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Autore: Sherezade    22/11/2014    4 recensioni
Alla vigilia della battaglia di Minas Tirith Aragorn si trova a compiere una scelta fondamentale... (AragornXLegolas)
* 24/11/14 eseguite alcune piccole modifiche e cambiato il font*
Genere: Avventura, Azione, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aragorn, Elrond, Gandalf, Gimli, Legolas
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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 SPAZIO AUTRICE:

* compare timida sventolando una bandiera bianca* Ahem… salve. Un paio di cosuccie prima che mi uccidiate, come dire… qualche postilla u.u * voce da genio di Alladin* Premetto di essere una neofita di questo fandom, e di esserlo anche nel genere slash. E in più…. *rullo di tamburi* SONO UNA NEOFITA DEL SIGNORE DEGLI ANELLI. Per cui, prima che qualche purista tolkeniano mi usi come manichino per il tiro al bersaglio, sappiate che ho visto solo i film e solo pochi mesi fa. DIISONORE SU DI ME, DIIISONORE SULLA MIA MUCCA, lo so. A mia discolpa posso però dire di essermi follemente innamorata della Terra di Mezzo… e… ehm…. Soprattutto della coppia Aragorn/Legolas. Credo di averli shippati tipo dal primo secondo che sono comparsi, ma ok XD Trattasi del mio primo ship slash, per cui capite l’importanza! L’idea centrale è nata da questa splendida serie di fan art http://10th-1216.livejournal.com/40122.html che ovviamente non sono mie…. ( magari fossi tanto brava a disegnare!). Spulciate tutto questo LiveJournal perché è una vera miniera di belle cosine sull’argomento! Per la parte su medicina e incantesimi ringrazio la mia socia sociopatica Elisa per i preziosi suggerimenti… lei sì che è una vera tolkeniana di ferro e sa tipo tutto! E nulla… vi lascio alla storia. L’ho ambientata tra la battaglia di Minas Tirith e quella finale alle porte di Mordor… e ovviamente non potevo esimermi da un’epica citazione finale, ovvero il discorso di Aragorn all’esercito del Nord e lo scambio di battute Legolas/Grimli! Buona lettura… e mi raccomando, lasciate una recensione!
Ah, piccola nota succosa: "piccolo elfo" e "umano rozzo/sudicio umano" sono i nomignoli con cui si chiamavano tra loro sul set di LOTR Orlando Bloom e Viggo Mortensen... e anche la battuta della manicure è loro! Si autoshippavano in pratica u.u


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     La notte era cupa e l’accampamento ardeva di fuochi. Gli uomini si preparavano alla battaglia che avrebbe deciso le loro sorti. E molti temevano che la loro sorte fosse già segnata.
   Un po’ discosti dal resto dell’esercito sedevano un giovane elfo dai lunghi capelli dorati in parte raccolti in piccole trecce e in parte sciolti in una scintillante cascata sulle spalle e un nano dal folto pelame rossiccio che gli copriva il viso.
  L’elfo controllava il suo arco, mentre il nano saggiava la sua ascia. Entrambi alzarono la testa sentendo dei passi. Una figura incappucciata passò accanto a loro dirigendosi alla tenda di Théoden, il re di Rohan. Intorno a lui aleggiava un’aura di potente magia.    
      “Elrond” mormorò Legolas seguendo la figura incappucciata con lo sguardo.
Sentì una familiare fitta di gelosia pungergli il cuore: c’era un solo motivo per cui il Mezzelfo poteva trovarsi lì, e di certo non era conferire con Théoden. I suoi occhi azzurri si spostarono fino a trovare una tenda rossa che sorgeva in mezzo all’accampamento. Abbassò lo sguardo, sapeva che era sciocco anche solo pensarci.
    “Non lo porterà via, ragazzino elfo” brontolò Gimli che nel frattempo era tornato ad occuparsi della sua ascia “Sai che Aragorn non ci lascerebbe mai, non ora.”
   L’elfo trasalì.
“Cosa vuoi che mi importi…” si inalberò mentre il suo volto da adolescente si imporporava tradendolo.
   Gimli ridacchiò.
“Ah voi due… quand’è che vi deciderete a fare un certo discorsetto, eh? Spero prima che Sauron ci ammazzi tutti, sarebbe un vero peccato se moriste senza prima esservi dati almeno un bacio!” 
     Borbottando “non so di cosa accidenti tu stia parlando” e “devi decisamente smetterla di bere tutta quella birra alla sera, ti fa male” l’elfo si affrettò a tirarsi il cappuccio del mantello sul viso che, a giudicare dal calore che sentiva, doveva ormai essere diventato color brace. Per tutta risposta il nano si mise a canticchiare una licenziosa ballata della sua gente che parlava di due innamorati, di una boscaglia e strane pose acrobatiche.
   Il giovane arciere sospirò, poi sollevò di nuovo gli occhi verso la tenda. E lo vide. Si dirigeva verso la tenda reale, ritto e altero, la scura chioma sparsa sulle spalle. Perfino da lì poteva indovinare lo scintillio azzurro dei suoi occhi. Sapeva cosa sarebbe successo. Era un uomo d’onore, il Ramingo, ed Elrond l’aveva allevato come un figlio. Mai gli avrebbe disobbedito. Abbassò gli occhi e tornò ad occuparsi delle frecce. L’unica cosa che poteva fare per lui era tenerlo in vita l’indomani. Come aveva fatto in tutte le battaglie precedenti e come aveva giurato a se stesso che avrebbe fatto finchè avesse potuto.

