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Autore: lyssa    23/11/2014    1 recensioni
❝ Il bias di conferma (Confirmation Bias) è un fenomeno cognitivo al quale l'uomo è soggetto. È un processo mentale che consiste nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore credibilità, a quelle che confermano le proprie convinzioni o ipotesi, e viceversa, ignorare o sminuire informazioni che le contraddicono. Il fenomeno è più marcato nel contesto di argomenti che suscitano forti emozioni o che vanno a toccare credenze profondamente radicate. ❞
Sherlock Holmes, unico consulente investigativo al mondo, ha bisogno di un coinquilino. Dopo settimane intere di infruttuose ricerche e convivenze dalla durata massima di settantadue ore, James - brillante mente criminale ed ex professore di matematica - risponde all'annuncio, rivelandosi il coinquilino ideale.
[Ovviamente sheriarty || AU || il rating salirà man mano || possibili accenni a ship minori.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo uno;



 

Trovare un coinquilino non è così semplice come potrebbe sembrare.

Specialmente se sei Sherlock Holmes, l’unico consulente investigativo al mondo, e tra i tuoi strani hobby rientrano il colpire cadaveri con un frustino in pelle nera e collezionare resti umani nel frigorifero. A sua discolpa, si può dire che forse hobby non è la parola giusta. Sherlock non tiene una testa nel frigorifero perché è divertente, ma perché i risultati degli esperimenti attuati su di essa potrebbero essere cruciali durante lo svolgimento di un caso. Tuttavia, le persone non sembrano capire.

«Una mano? Tu sei pazzo!» La voce dell’uomo è parecchi decibel più alta della norma; se solo avessero dei vicini – la signora Hudson non conta veramente – questi probabilmente si lamenterebbero del rumore e chiamerebbero la polizia per disturbo della quiete pubblica o qualcosa del genere.

Sherlock sospira pesantemente, osservando l’ormai ex coinquilino lanciare i propri vestiti – un paio di vecchi jeans, una semplice camicia bianca e una maglietta di un noto gruppo rock tra le altre cose – nella valigia, aperta sul divano.

«Posso sopportare il violino alle tre di notte, ma questo! Questo è decisamente troppo.» Rispondere sarebbe inutile: Sherlock rimane in silenzio, gli occhi azzurri che osservano attentamente l’altro mentre chiude il trolley e lascia l’appartamento, sbattendo la porta dietro di se.

È il terzo in una settimana.

***

Tra tutte le cose che i suoi genitori (e Mycroft) lo hanno costretto ad imparare, suonare il violino è la sua preferita.

Sherlock suona con gli occhi chiusi. Nell’oscurità dietro le palpebre può praticamente vedere i suoi pensieri prendere vita, assumere forma concreta e danzare insieme alle note, pura elettricità nell’aria ferma dell’appartamento. Respira a fondo, inalando quel familiare odore di mobili antichi, polvere e torta di mele che ormai identifica come casa. Nonostante trovi stupido attaccarsi ad oggetti materiali – o alle persone, se è per quello – non può negare a se stesso che sì, dopotutto gli piace quell’appartamento. Gli piace la sua camera, gli piace il salotto con la sua comoda poltrona, gli piace la vista che può godere dalla sua finestra e, nonostante non lo ammetterebbe mai ad alta voce, apprezza persino la presenza della signora Hudson. L’unica cosa che, anche dopo tutti quegli anni, è rimasta orribile è la carta da parati.

Il cellulare squilla improvvisamente, interrompendo la sinfonia nata dalle corde dello strumento con il suo suono incessante e Sherlock apre lentamente gli occhi, mentre i suoi pensieri svaniscono come fumo al vento. Certo, potrebbe ignorare il telefono e fingere di non aver sentito la chiamata, ma perché dovrebbe farlo? Ormai è stato interrotto, tanto vale sfruttare la cosa per qualcosa di utile, pensa, accettando la chiamata e portandosi l’apparecchio all’orecchio.

«Sherlock Holmes.»

