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Autore: sapphire     23/11/2014    4 recensioni
Sherlock guardò ancora Mary troppo lontana da loro perché potesse sentire.
-Me l’hai promesso John-
-Promesso cosa?-
-Che saresti stato felice-
-Lo sarò. Quando nascerà mio figlio sarò davvero molto felice-
-Era implicito con Mary-
John scosse la testa -Non posso-
-Hai perdonato me John e ti ho fatto molto più male-
-Come lo sai?-
-Lo so-
Ultimo episodio della terza stagione totalmente stravolto.
John non riesce a perdonare Mary per avergli mentito su chi è veramente e legge i file sulla chiavetta USB scoprendo cose che mai avrebbe voluto sapere.
E mentre Sherlock lo spinge a perdonarla lui non riesce nemmeno a guardarla in faccia. Ma il bambino c’è , esiste ed è l’unica cosa che lo tiene legato alla moglie, una moglie che rischia di morire di parto.
Johnlock
3 capitoli completa
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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fatto Note: epilogo betato da xaki.
Desclimer: come prima prima, niente è mio nulla mi appartiene, la storie è di mia invenzione scritta senza scopi di lucro. Peace! 
  

 
Amanda
 
EPILOGO
 
Agosto
 
La dottoressa Montgomery scribacchiò qualcosa sul suo taccuino dopo un lento e zoppicante monologo di John sulla sua vita.
La terapista che aveva scelto per farsi aiutare in quella nuova e delicata fase della sua vita era molto paziente con lui, gentile e lo aiutava a focalizzare i pensieri sui veri problemi da affrontare: superare il senso di colpa verso Mary e Sherlock e soprattutto venire a patti con la sua nuova sessualità. Ma parlare non era sempre  sufficiente, alle volte era  necessario semplicemente stare in silenzio a pensare.
<< E Amanda? Ti lascia dormire? Come va con lei? >>
John sorrise.
<< Ieri siamo andati allo zoo. Ha sorriso tutto il tempo. Sherlock crede che gli piacciano i leoni io invece credo preferisca i pinguini. Abbiamo passato la serata a discutere su questo >> e ridacchiò al ricordo del detective che gli illustrava le mirabolanti attrattive del leone rispetto a quelle modeste del povero pinguino imperatore.
<< E dormo, molto. Amanda si sveglia solo una volta, verso l’una  >>
<< Notevole >>
<< Già … >>
<< E con i casi? Segui ancora Sherlock? >>
<< Sempre >> rispose immediato << abbiamo anche una babysitter, una cugina della signora Hudson che viene volentieri a guardare la bambina quando facciamo tardi e telefono spesso ai genitori di Sherlock anche se lui mi odia quando lo faccio >>
La dottoressa annuì sorridendo << E con lui come va? >>
John sospirò e si rilassò contro lo schienale della poltrona << E’ una persona particolare >>
<< Ma il vostro rapporto è evoluto? Gli hai detto ciò che provi? >>
<< Lo sa. Non ha bisogno che io glielo dica >>
<< Ne sei sicuro? >> John si interruppe, pensieroso. In effetti non gli aveva mai detto nulla, lasciava solamente che le cose accadessero da sole così come era sempre successo.