    “Aragorn”.
  Elrond era davanti a lui, lo sguardo cupo, la corona elfica che scintillava tra i suoi capelli scuri. L’umano sapeva perché era giunto fin lì da Gran Burrone, i suoi sogni gli avevano mostrato ciò che stava accadendo. Istintivamente giocherellò con la catenina che portava al collo… gliel’aveva donata lei l’ultima volta che si erano visti. E Legolas l’aveva salvata per lui quando aveva rischiato di morire sulla via del fosso di Helm. Sorrise involontariamente tra sé.
  “Arwen sta morendo.” Nella voce dell’elfo vibrava una nota di rimprovero. Guardò quasi con rabbia il giovane guerriero che aveva davanti. L’aveva salvato lui da morte certa quando era solo un fanciullo, e in quell’ultimo periodo si era pentito mille volte della sua dabbeddagine. Se avesse potuto tornare indietro e prevedere i guai che quel bellimbusto avrebbe portato in futuro l’avrebbe ucciso quand’era ancora in fasce. Sua figlia aveva rinunciato a mettersi in salvo per lui, e ora ne stava pagando lo scotto. Nella mente di Aragorn si affollavano mille ricordi: Arwen che gli prometteva di amarlo e di rinunciare alla sua vita immortale per stargli accanto, Elrond che lo guidava come un padre lungo i sentieri della vita, che gli ripeteva che le colpe dei suoi padri non sarebbero ricadute su lui… ma sopra ogni altra cosa aleggiava un volto. Un volto da adolescente incorniciato da lunghi capelli chiari, due occhi azzurri che lo seguivano ansiosi. E per quel volto lui avrebbe dovuto fare una scelta e rinnegare un giuramento.
    “Sauron sta radunando un secondo esercito. Ti servono più uomini.”
“Non ce ne sono altri.”
  Si costrinse a tornare alla realtà e ad affrontare i problemi contingenti, forse ci sarebbe stato ancora tempo… c’erano questioni più gravosi da affrontare.
  L’elfo sguainò una spada.
“Andúril, Fiamma dell’Occidente, forgiata dai frammenti di Narsil. Chi impugna questa spada può richiamare un esercito più potente di ogni altro.”
Il Ramingo deglutì. Le implicazioni di quel dono erano infinite: l’antica spada della sua gente che già aveva ferito Sauron togliendogli l’anello tornava in vita, e in più gli avrebbe permesso di richiamare ai suoi ordini l’esercito di spettri che viveva sotto la montagna, spettri che attendevano solo la redenzione servendo il re di Gondor e che nulla poteva ferire.
“Aragorn… è tua !” Elrond sorrideva invitante. Sarebbe bastato allungare la mano… Fece per prenderla, ma si fermò a mezz’aria. Sapeva a cosa stava rinunciando, sapeva di condannare l’umanità intera alla morte, ma non era mai stato un vile e di certo non lo sarebbe diventato quella notte. Sospirò e si accinse a confessare all’uomo che considerava un padre ciò che pesava sul suo cuore.
   “E’ così dunque!” il volto del Mezzelfo era congestionato di rabbia e l’aria intorno a lui sembrava crepitare “Lei era pronta a morire per te, e tu… tu… “
Gettò la spada ai piedi del guerriero.
  “Prendila e combatti la tua guerra, spergiuro erede di una razza di spergiuri! Ma bada che non ti colga la mia maledizione! E non sperare che gli elfi vengano di nuovo a salvarti la pelle! “
   “Elrond! Mio signore! Io…” provò a fermarlo il Ramingo, ma inutilmente. La scelta era stata fatta e ora avrebbe dovuto pagarne le conseguenze. Prese la spada e tornò alla sua tenda, quella notte una perigliosa missione lo attendeva.
    Vide due figure incappucciate sedute accanto al fuoco e sorrise: forse poteva concedersi una piccola deviazione. Ora che la scelta era stata fatta gli sembrava impossibile non averla comunicata al diretto interessato, dopotutto.
    “Il Mezzelfo è ancora al campo?” La voce del giovane elfo era stranamente gelida. Aragorn lo guardò dubbioso, non era da lui un simile atteggiamento. Gimli scrollò le spalle e si alzò: quei due avevano decisamente bisogno di parlare un po’ da soli.
  “E’ andato via… aveva una cosa da darmi. Ha forgiato una spada per me dai resti di Narsil.” Rispose l’umano sedendosi accanto all’elfo. Lo vide trasalire.
    “Oh, capisco. Dunque hai finalmente deciso di accettare il tuo titolo. Bene, mi complimento con voi, MAESTA’. Sicuro che vi servano ancora i servigi di un giovane elfo?” la voce dell’arciere ora trasudava sarcasmo.
  Il Ramingo trasalì: perché gli parlava così? Cosa mai aveva fatto?
“Legolas… cosa vai farneticando? Io sono sempre io ! Ma con Andúril posso richiamare l’esercito della montagna! E poi sapevi che questo era il mio destino!”
  Fece per toccargli una spalla per farlo voltare e guardarlo in faccia, ma l’elfo si alzò di scatto.
  “Bene. Buona fortuna. A domani, MAESTA’” Così dicendo si allontanò lasciando l’umano alquanto basito.

    “Ehi… ehi, Orecchie a Punta, che ti prende?”
“Taci, nano. Vai a riposare piuttosto, domani ci aspetta una lunga marcia verso Minas Tirith!”
    Legolas strigliava il suo cavallo lottando contro le lacrime, ma per nulla al mondo avrebbe pianto davanti a Gimli. Sapeva perfettamente cosa significava il dono del Mezzelfo… lo sapeva, eppure non era sicuro che gli andasse bene. Mai avrebbe pensato di poter reagire così e di rivolgere parole tanto dure all’uomo con cui aveva condiviso mille avventure e che aveva imparato ad amare con tutto il cuore, ma per nulla al mondo si sarebbe scusato. Che quel sudicio umano sposasse pure quella gatta morta e vivessero felici e contenti, se la cosa gli garbava! Lui non era per nulla geloso!
   “Bah… secondo me voi altri spilungoni siete tutti matti, altrimenti non si spiega. Ma ti informo che il Ramingo se ne sta andando tutto solo nel cuore della montagna. Senti, tu rimani pure qui a pettinarti le chiome per domani, io vado con lui.” Così dicendo il nano si allontanò. Il giovane elfo rimase qualche secondo titubante, poi montò in sella. Non poteva lasciarlo andare da solo ad affrontare i traditori. Qualunque cosa fosse accaduta lui gli sarebbe stato accanto.
    “Dove credi di andare, giovanotto?” Gimli si accostò ad Aragorn e bloccò il suo cavallo. Dietro di lui arrivò Legolas e si piazzò all’altro lato del re.
   L’istinto del Ramingo fu quello di mandarli via. Non perché fosse arrabbiato , ma perché il piccolo elfo risvegliava il suo istinto di protezione. Era buffo a pensarci, tra loro il più vulnerabile non era certo quella fatata creatura immortale che più volte gli aveva salvato la vita. Eppure era così. Mai gli avrebbe permesso di correre quel rischio mortale con lui.
    “Devo fare questa cosa da solo, voi non… “ iniziò, ma l’elfo sorrise sarcastico.
“Non hai ancora imparato nulla sulla testardaggine dei nani… e degli elfi, umano rozzo?” ridacchiò “non ti lasciamo solo!”
   “Puoi giurarci giovanotto” rimarcò il nano “ o tutti o nessuno. O veniamo con te o tu non ti muovi da qui.” Il Ramingo guardò l’elfo negli occhi e gli lesse dentro una ferrea determinazione e qualcos’altro… una sorta di rabbioso dispetto. Che fosse… gelosia? Improvvisamente comprese il perché del suo strano atteggiamento di poco prima, e si sentì quasi sollevato. Avrebbe voluto spiegargli, ma non gli sembrava il caso davanti al nano. Si limitò ad annuire, ci sarebbe stato tempo per parlare dopo la battaglia.
   Mentre i tre si avvicinavano alla montagna il nano continuava a fischiettare la sua licenziosa ballata. Stizzito Legolas gli diede una gomitata nelle costole, ma il nano ammiccò e continuò a canterellare.


