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Autore: Dew_Drop    23/11/2014    3 recensioni
“Prima d’ora non avevo mai sentito di un prete e di un poeta che si fossero improvvisati Holmes e Watson. Pertanto non sono disposto a credere che ciò sia successo”.
Eppure, in una Londra ormai prossima al Novecento, accadde davvero. Sulle tracce di un uomo che morì vent’anni prima di diventare un omicida.
[ I Classificata al Contest "Sangue e Pazzia", indetto da Yuko Chan]
Genere: Introspettivo, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Prologo - St Jerome



HAMLET VITTORIANO

"I could be bounded in a nutshell, and count myself a king of infinite space."

Amleto: atto II, scena II





[Si ringrazi la GiudiciA per i bellissimi banner] Mi rendo conto che è da parecchio che non pubblico qualcosa, per cui mi sono messa al lavoro e ho sfornato questa breve storia. Si tratta di cinque capitoletti in tutto, prologo ed epilogo compresi. Avrei voluto ampliare un poco, ma ho preferito limitarmi per comodità. Quest'originale si è guadagnata il primo posto nel Contest "Sangue e Pazzia", indetto da Yuko Chan. Grazie.
E devo ammetterlo, è la prima volta che tratto il genere. Nonostante tutto, considerazioni critiche positive o negative saranno sempre ben accette. Per scrivere di questa vicenda, ho dovuto fare qualche ricerca circa l'ambientazione e i costumi; se tra di voi c'è  un appassionato e profondo conoscitore dell'Inghilterra di fine Ottocento, chiedo scusa per eventuali discrepanze.
Infine, ultima cosa. I cosiddetti "easter eggs" sono degli elementi per lo più nascosti, dichiaramente impliciti. Ebbene, questa storia è un giallo, credo. E forse, dico, forse ho sparso qualcosa fra le righe. Indizi, fili di Arianna. A voi la scelta se indagare o meno. Per quanto mi riguarda, alla fine svelerò tutte le piccole curiosità e coincidenze che mi sono divertita a nascondere.
Buona lettura <3



* * *


PROLOGO:
ST JEROME



    «Padre, ho peccato.»
    Nel confessionale, padre Wilfred si riscosse. Benché annunciate dal debole scricchiolio dell’inginocchiatoio, quelle parole l’avevano colto di sorpresa. Fino a pochi istanti prima credeva che più nessuno avrebbe messo piede in quell’umile chiesa poco lontana da Londra: il sole aveva già cominciato ad abbassarsi dietro il piccolo campanile di St Jerome, lasciando così che le prime ombre del tramonto si allungassero sulle vie come tante mani di demoni, e, poteva giurarci, i diffidenti abitanti di quell’angolo di mondo si affrettavano a chiudere i loro negozi e a rientrare svelti a casa. L’avrebbe fatto anche lui, se solo la sua intenzione non fosse stata schiaffata sul nascere da quel penitente dell’ultimo minuto. Strinse un poco il crocifisso che teneva in grembo e, nella semioscurità del confessionale, girò lo sguardo.
    La voce era arrivata da destra. A parlare era stato un uomo, di cui poteva indovinare solo il colore dei capelli, di una tonalità scura come caffè macinato. La grata di legno che li divideva lasciava intravedere troppo poco, com’era giusto che fosse. Padre Wilfred aveva imparato a convivere con il fitto schema delle pareti dei confessionali e già da anni aveva smesso di cercare d’indovinare chi s’inginocchiava dall’altra parte. I penitenti, si diceva spesso, avevano poi tutti lo stesso volto; quello di una creatura umana che si poneva anima e corpo nelle mani di Dio.
    «In nomine Patris, et Filii et Spiritus Sancti», recitò, in tono stanco ma benevolo. Il tono di un padre paziente, quarantatre anni sulle spalle, in eterno dialogo con Nostro Signore. «Confessa i tuoi peccati, figliolo, e il nostro buon Dio poserà la sua mano clemente su di te.»
    «Ho ucciso un mio fratello», venne dall’altra parte. E poi, dopo ancora un momento, stavolta con la voce distorta da un brivido: «Ho ucciso un uomo, padre.»
    Il parroco si sentì formicolare la base della nuca e le sue dita, in cui era morbidamente adagiato il crocifisso, si strinsero con più fermezza, obbedendo al fremito che gli aveva passato la coscienza da parte a parte. L’impressione era quella di un gelo ora tangibile, affilato come spilli di ferro. Vero, la clemenza era destinata a chiunque, ma mai, mai aveva creduto che un giorno avrebbe ascoltato una confessione simile. Fuori, oltre la grata, il penitente aprì di nuovo bocca.
    «Padre. Mi avete sentito?»
    Ora c’era un velo di supplica, in quella voce. Pareva la domanda di un ragazzino spaurito che, dopo una marachella, si consegna a testa bassa sotto gli occhi torvi e accigliati del genitore. Il paragone costò a padre Wilfred la stessa, inquietante sensazione di un’unghia che percorreva sinuosa la sua spina dorsale, gioendo del brividi che s’infilavano rapidi nelle ossa. Oh Dio, pensò. Buon Dio.
    «Vi prego», si sentì dall’altra parte, dietro la griglia di legno, dietro quel contorto gioco di asticelle che nascondeva il suo volto. Era quasi un pigolio, ora, come se le labbra gli tremassero in modo incontrollabile. Labbra forse umide, sotto guance umide, sotto occhi umidi. «Oh, vi prego. Io posso spiegarvi. Il Diavolo si è servito della mia mano. Vi prego, padre, vi scongiuro. Salvatemi.»
    Gli assassini non entravano nelle chiese. Non passavano tra le panche, non s’inginocchiavano con cristiana sofferenza accanto ad un confessionale occupato. Soprattutto, i veri assassini non si pentivano. Eppure era ciò che quell’uomo stava facendo, mormorando la sua peccaminosa mancanza in un luogo tanto sacro e caro a Dio. Wilfred, immobile nella penombra come una criminale braccato, deglutì cercando di fare meno rumore possibile e girò di nuovo gli occhi quando scorse, attraverso i piccoli fori squadrati, che l’uomo si era mosso.
    «Lasciatemi vedere il vostro volto», stava dicendo. «Lasciatemi vedere gli occhi dell’uomo a cui dovrò la mia salvezza. Se solo usciste... se solo io potessi vedervi, potremmo sedere insieme. Potrei mostrarvi perché questa mano è stata maledetta», e il parroco vide, sollevata contro la griglia, la mano di cui parlava. Tremava convulsamente contro il legno, tanto che i brividi riuscivano a scuotere le dita. Dita lunghe, affusolate. Le dita di un artista. «Oh, vi prego. Uscite, padre. Uscite e salvatemi. Io voglio essere salvato.»
    La mano si era mossa. Era scivolata oltre la griglia, fuori dal suo campo visivo, diretta alla piccola maniglia intarsiata del confessionale. Quella sola constatazione bastò a schizzare adrenalina e panico nelle vene di padre Wilfred, che sembrò riscuotersi di colpo.
    «Non aprite, per Dio! Non aprite!»
    «Siate generoso», diceva l’uomo. Ora singhiozzava. La sua mano non c’era più, già scivolata alla porticina. «Siate caritatevole. Uscite. Salvatemi.»
    «Non...!» Il sangue gli era salito alle tempie. Pulsava dolosamente. Fece per precipitarsi contro la porticina, tentò di afferrare e bloccare la maniglia dall’interno.
    Troppo tardi.







   
 
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