DISCLAIMER
'Questi personaggi non
mi appartengono, ma sono proprietà dei creatori
della serie tv “Once Upon a Time” e di
“Frozen – Il Regno di Ghiaccio”,
nonché
di C.S. Lewis e, nel caso di un personaggio, di Licia Troisi; questa
storia è
stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.
Clarity
“If our love’s
insanity, why are you my clarity?”
[Clarity, Zedd]
Quella
sera Elsa stentò a prendere sonno e quando ci
riuscì ebbe un incubo.
Nel
sogno era buio. Lei correva nel bosco, seguendo la voce di sua sorella,
che la
chiamava e le chiedeva aiuto.
“Elsa,
aiutami, ti prego”.
-
Anna?
“Elsa,
aiutami!”.
-
Anna, dove sei?
La
vedeva. Vedeva Anna pochi metri
più avanti rispetto a lei, ma tutte le volte che le sembrava
di averla
raggiunta si allontanava ancora, veniva trascinata nell’ombra
da mani
invisibili. Elsa continuava a correre, seguitava a chiamarla e sentiva
la sua
stessa voce frammentarsi in una moltitudine di echi. Costruì
la scalinata di
ghiaccio con i suoi poteri per attraversare il baratro che la separava
da Anna,
ma quando fu a metà strada sua sorella svanì di
nuovo, preda delle tenebre.
Andò
avanti così per un tempo che
le parve infinito. Il bosco era un labirinto e le ombre la
circondavano, si
allungavano per acciuffarla, si ritraevano e poi si rifacevano avanti.
-
Anna!
“Elsa!
Elsa, ti prego, aiutami!”
Aiutami.
Aiutami.
Aiutami.
Aiutami.
Aiut-
Poi
dal nulla apparvero le catene.
E le catene le serrarono i polsi.
-
Tua sorella non è qui, Elsa. Stai
inseguendo il nulla. Non la troverai mai – Non
c’era nessuno intorno a lei, ma
la voce che udiva era paurosamente simile a quella della Regina delle
Nevi.
Calma, pacata, fredda. – E poi guardati:
c’è così tanta paura in te.
Così
tanta. Se solo sapessi controllarla...
-
La controllo. Sì. Io non ho
paura.
-
Elsa – le disse un’altra voce, incalzante,
all’orecchio. Era sempre Anna, ma
stavolta era molto vicina. – Elsa, stai sognando. Svegliati.
Elsa!
Anna
la scuoteva per le spalle ed Elsa sollevò di colpo le
palpebre, riconoscendo
all’istante la sua stanza nel palazzo di Arendelle. Era senza
fiato, con le
lenzuola aggrovigliate intorno al corpo e una moltitudine di fiocchi di
neve
che svolazzavano sopra di lei e pian piano cadevano. La sua pelle era
gelata. E
non solo la pelle. Anche il cuore, lo stomaco, le ossa, il sangue nelle
vene. Tutto
sembrava essersi ghiacciato. Vedeva ancora il bosco intricato, il buio,
Anna
trascinata lontano da forze superiori. Vedeva le catene. Le sentiva ai polsi. Udiva la voce della
Regina delle Nevi. La rivedeva inginocchiata davanti a lei, la rivedeva
mentre
si faceva beffe di lei, con quell’espressione imperturbabile
e quel tono
assolutamente blando, privo di inflessioni. Quel suo modo di
muoversi... come
se non conoscesse la fretta, come se niente potesse fermarla o
scalfirla. Come
la neve che cade, senza essere sospinta dal vento e non è
impaziente di posarsi
al suolo. E Anna prigioniera dell’incantesimo malvagio di
Ingrid. Anna che le
diceva tutte quelle cose e poi apriva l’urna...
“Fai
quello che vuoi, ma sappi che
qualsiasi cosa accada, Anna... ti voglio bene”.
-
Anna... era un sogno. Sembrava molto reale – Si interruppe e
la guardò.
Sua
sorella indossava ancora gli abiti della cena, un po’
spiegazzati, come se si
fosse messa a letto senza cambiarsi per la notte, e alcune ciocche di
capelli
rossi erano sfuggiti alle trecce. Le sue mani indugiarono sulle spalle
di Elsa.
– Non era reale. Era un incubo e adesso è finito.
Cos’hai sognato?
Elsa
distolse gli occhi, fissandoli sulla finestra e sul cielo di Arendelle,
punteggiato di stelle. Erano tornate a casa solo da qualche settimana,
ma
c’erano ancora notti in cui, in un modo o
nell’altro, riviveva la perdita di
Anna o le disavventure con Ingrid.
Regina
di Panna, come
l’aveva chiamata Emma.
-
Non è necessario che tu lo sappia – rispose Elsa.
-
Invece sì. Voglio saperlo. Lo sai che puoi dirmi qualsiasi
cosa, no? – Anna
allungò una mano e le toccò la treccia, facendola
scorrere tra le dita. Si era
addormentata senza disfarsela e ora anche i suoi capelli erano un
po’
arruffati.