                                                     ******************************************************


   L’esercito della montagna alla fine si era schierato con Re di Gondor, e col loro aiuto i tre amici erano piombati sulle armate degli Uruk-Hai e dei Nazgull che stavano massacrando le schiere degli uomini. Le sorti della battaglia erano così cambiate. Nel fitto della mischia Legolas e Gimli avevano iniziato la loro solita, scherzosa sfida su quante creature oscure riuscissero ad abbattere. Ma l’elfo teneva anche d’occhio Aragorn. L’unica volta in cui l’aveva perso di vista, sulla via del Fosso di Helm, era finito in un crepaccio e lui aveva trascorso le ore più angoscianti della sua vita, per nulla al mondo avrebbe voluto ripetere quell’esperienza.
   Aveva appena terminato uno spettacolare attacco ad un liofante quando accadde. Per un attimo aveva perso d’occhio la testa bruna del Ramingo, così si voltò a cercarla e perse la concentrazione. Sentì il sibilo della freccia dell’Uruk-Hai un secondo prima che gli si piantasse nel fianco, troppo tardi per scansarsi anche per chi aveva elfici riflessi sempre all’erta come i suoi.
  Con un gesto rabbioso si strappò la freccia e abbatté il suo feritore, poi fece un cenno al nano che si era accorto di quel che era successo perché non si fermasse. Ma la punta si era conficcata in profondità e il dardo si spezzò. Sentì le gambe cedere mentre la vista gli si appannava. In un lampo capì: la freccia era avvelenata. Non riusciva più a combattere.
  Silenziosamente si trascinò ai margini del campo di battaglia. La ferita sanguinava, bruciava terribilmente e lui si sentiva sempre più debole, ma non voleva cadere in mezzo al parapiglia. Se doveva morire voleva farlo in uno spiazzo verde con un po’ d’aria pulita intorno, non soffocato da altri cadaveri. Sperò che nessuno si accorgesse della sua sparizione, non potevano fermarsi. Non in quel momento, il rischio era troppo alto.
  Si lasciò cadere sotto un albero, al limitare del campo. Le gambe non lo sostenevano più. Dunque era quello il suo destino... Gli venne quasi da ridere: il miglior arciere della Terra di Mezzo, il principe degli Elfi Silvani, abbattuto da una freccia! Ma la risata si trasformò in una smorfia di dolore. Sentiva il veleno spandersi e la sua energia vitale affievolirsi sempre più. Intorno a lui si allungavano ombre pronte a ghermirlo.
   Sollevò gli occhi verso il cielo e si sentì stranamente sereno. La battaglia infuriava poco distante, ma intorno a lui c’era una piccola oasi di pace. C’era qualcosa, nell’azzurra volta sopra di lui, che gli ricordava gli occhi di Aragorn. Una sola cosa lo preoccupava: cosa ne sarebbe stato di lui dopo la sua morte? Chi l’avrebbe protetto quando si fosse trovato di fronte il fior fiore dell’esercito di Sauron? Elevò una silenziosa preghiera: “Iluvatar… Fai che il mio sacrificio non sia vano. Fai che lui possa vincere. Proteggilo”. Poi chiuse gli occhi scivolando nell’oscurità che si faceva sempre più fitta intorno a lui.
   