Il primo bacio, da perdere il fiato al solo ricordo, era capitato qualche giorno prima, così dal nulla, dopo un caso e un tuffo nel Tamigi. Avevano riso come matti e poi avevano smesso all’improvviso guardandosi persi ognuno nei propri pensieri; Sherlock, tornando serio lo aveva fermato, sbattuto contro un muro e baciato con una passione incontrollabile e lui si era aggrappato alla sua giacca come fosse stato l’ultimo appiglio prima di una caduta.
Sherlock sapeva di menta e sigarette fumate di nascosto, sapeva di buono ed aveva delle labbra stupende: John non credeva possibile poter desiderar mordere così ardentemente qualcosa.
Quella stessa notte, con Amanda a pochi metri che dormiva, John si era ritrovato a condividere il letto con lui, abbracciato a lui con il cuore gonfio di un amore che non riusciva ad esprimere.
<< Dormo nella sua stanza >> aggiunse << a volte lui si infila nel mio letto e non riesco mai a dirgli quanto sia diventato difficile prendere sonno senza il suo corpo addosso al mio >> ammise con il viso rosso di vergogna.
La dottoressa gli sorrise per incoraggiarlo e all’improvviso si sentì stupido a raccontare cose così intime e private ad un’estranea, ma quale scelta aveva realmente? Sentiva la necessità di parlare con qualcuno, ma nessuno poteva davvero capirlo, forse nemmeno lei però almeno restava in silenzio senza commentare.
<< Perché non gli esprimi i tuoi sentimenti? >> gli domandò allora << sono settimane che parli con me di come ti senti con lui, dei tuoi sentimenti verso tua figlia e del rapporto che voi tre state costruendo, ma non hai mai preso in considerazione l’opzione di rivolgerti al diretto interessato >>
<< I sentimenti non sono il suo forte >> si giustificò << è davvero bravo a dimostrarli, ma non a parlarne >>
<< E tu? >>
<< Io sono pessimo a parlare di queste cose >> ammise.
<< Forse dovresti farlo, John. Dire cosa provi ad alta voce >>
<< Non posso … non ancora >> e s’irrigidì << Ho perso mia moglie meno di un anno fa … non posso. Sì posso, ma non voglio >> tentennò e la dottoressa gli venne incontro annuendo risoluta << Va bene >> disse << va tutto bene >>
No, affatto, avrebbe voluto dire, ma non lo fece e rimase in silenzio a pensare a Sherlock e all’amore che si meritava di ricevere nonostante tutto, allo stronzo insensibile individuo che dimostrava di essere fuori, ma che nel privato spariva per essere semplicemente sé stesso, quello vero: affettuoso o, alle volte, insofferente.
<< Sherlock merita molto più di quello che gli sto dando al momento >> spiegò meditabondo << molto di più. Mi ha salvato la vita, ha raccolto i miei pezzi, li ha rimessi insieme, mi ha accettato nonostante tutto … mi ha voluto lo stesso. Ama Amanda incondizionatamente, qualsiasi cosa faccia, a qualsiasi ora si svegli o qualsiasi oggetto lanci per la stanza. E’ un uomo straordinario >>
La dottoressa rimase in ascolto, aspettando che continuasse, ma John non ebbe più nulla da dire. Non a lei almeno.
Uscì dallo studio dubbioso sull’utilità di quella terapia, ma Greg aveva insistito facendogli capire che forse poteva beneficiarne come un tempo, mentre Sherlock gli aveva fatto presente che era solo una perdita di tempo e denaro. Magari aveva ragione, ma voleva fare un tentativo per trovare pace con sé stesso: c’era chi si rifugiava in chiesa,  chi nell’alcool, lui andava in terapia. In fin dei conti non era una pessima idea.
 
 
Non tornò subito a casa.
Anziché prendere la metro per andare in centro deviò a piedi verso la strada principale. Mandò un rapido messaggio a Sherlock e non smise di camminare finché non attraversò il cancello del cimitero, lo stesso che aveva visitato tante volte quando andava in cerca di un po’ di conforto per la mancanza di Sherlock.
Nulla risultava confortante lì- quale cimitero lo era davvero-  ma Mary era morta da otto mesi e nessuno era mai andato a trovarla.
Trovò strano parlare di nuovo ad una lapide, grigia questa volta, realmente occupata, ma scoprì lo stesso dentro di sé il coraggio di azzardare un ciao e un mezzo sorriso rivolto al vuoto.
<< Forse sarei potuto venire prima, ma … spero tu capisca che è stato difficile >> gli sembrò di essere un perfetto idiota a parlare al nulla, ma qualcosa dentro di sé gli ordinò di continuare << La verità è che mi sento in colpa ed è un sentimento più difficile da superare che il dolore di una perdita. Non avrei mai immaginato finisse così, ma … non sono mai riuscito a perdonarti e nemmeno adesso ci riesco. E mi dispiace per questo, tanto … ma un giorno, anche se probabilmente non servirà a nulla, lo farò. Ciò che non mi perdono è l’essere stato così cieco, così ottuso nel non accorgermi cosa Sherlock stesse facendo o stesse provando per me. Ma tu … lo sapevi e ti andava bene così, chissà perché. Per questo avevi detto che ti piaceva? Per questo gli hai chiesto di amarmi? Di amare Amanda come fosse sua? Mi ha raccontato tutto settimane fa >> gli occhi di John divennero lucidi, ma non pianse. Aspettò che la crisi passasse e respirò profondamente prima di rivolgersi di nuovo al fantasma << Sto andando avanti. Lentamente ma lo sto facendo. E non me ne vergogno. Mi hai portato via molto Mary con le tue bugie e i tuoi inganni. Capisco il motivo, ma … >> una vecchietta passò lì accanto con un mazzo di rose rosse più grande di lei fra le braccia e John abbassò lo sguardo e il tono di voce << ti ringrazio lo stesso perché hai avuto la forza di donarmi una figlia stupenda. Amanda è bellissima, intelligente e ama i pinguini – anche se Sherlock dice leoni- ha messo i primi denti e morde. L’altro giorno ha mordicchiato Molly. E’ stato esilarante.
Ti assomiglia … ha le tue labbra e credo che Sherlock la stia influenzando molto. Ogni tanto sbuffa, sai? E’ incredibile … >>
La vecchietta passò di nuovo e John capì quanto fosse tardi.
<< Devo andare. Mi stanno aspettando e credo che Sherlock mi abbia mandato venti messaggi … parlerò di te ad Amanda. Voglio che sappia, ma mentirò su alcuni particolari, voglio che conosca la donna che ho sposato, non quella che ho odiato >> chinò lievemente la testa per salutarla simbolicamente e andò via proprio mentre in cielo imperversava un temporale.
 