Elsa
protese le dita verso il suo viso, in una carezza leggerissima. Voleva
assicurarsi che fosse davvero reale,
che non fosse quello il sogno.
– Ho sognato
che ti avevo persa di nuovo... e che ti stavo cercando. Nel bosco, a
Storybrooke e... non riuscivo a raggiungerti.
-
Elsa...
-
Sono solo sogni. E passeranno, lo so. – Era turbata e il suo
stesso turbamento
era la linfa per il suo potere. I fiocchi di neve si erano fatti
più densi e
roteavano più veloci. Alcuni finirono tra i capelli di Anna
e sulle spalle,
coperte dalla mantella rossa. Lei rabbrividì a causa del
freddo.
Allora
Elsa si costrinse a ricacciare la sua paura in qualche angolo del suo
animo.
Strinse i pugni, sui quali si era formato uno strato di ghiaccio e
chiuse gli
occhi.
Non
ho paura. Posso controllarlo.
Posso controllarlo.
Anna
osservava sua sorella. I suoi occhi si erano abituati
all’oscurità della
stanza; nel buio, la pelle di Elsa aveva assunto un candore quasi
innaturale e
i suoi capelli erano argentei. Vide i fiocchi dissolversi pian piano,
la patina
bianca che aveva ricoperto le sue mani evaporare e il freddo che le
aveva
circondate trasformarsi lentamente in un confortevole tepore. Il viso
di Elsa
si rilassò e, alla fine, riaprì gli occhi.
-
Scusami, io ero... sono...
-
Bella – concluse Anna per lei. Ed era seria. –
Cioè, voglio dire... sì, volevo
dire questo. Sei bella.
Bella.
C’era
qualcosa di strano, qualcosa di... incredibilmente dolce e intenso in
quella
parola. Sembrò librarsi tra loro, mentre esitavano.
Elsa
si schiarì la gola. – Dove... dove sei stata?
Perché sei ancora vestita?
-
Oh, sono stata fuori. Volevo fare una passeggiata.
-
Di notte? Da sola?
-
Kristoff dorme, non mi andava di svegliarlo. Ed io, invece, ho cercato
di
dormire ma non ci sono riuscita. Quindi ho pensato che una passeggiata
notturna
mi avrebbe aiutata. Ho fatto anch’io un brutto sogno, sai?
Davvero brutto. –
Anna parlava a raffica, come al solito, facendo vagare lo sguardo da
tutte le
parti. – Sono stata nelle stalle, ma Sven non è di
molte parole. Mugugnava
qualcosa e non vedeva l’ora che me ne andassi per mettersi a
dormire, anche
lui. Non che mi sorprenda. E i soldati... beh, nemmeno loro avevano
voglia di
chiacchierare. Mai pensato di addestrare soldati un po’
più loquaci?
-
No, mai.
-
Peccato. Uno dormiva. Era molto carino, ma ho dovuto svegliarlo.
-
Cos’hai qui? – Elsa le sfiorò
l’angolo delle labbra con la punta dell’indice.
-
Ah, qui. Credo sia... cioccolata?
Elsa
si accigliò.
-
Sono andata anche a fare un giro nelle cucine. Non ho svegliato
nessuno. Sono
stata attenta. Ne è avanzata ancora un po’,
nonostante tu mi abbia preparato un
banchetto degno di un esercito. Ancora mi chiedo come ho fatto a non
scoppiare.
Sapeva
di cioccolata, in effetti, il respiro di Anna. Il respiro di Anna sul
suo viso.
Elsa
si chiese come fosse possibile che si fossero avvicinate
così tanto e senza
quasi accorgersene. Si chiese se fosse stata lei ad essere proiettata
in avanti
o se l’avesse fatto Anna per prima. E si chiese anche
perché le sue, di labbra,
tremassero.
Elsa
si scostò un po’, sbattendo le palpebre.
– É... è meglio che tu vada a dormire.
È molto tardi.
-
Sì. Va bene. Tu riuscirai a dormire?
Le
sorrise. – Certo. Ora sì. Non preoccuparti per me.
-
Mi preoccupo sempre per te. Sono tua sorella.
***
-
Cosa stai facendo? – domandò Anna.
Aveva
cercato Elsa per tutta la mattinata, ma aveva trovato solo servi
nervosi e
indaffarati nei preparativi del matrimonio. Vagavano di qui e di
là per le sale
del palazzo, scambiandosi commenti, ordini e infondendo agitazione in
chiunque
fosse nei paraggi.
Quando
la trovò, vide che Elsa era china su delle carte ingiallite,
sulle quali erano
stampati simboli incomprensibili.
-
Mi hanno portato queste. Non ho idea di cosa dicano, esattamente, ma la
lingua
è la stessa del messaggio riportato... sull’urna
– Lo sguardo di Elsa si
adombrava sempre, quando parlava dell’urna in cui era stata
rinchiusa. – Forse
riuscirò a capirci qualcosa.
-
E cos’hai capito? Fino ad ora, intendo.