«Pronto, sono James!» Maschio. Una trentina d’anni, accento inglese e una morbida voce piacevole all’udito, dalle cadenze quasi musicali. «Riguardo a quell’appartamento in affitto…»

***
«Scusa, sono rimasto bloccato nel traffico!»

Come predetto, l’uomo che esce fuori dal taxi è sulla trentina. Non è molto alto, raggiungerà il metro e settantacinque circa, ha capelli nerissimi tirati indietro e un lieve accenno di barba sul volto. Indossa un completo scuro di ottima fattura (i primi due bottoni della camicia bianca sono slacciati) senza indossare una cravatta e le scarpe sono indubbiamente costose, per quanto leggermente danneggiate dall’uso. Quello, più altre decine di particolari come il modello recente di orologio al suo posto sinistro, gli dicono che James non ha alcun problema economico. Non ha bisogno di un coinquilino per dividere un affitto altrimenti troppo elevato e quello lo rende potenzialmente più interessante di altre scelte.

«James Zucco, piacere di conoscerti.» L’uomo sorride, affabile e gentile, porgendo una mano che Sherlock stringe rapidamente. «Chiamami Jim.»

«Sherlock Holmes.» La pelle di Jim è incredibilmente delicata e soffice contro la sua. Si trova davanti a un uomo che cura il suo aspetto e che probabilmente usa creme idratanti. «Non uso soprannomi.»

Rimangono lì per qualche momento, fissandosi a vicenda. Ad un occhio esterno la situazione potrebbe sembrare imbarazzante e vagamente inquietante, ma a Sherlock non potrebbe importare meno. Continua ad analizzare Jim, occhi azzurri che scorrono sul suo corpo osservando ogni centimetro, cercando ogni indizio in grado di dirgli qualcosa sul suo (possibile) futuro coinquilino. Non trova nessun difetto particolare. È un buon segno.

Tuttavia, non si può mai sapere. Piuttosto che perdere tempo in una convivenza dalla durata inferiore alle settantadue ore, Sherlock preferisce avvisarlo a cosa l’altro andrà incontro.

«Prima di mostrarti la casa devo avvisarti. Adoro suonare il violino alla notte, mi aiuta a pensare.»

Jim non sembra essere turbato e si limita a fare spallucce.

«Non è un problema. Il mio orologio biologico non è sincronizzato con quelli delle altre persone e non dormo spesso durante la notte.» Gli angoli delle sue labbra si sollevano leggermente verso l’alto e Sherlock si ritrova ad imitare il gesto, senza esserne davvero consapevole.  «Tutto qui?» Aggiunge Jim, inclinando appena la testa.

«In realtà no. Potresti trovare pezzi di cadaveri nel frigo o nel microonde. Ragioni scientifiche, ovviamente, ma alcune persone lo trovano…» Si interrompe per qualche istante, cercando la parola adeguata. «… poco piacevole, suppongo.» Termina, corrucciandosi appena.
In risposta Jim solleva entrambe le sopracciglia e sbatte le palpebre un paio di volte, in un moto di genuina sorpresa.

Sherlock ci è abituato. La sorpresa è sempre la prima reazione. Non dura mai, svanisce immediatamente, una fugace maschera che lascia subito spazio al disgusto, a labbra arricciate e voce troppo elevata.

Il detective aspetta, ma nulla di tutto quello accade.

«Beh, è decisamente strano.» Se Sherlock dovesse definire Jim in qualche modo, utilizzerebbe la parola divertito. I suoi occhi sembrano quasi brillare, pieni di un entusiasmo che rare volte il detective ha visto sul volto delle persone e nulla in lui sembra esprimere alcun tipo di sentimento negativo. «Ma non è un grosso problema, non mi piace cucinare.»

È la prima volta che incontra qualcuno impassibile all’eventualità di avere cadaveri in casa. È una situazione tanto insolita quanto piacevole e sulle labbra di Sherlock prende vita un piccolo sorriso che muore tuttavia pochi istanti dopo, soffocato da quel bisogno che il detective prova di sentirsi sempre in controllo della situazione, sempre impassibile.