    La battaglia era finita. Avevano respinto le armate di Sauron, malgrado ogni previsione Minas Tirith era libera. Ma il prezzo da pagare era stato altissimo in termini di vite umane, la spianata era disseminata di cadaveri e feriti.
   Aragorn raccoglieva intorno a se i superstiti e tentava di confortare i feriti che venivano trasportati alle Case di Guarigione, aiutato da Gandalf. E intanto cercava con gli occhi una testa bionda e un volto da ragazzino. Dove accidenti si era cacciato? “Aragorn!”
L’urlo di Gimli lo fece voltare di colpo.
“Non trovo l’elfo! Che io sia dannato… l’elfo è sparito!”
Sentì il panico montare.
“Dov’era l’ultima volta che l’hai visto? Parla!”
“Al limitare del bosco… temo che fosse ferito. L’ho visto strapparsi di dosso una freccia… dannazione, poi ci sono piombati addosso e non sono riuscito a vedere più nulla! Credevo fosse dietro di me!”
Gimli tirò un pugno contro un albero. “Resta qui, vado a cercarlo!”
“Ma non puoi, è pericoloso, potrebbero esserci altri orchi in giro! Aspetta almeno che… Aragorn!”
Ma l’umano aveva già sguainato la spada ed era corso via.
   Si addentrò nel bosco sperando che non fosse troppo tardi… doveva trovarlo. Non poteva neppure immaginare una vita senza il suo piccolo elfo. E forse era finalmente giunta l’ora che glielo dicesse.
  Si fermò di colpo, e quello che vide gli gelò il sangue: sull’erba c’era il suo mantello, intriso di qualcosa di rosso che scintillava anche sul sentiero che si dipanava di fronte. Qualcosa che sembrava…
  Il Ramingo sentì il cuore farsi pesante: che fosse il suo sangue? Decise di seguire la traccia. Nella mente gli rimbombavano le rabbiose parole di Elrond: “Combatti la tua guerra, spergiuro… ma bada che non ti colga la mia maledizione!” Sapeva di aver sbagliato, ma i suoi debiti li aveva sempre pagati in prima persona. Non poteva neanche pensare che questa volta la maledizione dell’uomo che l’aveva amato come un figlio potesse colpire qualcun altro.
   Non dovette cercare molto, evidentemente la ferita gli aveva impedito di fare troppa strada. Era appoggiato con la schiena ad un albero, la testa reclinata , la lunga chioma sparsa sulle spalle, le braccia abbandonate lungo i fianchi.
     “Legolas… LEGOLAS!”
Aragorn corse verso lui, gli passò un braccio sotto le spalle e gli sollevò il viso. Per un attimo temette che le oscure parole del Mezzelfo si fossero avverate, colpendo colui che più gli era caro.
   Il volto del giovane arciere era livido e gli occhi chiusi, ma dalle labbra cianotiche usciva un flebile alito di vita. Agli angoli delle labbra una scia di bava biancastra testimoniava ciò che l’umano temeva: la freccia era avvelenata.
   “No piccolo elfo… no, ti prego! Non lasciarmi!” mormorò disperato stringendoselo al petto. L’erba intorno a lui era inzuppata di sangue, probabilmente la punta era rimasta nel suo corpo.
Rapidamente Aragorn tornò in sé e decise il da farsi. Si strappò un pezzo di casacca e corse a sciacquarla nel ruscello che scorreva lì vicino, lavò sommariamente la ferita e poi ci applicò qualche foglia di Athelas per bloccare l’emorragia e contrastare il veleno sperando ardentemente che bastasse dato che non poteva togliere la punta in mezzo al bosco… e che la maledizione non comprendesse le sue doti di guaritore.
   Pronunciò con voce tremante le antiche parole in elfico imponendo la mano. Si maledisse mentalmente per aver ridato ad Elrond il dono di Arwen, la Fiala di Vàlinor. Lo aveva fatto per salvare lei , ma in quel momento avrebbe voluto poterla usare per un altro scopo.
“A… Ara.. gorn… ” dalle labbra esangui dell’elfo uscì un gemito roco e spezzato, mentre i suoi occhi si socchiudevano in un fremito di ciglia.
“Shhh… non parlare piccolo elfo, va tutto bene. Accidenti a te, ma perché ti sei allontanato ?” rispose l’umano continuando a tenere la mano sulla ferita e parlandogli dolcemente in elfico.
“Io… non… non potevo distrarti. Io… “ Legolas avrebbe voluto dirgli mille cose. Avrebbe voluto spiegargli perché era tanto importate che vincesse, perché non poteva permettere che si deconcentrasse, neppure per soccorrerlo. Ma non ne aveva la forza. Il veleno che continuava a spandersi nel suo corpo faceva ancora sentire il suo effetto. Scivolò di nuovo nell’incoscienza accasciandosi tra le braccia di Aragorn. Disperato il Ramingo si rese conto che le sue doti non bastavano. Il più delicatamente possibile, per evitare che le foglie si spostassero e la ferita riprendesse a sanguinare sollevò tra le braccia il ferito e corse verso il campo. Sperò ardentemente che Gandalf potesse aiutarlo, diversamente sarebbe morto prima di arrivare alla Casa di Guarigione. Non c’era molto tempo.
  “Andrà tutto bene, piccolo elfo… tieni duro, andrà tutto bene!” il Re degli uomini continuava a ripetere queste parole nell’orecchio dell’elfo, anche se non era sicuro che potesse sentirlo.

    Arrivò nel campo col fiato corto e si diresse di volata verso lo Stregone Bianco.
    “Gandalf! Aiutami ti prego!” gemette disperato.
Il mago si voltò e corrugò le sopracciglia guardando il giovane elfo esanime tra le braccia dell’umano. Respirava sempre più lentamente e faticosamente.
   “Una freccia avvelenata… non so se posso… devi portarlo alla Casa di Guarigione! Io non posso fare nulla per lui, temo ” mormorò poggiandogli una mano sulla fronte fredda.
   “Gandalf, se non lo aiuti morirà prima di arrivarci! Ti prego, io…” Aragorn non aveva mai pianto, malgrado avesse affrontato mille pericoli nei suoi ottantasei anni di vita. Ma in quel momento aveva le lacrime agli occhi.
Lo stregone borbottò qualcosa.
   “Ci vorrebbe un incantesimo elfico, sì… ma forse dovrei ricordare… uhm… sì, posso provare…” Mormorando oscure parole in un’arcana lingua impose le mani sulla ferita dell’arciere, chiuse gli occhi e si concentrò come per richiamare qualcosa alla mente.
   Il volto dell’elfo si colorò lievemente mentre il suo respiro diventava più regolare e il suo corpo veniva percosso da un lungo brivido. Lentamente sbatté le palpebre e aprì gli occhi.
   “Aragorn… Gandalf… cosa…”
“Shhh… conserva le forze, cocciuto di un elfo!” la voce di Aragorn era spezzata, ma il suo sguardo puntato sullo stregone esprimeva una gratitudine infinita.
   “Di più non posso fare. Bisogna asportare la punta o continuerà ad avvelenarlo. Mettilo sul carro, lo porteranno dai guaritori!” esclamò l’anziano mago.
Legolas afferrò la casacca dell’umano.
“Aragorn.. non…”
Lui capì, anche se di certo non c’era bisogno che glielo chiedesse. Gli sorrise rassicurante.
“Vado con lui, se la ferita riprende a sanguinare avrà bisogno di altra Athelas.” Disse mentre adagiava l’arciere su un carro in mezzo ad altri feriti.
   “Aragorn, il tuo posto… “
“Il mio posto è accanto a chi ha dato la sua vita per me. Senza Legolas non avrei potuto affrontare metà delle sfide che ho affrontato!”
   Lo sguardo di Gandalf esprimeva un muto rimprovero, ma la voce del Re era ferma e rabbiosa. Poggiò il busto del giovane elfo sulle sue gambe perché stesse più comodo e si tolse il mantello per avvolgerlo vedendolo tremare.
   “Ehi! Aspettatemi! Non vorrete andare senza me!” Gimli arrivò correndo e saltò sul carro insieme a loro, poi prese la mano del suo nemico del cuore.
   “Allora elfo… stavolta ti ho battuto! Bel modo di battere in ritirata, non c’è che dire! Cos’è, avevi paura che ti stracciassi?” ridacchiò.
   “Taci nano… e comunque non vale, mi hanno ferito. La sfida di oggi è cancellata!”
L’elfo rispose con voce flebile ma venata di ironia. Suo malgrado anche Aragorn rise.