-
Quasi niente. Solo alcune parole.
Anna
si accostò e osservò l’intreccio di
frasi, appoggiando le mani sulla carta
vecchia e ruvida dispiegata sul tavolo. – Per esempio...?
-
Per esempio... qui, vedi? – Elsa indicò una
parola. – C’è scritto: Wunjō.
-
Ossia?
-
Credo voglia dire
“gioia”. – Nel dirlo girò la
testa verso Anna, mentre le sue dita si
soffermavano sul dorso della mano della sorella.
-
Bene, allora è una
bella parola. La gioia che dovrei vedere qui dentro, quando invece
percepisco
solo confusione, agitazione, nervosismo...
-
Perché voglio che
sia tutto pronto per il tuo matrimonio.
-
Uh. Quindi sei
stata prepotente.
-
Non sono
prepotente. Sono la regina.
-
Certo. Appunto. Tanto,
per quanto tu possa fare la prepotente, sappiamo tutti che hai un cuore
tenero.
Lo pensa anche Kristoff.
-
Kristoff... e
cos’altro ti ha detto l’uomo delle renne?
-
Oh, niente. Mi ha
raccontato di nuovo quello che è successo con Hans quando
avete trovato l’urna
con nostra zia dentro. Parola per parola. Mi ha detto di come
l’abbia spiato
anche se tu gli aveva chiesto... ordinato, non chiesto... di non farlo.
E mi ha
detto che ti sei sempre sentita sola anche se avevi una sorella,
perché io non
sono come te, non ho la magia, mentre tu...
Elsa
la fissava,
improvvisamente seria.
-
No, non è che
Kristoff abbia detto proprio così... – si corresse
Anna, sfuggendo il suo
sguardo. - O meglio, sì, l’ha detto...
-
Anna...
-
Non ce n’è bisogno.
Ho capito. Davvero... so che hai sempre voluto trovare qualcuno che
fosse simile
a te.
Il
tono di Anna era
tranquillizzante, ma in Elsa c’era qualcosa che non poteva
essere
tranquillizzato facilmente.
-
Non ho mai avuto
intenzione di ferirti.
-
Elsa, tu non mi hai
ferita. Non devi...
-
Pensavo di essere
l’unica... l’unica con questi poteri. Trovare
qualcuno come me sarebbe stato...
Credevo mi avrebbe fatta stare meglio. – La voce di Elsa
tremò. - Mi sono
lasciata ingannare come una sciocca solo perché possedeva i
miei stessi poteri.
Anna
non disse
niente.
-
Avrei dovuto capirlo
subito, che c’era dell’altro.
-
Beh, consolati: io
mi sono fidata subito di Hans e ho accettato di sposarlo esattamente
dieci
minuti dopo averlo incontrato. Sì, posso dire a mia discolpa
che ero più
giovane e ingenua... ma se ci ripenso... ancora non posso credere che
fosse in
quell’armadio, congelato...
Elsa
accennò un sorriso. Ma tornò subito seria.
– Tu sei la mia famiglia, Anna. Sei
l’unica famiglia che ho. Non importa se non sei come me...
perché sei parte di me.
Stavano
l’una di fronte all’altra, adesso. Il fiato di Elsa
le agitava leggermente una
ciocca di capelli.
-
Non permetterò più a nessuno di separarci. E non
andrai più in nessun luogo in
cui io non possa raggiungerti – continuò Elsa.
-
Questo suona tanto come un finché
morte
non ci separi – disse, quasi senza riflettere.
-
Sì, è...
Anna
vide con una strana chiarezza la luce soffusa del salone riflettersi
negli
occhi di lei, scivolare sui capelli e sulla pelle del collo. Vide con
una strana
chiarezza la sua gola palpitare, il petto che si alzava e si abbassava
al ritmo
del respiro.
Voleva
abbracciarla. Avrebbe voluto sollevare le braccia e stringerla,
lasciando che
la sua testa riposasse nella curva della sua spalla. Elsa, invece, le
strinse
la mano nella sua e le mise l’altra sulla guancia, passandole
delicatamente il
pollice sullo zigomo.
Questo
suona tanto come un ‘finché
morte non ci separi’
-
Ma non credo che andrò da qualche parte, sai? Ne ho
abbastanza di viaggi, per
il momento. E poi non è facile liberarsi di me. Mi avrai tra
i piedi per
parecchio tempo.
Elsa
non rispose. Aveva... la stessa sensazione della notte precedente,
quando Anna
era entrata nella sua camera, sentendola gridare nel sonno. La
sensazione che
fossero molto vicine.
Più vicine che
in qualsiasi altra occasione. Incrociando gli occhi di Anna vi si
immerse.
Erano a pochi centimetri dai suoi. Erano grandi e sinceri, sembravano
in attesa
di qualcosa. Le labbra rosse erano curvate in un sorriso. Ad Elsa
sembrò quasi
naturale soffermarsi un attimo su di esse, mentre le dita di Anna si
intrecciavano alle sue. La mano di Elsa si spostò dal viso
al collo e da lì
alla nuca, sempre toccandola senza fare pressione, solo accarezzando la
pelle,
in modo incerto.