«Stai già cercando di buttarmi fuori? Dio mio, non sono passati neanche cinque minuti!» Jim continua a parlare e una piccola risatina fuoriesce dalla sua bocca, liberandosi nell’aria circostante. Prima che Sherlock possa rispondere in qualche modo, l’uomo agita una mano in aria, come per cambiare l’argomento della situazione. «Parlando dei tuoi esperimenti, vorrei sapere di più.»

A quelle parole Sherlock si corruccia, aggrottando appena le sopracciglia. Il fatto che qualcuno finalmente mostri interesse nelle sue ricerche è indubbiamente fonte di sentimenti positivi e lo rende quasi contento, ma è così inusuale, così strano, che non sa proprio come reagire. Si tratta di qualcosa di nuovo, una situazione che il più delle volte il detective non ha mai preso in considerazione, una terra completamente inesplorata. L’unica altra persona ad aver mostrato un briciolo di interesse nei suoi esperimenti è Molly Hooper, che ha una cotta incredibile per lui. Non che Sherlock solitamente faccia attenzione a quel genere di cose, ma Molly è così imbarazzante e facile da leggere che il detective non può fare a meno di roteare gli occhi al solo pensiero. Non vuole che Jim sia come lei, sarebbe incredibilmente noioso (e vagamente fastidioso).

In ogni caso, l’idea di avere una nuova audience è emozionante. Sherlock solitamente parla con Billy, il suo teschio da compagnia. Non è male come potrebbe sembrare: Billy non fa domande stupide e non lo interrompe, ma se è per quello non gli fa neanche i complimenti e non elogia il suo cervello. Avere un pubblico reale potrebbe essere un piacevole cambiamento.

Sherlock dunque annuisce e indica la porta. «Vieni, ti mostro l’appartamento.»

«In realtà… Pensavo che potessimo andare fuori a cena. Adesso.»

«Perché, hai fame?»

«Da quando prenotare un tavolo per due in un ristorante costoso ha qualcosa a che fare con il cibo?» Le labbra rosee si aprono in un sorriso malizioso che accompagna la voce dalla tonalità bassa e musicale. «Voglio solo conoscerti meglio.»

Di fronte a quell’ultima aggiunta, Sherlock ghigna. Tuttavia non risponde immediatamente e continua a fissare Jim per una manciata di secondi – adora essere drammatico e aggiungere pause strategiche – prima di aprire la propria bocca.

«Oh, ma so già tutto su di te.» Fa un passo in avanti, accorciando la distanza tra i loro corpi. «Ci sono tracce di gesso sulle tue dita, considerando l’ora e il tuo lieve ritardo hai probabilmente appena finito una lezione. Università, ovviamente. La tua area di ricerca è a indirizzo scientifico, non saresti stato interessato ai miei esperimenti se così non fosse.»La voce fluisce dalle labbra di Sherlock come un fiume in piena, rapida, impetuosa, talmente veloce che riuscire a cogliere tutte le parole è quasi difficile. «I cadaveri non ti impressionano, per cui hai probabilmente lavorato con essi. Insegni agli studenti di medicina. Al momento non possiedo abbastanza informazioni per sapere esattamente la materia da te insegnata, ma non ha importanza.»
 
Il silenzio cade tra di loro, assoluto, imperturbabile. Jim appare visibilmente sorpreso – con le sopracciglia sollevate, gli occhi scuri spalancati e le labbra socchiuse – ma quando si lascia andare a una piccola risatina, Sherlock capisce che qualcosa non va. Deve avergli schioccato un’occhiataccia, perché Jim si porta la mano sinistra sulla bocca, come per nascondersi.

