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Autore: Stephanie86    23/11/2014    17 recensioni
[Post!4x11 | Elsanna | Incest | Crossover]
Elsa ed Anna sono tornate a casa. Le loro vite sembrano essere tornate alla normalità.
Ma c'è qualcosa, fra loro. Le sorelle lo sanno e anche se fanno di tutto per ignorare quei sentimenti, essi emergono e le spingono verso una linea di confine che due sorelle non dovrebbero mai superare.
E cosa accade quando il sovrano delle fate, Oberon, si presenta al matrimonio di Anna, accompagnato dal suo dispettoso folletto, Puck? Le cose possono solo farsi più complicate.
Nuove avventure attendono Elsa ed Anna.
_______________________________
Stavano l’una di fronte all’altra, adesso. Il fiato di Elsa le agitava leggermente una ciocca di capelli.
- Non permetterò più a nessuno di separarci. E non andrai più in nessun luogo in cui io non possa raggiungerti – continuò Elsa.
- Questo suona tanto come un 'finché morte non ci separi' – disse, quasi senza riflettere.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Anna, Elsa, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lost and Found'
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DISCLAIMER

'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà dei creatori della serie tv “Once Upon a Time” e di “Frozen – Il Regno di Ghiaccio”, nonché di C.S. Lewis e, nel caso di un personaggio, di Licia Troisi; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'. 

 

 

 Clarity

 

 

 
“If our love’s insanity, why are you my clarity?”

[Clarity, Zedd]

 

 

 
Quella sera Elsa stentò a prendere sonno e quando ci riuscì ebbe un incubo.

Nel sogno era buio. Lei correva nel bosco, seguendo la voce di sua sorella, che la chiamava e le chiedeva aiuto.

“Elsa, aiutami, ti prego”.

- Anna?

“Elsa, aiutami!”.

- Anna, dove sei?

La vedeva. Vedeva Anna pochi metri più avanti rispetto a lei, ma tutte le volte che le sembrava di averla raggiunta si allontanava ancora, veniva trascinata nell’ombra da mani invisibili. Elsa continuava a correre, seguitava a chiamarla e sentiva la sua stessa voce frammentarsi in una moltitudine di echi. Costruì la scalinata di ghiaccio con i suoi poteri per attraversare il baratro che la separava da Anna, ma quando fu a metà strada sua sorella svanì di nuovo, preda delle tenebre.

Andò avanti così per un tempo che le parve infinito. Il bosco era un labirinto e le ombre la circondavano, si allungavano per acciuffarla, si ritraevano e poi si rifacevano avanti.

- Anna!

“Elsa! Elsa, ti prego, aiutami!”

Aiutami.

Aiutami.

Aiutami.

Aiutami.

Aiut-

Poi dal nulla apparvero le catene. E le catene le serrarono i polsi.

- Tua sorella non è qui, Elsa. Stai inseguendo il nulla. Non la troverai mai – Non c’era nessuno intorno a lei, ma la voce che udiva era paurosamente simile a quella della Regina delle Nevi. Calma, pacata, fredda. – E poi guardati: c’è così tanta paura in te. Così tanta. Se solo sapessi controllarla...

- La controllo. Sì. Io non ho paura.

- Elsa – le disse un’altra voce, incalzante, all’orecchio. Era sempre Anna, ma stavolta era molto vicina. – Elsa, stai sognando. Svegliati. Elsa!

Anna la scuoteva per le spalle ed Elsa sollevò di colpo le palpebre, riconoscendo all’istante la sua stanza nel palazzo di Arendelle. Era senza fiato, con le lenzuola aggrovigliate intorno al corpo e una moltitudine di fiocchi di neve che svolazzavano sopra di lei e pian piano cadevano. La sua pelle era gelata. E non solo la pelle. Anche il cuore, lo stomaco, le ossa, il sangue nelle vene. Tutto sembrava essersi ghiacciato. Vedeva ancora il bosco intricato, il buio, Anna trascinata lontano da forze superiori. Vedeva le catene. Le sentiva ai polsi. Udiva la voce della Regina delle Nevi. La rivedeva inginocchiata davanti a lei, la rivedeva mentre si faceva beffe di lei, con quell’espressione imperturbabile e quel tono assolutamente blando, privo di inflessioni. Quel suo modo di muoversi... come se non conoscesse la fretta, come se niente potesse fermarla o scalfirla. Come la neve che cade, senza essere sospinta dal vento e non è impaziente di posarsi al suolo. E Anna prigioniera dell’incantesimo malvagio di Ingrid. Anna che le diceva tutte quelle cose e poi apriva l’urna...

“Fai quello che vuoi, ma sappi che qualsiasi cosa accada, Anna... ti voglio bene”.

- Anna... era un sogno. Sembrava molto reale – Si interruppe e la guardò.