Proprio
quando udì i passi in corridoio, Elsa si rese anche conto
che il suo cuore
batteva un po’ troppo veloce, che il suo respiro era
accelerato e che le formicolavano
le dita con le quali la stava toccando. Si scostò
bruscamente da Anna, mentre
un membro della servitù si fermava sulla soglia.
-
Maestà...
-
Sì... cosa? – biascicò Elsa, confusa.
-
Ci sono delle missive per Voi. Ve le ho portate. – Il giovane
reggeva un piatto
d’argento, sul quale c’erano delle lettere chiuse
con sigilli di ceralacca.
-
Sì, certo. Grazie.
Le
guance di Anna si erano colorate di rosso. Sorrideva ancora, ma
sembrava
vagamente perplessa, gli occhi grandi che fissavano le scritte
incomprensibili
sulla carta ingiallita.
***
Che
cosa sta succedendo?
Elsa
si era rifugiata nei giardini di Arendelle, vicino al palazzo, dopo
essersi
distrattamente occupata delle missive. Si era seduta sulla stessa
roccia sulla
quale si era fermata dopo aver scoperto il diario di sua madre in
soffitta,
quel diario che le aveva fatto pensare che la morte dei suoi genitori
fosse
solo colpa sua, perché era per lei che avevano lasciato il
regno e si erano
recati a Misthaven.
Come
quel giorno, come la notte appena trascorsa dopo essersi svegliata di
soprassalto, intorno a lei fluttuavano i fiocchi di neve. Ingrid le
aveva
insegnato a controllarsi, ma in quel preciso momento non voleva
concentrarsi
quel tanto che sarebbe bastato per evitare quella piccola nevicata.
“Non
permetterò più a nessuno di
separarci. E non andrai più in nessun luogo in cui io non
possa raggiungerti”.
“Questo
suona tanto come un finché
morte non ci separi”.
Più
di una volta era stata molto vicina ad Anna, così vicina che
avrebbe desiderato
non separarsene mai. E quando erano state separate, quando era stata
rinchiusa
nell’urna e poi era finita a Storybrooke, avrebbe dato
qualsiasi cosa per
rivederla, per sapere che stava bene. Aveva costruito una barricata di
ghiaccio
con il suo potere, dicendosi che nessuno avrebbe lasciato la
città fino a che
lei ed Anna non sarebbero state di nuovo insieme. Aveva temuto di non
ritrovarla, aveva dubitato e creduto, per qualche istante, che sua
sorella
l’avesse davvero intrappolata nell’urna e che non
volesse essere trovata. E si
era sentita morire dentro. Era vero che l’aveva intrappolata,
ma la colpa non
era di Anna. Era di Ingrid. E sua, perché aveva
sottovalutato la zia quando
aveva elaborato il piano contro di lei. Si era sentita... come se
stesse
perdendo i pezzi. Aveva trovato Emma, un’amica che non
avrebbe mai smesso di
ringraziare e alla quale pensava spesso, ma c’era sempre
quella parte mancante.
Quel vuoto. Poi era finito tutto e l’aveva rivista.
L’aveva stretta forte a sé,
quasi volesse inglobarla e i pezzi erano tornati al loro posto.
Ma
nel salone, così come quella notte, quella strana sensazione
si era fatta più
pressante. L’aveva toccata in un modo... diverso. Adorando la
delicatezza e il
tepore della sua pelle. Adorando la fitta che l’aveva colta
nell’incrociare i
suoi occhi.
Non
avrebbe dovuto toccarla così.
Non era
giusto. Era...
-
Elsa!
Sollevò
la testa. Vide Anna precipitarsi lungo il sentiero, verso di lei. La
vide
inciampare in una radice sporgente. Rischiò di finire lunga
distesa sul prato,
lanciò un’esclamazione di sorpresa, ma
miracolosamente recuperò l’equilibrio e
la raggiunse.
-
Elsa, finalmente! Dov’eri finita?
-
Volevo stare un po’ qui, da sola – Con un gesto
della mano fece sparire i
fiocchi bianchi.
-
Cos’è successo?
-
Non è... non è successo niente.
-
Deve per forza essere successo qualcosa. L’ultima volta che
ti sei rifugiata
qui avevi appena trovato il diario di nostra madre.
Elsa
esitò. – Stavo solo... pensando.
-
Pensando a cosa?
-
A tutto quello che è successo. Ci penso spesso.
-
Allora possiamo pensarci insieme! Sono tua sorella, il che vuol dire
che se
pensiamo insieme è molto meglio!
-
Stai per sposarti. Per davvero, stavolta. Dovresti occuparti solo del
matrimonio,
non di... di cose che intristiscono.
-
Beh, se mia sorella è triste non ho altra scelta.