 
 
 
Rientrò in casa zuppo di pioggia fin dentro alle ossa e la signora Hudson gli lanciò un’occhiataccia quando attraversò l’ingresso conciato in quel modo.
<< Avevo scordato l’ombrello >> si scusò e la donna alzò gli occhi al cielo, ma non disse nulla tornando in cucina.
Salì i gradini sapendo bene che con Sherlock non sarebbero servite parole: sapeva dov’era stato. Lo avrebbe dedotto probabilmente dal terriccio umido rimasto incollato alle scarpe o da qualche foglia incastrata fra i lacci.
Sorrise quando lo trovò in soggiorno, davanti al suo computer intento  a scrivere dio solo sa cosa con una rapidità incredibile.
Alzò gli occhi dallo schermo e lo squadrò perplesso notando i suoi abiti fradici.
<< Sei in ritardo. Ma li leggi i miei messaggi? >>
<< Ho corso sotto la pioggia. Hanno fermato la metro e non si trovavano taxi. Amanda? >>
<< In camera sua. Dorme a meno che non si stia divertendo a prendermi in giro >>
John si morse le labbra << Quella è diventata camera sua quindi? >>
<< E’ un problema per te? >> rispose subito, stizzito, come punto sul vivo.
John scosse la testa e si levò il cappotto abbandonandolo sulla poltrona vicino al camino acceso per asciugarlo << mi piace dormire con te >> ammise.
<< Bene >> disse con un mezzo sorriso tornando a scrivere << la signora Hudson ha portato la cena un’ora fa … se vuoi possiamo ->>
<< Ti amo >>
Sherlock si immobilizzò, le dita a mezz’aria e lo sguardo perso nel vuoto.
Rimase statico per così tanto tempo che a John parve di aver solo immaginato tutto, che niente di ciò che lui provava era reale e che era stata solo la sua fantasia a giocargli quel brutto scherzo. Ma poi lo vide storcere le labbra in un sorriso.
<< Ed è stata la dottoressa o una lapide a darti il permesso di dirmelo? >> gli chiese con ironia infischiandosene della sua espressione shoccata.
<< Fottiti >> gli rispose divertito << volevo solo che lo sapessi. So che è un periodo difficile per tutti ed io sono stato così … >>
<< John. Basta, smettila di scusarti >> sbottò alzandosi dalla sua postazione per fronteggiarlo << perdoniamoci a vicenda e chiudiamo qui la questione. Non ne posso più di sentirti blaterare scuse quindi, fai un favore ad entrambi e taci  >>
Era un buon inizio.
John annuì convinto e sorrise.
<< Spogliati >> gli venne ordinato e ciò lo fece arrossire di colpo e ovviamente la sua banale mente fraintese il motivo di tale richiesta tanto che Sherlock se ne accorse rivolgendogli uno sbuffo infastidito << hai i vestiti bagnati e … ah mentre non c’eri ho portato le tue cose nella mia stanza. Non ti dispiace vero? >>
<< Che tu sia un dittatore? No, certo che no! >> e rise della sua stessa battuta e soprattutto dell’aria offesa di Sherlock il quale probabilmente si aspettava un grazie.
<< Non credi sia presto? >>
<< No … affatto. Condividiamo una camera da giorni e hai vestiti sparsi ovunque. Ti ho solo reso la vita più semplice >>
John sorrise incredulo e allungò un braccio verso di lui affinché si avvicinasse a le smettesse di aver paura di toccarlo, stargli vicino, come se potesse andarsene da un momento all’altro se solo avesse osato di più. Come se fosse sbagliato farlo.
Lo trattava come fosse una bomba pronta ad esplodere e cominciava a non poterne più.
Sherlock prese la sua mano incerto e si avvicinò a lui tanto da percepire il respiro addosso.
John chiuse gli occhi e le dita dietro la sua nuca sentendo i suoi riccioli morbidi sulla pelle; lo avvicinò a sé e si sporse facendo incontrare le loro fronti.
I loro respiri si mischiarono e percepì il suo calore irradiarsi lungo il suo corpo, ed era bellissimo.
<< Ti amo >> sussurrò.
<< Lo so >>
<< Qualsiasi cosa succeda non dubitarne mai, me lo prometti? >> 
<< Te lo prometto >> e i loro nasi si sfiorarono.
Non c’era l’urgenza provata sulle sponde del Tamigi, non c’era quel bisogno bruciante di mangiarsi a vicenda; c’era solo silenzio e bisogno fisico di un contatto, di conoscersi, di esplorarsi lentamente. Avrebbero avuto tempo per strapparsi i vestiti di dosso.
Se lo promise e lo baciò delicatamente e un attimo dopo si ritrovò a boccheggiare con Sherlock addosso che gli accarezzava la lingua con la sua e mordeva, suggeva e pretendeva il suo fiato con una tale dovizia da lasciarlo sconvolto. Non aveva previsto tutto quello, non con il suo cuore già in subbuglio dal pomeriggio.