Sua sorella indossava ancora gli abiti della cena, un po’ spiegazzati, come se si fosse messa a letto senza cambiarsi per la notte, e alcune ciocche di capelli rossi erano sfuggiti alle trecce. Le sue mani indugiarono sulle spalle di Elsa. – Non era reale. Era un incubo e adesso è finito. Cos’hai sognato?

Elsa distolse gli occhi, fissandoli sulla finestra e sul cielo di Arendelle, punteggiato di stelle. Erano tornate a casa solo da qualche settimana, ma c’erano ancora notti in cui, in un modo o nell’altro, riviveva la perdita di Anna o le disavventure con Ingrid.

Regina di Panna, come l’aveva chiamata Emma.

- Non è necessario che tu lo sappia – rispose Elsa.

- Invece sì. Voglio saperlo. Lo sai che puoi dirmi qualsiasi cosa, no? – Anna allungò una mano e le toccò la treccia, facendola scorrere tra le dita. Si era addormentata senza disfarsela e ora anche i suoi capelli erano un po’ arruffati.

Elsa protese le dita verso il suo viso, in una carezza leggerissima. Voleva assicurarsi che fosse davvero reale, che non fosse quello il sogno. – Ho sognato che ti avevo persa di nuovo... e che ti stavo cercando. Nel bosco, a Storybrooke e... non riuscivo a raggiungerti.

- Elsa...

- Sono solo sogni. E passeranno, lo so. – Era turbata e il suo stesso turbamento era la linfa per il suo potere. I fiocchi di neve si erano fatti più densi e roteavano più veloci. Alcuni finirono tra i capelli di Anna e sulle spalle, coperte dalla mantella rossa. Lei rabbrividì a causa del freddo.

Allora Elsa si costrinse a ricacciare la sua paura in qualche angolo del suo animo. Strinse i pugni, sui quali si era formato uno strato di ghiaccio e chiuse gli occhi.

Non ho paura. Posso controllarlo. Posso controllarlo.

Anna osservava sua sorella. I suoi occhi si erano abituati all’oscurità della stanza; nel buio, la pelle di Elsa aveva assunto un candore quasi innaturale e i suoi capelli erano argentei. Vide i fiocchi dissolversi pian piano, la patina bianca che aveva ricoperto le sue mani evaporare e il freddo che le aveva circondate trasformarsi lentamente in un confortevole tepore. Il viso di Elsa si rilassò e, alla fine, riaprì gli occhi.

- Scusami, io ero... sono...

- Bella – concluse Anna per lei. Ed era seria. – Cioè, voglio dire... sì, volevo dire questo. Sei bella.

Bella.

C’era qualcosa di strano, qualcosa di... incredibilmente dolce e intenso in quella parola. Sembrò librarsi tra loro, mentre esitavano.

Elsa si schiarì la gola. – Dove... dove sei stata? Perché sei ancora vestita?

- Oh, sono stata fuori. Volevo fare una passeggiata.

- Di notte? Da sola?

- Kristoff dorme, non mi andava di svegliarlo. Ed io, invece, ho cercato di dormire ma non ci sono riuscita. Quindi ho pensato che una passeggiata notturna mi avrebbe aiutata. Ho fatto anch’io un brutto sogno, sai? Davvero brutto. – Anna parlava a raffica, come al solito, facendo vagare lo sguardo da tutte le parti. – Sono stata nelle stalle, ma Sven non è di molte parole. Mugugnava qualcosa e non vedeva l’ora che me ne andassi per mettersi a dormire, anche lui. Non che mi sorprenda. E i soldati... beh, nemmeno loro avevano voglia di chiacchierare. Mai pensato di addestrare soldati un po’ più loquaci?

- No, mai.

- Peccato. Uno dormiva. Era molto carino, ma ho dovuto svegliarlo.

- Cos’hai qui? – Elsa le sfiorò l’angolo delle labbra con la punta dell’indice.

- Ah, qui. Credo sia... cioccolata?

Elsa si accigliò.

- Sono andata anche a fare un giro nelle cucine. Non ho svegliato nessuno. Sono stata attenta. Ne è avanzata ancora un po’, nonostante tu mi abbia preparato un banchetto degno di un esercito. Ancora mi chiedo come ho fatto a non scoppiare.

Sapeva di cioccolata, in effetti, il respiro di Anna. Il respiro di Anna sul suo viso.

Elsa si chiese come fosse possibile che si fossero avvicinate così tanto e senza quasi accorgersene. Si chiese se fosse stata lei ad essere proiettata in avanti o se l’avesse fatto Anna per prima. E si chiese anche perché le sue, di labbra, tremassero.

Elsa si scostò un po’, sbattendo le palpebre. – É... è meglio che tu vada a dormire. È molto tardi.

- Sì. Va bene. Tu riuscirai a dormire?

Le sorrise. – Certo. Ora sì. Non preoccuparti per me.

- Mi preoccupo sempre per te. Sono tua sorella.

 

***

 

- Cosa stai facendo? – domandò Anna.