«Insegno matematica. Semplicemente non utilizzo la cucina e spesso mangio fuori, quindi, per quel che mi riguarda, puoi fare tutto quello che vuoi in quella stanza.» Il ghigno prima presente sulle labbra di Sherlock scompare immediatamente, rimpiazzato da quello che sembra essere un piccolo broncio. È una spiegazione così semplice e banale da essere deludente. «E guardo un sacco di serie tv poliziesche e cose del genere, quindi non penso che urlerei di fronte a un cadavere. Penso.» Aggiunge, pensieroso. «Semplicemente, mi interessano questo tipo di cose.»

Senza aggiungere ulteriore parola e limitandosi a sorridere, Jim si allontana a passo rapido, avvicinandosi al bordo della strada e chiamando un taxi con la mano.

«Tesoro, andiamo?»

***

La vita scorre veloce al di là del finestrino. Ci sono persone che tornano a casa dopo un duro giorno di lavoro, pronte a sedersi al tavolo con i loro cari o con l’incredibile e innegabile tristezza di un piatto pronto consumato in un silenzio interrotto solo dai colorati suoni della televisione. Noioso.

Sherlock preferisce concentrarsi sull’ambiente circostante più che sulle persone in se. Le strade, gli edifici, i rumori: Londra è bellissima. La citta vive in ogni cellula del suo corpo, è nel sangue che scorre nelle vene ed è in ogni singolo battito cardiaco. Non potrebbe vivere da nessuna altra parte, Londra è casa sua.

«Sherlock Holmes… Consulente investigativo.» La voce di Jim, delicata e permeata da un morbido accento inglese lo fa voltare. «Ho fatto delle ricerche ovviamente, non volevo dividere casa con un completo sconosciuto!» Aggiunge rapidamente, come per scusarsi. «Ti vedrò mai al lavoro?» Chiede, con un infantile e speranzoso sorriso sulle labbra.

Sherlock sospira e si gira nuovamente verso il finestrino, rigirandosi distrattamente il cellulare tra le mani. Non ha nulla contro Jim, ma la deduzione sbagliata lo irrita ancora.

«Lo spero. Non ho un omicidio decente da giorni.»

***

Basta un singolo sguardo per rendersi conto che il ristorante è costoso e di classe. I muri sono decorati con quadri e vi sono mazzi di fiori freschi, non orribili decorazioni in plastica, sui tavoli. Nell’insieme risulta piacevole e non troppo eccessivo, anche se leggermente troppo romantico. Il romanticismo è un concetto sconosciuto ed estraneo a Sherlock, ma non c’è bisogno di una mente brillante come la sua per rendersi conto di quanto le luci siano basse e di come tutti i clienti siano coppie.

«Ti piace?» Chiede Jim, quando si siedono in un piccolo tavolo vicino alla finestra.

«Non ha importanza.» Sherlock appoggia i gomiti sul tavolo – sa che è considerata cattiva educazione, quando era bambino Mycroft non smetteva mai di ripeterglielo, ma a Sherlock non è mai interessato particolarmente – e unisce le mani all’altezza delle labbra, ripetendo quel gesto che compie ogni volta che inizia a pensare. «Cambiando discorso, perché mi hai mentito?»

«Scusa?»

«Insegnavi matematica. E sei irlandese, non inglese.» Tira fuori il cellulare dalla tasca della giacca, appoggiandolo di fronte a lui. «Ho fatto qualche ricerca anche io mentre venivamo qui.»

«Insegnare non era compatibile con il mio stile di vita.» Jim risponde semplicemente, non turbato dalla cosa, sollevando l’angolo delle labbra in un sorriso che sembra dire “perché ci hai messo così tanto?”. «E non ho mai detto di essere un insegnante. Ovviamente, potrei aver messo del gesso sulle mie dita apposta, ma sei tu che sei arrivato a quella conclusione, quiiiiindi…»

Una persona ordinaria sarebbe stata probabilmente arrabbiata, delusa o per lo meno confusa dalle bugie, ma non Sherlock. Sul suo volto si dipinge un sorriso divertito, mentre gli occhi azzurri continuano ad essere puntati sull’ex professore.

«Volevi mettermi alla prova.»
«Un mio amico ha vissuto con te un paio di giorni. Ovviamente mi ha detto un sacco di cose sul tuo conto ed ho pensato che avresti apprezzato una cosa del genere.»