Affondò le dita nella stoffa dei suoi vestiti e sorrise nel bacio leccando il suo sapore unico, facendolo suo.
Sherlock si allontanò solo per respirargli sul collo, per provocarlo.
<< Come secondo bacio è stato … wow >> ansimò John totalmente sconvolto.
<< Stai zitto >> sbuffò divertito.
<< No sul serio … hai imparato su internet? >>
<< Shht >> gli intimò << Smetti di parlare >>
<< Senti da che pulpito >> ridacchiò, ma capì di essere nervoso. Credeva di averne tutte le ragioni perché era la prima volta in assoluto che provava qualcosa di così sconvolgente per qualcuno, soprattutto per un uomo.
Le sue mani erano sudate, ma non sembrò importare a nessuno mentre le strofinava delicatamente sotto la maglietta di cotone, saggiando la sua pelle liscia e morbida. Studiò i suoi lineamenti con dovizia, i suoi muscoli accennati risalendo fino alle scapole. Aveva un corpo perfetto.
Sherlock emise un unico gemito di sorpresa quando si sentì premere di nuovo il corpo stesso contro il suo e sembrava piacergli lasciargli addosso segni con le unghie.
Schiuse le labbra e ne approfittò per baciarlo ancora e ancora e qualcosa all’improvviso cambiò: l’emozione provata sul Tamigi tornò in auge, con prepotenza, facendo scoppiare i loro cuori di incredulità e desiderio e solo un piccolo barlume di lucidità impedì a John di stracciargli i vestiti di dosso e farlo suo in un modo per lui ancora sconosciuto.
Dio se lo voleva e non ce la faceva più a resistere, a stare fermo, immobile per non spaventarlo per non soggiogarlo con le sue carezze.
Sherlock non se ne preoccupò, non mostrò incertezze.
I baci goffi divennero più lenti e profondi e John si ritrovò presto con il corpo di Sherlock addosso e la sua erezione premuta contro la sua coscia.
John mugolò qualcosa di insensato quando capì che era messo peggio, molto peggio di lui.
Chiuse gli occhi e il restò venne da sé: ci furono mani sotto la camicia e dentro i pantaloni, baci ovunque fosse possibile darne in quella posizione, respiri ansanti e profondi contro la pelle e un caldo quasi insopportabile che lo costrinse a pregare di essere già nudo.
Ma finì troppo presto e in modo drammatico: entrambi si gelarono sul posto quando un pianto disperato si propagò nell’aria.
Amanda strillò. John si riscosse e guardò distrattamente l’ora, senza fiato: le nove di sera.
Sua figlia piangeva alle nove di sera mettendo in subbuglio tutto il quartiere mentre lui stava per- … si voltò e l’attimo dopo era contro il muro, con le labbra di Sherlock premute di nuovo sulle sue.
Sua figlia stava piangendo e Sherlock lo stava baciando. E lui stava ricambiando ogni morso, ogni umido contatto, ogni carezza ed aveva stretto il colletto della camicia attorno alla dita.
Si sentì un pessimo padre, ma desiderava quelle labbra da così tanto tempo che respingerlo era impossibile solo da pensare.
All’improvviso Sherlock si staccò da lui scrutando attentamente la sua reazione prima di posargli  un bacio languido sul collo.
<< Vai a consolarla. Torna entro dieci minuti e avrai il resto >>
John sgranò gli occhi e lo osservò indietreggiare fino a trovare posto sulla sua poltrona.
<< Dieci minuti? >>
<< Io ce ne metto sette per addormentarla, ma tu non sei me quindi avrai tre minuti in più di vantaggio >>
<< Ma io … >>
<< John, nove minuti >>
Annuì e ancora spossato si precipitò su per le scale e quasi per coincidenza – o per perfidia- Amanda scelse proprio quel momento per smettere di piangere.
John la scrutò con apprensione, poi la prese fra le braccia cullandola amorevolmente e lei, ovviamente, sorrise soddisfatta del risultato ottenuto.
<< Sei … incredibile, lo sai? Tutto questo casino per un po’ di coccole >> borbottò intenerito. Strofinò il naso contro il suo piccolino << So che stai mettendo i denti, ma non è stata una cosa carina quella che hai fatto >>
Amanda sbadigliò e gli mostrò i due piccoli puntini bianchi spuntati da qualche mese nella sua bocca.
<< Monella … >> la rimproverò, ma la sua voce trasudava amore ad ogni sillaba.