Aveva cercato Elsa per tutta la mattinata, ma aveva trovato solo servi nervosi e indaffarati nei preparativi del matrimonio. Vagavano di qui e di là per le sale del palazzo, scambiandosi commenti, ordini e infondendo agitazione in chiunque fosse nei paraggi.

Quando la trovò, vide che Elsa era china su delle carte ingiallite, sulle quali erano stampati simboli incomprensibili.

- Mi hanno portato queste. Non ho idea di cosa dicano, esattamente, ma la lingua è la stessa del messaggio riportato... sull’urna – Lo sguardo di Elsa si adombrava sempre, quando parlava dell’urna in cui era stata rinchiusa. – Forse riuscirò a capirci qualcosa.

- E cos’hai capito? Fino ad ora, intendo.

- Quasi niente. Solo alcune parole.

Anna si accostò e osservò l’intreccio di frasi, appoggiando le mani sulla carta vecchia e ruvida dispiegata sul tavolo. – Per esempio...?

- Per esempio... qui, vedi? – Elsa indicò una parola. – C’è scritto: Wunjō.

- Ossia?

- Credo voglia dire “gioia”. – Nel dirlo girò la testa verso Anna, mentre le sue dita si soffermavano sul dorso della mano della sorella.

- Bene, allora è una bella parola. La gioia che dovrei vedere qui dentro, quando invece percepisco solo confusione, agitazione, nervosismo...

- Perché voglio che sia tutto pronto per il tuo matrimonio.

- Uh. Quindi sei stata prepotente.

- Non sono prepotente. Sono la regina.

- Certo. Appunto. Tanto, per quanto tu possa fare la prepotente, sappiamo tutti che hai un cuore tenero. Lo pensa anche Kristoff.

- Kristoff... e cos’altro ti ha detto l’uomo delle renne?

- Oh, niente. Mi ha raccontato di nuovo quello che è successo con Hans quando avete trovato l’urna con nostra zia dentro. Parola per parola. Mi ha detto di come l’abbia spiato anche se tu gli aveva chiesto... ordinato, non chiesto... di non farlo. E mi ha detto che ti sei sempre sentita sola anche se avevi una sorella, perché io non sono come te, non ho la magia, mentre tu...

Elsa la fissava, improvvisamente seria.

- No, non è che Kristoff abbia detto proprio così... – si corresse Anna, sfuggendo il suo sguardo. - O meglio, sì, l’ha detto...

- Anna...

- Non ce n’è bisogno. Ho capito. Davvero... so che hai sempre voluto trovare qualcuno che fosse simile a te.

Il tono di Anna era tranquillizzante, ma in Elsa c’era qualcosa che non poteva essere tranquillizzato facilmente.

- Non ho mai avuto intenzione di ferirti.

- Elsa, tu non mi hai ferita. Non devi...

- Pensavo di essere l’unica... l’unica con questi poteri. Trovare qualcuno come me sarebbe stato... Credevo mi avrebbe fatta stare meglio. – La voce di Elsa tremò. - Mi sono lasciata ingannare come una sciocca solo perché possedeva i miei stessi poteri.

Anna non disse niente.

- Avrei dovuto capirlo subito, che c’era dell’altro.

- Beh, consolati: io mi sono fidata subito di Hans e ho accettato di sposarlo esattamente dieci minuti dopo averlo incontrato. Sì, posso dire a mia discolpa che ero più giovane e ingenua... ma se ci ripenso... ancora non posso credere che fosse in quell’armadio, congelato...

Elsa accennò un sorriso. Ma tornò subito seria. – Tu sei la mia famiglia, Anna. Sei l’unica famiglia che ho. Non importa se non sei come me... perché sei parte di me.

Stavano l’una di fronte all’altra, adesso. Il fiato di Elsa le agitava leggermente una ciocca di capelli.

- Non permetterò più a nessuno di separarci. E non andrai più in nessun luogo in cui io non possa raggiungerti – continuò Elsa.

- Questo suona tanto come un finché morte non ci separi – disse, quasi senza riflettere.

- Sì, è...

Anna vide con una strana chiarezza la luce soffusa del salone riflettersi negli occhi di lei, scivolare sui capelli e sulla pelle del collo. Vide con una strana chiarezza la sua gola palpitare, il petto che si alzava e si abbassava al ritmo del respiro.

Voleva abbracciarla. Avrebbe voluto sollevare le braccia e stringerla, lasciando che la sua testa riposasse nella curva della sua spalla. Elsa, invece, le strinse la mano nella sua e le mise l’altra sulla guancia, passandole delicatamente il pollice sullo zigomo.

Questo suona tanto come un ‘finché morte non ci separi’

- Ma non credo che andrò da qualche parte, sai? Ne ho abbastanza di viaggi, per il momento. E poi non è facile liberarsi di me. Mi avrai tra i piedi per parecchio tempo.