Non sono tante le persone che avrebbero fatto qualcosa del genere – solitamente la gente gli dice di stare zitto, di smettere di essere così terribilmente melodrammatico e di iniziare a comportarsi come una persona “normale” – ma Jim ha provato a venirgli incontro. È un pensiero insolitamente carino, per quanto il risultato abbia decisamente lasciato a desiderare.

«Avresti dovuto provare di più. Troppo facile.»

«Non potevo fare nient’altro. Non posso cancellare tutte le informazioni su di me da Internet.»

«Lo so.» Tecnicamente, avrebbe potuto chiedere l’aiuto di un hacker, ma persino Sherlock si rende conto che sarebbe stato eccessivo per fare semplicemente una bella impressione. «Infatti apprezzo l’impegno.»

Sherlock è sincero. Jim probabilmente lo ha notato, perché il sorriso che prende vita sul suo volto è più ampio degli altri.

«Grazie!»

Dopo un breve istante, Jim si china appena in avanti, come per rivelare un segreto al detective. «Possiamo fare un gioco ora, se ti va.»

Jim è incredibilmente interessante. C’è qualcosa in lui – qualcosa a cui Sherlock non riesce a dare un nome – che lo attira, in un modo che esula completamente dalla fredda logica a cui il detective ama aggrapparsi. Non vi è nulla di razionale nell’attrazione, se così si può chiamare, che prova e Sherlock annuisce, incapace di nascondere un mezzo sorriso a ciò che l’irlandese potrebbe proporgli.
«Potremmo far finta di essere una coppietta.»

Di fronte a quelle parole tutto svanisce e Sherlock aggrotta le sopracciglia, tanto confuso quanto deluso. Non sa veramente cosa si aspettasse, ma decisamente non era quello.

«Perché?» Chiede, senza preoccuparsi di nascondere lo stupore espresso dal suo volto.

«Perché no? Siamo due uomini affascinanti e ben vestiti in un bel ristorante, tutti qua pensano che siamo amanti.»

«Non mi interessa ciò che le persone pensano di me.» C’è stato un tempo in cui gli insulti degli altri bambini lo ferivano, c’era un tempo in cui Sherlock ha provato seriamente ad adattarsi all’idea che la famiglia Holmes avevano del loro secondogenito, ma quelli sono giorni lontani che sembrano appartenere ad un’altra era, momenti che Sherlock non vuole ricordare e ricaccia in una delle stanze del suo palazzo mentale.

«Dovrebbe. Non fraintendermi, non sto dicendo che dovrebbero affliggerti in qualche modo.» Jim torce le labbra in una smorfia disgustata. «Dovresti cercare di usarlo a tuo vantaggio.» Sorride e quando la lingua passa sulle labbra, leccandole, Sherlock sente un brivido che non è troppo diverso dall’adrenalina che prova durante un caso.

L’irlandese nel mentre si è fatto più vicino e solo una manciata di centimetri separano i loro volti. Sherlock può sentire l’odore del dopobarba usato dall’altro e potrebbe facilmente identificarne la marca e il modello se solo non fosse così concentrato sulle parole di Jim. In una manciata di occasioni – quando le circostanze lo richiedevano – ha ingannato le persone intorno a lui, manipolandole nel credere ciò che Sherlock voleva che credessero.

«Oppure potresti farlo solo per divertimento.» Jim aggiunge, ritraendosi immediatamente e appoggiando la schiena sulla sedia. «Come ho fatto io con quella storia dell’insegnante. Dovresti provare, qualche volta.»

Sherlock è talmente perso nei suoi pensieri che quasi non si accorge del cameriere che si sta ora dirigendo verso di loro. Il detective non si preoccupa neanche di sollevare lo sguardo verso l’uomo o di aprire il meno che giace intoccato sul tavolo, tutto ciò a cui riesce a pensare sono le parole dell’altro, che ancora vorticano nella sua mente.

Jim è colui che spezza il silenzio.