<< Ti amo tanto, lo sai? Sei perfetta … una principessa per me. Un principessa capricciosa … e sei fortunata perché anche Sherlock ti ama. Ti adora qualunque cosa tu faccia o di chiunque tu sia figlia. Non lo credevo possibile, ma sono fortunato anche  io … non poteva esistere persona più perfetta per noi , vero? >> le sussurrò, ma anziché calmarla la sua voce la incuriosì, come tentasse di capire cosa gli stesse dicendo. Amanda sgranò gli occhi blu e strinse forte la stoffa della camicia a scacchi << Ma qualsiasi cosa io dica tu non dormirai, vero? >> domandò con tetro sarcasmo vedendo i suoi programmi per la serata sfumare. Ma come accidenti faceva Sherlock ad addormentarla in dieci minuti?
<< Sei totalmente incapace per essere un dottore, John >> gli comunicò la baritonale voce di Sherlock dalla soglia della stanza.
John ruotò gli occhi al soffitto sospirando pesantemente.
<< E’ sveglia come un grillo e non ho una specialistica in pediatria okay? Curavo soldati feriti in battaglia e Amanda non collabora >> protestò fulminandolo con un’occhiataccia e quasi gli venne un colpo nel constatare che addosso aveva i segni dei suoi morsi, soprattutto sul collo.
<< Se le parli attiri la sua attenzione e lei è molto recettiva >> gli spiegò lentamente, prendendo in giro la sua incompetenza << Sei bravo in tante cose John, tante, ma questo non è decisamente il tuo campo >> e sottolineò quel tante con un’inflessione languida.
John deglutì << Cosa esattamente non è il mio campo? >>
<< Annoiare un bambino affinché dorma >>
<< E’ questo che fai con lei? >> si stupì << la annoi? >>
Sherlock scosse le spalle << Più o meno >>
<< Mostrami come fai, sono curioso >> lo sfidò e Amanda si sentì presa in mezzo tanto che ridacchiò entusiasta all’idea di partecipare a quella competizione.
Sherlock sorrise sghembo e prese Amanda fra le lunghe braccia lasciando che si sistemasse all’incavo naturale che si era formato. Non disse una parola, la guardò solamente e lei ricambiò con intensità. Due dita si muovevano lentamente in circolo sulla sua tempia e John rimase estasiato da quell’immagine .
Se qualcuno, appena quattro anni prima, gli avesse detto che in futuro si sarebbe ritrovato nella stessa stanza con Sherlock Holmes che cullava una bambina – la sua bambina- avrebbe riso sguaiatamente. Ma quell’immagine era reale, palpabile e Sherlock stava davvero cullando la sua bambina che in pochi minuti chiuse gli occhi lasciandosi andare ad un sospiro beato.
Non emise fiato mentre lui la rimetteva nella culla sorridendo soddisfatto di sé.
A John il cuore scoppiò nel petto: orgoglio, amore, incredulità, felicità , tenerezza  erano solo alcune delle emozioni che lo stavano soggiogando in quel momento e Sherlock sembrò captarle tutte sul suo volto.
<< Sei minuti e ventidue secondi >> gli fece presente con un bisbiglio.
<< Ti odio >> lo apostrofò << sei … odioso quando fai così. C’è qualcosa che non sai fare? Mh? Dimmi la verità, hai fatto qualche ricerca su internet: come ipnotizzare un bambino affinché dorma? >>
Sherlock alzò gli occhi al cielo << Sei infantile >>
<< E tu borioso >>
<< Infantile >>
<< Borioso >>
<< La stai svegliando >>
Scoppiarono a ridere sommessamente nello stesso momento e si calmarono solo dopo qualche secondo cercando davvero di non disturbare Amanda dal suo sonno.
<< Sei davvero incredibile >> ammise John con un sorriso ampio.
<< E’ solo una tecnica di … >>
<< Dovrebbe essere tua >> lo interruppe lasciando uscire inconsapevolmente quelle parole dalla bocca.
<< Fisicamente impossibile >> gli rispose incerto e sì, imbarazzato.
John incastrò i loro occhi in uno scambio muto di informazioni << dovrebbe essere tua >> ripeté << perché lo è … lo è nel modo in cui la guardi e la osservi. Lo è perché le hai salvato la vita ancora prima che nascesse. Lo è perché la ami e lei ama te >>
<< John … >>
<< Dovrebbe essere tua >> ripeté ancora ad alta voce vedendo i suoi occhi sgranarsi all’impatto emotivo di quella confessione.
<< Non sono suo padre >>
<< Lo sei in un modo che nemmeno riesci ad immaginare >>
<< Ma non è giusto >>
<< Perché? >>
Sherlock esitò << Mary … tu … >>
<< Non sarei geloso. Dio come potrei esserlo? E Mary resterà per sempre la madre di Amanda, e vorrò che sappia di lei quando sarà grande, ma tu … io e te siamo il suo presente >>
<< John, quello che mi stai chiedendo è … >> vide il panico deformargli il viso.
<< Non ti sto chiedendo nulla >> lo corresse con affetto << ho detto solo che vorrei … che sarebbe perfetto >>