Elsa
si sforzò di sorridere. Quello di Anna, di sorriso, era
vivace e luminoso, come
sempre. Un sorriso che ti spingeva a concederle una fiducia
incondizionata. Che
ti spingeva a raccontarle ogni frammento della giornata. Che ti
spingeva ad
essere ottimista e ti faceva credere che nulla potesse andare male.
Non
se esisteva un sorriso simile nel mondo.
-
Non è niente, Anna. Mi passerà –
concluse Elsa. Non poteva proprio dirle che il
modo in cui l’aveva toccata in salone l’aveva
turbata nel profondo.
Ma
poi Anna aveva percepito qualcosa di diverso
nell’atteggiamento della sorella,
mentre l’accarezzava?
-
Piuttosto, che cos’hai lì? – chiese,
anticipando qualsiasi altra domanda.
Anna
sembrò ricordarsi solo in quel momento del libro che aveva
in mano. – Oh! Me
l’ha dato Belle prima che ce ne andassimo. Mi ha portato in
quella libreria e
mi ha detto di scegliere quello che volevo, in realtà. Un
po’ complicato, dato
che non conoscevo nessuna di quelle storie!
-
E per quale motivo hai scelto questa?
-
Perché il titolo è bello: Grandi
Speranze. Non so chi sia questo Dickons…
cioè, no, aspetta... Dickens. Charles
Dickens. Però era bravo a raccontare storie. –
disse, aprendolo sulla prima
pagina. C’era una dedica, poco sotto il titolo.
Ad
un’amica che
non dimenticherò e che ha saputo perdonarmi.
Belle.
-
E cosa c’è di divertente? –
domandò Elsa. – Ti ho vista altre volte mentre lo
leggevi e ridevi.
-
I nomi dei personaggi. Pip, Joe Gargery, Bentley Drummle... non ti
sembrano
assurdi? Te ne leggo un pezzo? – Anna non aspettò
che Elsa rispondesse. Si
sedette di fronte a lei e aprì il libro al punto in cui era
arrivata. – “L’amavo
a dispetto della ragione, a
dispetto di ogni promessa, a dispetto della mia pace, a dispetto della
speranza, a dispetto della felicità, a dispetto di ogni
possibile
scoraggiamento”. Come ti sembra? Deve essere vero
amore.
Elsa
avrebbe voluto risponderle che le sembrava bello. Le stava cercando, le
parole
giuste. Le stava cercando, ma non riusciva ad afferrarle. Le uniche
cose che capiva
erano il sorriso di Anna, la sua voce che ancora sembrava aleggiare
tutt’intorno, quella voce chiara e limpida che diceva: L’amavo a dispetto della ragione, a
dispetto di ogni promessa...”
“Questo
suona tanto come un finché
morte non ci separi”.
Elsa
si alzò di scatto e si allontanò di qualche
passo, voltandole le spalle.
-
Elsa, dove vai?
Si
fermò. Anna la seguì e allungò una
mano, stringendole il polso. La costrinse a
girarsi di nuovo. Nel tentativo di liberarsi dalla sua stretta Elsa
l’attirò
ancora più vicina a sé. Il viso di sua sorella fu
a pochi centimetri dal suo.
Avvertì ancora il suo fiato sulla pelle, il fiato che
improvvisamente si
spezzava. E il profumo dei suoi capelli. E quel sorriso che vacillava,
restando
sospeso tra la perplessità e la sorpresa.
Non
le venivano in mente più parole. Neanche una. Per lo meno
nessuna che avesse
senso.
C’era
solo lo sguardo di Anna, che si incatenò al suo,
paralizzandola.
Elsa
non si era mai sentita tanto calamitata verso qualcosa... qualcuno. Ed
Anna non
le era mai sembrata così bella.
Il
mondo parve crepitare e poi dissolversi, diventare improvvisamente
bianco e
scintillante, mentre Elsa si piegava in avanti e toccava le labbra di
Anna con
le proprie. Le dischiuse appena, portando le dita sulla sua nuca come
per
trattenerla, serrando le palpebre e udendo soltanto un costante ronzio
nelle
orecchie, nonché il potere che si agitava dentro di lei.
Anna mugugnò qualcosa
contro la bocca della sorella e, all’inizio, si
irrigidì per l’incredulità. Il
libro cadde con un tonfo.
È
una follia, ebbe
il tempo di pensare la regina di Arendelle.
Poi
Anna appoggiò una mano sul braccio di Elsa e
l’altra sulla sua schiena,
stringendo il tessuto azzurro dell’abito. Mosse le labbra,
piano ma premendole
di più sulle sue. Inclinò leggermente la testa di
lato.
Elsa
si separò un istante da lei e sollevò le
palpebre. Anna le sollevò nel medesimo
istante, mostrandole occhi che erano appannati, confusi... non identici
ai
suoi, possedevano una sfumatura verde leggermente diversa. Ma erano simili ai suoi.
Elsa
l’allontanò bruscamente da sé,
lasciandosi sfuggire un rantolo e
indietreggiando di qualche passo. – No... Anna, no. Mi
dispiace...
Fiocchi
di neve ricominciarono a volteggiare intorno a lei.
