei lo riportò bruscamente al presente, dove i due lo fissavano come se fosse pazzo. “C’è una guerra là fuori.”
 
“Fra nove mesi potrebbe essere finita. E poi siamo entrambi Purosangue, no? Voldemort non verrà a tormentare la nostra famiglia.”
 
La nostra famiglia. Loro erano una famiglia.
 
“Come puoi…”
 
“John, Mary, voi due dovete parlare” si intromise Sherlock. “John, porta la madre di tuo figlio fuori di qui. Io troverò una scusa per coprirvi a cena.”
 
“No, dobbiamo partecipare…”
Sherlock si rifiutò categoricamente di ascoltarli. “Non siete in grado di affrontare un incontro del genere. Avete bisogno di discutere e decidere del vostro futuro. Andate a mangiare qualcosa per conto vostro e… fate quello che dovete fare.”
 
“E va bene” acconsentì John, in realtà ben felice di assentarsi dalla cena. “Mary…”
 
“Sì, bene. Vado a prendere il cappotto” disse lei, alzandosi faticosamente. “Ci metto un minuto.”
 
Una volta che furono soli, John si piazzò davanti a Sherlock, affrontandolo con un cipiglio. “Tu lo sapevi.”
 
Sherlock si sforzò di non incrociare il suo sguardo ed emise un prolungato e acuto “ehh”. Notando che l’amico non mostrava alcuna reazione, e anzi si limitava ad attendere a braccia conserte, recuperò il suo solito atteggiamento flemmatico e disse: “Sì, lo sapevo. L’ho notato l’ultima volta che ci siamo visti.”
 
“Ricordami di non ignorare più le tue allusioni” disse John stringendo le labbra.
 
“Meglio che io vada, adesso. Sarà una grande serata, per Simon.”
 
“Forse un po’ meno per John” replicò lui. “Diventerà padre.”
 
Sherlock si accigliò per un attimo, poi sorrise. I sorrisi di Simon erano sempre così ridicolmente entusiastici che era impossibile non esserne rallegrati.
 
 
 
Quando John tornò a Baker Street, Sherlock era già a casa. Era stravaccato sulla poltrona nera e fissava con sguardo vacuo un punto fisso di fronte a sé.
 
“Com’è andata?” domandò.
 
“Potrei diventare un Mangiamorte entro breve. Urrà.”
 
“E riguardo a me e Mary?”
 
“All’inizio ho detto che avevate le vostre cose da fidanzati da fare, ma non sembravano molto contenti, così ho raccontato che volevi approfittare dell’occasione per fare una sorpresa a Mary e portarla fuori a cena per chiederle di sposarti.”
 
“Non molto lontano dalla verità, in effetti” disse John sedendosi in poltrona di fronte a lui. “Abbiamo convenuto che a questo punto sposarci è la soluzione migliore. Tanto prima o poi sarebbe successo comunque. Insomma, ho ventisei anni, sarebbe anche ora. Non so cosa stessimo aspettando…”
 
Sherlock aveva preso in mano la propria bacchetta e la stava esaminando con aria molto assorta, così John si zittì con un sospiro.
 
L’orologio posato sulla mensola del caminetto ticchettava sommessamente, e John si sorprese a tastare con le dita il cipollotto che aveva sgraffignato all’Ufficio Misteri. Era ancora fermo alle 11:00, ma John poteva quasi sentire l’energia scorrere attraverso i suoi ingranaggi.
 
“Be’, presumo che le nostre strade si divideranno” mormorò Sherlock con voce funerea.
 
“Che intendi?”
 
“Da quando sono stato trasferito di reparto ci vediamo poco, tu te ne andrai da Baker Street; io sarò impegnato a combattere una guerra, tu a crearti una… una famiglia.”
 
“Non dirlo come se fosse una cosa disgustosa” ringhiò John, improvvisamente irato. “E poi non è vero! Verrò a trovarti.”
 
“Ora che la guerra è iniziata, la mia posizione si farà sempre più instabile. Se si scoprisse che sono una spia, tua moglie e tuo figlio sarebbero in pericolo. È meglio che tu smetta di starmi vicino e basta, John.”
 
Quelle parole ebbero l’effetto di un pugno alla bocca dello stomaco.
 
La parte peggiore era che avevano un fondo di verità: Mary e il bambino dovevano avere il meno a che fare possibile con la guerra, ed essere il migliore amico di un doppiogiochista di Silente non aiutava. Ma sacrificare la loro amicizia, sacrificare Sherlock… John non era pronto a compiere quel passo, non era preparato, e non aveva alcuna intenzione di farlo.
 
“No” disse seccamente. “Smettila di comportarti da reginetta del dramma. Prenderò le precauzioni necessarie, porrò un Incanto Fidelius su casa nostra, farò di tutto per proteggerci nel caso che qualcosa vada storto, tranne perdere te un’altra volta.”
 
“John, è per il tuo bene. In fondo, non ci perdi molto…”
 
“No, sul serio, piantala. Sherlock, se pensi che io stia con te perché non ho nessun altro… be’… oh, ecco perché di solito non faccio grandi discorsi! Se pensi che io stia con te perché non ho nessun altro, sì, è vero, ma ti posso assicurare che anche da solo starei benissimo, quindi se siamo ancora amici c’è una ragione, e non ho intenzione di fingere che quella ragione non esista e iniziare ad ignorare te.”
 