Elsa non rispose. Aveva... la stessa sensazione della notte precedente, quando Anna era entrata nella sua camera, sentendola gridare nel sonno. La sensazione che fossero molto vicine. Più vicine che in qualsiasi altra occasione. Incrociando gli occhi di Anna vi si immerse. Erano a pochi centimetri dai suoi. Erano grandi e sinceri, sembravano in attesa di qualcosa. Le labbra rosse erano curvate in un sorriso. Ad Elsa sembrò quasi naturale soffermarsi un attimo su di esse, mentre le dita di Anna si intrecciavano alle sue. La mano di Elsa si spostò dal viso al collo e da lì alla nuca, sempre toccandola senza fare pressione, solo accarezzando la pelle, in modo incerto.

Proprio quando udì i passi in corridoio, Elsa si rese anche conto che il suo cuore batteva un po’ troppo veloce, che il suo respiro era accelerato e che le formicolavano le dita con le quali la stava toccando. Si scostò bruscamente da Anna, mentre un membro della servitù si fermava sulla soglia.

- Maestà...

- Sì... cosa? – biascicò Elsa, confusa.

- Ci sono delle missive per Voi. Ve le ho portate. – Il giovane reggeva un piatto d’argento, sul quale c’erano delle lettere chiuse con sigilli di ceralacca.

- Sì, certo. Grazie.

Le guance di Anna si erano colorate di rosso. Sorrideva ancora, ma sembrava vagamente perplessa, gli occhi grandi che fissavano le scritte incomprensibili sulla carta ingiallita.

 

***

 

Che cosa sta succedendo?

Elsa si era rifugiata nei giardini di Arendelle, vicino al palazzo, dopo essersi distrattamente occupata delle missive. Si era seduta sulla stessa roccia sulla quale si era fermata dopo aver scoperto il diario di sua madre in soffitta, quel diario che le aveva fatto pensare che la morte dei suoi genitori fosse solo colpa sua, perché era per lei che avevano lasciato il regno e si erano recati a Misthaven.

Come quel giorno, come la notte appena trascorsa dopo essersi svegliata di soprassalto, intorno a lei fluttuavano i fiocchi di neve. Ingrid le aveva insegnato a controllarsi, ma in quel preciso momento non voleva concentrarsi quel tanto che sarebbe bastato per evitare quella piccola nevicata.

“Non permetterò più a nessuno di separarci. E non andrai più in nessun luogo in cui io non possa raggiungerti”.

“Questo suona tanto come un finché morte non ci separi”.

Più di una volta era stata molto vicina ad Anna, così vicina che avrebbe desiderato non separarsene mai. E quando erano state separate, quando era stata rinchiusa nell’urna e poi era finita a Storybrooke, avrebbe dato qualsiasi cosa per rivederla, per sapere che stava bene. Aveva costruito una barricata di ghiaccio con il suo potere, dicendosi che nessuno avrebbe lasciato la città fino a che lei ed Anna non sarebbero state di nuovo insieme. Aveva temuto di non ritrovarla, aveva dubitato e creduto, per qualche istante, che sua sorella l’avesse davvero intrappolata nell’urna e che non volesse essere trovata. E si era sentita morire dentro. Era vero che l’aveva intrappolata, ma la colpa non era di Anna. Era di Ingrid. E sua, perché aveva sottovalutato la zia quando aveva elaborato il piano contro di lei. Si era sentita... come se stesse perdendo i pezzi. Aveva trovato Emma, un’amica che non avrebbe mai smesso di ringraziare e alla quale pensava spesso, ma c’era sempre quella parte mancante. Quel vuoto. Poi era finito tutto e l’aveva rivista. L’aveva stretta forte a sé, quasi volesse inglobarla e i pezzi erano tornati al loro posto.

Ma nel salone, così come quella notte, quella strana sensazione si era fatta più pressante. L’aveva toccata in un modo... diverso. Adorando la delicatezza e il tepore della sua pelle. Adorando la fitta che l’aveva colta nell’incrociare i suoi occhi.

Non avrebbe dovuto toccarla così. Non era giusto. Era...

- Elsa!

Sollevò la testa. Vide Anna precipitarsi lungo il sentiero, verso di lei. La vide inciampare in una radice sporgente. Rischiò di finire lunga distesa sul prato, lanciò un’esclamazione di sorpresa, ma miracolosamente recuperò l’equilibrio e la raggiunse.

- Elsa, finalmente! Dov’eri finita?

- Volevo stare un po’ qui, da sola – Con un gesto della mano fece sparire i fiocchi bianchi.

- Cos’è successo?

- Non è... non è successo niente.

- Deve per forza essere successo qualcosa. L’ultima volta che ti sei rifugiata qui avevi appena trovato il diario di nostra madre.

Elsa esitò. – Stavo solo... pensando.

- Pensando a cosa?

- A tutto quello che è successo. Ci penso spesso.