Barcollò. Allungò una mano
per mantenere l’equilibrio e trovò la corteccia di
un albero alle sue spalle.
Vi fu un sinistro scricchiolio, poi il tronco ghiacciò e il
gelo salì rapidamente
fino ad intaccare il ramo più basso, che si
spezzò, precipitando rovinosamente.
-
Elsa!
-
Stai lontana da me, Anna... stai lontana, ti prego! – Elsa
capì di non avere
più il controllo di niente, tanto era sconvolta. Due fasci
biancoazzurri
esplosero dalle sue mani e congelarono parte del prato.
Controllalo,
impose
una voce interiore. Controllalo. Puoi
farlo.
Elsa
chiuse gli occhi, come aveva fatto quella notte. Strinse le dita a
pugno e
inspirò. Inspirò una volta, due, tre. La magia si
agitò vorticosamente, spinse
per uscire, ma lei non glielo permise.
Quando
li riaprì, il cuore batteva ancora forte, ma sentiva di aver
recuperato il
controllo sul suo potere. Non aveva fatto altri danni. Anna la fissava.
Sorrise
quando si rese conto che Elsa stava meglio e fece per avvicinarsi.
-
Non... – cominciò sua sorella, alzando una mano
per fermarla. – No, devo... non
posso. Perdonami.
Scappò
via, ignorando la voce di Anna che le urlava di aspettarla.
***
Riuscì
ad evitarla per il resto della giornata e per buona parte del giorno
seguente.
Anna
la cercò, la seguì e ovviamente la
trovò, ma Elsa fece in modo di essere sempre
impegnata, o con le vecchie pergamene in futhark antico oppure in altre
faccende che avrebbero anche potuto aspettare, ma che diventarono
improvvisamente molto urgenti. Soprattutto, evitò
di farsi trovare da sola. Alcuni
ambasciatori provenienti dalle Isole del Nord, in questo, le diedero
una mano.
Indossò
i guanti magici per sicurezza. Non si sentiva padrona di se stessa e
preferì
non rischiare di commettere qualche disastro, come congelare una
guardia o,
peggio, un’intera sala.
Non
ci furono incubi quella notte, anche perché non
dormì quasi per niente.
Continuò a rimuginare su ciò che era successo nei
giardini. Su un bacio che non
aveva nulla di fraterno, su un bacio che le aveva lasciato il sapore
delicato
di Anna sulle labbra.
Forse
sto diventando pazza.
Era
possibile. Forse era colpa di tutto quello che era accaduto negli
ultimi tempi.
Ingrid era rimasta intrappolata nell’urna per anni e la sua
mente e il suo
cuore ne avevano indubbiamente risentito. Stava capitando la stessa
cosa anche
a lei?
Il
punto era che, per quanto si rendesse conto che era sbagliato, se ci
ripensava
la pervadeva una sensazione dolcissima e appagante; avvertiva ancora la
pressione della mano di Anna sulla schiena, le dita che stringevano il
tessuto,
il sangue che scorreva più rapido nelle vene, il fiato della
sorella nella sua
bocca... e non riusciva a non pensare che fosse stato qualcosa di
bello. Da una
parte, comprendeva l’assurdità del suo gesto,
temeva di aver in qualche modo
sporcato l’innocenza di Anna con quel bacio e
l’idea ancora la turbava nel
profondo, ma se ci rifletteva, si accorgeva che quella
sensazione era qualcosa che aveva cercato e che non aveva
trovato in nessun altro.
Ma
Anna avrebbe sposato Kristoff.
Ecco.
Quello era giusto. Sua sorella
amava
Kristoff. Ed Elsa era felice che lui l’amasse nello stesso
modo. Oh, l’aveva
messo alla prova, l’aveva fatto sudare... perché
nessuno poteva avere il cuore
di Anna senza prima affrontare lei. Però l’uomo
delle renne, quelle prove, le
aveva superate. Kristoff non aveva nulla che non andasse... certo, non
le dava
retta, si prendeva gioco dei suoi ordini, ma era anche vero che grazie
a lui
aveva saputo di Hans e dell’urna e che lei, a sua volta, non
gli aveva dato
retta quando l’aveva messa in guardia riguardo al magico
contenitore nel quale
il principe delle Isole del Sud avrebbe tanto voluto imprigionarla.
Elsa
richiuse le porte delle sue stanze con un colpo secco e si
lasciò cadere sul
letto. Era stanca. La notte insonne iniziava a farsi sentire.
“L’amavo
a dispetto della ragione,
a dispetto di ogni promessa, a dispetto della mia pace, a dispetto
della
speranza, a dispetto della felicità, a dispetto di ogni
possibile
scoraggiamento”.
“Questo
suona tanto come un ‘finché
morte non ci separi’.
“Fai
quello che vuoi, ma sappi che qualsiasi
cosa accada, Anna... io ti voglio bene”.
Le
molle del letto cigolarono. Elsa aggrottò la fronte e
alzò la testa di scatto.