    Mentre il carro si muoveva verso la Casa Legolas quasi non sentiva più il dolore al fianco. La sensazione maggiore era quella di benessere… perché per la prima volta era tra le braccia dell’umano. E non era il solito abbraccio amichevole. Tutto considerato non gli spiaceva di essere stato ferito se il risultato era quello… ma c’era ancora qualcosa che doveva fare. Doveva dirgli quello che provava e chiedergli scusa per le sue rabbiose parole della sera prima, ora comprendeva che era stata solo una sciocca gelosia a mettergliele in bocca.
   Iniziò a parlare, ma le parole si affastellarono. Era troppo debole per affrontare un intero discorso. Aragorn lo baciò dolcemente in fronte e lo strinse di più tra le braccia.
   “Shhh… ti ho detto di tacere, testone! Risparmia le forze. Avremo un’intera vita per parlare, te lo prometto!” Forse aveva ragione, era meglio godersi quel momento. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalla meravigliosa sensazione del suo abbraccio e dal lieve rollio del carro.

     
                                                       *******************************************************


 “Una ferita da freccia al fianco… uhm… sì, la punta è rimasta dentro.”
Il Guaritore sospirò. Il suo volto segnato e le occhiaie marcate indicavano che quello non era di certo il primo ferito della giornata e non sarebbe stato l’ultimo. Era il prezzo da pagare per una guerra.
   “Non ho anestetici. Sentirai molto dolore, elfo… ma devi stringere i denti. Ti prometto che sarò rapido”.
Il volto di Legolas si coprì di sudore gelido mentre deglutiva a vuoto. Aveva paura, ma per nulla al mondo avrebbe mostrato la sua debolezza. Forse però sarebbe stato meglio se fosse rimasto incosciente.
    “Ehi elfo… non dirmi che te la stai facendo sotto!” la voce di Gimli era ironica, ma i suoi occhi esprimevano una preoccupazione sincera.
Aragorn gli strinse la mano.
“Non aver paura… sono con te. Resterò con te, piccolo elfo.”
    Il volto del ferito si rasserenò, accanto al suo umano rozzo avrebbe potuto affrontare qualunque sfida. Ricambiò la stretta più forte che poté.
     Il Guaritore lo legò al letto perché non si divincolasse troppo, poi prese i suoi ferri. Applicò un divaricatore per dilatare la ferita e poter vedere bene dove si era conficcata la freccia.
     L’elfo stringeva un fazzoletto tra i denti e sudava copiosamente per il dolore. Solo la stretta della mano di Aragorn gli impediva di impazzire, ma i suoi occhi erano dilatati per il terrore.
    Dal canto suo il Re avrebbe preferito cento volte essere su quel lettino al posto del giovane arciere. Si sentiva come se il Guaritore stesse frugando nelle sue carni, ma si impose di rimanere lucido e continuò a parlare dolcemente in elfico al ferito tenendogli il viso voltato verso il suo ed impedendogli così di vedere quel che stava succedendo, guardandolo negli occhi e ripetendogli che sarebbe presto passato tutto.
   Il chirurgo vide finalmente la punta della freccia, prese uno strumento ed esortò l’elfo. “E’ il momento peggiore, ma passerà presto.”
   Poi afferrò la punta e la tirò via.

   Il dolore che lo assalì fu talmente violento che l’elfo lanciò un urlo disumano e poi perse i sensi.
“Si riprenderà… sempre che non gli venga la febbre o un’emorragia” commentò sbrigativo il chirurgo in risposta allo sguardo ansioso di Aragorn mentre richiudeva alla meno peggio la ferita. Applicò delle bende, poi fece un cenno ad un inserviente perché portasse via l’operato: aveva altri pazienti da vedere.
   Ma Aragorn lo bloccò e sollevò il ferito tra le braccia, si fece indicare un angolo relativamente tranquillo e adagiò lui stesso il giovane elfo su un giaciglio, seguito da un Gimli incredibilmente pallido e silenzioso. Prese ancora qualche foglia di Athelas dalla sua bisaccia, ne fece un impiastro masticandola e la applicò sulla ferita mormorando antichi incantesimi che aveva imparato in gioventù. Non sapeva neppure se sarebbero serviti, ma per salvargli la vita si sarebbe appellato anche al peggiore dei suoi nemici. Avrebbe invocato Sauron stesso alla bisogna.

   “Il tuo posto non è qui.”
Gandalf si era avvicinato silenzioso al Ramingo che stava ripulendo delicatamente il viso dell’elfo dal sudore con una pezzuola imbevuta d’acqua.
“Taci vecchio. Conosco il mio posto”
Non si voltò neppure. Nessuna potenza, nessun dovere lo avrebbe portato via dal capezzale di Legolas.
Lo stregone lo costrinse a guardarlo negli occhi.
   “Non è l’unico che è in pericolo di vita, e sai che l’Athelas può aiutarli. Alcuni sono stati feriti dai Nazgul, non si salveranno senza te. E poi devi radunare l’esercito e mandare messaggeri agli elfi. Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile per muovere verso i cancelli di Mordor. Frodo ha bisogno del nostro aiuto, l’hai dimenticato? La guerra non è ancora finita.”
Dalla gola del Ramingo uscì un verso strozzato che voleva essere una risata.
   “Elfi? Non verranno. Nessuno ci aiuterà, dovremo muoverci soli. Gli elfi mi hanno maledetto. Elrond ha la memoria lunga.”
“Cosa? Cosa dici? Il Re Elrond maledirti? Ma…”
    “Sì beh… sai, ho rotto la mia promessa nuziale con Arwen. E come immaginerai non l’ha presa per nulla bene. Certo, ho sperato che la maledizione cogliesse me, non… “ la voce del Ramingo ora era piena di dolore.
    Gandalf cercava di dare un senso a quel che stava ascoltando… poi guardò il volto dell’umano. La sua espressione mentre guardava il giovane elfo ancora incosciente era più eloquente di mille parole.
In un attimo comprese.
   “Aragorn… ciò che hai fatto è molto grave. Noi…”
“Lo so. Ma non potevo… Ho molti difetti, Gandalf, ma non sono un vile. E sposare Arwen sarebbe stato un tremendo atto di viltà. Ora lei è al sicuro a Vàlinor. Troverà qualcuno più degno di lei.”
   La vecchia mano dello stregone si posò su quella del Ramingo.
“Restiamo io e il nano con lui… forse posso aiutarlo più di te. Ma ti prego, aiuta gli altri. Mi hai detto che il tuo posto è accanto a chi ha dato la sua vita per te, e loro l’hanno fatto. Anche Legolas era pronto a sacrificare la sua vita per un bene superiore, vuoi essere da meno? “
Le parole erano solenni, ma il tono era straordinariamente dolce. Mai Aragorn aveva visto Gandalf mostrare segni di comprensione. Capì che aveva ragione.
“Avvertimi subito se…”
Il vecchio fece un cenno con la testa, e l’umano si allontanò per portare sollievo ad altri feriti.