- Allora possiamo pensarci insieme! Sono tua sorella, il che vuol dire che se pensiamo insieme è molto meglio!

- Stai per sposarti. Per davvero, stavolta. Dovresti occuparti solo del matrimonio, non di... di cose che intristiscono.

- Beh, se mia sorella è triste non ho altra scelta.

Elsa si sforzò di sorridere. Quello di Anna, di sorriso, era vivace e luminoso, come sempre. Un sorriso che ti spingeva a concederle una fiducia incondizionata. Che ti spingeva a raccontarle ogni frammento della giornata. Che ti spingeva ad essere ottimista e ti faceva credere che nulla potesse andare male.

Non se esisteva un sorriso simile nel mondo.

- Non è niente, Anna. Mi passerà – concluse Elsa. Non poteva proprio dirle che il modo in cui l’aveva toccata in salone l’aveva turbata nel profondo.

Ma poi Anna aveva percepito qualcosa di diverso nell’atteggiamento della sorella, mentre l’accarezzava?

- Piuttosto, che cos’hai lì? – chiese, anticipando qualsiasi altra domanda.

Anna sembrò ricordarsi solo in quel momento del libro che aveva in mano. – Oh! Me l’ha dato Belle prima che ce ne andassimo. Mi ha portato in quella libreria e mi ha detto di scegliere quello che volevo, in realtà. Un po’ complicato, dato che non conoscevo nessuna di quelle storie!

- E per quale motivo hai scelto questa?

- Perché il titolo è bello: Grandi Speranze. Non so chi sia questo Dickons… cioè, no, aspetta... Dickens. Charles Dickens. Però era bravo a raccontare storie. – disse, aprendolo sulla prima pagina. C’era una dedica, poco sotto il titolo.

 

Ad un’amica che non dimenticherò e che ha saputo perdonarmi.

Belle.

 

- E cosa c’è di divertente? – domandò Elsa. – Ti ho vista altre volte mentre lo leggevi e ridevi.

- I nomi dei personaggi. Pip, Joe Gargery, Bentley Drummle... non ti sembrano assurdi? Te ne leggo un pezzo? – Anna non aspettò che Elsa rispondesse. Si sedette di fronte a lei e aprì il libro al punto in cui era arrivata. – “L’amavo a dispetto della ragione, a dispetto di ogni promessa, a dispetto della mia pace, a dispetto della speranza, a dispetto della felicità, a dispetto di ogni possibile scoraggiamento”. Come ti sembra? Deve essere vero amore.

Elsa avrebbe voluto risponderle che le sembrava bello. Le stava cercando, le parole giuste. Le stava cercando, ma non riusciva ad afferrarle. Le uniche cose che capiva erano il sorriso di Anna, la sua voce che ancora sembrava aleggiare tutt’intorno, quella voce chiara e limpida che diceva: L’amavo a dispetto della ragione, a dispetto di ogni promessa...”

“Questo suona tanto come un finché morte non ci separi”.

Elsa si alzò di scatto e si allontanò di qualche passo, voltandole le spalle.

- Elsa, dove vai?

Si fermò. Anna la seguì e allungò una mano, stringendole il polso. La costrinse a girarsi di nuovo. Nel tentativo di liberarsi dalla sua stretta Elsa l’attirò ancora più vicina a sé. Il viso di sua sorella fu a pochi centimetri dal suo. Avvertì ancora il suo fiato sulla pelle, il fiato che improvvisamente si spezzava. E il profumo dei suoi capelli. E quel sorriso che vacillava, restando sospeso tra la perplessità e la sorpresa.

Non le venivano in mente più parole. Neanche una. Per lo meno nessuna che avesse senso.

C’era solo lo sguardo di Anna, che si incatenò al suo, paralizzandola.

Elsa non si era mai sentita tanto calamitata verso qualcosa... qualcuno. Ed Anna non le era mai sembrata così bella.

Il mondo parve crepitare e poi dissolversi, diventare improvvisamente bianco e scintillante, mentre Elsa si piegava in avanti e toccava le labbra di Anna con le proprie. Le dischiuse appena, portando le dita sulla sua nuca come per trattenerla, serrando le palpebre e udendo soltanto un costante ronzio nelle orecchie, nonché il potere che si agitava dentro di lei. Anna mugugnò qualcosa contro la bocca della sorella e, all’inizio, si irrigidì per l’incredulità. Il libro cadde con un tonfo.

È una follia, ebbe il tempo di pensare la regina di Arendelle.

Poi Anna appoggiò una mano sul braccio di Elsa e l’altra sulla sua schiena, stringendo il tessuto azzurro dell’abito. Mosse le labbra, piano ma premendole di più sulle sue. Inclinò leggermente la testa di lato.

Elsa si separò un istante da lei e sollevò le palpebre. Anna le sollevò nel medesimo istante, mostrandole occhi che erano appannati, confusi... non identici ai suoi, possedevano una sfumatura verde leggermente diversa. Ma erano simili ai suoi.  