Prima che potesse muoversi o dire qualsiasi cosa Anna le fu addosso e
si mise
proprio sopra di lei, con le mani posizionate ai lati della sua testa.
Il
ciondolo che aveva al collo dondolò per qualche istante,
mandando barbagli
argentei nella penombra.
-
Anna, ma cosa...?
-
Ti ho presa – disse lei, con diverse ciocche di capelli che
le ricadevano
malamente sul viso e le guance rosse. – Ti prego, non dirmi
di andare via,
perché tanto non me ne vado. Non puoi continuare ad
evitarmi. E detesto quando
mi sbatti le porte in faccia.
-
Io non ti ho... – Elsa s’interruppe. – Da
dove sei venuta fuori?
-
Da sotto il letto. E no, magari non mi hai sbattuto la porta in faccia,
ma è
vero che mi hai evitata.
-
Sono la regina, ho molte cose a cui pensare.
-
Sono solo scuse.
-
Anna...
-
Sei arrabbiata con me? – Anna aveva assunto un’aria
tra il preoccupato e
l’imbronciato, che la rese terribilmente adorabile.
Ma
Elsa distolse lo sguardo. – No. Certo che no.
-
Allora guardami.
-
No.
-
Cosa sono tutti questi no? Basta con i no, Elsa. Guardami.
Elsa
teneva il viso girato verso la parete. Chiuse un attimo gli occhi. Ed
Anna si
chiese che cosa vedesse sua sorella dietro le palpebre. Che cosa stesse
guardando, in tutto quel nero.
-
Elsa... per favore. Non chiudermi fuori – mormorò
Anna.
Riaprì
gli occhi e la guardò. Anna si scostò, mettendosi
a sedere sul letto e guardando
Elsa fare lo stesso, guardandola mentre si sporgeva verso di lei, senza
toccarla, solo stando incredibilmente vicina. Sollevò una
mano per toccare il
viso di Anna, che le prese il polso e poi le sfilò il guanto
azzurro.
-
Che cosa fai?
-
Ti tolgo i guanti. Non che ti stiano male, ma non ti servono, adesso.
Elsa
la lasciò fare. Anna gettò i guanti per terra
senza troppi complimenti e
afferrò le sue mani, stringendole forte.
-
Sono io che dovrei chiederti se sei arrabbiata con me.
-
Per cosa?
-
Per cosa? Anna, quello che ho fatto...
-
Non è successo niente. Cioè... sì,
qualcosa è successo, ma non era niente di male.
E di sicuro non sono arrabbiata con te. Come potrei? È
stato... bello.
Elsa
rimase in silenzio per un lungo momento, fissandola nel minuscolo
spazio che le
separava. Le sarebbe bastato sporgersi un poco per toccare le sue
labbra. Di
nuovo. – Non dovresti dire così.
-
Ma lo è stato. Insomma, lo so che è strano... e
forse dovrei dirti che è
sbagliato. Ma mentre stava succedendo mi è sembrato tutto
fuorché... sbagliato.
Non ero nemmeno così sorpresa...
-
Non lo eri?
Scosse
la testa.
Elsa
sospirò. - Tu sei mia sorella. Il mio sangue. La mia
famiglia. Dovrei volerti
bene e proteggerti. – Le scostò le ciocche di
capelli che le ricadevano sugli
occhi. – Non pensare di...
Anna
deglutì. – Di fare cosa?
Un
trasalimento nel respiro di Elsa. Fece scorrere le dita dalla guancia
alle
labbra di Anna, ne tracciò il profilo. Nei suoi occhi
c’era una luce diversa,
più tormentata, come se stesse lottando contro se stessa.
Poi
Elsa si chinò, posò le labbra sulla sua guancia,
la sfiorò leggermente. La
baciò vicino all’orecchio e sotto
l’occhio sinistro.
-
Elsa...
-
Sì, devo fermarmi...
Ma
Anna non glielo disse; la prese e spostò il viso quel tanto
che bastava perché
qualsiasi cosa lei stesse dicendo si perdesse sulle sue labbra. Elsa la
baciò
con delicatezza, con attenzione, quasi temesse di farle del male.
Gemette piano,
in fondo alla gola, quando Anna le circondò il collo con le
braccia e non poté
che avvolgerla a sua volta, protraendo quel bacio. Elsa se la strinse
ancora di
più contro. Socchiuse leggermente le labbra, approfondendo
un po’ il contatto.
Le sembrava che il mondo si fosse annullato; percepiva solo Anna. Tutto
ciò
che, in quel momento, sentiva, vedeva, desiderava... era Anna.
Nient’altro
contava. Il suo corpo era incredibilmente vivo, il suo cuore batteva
incredibilmente forte e il respiro di Anna nella sua bocca le faceva
perdere il
controllo. Qualsiasi cosa avesse pensato riguardo a quella situazione
totalmente sbagliata era scivolato via, come acqua. Era evaporato. Non
riusciva
ad essere lucida.
-
Uhm... Elsa...
-
C-Cosa? Ti... ti sto facendo male? – chiese, allarmata, le
labbra ancora
incollate alle sue.