“E quale sarebbe questa ragione?” domandò Sherlock in tono pacato.
 
John aprì la bocca per rispondere, scoprendo così che non aveva idea di cosa dire. Per qualche secondo si limitarono a fissarsi, immobili.
 
Sul serio, qual era la ragione? Non gliene veniva in mente alcuna. Eppure c’era, c’era di sicuro, lui lo sentiva, di non poter fare a meno di Sherlock… e allora perché non riusciva a pensare a un singolo motivo per cui continuare a stargli accanto? Sentiva un impellente bisogno di chiedergli perché erano amici. Sherlock era, obiettivamente, una pessima persona: era freddo, teatrale, privo di tatto, saccente e condiscendente in modo inconcepibile. E allora perché lui, John, un uomo del tutto… ordinario, aveva bisogno di lui?
 
“In ogni caso, fai quel che ti pare” sbuffò Sherlock.
 
“Infatti lo farò” ribatté lui piccato.
 
“E la prossima volta che vuoi fare un discorso ti lascio cinque minuti per programmarti una scaletta. L’esposizione era frammentaria, l’argomentazione piuttosto debole, e la conclusione lasciava parecchio a desiderare.”
 
“Idiota” borbottò John, irritato.
 
“E io che dovrei dire, allora?” sbottò Sherlock. “È da un anno che vivi a tre metri da me e mi ignori.”
 
Ti… Sherlock, hai bevuto per caso?” Solo ora se ne rendeva conto: lo sguardo trasognato, la posizione scomposta, i discorsi assurdi… era ubriaco. Non completamente, forse, ma lo era.
 
“Sì, molto champagne –non sapeva di niente, tra parentesi- e sì, mi ignori. Fingi che tutto sia rimasto uguale a prima, solo che adesso non ti fidi più di me. Ti ho detto che mi dispiace, ti ho preso parte dei miei progetti, ti ho rivelato che ero vivo quando avrei potuto restare Simon per sempre, e tu ancora non ti fidi di me!”
 
“Oh, poverino” ringhiò lui con spaventoso sarcasmo. “Ti sei addirittura rivelato, che faticaccia dev’essere stata! Sai una cosa, Sherlock? Io fingo che sia tutto uguale a prima perché accettare l’evidenza mi farebbe impazzire! Hai idea di cosa significhi rendersi conto che sei anni della propria vita sono stati una menzogna?”
 
“Tu non sai cosa…”
 
“No, è proprio questo il problema! Io non so mai niente! Tanto in fondo è solo questo che vuoi, qualcuno che ti segua ciecamente come un cagnolino, niente chiacchiere, niente domande, niente di niente, solo uno a cui tu possa mostrare quanto sei figo e intelligente!”
 
“No. Sarebbe noioso.”
 
“Ah, noioso? Vuoi che io mi fidi di te? Fidati tu di me, per una volta, e poi ne riparliamo.”
Sherlock era così contrito e allibito che John quasi si pentì di quell’esplosione; ma lui si sentiva davvero meglio, dopo aver esplicitato i propri sentimenti. “Mi dispiace” si scusò, ma non era vero, non del tutto.
 
Sherlock si prese il volto tra le mani con un sospiro di stanchezza.
 
“Questa è l’ultima volta che facciamo questa cosa del parlare, ok?” disse tristemente John.
 
“Perché è così difficile?” borbottò Sherlock da dietro il palmo della mano.
 
“Che cosa è difficile?”
 
“Evitare di commettere errori.”
 
“Non capisco.”
 
“Sono umano anche io, John.”
 
John allargò le braccia e inarcò le sopracciglia. “Stai parlando in indovinelli?”
 
“No. Lascia perdere.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Smaug’s cave
Dunque dunque. Ho un po’ invertito gli eventi della serie, per quanto riguarda il matrimonio e il bambino… hehe, sì, Mary è proprio incinta. Spero si sia capito che si comportava in quel modo perché aveva la nausea e stava male, non perché l’ho fatta diventare un personaggio debole e lacrimoso. Onestamente, credo che quel “John, ti sei bevuto il cervello?” fosse piuttosto da lei.
Sirius è morto, sì. Anche qui, sì. Sorry. E il doloroso riferimento al mio adorato Remus era d’obbligo, perché è dannatamente vero che quell’uomo non ha un attimo di tregua: prima tutti i suoi migliori amici muoiono e lui crede che l’unico rimasto sia il loro assassino, poi scopre che non è così, e appena due anni dopo questi viene ucciso, e proprio quando si pensa che possa costruirsi una famiglia HAHAHAHAHAH NO, lui muore.
Passando alla parte che forse vi interessa di più, ecco uno Sherlock mezzo ubriaco con i freni inibitori completamente fuori uso… Sherlock che non può evitare di commettere errori… *coff coff* commettere ERRORI… *coff coff*.
Avete visto cos’ha twittato la BBC3 sabato scorso? Ogni sabato scrivevano dei tweet assurdi sulla Johnlock, ma sabato scorso… oh, dei dell’Olimpo. Ditemi che l’avete visto. Chiaramente sto evitando fino all’ultimo di svelarlo perché nel caso che non l’abbiate letto voglio tenervi sulle spine fino all’ultimo.
Hanno scritto che ci sarà un bacio tra John e Sherlock nel Christmas special del 2015.
  
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