Elsa l’allontanò bruscamente da sé, lasciandosi sfuggire un rantolo e indietreggiando di qualche passo. – No... Anna, no. Mi dispiace...

Fiocchi di neve ricominciarono a volteggiare intorno a lei. Barcollò. Allungò una mano per mantenere l’equilibrio e trovò la corteccia di un albero alle sue spalle. Vi fu un sinistro scricchiolio, poi il tronco ghiacciò e il gelo salì rapidamente fino ad intaccare il ramo più basso, che si spezzò, precipitando rovinosamente.

- Elsa!

- Stai lontana da me, Anna... stai lontana, ti prego! – Elsa capì di non avere più il controllo di niente, tanto era sconvolta. Due fasci biancoazzurri esplosero dalle sue mani e congelarono parte del prato.

Controllalo, impose una voce interiore. Controllalo. Puoi farlo.

Elsa chiuse gli occhi, come aveva fatto quella notte. Strinse le dita a pugno e inspirò. Inspirò una volta, due, tre. La magia si agitò vorticosamente, spinse per uscire, ma lei non glielo permise.

Quando li riaprì, il cuore batteva ancora forte, ma sentiva di aver recuperato il controllo sul suo potere. Non aveva fatto altri danni. Anna la fissava. Sorrise quando si rese conto che Elsa stava meglio e fece per avvicinarsi.

- Non... – cominciò sua sorella, alzando una mano per fermarla. – No, devo... non posso. Perdonami.

Scappò via, ignorando la voce di Anna che le urlava di aspettarla.

 

***

 

Riuscì ad evitarla per il resto della giornata e per buona parte del giorno seguente.

Anna la cercò, la seguì e ovviamente la trovò, ma Elsa fece in modo di essere sempre impegnata, o con le vecchie pergamene in futhark antico oppure in altre faccende che avrebbero anche potuto aspettare, ma che diventarono improvvisamente molto urgenti. Soprattutto,  evitò di farsi trovare da sola. Alcuni ambasciatori provenienti dalle Isole del Nord, in questo, le diedero una mano.

Indossò i guanti magici per sicurezza. Non si sentiva padrona di se stessa e preferì non rischiare di commettere qualche disastro, come congelare una guardia o, peggio, un’intera sala.

Non ci furono incubi quella notte, anche perché non dormì quasi per niente. Continuò a rimuginare su ciò che era successo nei giardini. Su un bacio che non aveva nulla di fraterno, su un bacio che le aveva lasciato il sapore delicato di Anna sulle labbra.

Forse sto diventando pazza.

Era possibile. Forse era colpa di tutto quello che era accaduto negli ultimi tempi. Ingrid era rimasta intrappolata nell’urna per anni e la sua mente e il suo cuore ne avevano indubbiamente risentito. Stava capitando la stessa cosa anche a lei?

Il punto era che, per quanto si rendesse conto che era sbagliato, se ci ripensava la pervadeva una sensazione dolcissima e appagante; avvertiva ancora la pressione della mano di Anna sulla schiena, le dita che stringevano il tessuto, il sangue che scorreva più rapido nelle vene, il fiato della sorella nella sua bocca... e non riusciva a non pensare che fosse stato qualcosa di bello. Da una parte, comprendeva l’assurdità del suo gesto, temeva di aver in qualche modo sporcato l’innocenza di Anna con quel bacio e l’idea ancora la turbava nel profondo, ma se ci rifletteva, si accorgeva che quella sensazione era qualcosa che aveva cercato e che non aveva trovato in nessun altro.

Ma Anna avrebbe sposato Kristoff.

Ecco. Quello era giusto. Sua sorella amava Kristoff. Ed Elsa era felice che lui l’amasse nello stesso modo. Oh, l’aveva messo alla prova, l’aveva fatto sudare... perché nessuno poteva avere il cuore di Anna senza prima affrontare lei. Però l’uomo delle renne, quelle prove, le aveva superate. Kristoff non aveva nulla che non andasse... certo, non le dava retta, si prendeva gioco dei suoi ordini, ma era anche vero che grazie a lui aveva saputo di Hans e dell’urna e che lei, a sua volta, non gli aveva dato retta quando l’aveva messa in guardia riguardo al magico contenitore nel quale il principe delle Isole del Sud avrebbe tanto voluto imprigionarla.

Elsa richiuse le porte delle sue stanze con un colpo secco e si lasciò cadere sul letto. Era stanca. La notte insonne iniziava a farsi sentire.

“L’amavo a dispetto della ragione, a dispetto di ogni promessa, a dispetto della mia pace, a dispetto della speranza, a dispetto della felicità, a dispetto di ogni possibile scoraggiamento”.

“Questo suona tanto come un ‘finché morte non ci separi’.

“Fai quello che vuoi, ma sappi che qualsiasi cosa accada, Anna... io ti voglio bene”.