«Amore, cosa vuoi mangiare?» Domanda, muovendo una mano ed appoggiandola vicina a quella di Sherlock.

Pochi millimetri separano le loro mani, ma Sherlock può comunque sentire il calore della pelle altrui sulla propria. Non si toccano e la cosa non è accidentale, se Jim non ha iniziato un contatto fisico è perché non vuole farlo, perché sta offrendo qualcosa senza imporsi con forza su di lui. Sherlock lo apprezza.

«Scegli pure per me, tesoro.»

Sherlock apre le dita quel tanto che basta per creare una connessione.

È così poco necessario, così semplice e insignificante che potrebbe quasi essere divertente.

***

«È stato bello, non è vero?»

Quando Jim ride, sembra più giovane. Il suono che fuoriesce dalla sua bocca è alto, infantile, più una risatina che una risata vera e propria. È genuino, non forzato, non calcolato, non programmato e Sherlock non può fare a meno di sorridere di rimando, annuendo. Non vede in Jim un potenziale interesse amoroso o qualcosa del genere, ma vederlo reagire ai propri flirt è stato decisamente divertente. Aveva ragione. (Anche se Sherlock non lo ammetterà mai.).

«Eccoci qui, casa dolce casa!» Cantilena Jim, quando Sherlock finalmente apre la porta dell’appartamento.

La stanza è piuttosto disordinata, ma Jim non dice nulla al riguardo. Non che Sherlock trovi il proprio appartamento disordinato, ovviamente, quelle sono le parole della signora Hudson, che gli aveva detto di pulire un po’, aggiungendo che una casa in ordine rende più semplice trovare un coinquilino. Sherlock l’aveva ignorata, ovviamente.

«… Dio mio.» Dopo una manciata di secondi Jim si decide finalmente a parlare e sul suo volto compare un’espressione disgustata e decisamente troppo teatrale. «Non l'avevo notata all’inizio, ma questa carta da parati è terribile. Dobbiamo cambiarla.»










Note dell'autore:


Dopo quelli che sembrano secoli, sono tornata qui su EFP. Da un po' ho alcuni capitoli di questa fanfiction nel pc e mi sono decisa a postarli. Per ora ne ho tre quindi, almeno per un po', dovrei riuscire ad aggiornare in tempi umani. Come prevedibile questa storia sarà sheriarty - non preoccupatevi, non ci saranno altre coppie - ma più avanti non mi dispiacerebbe inserire e far comparire gli altri personaggi, John compreso. Ogni capitolo avrà un POV, se questo era dal punto di vista di Sherlock, il prossimo invece sarà narrato dalla prospettiva di Jim.
Il titolo mi è stato suggerito da una ragazza su tumblr. Tanto per citare wikipedia "Il bias di conferma (Confirmation Bias) è un fenomeno cognitivo al quale l'uomo è soggetto. È un processo mentale che consiste nel ricercare, selezionare e interpretare informazioni in modo da porre maggiore attenzione, e quindi attribuire maggiore credibilità, a quelle che confermano le proprie convinzioni o ipotesi, e viceversa, ignorare o sminuire informazioni che le contraddicono. Il fenomeno è più marcato nel contesto di argomenti che suscitano forti emozioni o che vanno a toccare credenze profondamente radicate.".
Ultima cosa, poi vi lascio andare. Non sono una di quelle persone che dicono "se non ho almeno tot recensori/preferiti/seguiti/visite/quelcheè non aggiorno più11!!!111!!!!" ma un minimo di risposta non mi dispiacerebbe. Scrivo per me, è vero, ma posto anche per voi, perchè so che questo pairing non ha molte fanfiction a livello italiano - non che a livello estero vada meglio but still... - e penso che a qualcuno possa far piacere leggere una fanfiction simile. Quindi ecco, un breve commento o semplicemente un preferito/ricordato/seguito mi farebbe solo piacere e mi invoglia a postare prima gli aggiornamenti!
Con questo vi saluto, grazie per aver letto fino a qui-!
   
 
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