-
No. Non... non respiro.
-
Oh!
Anna
scoppiò a ridere, affondando il viso nell’incavo
del suo collo. Elsa le
accarezzò le schiena e, quando lei si scostò,
seguì con le dita la catenina
d’argento fino al ciondolo, tracciandone il contorno con la
punta dell’indice. Le
appoggiò quella stessa mano all’altezza del cuore,
sentendolo palpitare forte
come il suo. Anna vi posò sopra la sua, di mano,
coprendogliela.
Ed
Elsa vide baluginare l’anello che le aveva regalato Kristoff.
Tornò
improvvisamente seria e distolse lo sguardo, abbassando la testa. Anche
la
sorella sembrava essersi accorta del cambiamento repentino e aveva
smesso di
sorridere.
Rimasero
in silenzio per un po’. Forse ci sarebbero state molte cose
da dire, ma ciò che
avevano fatto andava ben al di là della normale
capacità di comprensione.
-
Posso restare qui con te, stanotte? Per favore – le chiese
Anna, sfiorandole il
naso con il suo.
Elsa
si sporse per darle un bacio sull’angolo delle labbra.
– Sì. Certo che puoi.
***
Anna
si sistemò meglio l’abito da sposa, lisciando
pieghe inesistenti e chiedendosi
quanto ci sarebbe voluto prima che, durante il ricevimento, ci versasse
sopra
qualcosa. Avrebbe cercato di fare attenzione, di ricordarsi che quello
che
indossava non era solo il suo abito da sposa, ma anche
l’abito di sua madre. Avrebbe
cercato di ricordarsi del gran numero di invitati presenti. E forse non
sarebbe
servito comunque.
“Sei
arrabbiata con me?”.
“No.
Certo che no”.
“Allora
guardami”.
“No”.
Rimirò
il suo riflesso nello specchio e vide Elsa giusto dietro di lei, che la
osservava.
-
Ti sta d’incanto – le disse, avvicinandosi.
– La scorsa volta non ho avuto modo
di dirtelo.
-
Beh, meglio tardi che mai. E non hai ancora visto l’abito di
Sven.
-
Non oso nemmeno immaginare come possa essere vestita una renna.
Già il solo
fatto che io debba andare fino all’altare con Sven...
-
Sarà divertente. Cioè... con divertente non
intendo dire che sembreresti
ridicola vicino ad una renna. Divertente. In senso buono. E poi Sven sa
benissimo come comportarsi. Kristoff gli ha insegnato tutto.
-
Questo mi preoccupa più del resto. L’uomo
cresciuto dai troll che insegna ad
una renna come comportarsi durante un matrimonio...
-
Andrà tutto bene. L’abito è perfetto.
Sven sarà perfetto. Kristoff anche. Ci
saranno un sacco di dolci al cioccolato e tu... beh, tu sarai bella
come il
resto.
Elsa
aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiuse. Anna
faticava a
concentrarsi davvero sul matrimonio dato che la sua testa era piena del
ricordo
di quei baci.
“Tu
sei mia sorella. Il mio sangue.
La mia famiglia. Dovrei volerti bene e proteggerti...”
Quando
alzò di nuovo lo sguardo vide che Elsa era molto vicina a
lei. Le sue dita
indugiarono su una spallina del vestito per sistemargliela, anche se
non aveva
bisogno di essere sistemata.
Anna
si rese conto di quanto le sarebbe sembrato naturale se Elsa si fosse
chinata
per darle un bacio sul collo o nel punto in cui esso si congiungeva con
la
spalla. Il solo pensiero la fece rabbrividire. E, per un attimo,
pensò che la
sorella l’avrebbe fatto davvero, perché
accostò le labbra al suo orecchio, come
per sussurrarle qualcosa. Poi, però, si allontanò
di qualche passo.
C’era...
c’erano molte emozioni, riflesse negli occhi della regina di
Arendelle. C’era
commozione e felicità di vederla in abito da sposa, ma
c’era anche tristezza,
rassegnazione, titubanza e...
Desiderio.
Anna
arrossì violentemente, pensandoci. Pensando al modo in cui
era stata baciata,
alla leggera carezza della sua lingua, alle mani che la toccavano,
risvegliandole i nervi e coprendola di brividi. Alle sue parole prima
di
baciarla...
“Sì,
dovrei fermarmi”.
-
Sì... – disse Elsa, quasi un’eco delle
sue riflessioni. La sua voce non era
affatto ferma. – Andrà tutto bene.
***
Salve
a tutti ^_^
La
citazione tratta dal romanzo di Charles Dickens, Grandi
Speranze, è presente anche in un’altra
serie televisiva che
sto seguendo, Pretty Little Liars. Chi
la segue saprà che è una citazione importante,
che sta alla base della storia
di una delle coppie più gettonate, le Emison (Alison
& Emily). Non c’entra
niente con OUAT, ma il pezzo in sé mi sembrava adatto alla
situazione, quindi
l’ho inserito nella fic.