Le molle del letto cigolarono. Elsa aggrottò la fronte e alzò la testa di scatto. Prima che potesse muoversi o dire qualsiasi cosa Anna le fu addosso e si mise proprio sopra di lei, con le mani posizionate ai lati della sua testa. Il ciondolo che aveva al collo dondolò per qualche istante, mandando barbagli argentei nella penombra.

- Anna, ma cosa...?

- Ti ho presa – disse lei, con diverse ciocche di capelli che le ricadevano malamente sul viso e le guance rosse. – Ti prego, non dirmi di andare via, perché tanto non me ne vado. Non puoi continuare ad evitarmi. E detesto quando mi sbatti le porte in faccia.

- Io non ti ho... – Elsa s’interruppe. – Da dove sei venuta fuori?

- Da sotto il letto. E no, magari non mi hai sbattuto la porta in faccia, ma è vero che mi hai evitata.

- Sono la regina, ho molte cose a cui pensare.

- Sono solo scuse.

- Anna...

- Sei arrabbiata con me? – Anna aveva assunto un’aria tra il preoccupato e l’imbronciato, che la rese terribilmente adorabile.

Ma Elsa distolse lo sguardo. – No. Certo che no.

- Allora guardami.

- No.

- Cosa sono tutti questi no? Basta con i no, Elsa. Guardami.

Elsa teneva il viso girato verso la parete. Chiuse un attimo gli occhi. Ed Anna si chiese che cosa vedesse sua sorella dietro le palpebre. Che cosa stesse guardando, in tutto quel nero.

- Elsa... per favore. Non chiudermi fuori – mormorò Anna.

Riaprì gli occhi e la guardò. Anna si scostò, mettendosi a sedere sul letto e guardando Elsa fare lo stesso, guardandola mentre si sporgeva verso di lei, senza toccarla, solo stando incredibilmente vicina. Sollevò una mano per toccare il viso di Anna, che le prese il polso e poi le sfilò il guanto azzurro.

- Che cosa fai?

- Ti tolgo i guanti. Non che ti stiano male, ma non ti servono, adesso.

Elsa la lasciò fare. Anna gettò i guanti per terra senza troppi complimenti e afferrò le sue mani, stringendole forte.

- Sono io che dovrei chiederti se sei arrabbiata con me.

- Per cosa?

- Per cosa? Anna, quello che ho fatto...

- Non è successo niente. Cioè... sì, qualcosa è successo, ma non era niente di male. E di sicuro non sono arrabbiata con te. Come potrei? È stato... bello.

Elsa rimase in silenzio per un lungo momento, fissandola nel minuscolo spazio che le separava. Le sarebbe bastato sporgersi un poco per toccare le sue labbra. Di nuovo. – Non dovresti dire così.

- Ma lo è stato. Insomma, lo so che è strano... e forse dovrei dirti che è sbagliato. Ma mentre stava succedendo mi è sembrato tutto fuorché... sbagliato. Non ero nemmeno così sorpresa...

- Non lo eri?

Scosse la testa.

Elsa sospirò. - Tu sei mia sorella. Il mio sangue. La mia famiglia. Dovrei volerti bene e proteggerti. – Le scostò le ciocche di capelli che le ricadevano sugli occhi. – Non pensare di...

Anna deglutì. – Di fare cosa?

Un trasalimento nel respiro di Elsa. Fece scorrere le dita dalla guancia alle labbra di Anna, ne tracciò il profilo. Nei suoi occhi c’era una luce diversa, più tormentata, come se stesse lottando contro se stessa.

Poi Elsa si chinò, posò le labbra sulla sua guancia, la sfiorò leggermente. La baciò vicino all’orecchio e sotto l’occhio sinistro.

- Elsa...

- Sì, devo fermarmi...

Ma Anna non glielo disse; la prese e spostò il viso quel tanto che bastava perché qualsiasi cosa lei stesse dicendo si perdesse sulle sue labbra. Elsa la baciò con delicatezza, con attenzione, quasi temesse di farle del male. Gemette piano, in fondo alla gola, quando Anna le circondò il collo con le braccia e non poté che avvolgerla a sua volta, protraendo quel bacio. Elsa se la strinse ancora di più contro. Socchiuse leggermente le labbra, approfondendo un po’ il contatto. Le sembrava che il mondo si fosse annullato; percepiva solo Anna. Tutto ciò che, in quel momento, sentiva, vedeva, desiderava... era Anna. Nient’altro contava. Il suo corpo era incredibilmente vivo, il suo cuore batteva incredibilmente forte e il respiro di Anna nella sua bocca le faceva perdere il controllo. Qualsiasi cosa avesse pensato riguardo a quella situazione totalmente sbagliata era scivolato via, come acqua. Era evaporato. Non riusciva ad essere lucida.

- Uhm... Elsa...

- C-Cosa? Ti... ti sto facendo male? – chiese, allarmata, le labbra ancora incollate alle sue.