   Quando tornò al capezzale dell’elfo barcollava per la fatica. Aveva portato conforto a tutti, curato Eowyn, Merry, Faramir e gli altri feriti dal Nazgul, detto una parola di consolazione dove le sue arti di guaritore nulla avevano potuto, cercato di incoraggiare il personale esausto.
   Per la prima volta si era sentito veramente il legittimo Re della sua gente, non il titubante e vile erede di colui che li aveva portati alla rovina.
    Il volto di Legolas era ancora pallido, ma non aveva più il colorito livido di poche ore prima. Respirava tranquillo, sembrava immerso in un profondo sonno ristoratore e non c’era traccia del vecchio stregone, ma di certo quel miracoloso miglioramento era opera sua.
   Il nano gli sorrise.
“Il vecchio ha pronunciato qualche formula… e dannazione, direi che ha funzionato! Sembra stare decisamente meglio!” confermò.           Aveva il volto stanco e segnato, anche lui non dormiva da molte ore e aveva sicuramente pianto, almeno a giudicare dai suoi occhi rossi .
   L’umano lo mandò a riposare, giurandogli che l’avrebbe informato di ogni cambiamento e che non avrebbe mai detto all’elfo che aveva pianto al suo capezzale. Poi scostò leggermente la coperta e si sdraiò accanto a Legolas.
     Aveva creduto che Arwen fosse esile, ma il corpo dell’elfa era giunonico rispetto all’efebica costituzione del giovane arciere. Era talmente snello che temeva quasi di spezzarlo solo stringendolo un po’ di più.  Gli passò una mano tra i capelli biondi e sciolse le treccine, ravviandoli e lasciandoli cadere sul cuscino. Delicatamente poggiò la testa dorata nell’incavo della sua spalla, annusando il profumo di erba e fiori che emanava da quella lucente massa che scintillava tra le sue mani.
    Accarezzò lentamente con la punta delle dita i lineamenti fanciulleschi rilassati nell’abbandono del sonno e le orecchie a punta, poi quasi tremante depose un bacio sulle labbra sottili.
   Il giovane elfo sospirò soddisfatto e si mosse leggermente, stringendosi di più a lui.
Aveva creduto di amare Arwen, ma non si era mai sentito così con lei. Non aveva mai provato quello struggimento, quella voglia di abbandonarsi totalmente. Quando era con lei prevaleva sempre il desiderio di proteggerla, intuiva che lei non avrebbe capito appieno molte parti della sua vita. Con Legolas invece sentiva di potersi lasciare andare totalmente, quello che avevano vissuto insieme li aveva ormai legati indissolubilmente.
    Per la prima volta sentì che poteva dividere il gravoso fardello che portava sulle spalle anziché trasportarlo in silenzio. Continuò ad accarezzare dolcemente i capelli e il volto del giovane elfo finchè, vinto dalla stanchezza, si addormentò stretto a lui.


   L’elfo fu svegliato da un raggio di sole che filtrava dalla finestra. Si strofinò gli occhi e si guardò intorno: dove si trovava? Via via che metteva a fuoco la stanza intorno e i ricordi del giorno prima riaffioravano si rammentò di essere nella Casa di Guarigione di Minas Tirith e di essere stato ferito da un Uruk-Hai.
Si tastò il fianco, ma non sentiva quasi più dolore, solo un po’ di debolezza. Il sonno l’aveva ristorato.
    Nel muoversi si rese conto che accanto a lui c’era qualcuno… qualcuno che decisamente aveva bisogno di un bagno.
I capelli scuri e arruffati del Ramingo formavano una macchia attorno alla sua testa. Si era addormentato accanto a lui tenendolo stretto a sé, ed evidentemente era talmente stanco che non si era neppure tolto gli abiti sporchi della battaglia. Nel sonno non aveva più la sua espressione concentrata e le piccole rughe che segnavano il suo volto erano quasi spianate, facendolo apparire incredibilmente giovane e vulnerabile. L’elfo decise di godersi il momento, non sapeva quando gliene sarebbero capitati altri.
     Si accoccolò meglio tra le braccia dell’umano e si godette il meraviglioso calore del suo corpo. Anche il suo forte odore corporeo non l’infastidiva, anzi era quasi un marchio distintivo. Gli passò le dita sul volto cercando di ripulirlo, ma proprio in quel momento lui sbadigliò e aprì gli occhi.
    La prima cosa che vide fu il volto del giovane elfo. Era sveglio e lo guardava col suo sorriso sarcastico stampato sul volto. “Legolas…”
     “Umano… Sei pregato di fare un bagno la prossima volta che vorrai dormire con me, chiaro? Non tollero di dividere il mio giaciglio con chi non si cambia gli abiti dopo una battaglia!” 
      “Senti chi parla… che brutto aspetto, elfo! Hai dimenticato di fare la manicure e applicare la tua maschera di bellezza ieri sera?”
   Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere. Era un sollievo scambiarsi quelle familiari battute dopo la tremenda paura del giorno prima.
   “ Perché accidenti ti sei allontanato? Ho temuto di essere arrivato troppo tardi, sai?” nella voce di Aragorn c’era una nota di rimprovero.
Legolas abbassò lo sguardo.
    “Tu credi che gli Uruk-Hai e i Nazgul avrebbero cavallerescamente smesso di combattere solo per darvi il tempo di soccorrermi? Se uno solo di voi si fosse distratto sarebbe stato massacrato! A proposito… abbiamo vinto, vero?”
L’umano annuì.
   “Sì, ma è stato tremendo. L’esercito è decimato… non so come faremo a fronteggiare il grosso degli orchi ai cancelli di Mordor.” mormorò preoccupato.
    L’elfo gli accarezzò il viso cercando di cancellargli quell’espressione tormentata.
“In qualche modo faremo, come abbiamo sempre fatto. Ma… sei rimasto con me tutta la notte?”
   Aragorn arrossì, poi borbottò qualcosa come “no, in realtà sono andato a fare un paio di salti nella taverna qui vicino, mi annoiavo” e si alzò.
     “Rimani qui e riposa… devo parlare con Gandalf. Ci serve un piano di guerra.”
Gli posò un lieve bacio sui capelli e si allontanò.
   Legolas rimase un po’ deluso… che stupido, si disse, cosa ti aspettavi? E’ rimasto con te perché sei un amico, no? Eppure c’era qualcosa che non tornava nel suo atteggiamento… e anche nel suo aspetto. Decise di riposare e di smettere di arrovellarsi, doveva recuperare le forze. La più impegnativa battaglia che avessero mai combattuto li attendeva.