<< Ci penserò >> dichiarò risoluto << Ho bisogno di tempo >>
John annuì e gli sorrise ancora porgendogli la mano.
Sherlock gliela afferrò con  decisione ricambiando il sorriso.
<< Torniamo di sotto? Se non ricordo male avevamo una conversazione in sospeso >>
<< Avevo detto dieci minuti John, ne sono passati venti  >>
<< Perdonami >> disse fingendosi contrito << Non lo farò mai più >>
Sherlock alzò gli occhi al cielo e con un agile movimento molto teatrale lo costrinse a seguirlo a piano di sotto e John lo spinse contro un muro a caso troppo impaziente di scoprire il suo sapore e il suono che avrebbe fatto mentre godeva, impaziente persino per spogliarlo.
Amanda non si svegliò per tutta la notte e loro due non arrivarono mai alla camera da letto.
 
 
Note: il dialogo che John ha con la dottoressa Montgomery è stato volutamente reso informale per una questione pratica: molti terapeuti preferiscono un approccio diretto e più confidenziale con i loro pazienti per aiutarli ad aprirsi. Ho studiato psicologia al liceo =)
 
 
Ed eccoci alla fine!
Non ci posso credere! Mesi di stesura ed è tutto finito.
Dovrei essere felice o triste? Mah… tutte e due?
Vi ringrazio tantissimo per aver seguito la mia storia e per averla apprezzata! Sono felicissima che vi sia piaciuta e spero abbiate apprezzato anche l’epilogo lievemente fluff!! Non volevo ricadere in una parentlock, ma desideravo dare un finale più dolce a tutti quanti =)
Ringrazio inoltre la mia nuovissima e velocissima e fantasticissima ( che ho scritto? O.o?) beta xaki che ha corretto quest’ultimo capitolo e mi ha soccorsa prima che la grammatica italiana mi facesse esplodere il cervello aiutandomi a trovare gli errori! Grazie grazie!
A lei un totem alto sei metri!
Ah e biscotti per tutti! Alla Nutella questa volta!!
A presto!
 
 
 
 
 
 
   
 
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