- No. Non... non respiro.

- Oh!

Anna scoppiò a ridere, affondando il viso nell’incavo del suo collo. Elsa le accarezzò le schiena e, quando lei si scostò, seguì con le dita la catenina d’argento fino al ciondolo, tracciandone il contorno con la punta dell’indice. Le appoggiò quella stessa mano all’altezza del cuore, sentendolo palpitare forte come il suo. Anna vi posò sopra la sua, di mano, coprendogliela.

Ed Elsa vide baluginare l’anello che le aveva regalato Kristoff.

Tornò improvvisamente seria e distolse lo sguardo, abbassando la testa. Anche la sorella sembrava essersi accorta del cambiamento repentino e aveva smesso di sorridere.

Rimasero in silenzio per un po’. Forse ci sarebbero state molte cose da dire, ma ciò che avevano fatto andava ben al di là della normale capacità di comprensione.

- Posso restare qui con te, stanotte? Per favore – le chiese Anna, sfiorandole il naso con il suo.

Elsa si sporse per darle un bacio sull’angolo delle labbra. – Sì. Certo che puoi.

 

 

***

 

 

Anna si sistemò meglio l’abito da sposa, lisciando pieghe inesistenti e chiedendosi quanto ci sarebbe voluto prima che, durante il ricevimento, ci versasse sopra qualcosa. Avrebbe cercato di fare attenzione, di ricordarsi che quello che indossava non era solo il suo abito da sposa, ma anche l’abito di sua madre. Avrebbe cercato di ricordarsi del gran numero di invitati presenti. E forse non sarebbe servito comunque.

“Sei arrabbiata con me?”.

“No. Certo che no”.

“Allora guardami”.

“No”.

Rimirò il suo riflesso nello specchio e vide Elsa giusto dietro di lei, che la osservava.

- Ti sta d’incanto – le disse, avvicinandosi. – La scorsa volta non ho avuto modo di dirtelo.

- Beh, meglio tardi che mai. E non hai ancora visto l’abito di Sven.

- Non oso nemmeno immaginare come possa essere vestita una renna. Già il solo fatto che io debba andare fino all’altare con Sven...

- Sarà divertente. Cioè... con divertente non intendo dire che sembreresti ridicola vicino ad una renna. Divertente. In senso buono. E poi Sven sa benissimo come comportarsi. Kristoff gli ha insegnato tutto.

- Questo mi preoccupa più del resto. L’uomo cresciuto dai troll che insegna ad una renna come comportarsi durante un matrimonio...

- Andrà tutto bene. L’abito è perfetto. Sven sarà perfetto. Kristoff anche. Ci saranno un sacco di dolci al cioccolato e tu... beh, tu sarai bella come il resto.

Elsa aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiuse. Anna faticava a concentrarsi davvero sul matrimonio dato che la sua testa era piena del ricordo di quei baci.

“Tu sei mia sorella. Il mio sangue. La mia famiglia. Dovrei volerti bene e proteggerti...”

Quando alzò di nuovo lo sguardo vide che Elsa era molto vicina a lei. Le sue dita indugiarono su una spallina del vestito per sistemargliela, anche se non aveva bisogno di essere sistemata.

Anna si rese conto di quanto le sarebbe sembrato naturale se Elsa si fosse chinata per darle un bacio sul collo o nel punto in cui esso si congiungeva con la spalla. Il solo pensiero la fece rabbrividire. E, per un attimo, pensò che la sorella l’avrebbe fatto davvero, perché accostò le labbra al suo orecchio, come per sussurrarle qualcosa. Poi, però, si allontanò di qualche passo.

C’era... c’erano molte emozioni, riflesse negli occhi della regina di Arendelle. C’era commozione e felicità di vederla in abito da sposa, ma c’era anche tristezza, rassegnazione, titubanza e...

Desiderio.

Anna arrossì violentemente, pensandoci. Pensando al modo in cui era stata baciata, alla leggera carezza della sua lingua, alle mani che la toccavano, risvegliandole i nervi e coprendola di brividi. Alle sue parole prima di baciarla...

“Sì, dovrei fermarmi”.

- Sì... – disse Elsa, quasi un’eco delle sue riflessioni. La sua voce non era affatto ferma. – Andrà tutto bene.

 

 

***

 

 
Angolo autrice:

Salve a tutti ^_^

 
La citazione tratta dal romanzo di Charles Dickens, Grandi Speranze, è presente anche in un’altra serie televisiva che sto seguendo, Pretty Little Liars. Chi la segue saprà che è una citazione importante, che sta alla base della storia di una delle coppie più gettonate, le Emison (Alison & Emily). Non c’entra niente con OUAT, ma il pezzo in sé mi sembrava adatto alla situazione, quindi l’ho inserito nella fic.

La canzone citata all’inizio della One Shot è “Clarity” dei Zedd. Vi consiglio di ascoltarla.


   
 
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