                                                        *************************************************


Il prato davanti alla Casa di Guarigione era una piccola oasi di pace dal caos che regnava all’interno.
    Erano lì da quattro giorni e già Aragorn non sopportava più le urla dei feriti e il costante odore di morte dell’astanteria. No, decisamente quello del guaritore non era il suo mestiere. E poi il panorama che gli si presentava di fronte gli rammentava severamente quel che restava da fare: nella luce del tramonto le porte di Mordor brillavano di un bagliore sinistro. Frodo era lì, da solo. Aveva bisogno del loro aiuto.
    Sentì un passo elastico avvicinarsi. L’elfo si sedette accanto a lui, le lunghe gambe nervose allungate davanti a se. Sembrava che non fosse mai stato ferito.
   “Stai meglio, vedo”
“Sto bene umano. Noi elfi abbiamo tempi di recupero molto più rapidi” Legolas sorrise, poi chiuse gli occhi come se ascoltasse qualcosa di arcano e lontano.
    “E’ furibondo. Qualcosa lo rende molto, molto nervoso” disse alla fine “e questo vuol dire una sola cosa. Non ha ancora recuperato l’anello”
   Aragorn si strinse nelle spalle
“Domattina dobbiamo partire, oppure il sacrificio di Frodo sarà vano. Probabilmente moriremo tutti, ma…”
“… salveremo la Terra di Mezzo. Lode e onore ai valorosi, ci ricorderanno in ogni ballata. E’ sempre stato il mio sogno, tu che ne dici? “ concluse Legolas.
   Rimasero in silenzio qualche altro minuto, poi Legolas lo guardò preoccupato.
   “Aragorn… dove sono gli elfi di Re Elrond? Non li ho visti qui intorno”
L’umano continuò a guardare fisso davanti a se.
“Non verranno. Credo che siano tutti a Vàlinor ormai. E anche se fossero qui Elrond non li condurrebbe mai ad aiutarmi”
     L’elfo sgranò gli occhi.
“Dici oscure parole, umano… perché mai l’uomo che ti ha allevato e che è il padre della tua promessa sposa dovrebbe negarti il suo aiuto?”
“Forse perché Arwen non è più la mia promessa”
     Legolas rimase allibito. E improvvisamente capì cosa c’era di strano nell’umano: non aveva più al collo la collana che gli aveva donato Arwen e che conteneva il fatato liquore elfico. Ora che ci pensava… non l’aveva neanche durante la battaglia di Minas Tirith. Non l’aveva… non l’aveva da quando il Mezzelfo era andato al campo.
    “Tu… cosa… perché?” riuscì solo a dire.
“Non per quello che pensi tu, elfo. So che Arwen mi ama e mai avrebbe sopportato di abbandonarmi… ma il problema è che io non l’amo più. E non voglio legarla a me solo per dovere”
    A questo punto l’elfo era chiaramente sconcertato.
“Ma… tu e lei… voi… siete promessi da… Non ricordo neppure io da quanto! Come può essere?”
   L’umano scrollò le spalle.
“Abbiamo vissuto molte cose, Legolas… molte cose che nessuno capirebbe. Non sono più l’uomo che era partito per questa missione, quello che era promesso a lei. E’ giusto che sia libera.”
      “Non ti capisco, Aragorn” Legolas era sempre più dubbioso “ Cosa mai può essere cambiato? ”
Aragorn lo guardò, uno strano sguardo indecifrabile.
     “Legolas… Amo qualcun altro con tutto il cuore. E se Sauron non mi uccide domani è con questo qualcun altro che vorrei dividere la mia vita.”

      Nella mente dell’arciere si formò il bel volto di Eowyn, la valorosa nipote di re Théoden. Ma certo… era giovane, bella e amava appassionatamente il Ramingo. E sapeva che Aragorn si era dato molto da fare per salvarle la vita dopo che a Minas Tirith un Nazgul l’aveva quasi uccisa. Sarebbero stati molto felici.
     Sentì la solita fitta di gelosia che lo assaliva e abbassò il volto.
“Che ti succede Legolas? Non stai bene?” la voce di Aragorn era sinceramente preoccupata.
      Legolas si costrinse a guardarlo in faccia.
“No, stai tranquillo. Pensavo… pensavo solo che ne sarà molto felice. Ha atteso a lungo questo giorno”
     “Chi?”
“Ma… Eowyn naturalmente! E’ di lei che stiamo parlando, no?”
      L’umano scoppiò in una risata.
“Eowyn? Ma… oh no! E’ una cara ragazza e le sono sinceramente affezionato ma… no! Non sa nulla di me, mi vede come l’eroe romantico che salverà il mondo, la cotta per me le passerà appena scoprirà i miei innumerevoli difetti!”
      Legolas spalancò gli occhi. “Ma allora chi…”
La mano dell’umano strinse la sua, accarezzando i piccoli calli che gli aveva lasciato l’arco.
      “Qualcuno che mi è stato sempre accanto in quest’avventura. Qualcuno che conosce i miei demoni e non ne ha paura. Qualcuno di cui posso fidarmi.”
       C’era qualcosa in quegli occhi azzurri fissi nei suoi che… no, era troppo bello. Si stava certamente sbagliando.
“Io… io… non… comprendo…” balbettò.
      Aragorn ritirò la mano e abbassò lo sguardo.
“Non volevo metterti in imbarazzo, davvero… solo… ecco, ho pensato che… ma probabilmente mi sbagliavo, ecco” Aveva un’espressione talmente ferita che l’elfo si sentì sciogliere il cuore. Era ferito perché lui l’aveva respinto? E quindi significava che…

      La gioia che invase il suo cuore era quasi soprannaturale.
Questa volta fu lui a prendere la mano dell’umano tra le sue e a sollevargli il viso.
“Aragorn… è che… mi sembrava troppo bello, capisci? Temevo di aver frainteso, e…”
Sentì le guancie imporporarsi. Maledizione, quant’era difficile! Sembrava un adolescente alla sua prima cotta! Ma forse lo era, perché gli sembrava di non aver mai amato nessuno quanto amava il suo umano rozzo.
     Aragorn gli accarezzò dolcemente il viso.
“So di chiederti molto” mormorò “ la mia vita, per quanto lunga, sarà un battito di ciglia rispetto all’eternità che spetta a te… e questo vuol dire che presto o tardi dovrò lasciarti solo. Ma io…”
      I loro volti erano vicinissimi. Legolas gli chiuse le labbra con un bacio.
“La mia vita può finire esattamente come la tua” disse piano “qualche giorno fa hai potuto vedere che sono immortale, ma non invulnerabile. E poi” ridacchiò accarezzandolo “ di cosa stiamo a preoccuparci? Tanto domani Sauron ci ucciderà entrambi!”
       Aragorn lo strinse al suo petto.
“Ucciderà me. Tu rimarrai qui. Non sei ancora... “
        Negli occhi dell’elfo scintillò una luce omicida.
“Impara subito una cosa, umano” disse gelido scostandosi “Io non sono Arwen. Non puoi chiudermi a Gran Burrone o dove ti pare mentre te ne vai a zonzo a compiere le tue imprese, chiaro? Sono un principe ed un guerriero, proprio come te. E domani concluderò quest’avventura con te. Qualcosa ti sfugge?” Fece per alzarsi e andarsene, ma l’umano lo afferrò per un braccio e lo costrinse a risedersi.
     “Non puoi combattere domani, pochi giorni fa hai rischiato di morire! Ed è stata colpa mia! Quando ho detto ad Elrond che non avrei sposato Arwen lui mi ha maledetto, capisci? E la maledizione ha colpito attraverso te! Non posso mettere di nuovo a rischio la tua vita!”
         Legolas lo guardò allibito.
“Vuoi sapere perché sono stato ferito? Perché ti avevo perso di vista! E per cercarti non sono riuscito a schivare in tempo quella dannata freccia! Non c’entra nulla Elrond, è stata una mia disattenzione! E sarebbe successo con o senza le sue parole! “
      Aragorn lo guardò sbigottito. “Tu mi tenevi d’occhio durante la battaglia?”
L’elfo abbassò gli occhi arrossendo.
      “L’ho sempre fatto, per poter intervenire nel caso tu avessi avuto bisogno di me. L’unica volta che ti ho perso di vista… è stato sulla via del Fosso di Helm. E sei finito in quel crepaccio, e io… io… “ non riuscì a continuare, deglutì per cacciare indietro le lacrime che minacciavano di scappargli dagli occhi. Quale razza di potere esercitava quell’umano su lui per ridurlo ad un adolescente piagnucoloso?
      Sentì una carezza tenera sulla guancia. Aragorn gli stava sollevando il viso guardandolo con occhi pieni d’amore.
“Piccolo elfo… oh mio piccolo elfo… “
     Si baciarono teneramente di nuovo, assaporando estasiati il sapore di quell’amore germogliato in mezzo ad una guerra devastante e giunto a sconvolgere le loro vite.
       “Sei sicuro di farcela per domani? Non vorrei che…”
“Umano… qui non si tratta solo di me e te, sai? Cioè sì, io ti amo” Legolas arrossì: l’aveva detto davvero? Maledizione! Da come lo stava guardando Aragorn si sarebbe detto proprio di sì! “ Ma qui stiamo parlando di qualcosa di molto più grande. Per cui stai tranquillo, siccome non sono uno stolto se non mi sentissi fisicamente in grado di combattere te lo direi e non metterei in pericolo le vite di tutti solo per fare l’eroe, va bene? “ concluse rapido.
      “Va bene, ti credo. Ma… cos’è quella cosa che hai detto prima?” sul volto di Aragorn si era dipinto un sorrisetto malizioso.
 “Non ti allargare umano… posso sempre cambiare idea e usarti come manichino per il tiro al bersaglio, sai?”
      Rimasero sul prato a baciarsi e a mormorarsi sciocche parole d’amore godendosi forse le ultime ore di vita che potevano condividere, mentre da sotto un’arcata Gimli li guardava e ridacchiava. E così alla fine quei due l’avevano fatto il famoso discorsetto…

                                                                  ************************************************


Porte di Mordor

“ Figli di Gondor, di Rohan, fratelli miei! Vedo nei vostri occhi la stessa paura che potrebbe afferrare il mio cuore! Ci sarà un giorno, in cui il coraggio degli uomini cederà, e abbandoneremo ogni legame di fratellanza, ma non è questo il giorno! Ci sarà l'ora dei lupi, e degli scudi frantumati, quando l'era degli uomini arriverà al crollo, ma non è questo il giorno! Quest'oggi combattiamo, per tutto ciò che ritenete caro in questa bella terra, io vi invito a resistere uomini dell'Ovest!”
     La voce di Aragorn risuonava ferma e coraggiosa mentre incitava l’esercito degli uomini prima della battaglia finale. Andúril scintillava minacciosa davanti al suo volto.
     Accanto a lui Legolas saggiava la corda del suo arco, mentre Gimli borbottava qualcosa sul disonore che lo avrebbe colpito se avessero saputo che era morto combattendo fianco a fianco ad un elfo.
“E invece fianco a fianco ad un amico?” gli sorrise.
    “Sì… questo potrei farlo!” lo sguardo del nano esprimeva più di mille parole. Era così, ormai erano amici. Quell’avventura aveva legato per sempre le loro vite.
     Sollevò lo sguardo e sentì il cuore riempirsi d’orgoglio guardando le truppe degli uomini che obbedivano al loro Re.
“Fermi! Non muovetevi prima che io ve lo comandi!”
      Il Re andò a posizionarsi accanto a Legolas.
“Rimani con me” per un attimo nei suoi occhi balenò la paura “ rimani sempre accanto a me piccolo elfo. Se… “
     “Moriremo insieme. Stai tranquillo umano rozzo… ora lo sai che non ti perdo d’occhio.”
La mano affusolata dell’elfo scivolò in quella più tozza dell’umano. Erano insieme. E insieme avrebbero affrontato il loro destino.
      Le porte di Mordor si aprirono rovesciando nella spianata un immenso esercito di Uruk-Hai. L’elfo tese la freccia sul suo arco, l’umano afferrò la sua spada.
    
     La battaglia finale stava per iniziare.
   
 
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