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Autore: Colli58    23/11/2014    8 recensioni
Ryan sorrise e si voltò verso Esposito mormorando.
“Siamo patetici. Quasi mendichiamo per del cibo.”
Esposito non si fece abbindolare. “Ehi, siamo al lavoro da ore. Un amico se è tale porta cibo per tutti… non solo per…”
“Bada a come parli Espo.” Lo richiamò Kate sorridendo. Gli fece l’occhiolino divertita e finalmente sazia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Javier Esposito, Kate Beckett, Kevin Ryan, Richard Castle, Victoria Gates | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Achab Story'
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Quella sera le cose non erano andate poi così lisce. Le operazioni per salvare il fondoschiena a quell’idiota di Denver avevano richiesto sforzi e un bel tributo di sangue in un conflitto a fuoco nella scarsa luce della sera. Avevano accerchiato il posto, organizzato il blitz e avevano agito. Ma non senza conseguenze.
La retata che avevano organizzato era stata preceduta da qualche ora di messa a punto, Beckett aveva anche deciso di coordinare le operazioni andando a interfacciarsi con alcuni colleghi della narcotici.
In qualsiasi casino fosse finito Denver, l’aveva fatta davvero grossa.
Un ex collega di Ryan li aveva raggiunti ed aveva subito messo in evidenza i danni ricevuti alle loro attività investigative. Alcune operazioni sotto copertura erano saltate e lo scontro a fuoco che ne era seguito aveva avuto le sue vittime, cosa assolutamente non prevista. Inoltre non erano riusciti a far breccia nel palazzo in modo rapido perché lo scambio di proiettili era stato piuttosto vivace.
Quel covo di spazzatura pullulava di bella gente.
Per Esposito tornare in azione in quel modo comportava meno fatica di quanto costasse a Ryan e si era sorpreso della serietà con cui Castle aveva seguito Beckett. Non aveva fatto battute ma era rimasto guardingo e compassato. Aveva indossato accuratamente il suo giubbetto antiproiettile rabbrividendo nel freddo della sera. Aveva fissato con cura quello al corpo della moglie. Era stato fin troppo ligio alle regole ed Esposito cominciava a pensare seriamente che le speculazioni di Ryan su Beckett fossero più che idee buttate li.
Non gli aveva detto nulla nel dettaglio, lasciandogli intendere però che una possibile gravidanza di lei fosse l’origine di tutto. Quantomeno le sue speculazioni portavano a quello. Ryan continuava imperterrito ad osservare con attenzione le mosse dell’amica, valutando le sue stranezze con commenti velatamente entusiastici. Insomma non stava certo bene ma Ryan ne sembrava comunque felice. Quale altra - buona notizia - poteva esserci?
Esposito fu il primo insieme ad un uomo della squadra di Johnson a fare strada nel palazzo malconcio.
Il puzzo acre di piscio misto a qualcosa di anche più acido lo fece indietreggiare di qualche passo una volta spalancata la porta. La zaffata era stata insopportabile e strabuzzò gli occhi cercando di riuscire ad andare oltre.
Esposito fece segno ai colleghi dietro di lui. Ryan fece una smorfia e indicò a Beckett e Castle ti turarsi il naso.
Il corridoio poco illuminato era disseminato di sporcizia sul pavimento ed Esposito non volle chiedersi di cosa fossero imbrattate le pareti. Avanzò lentamente a pistola spianata, muovendosi con cautela. L’odore acre di vomito lo raggiunse andando ad aumentare la sensazione di nausea.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per un po’ di crema all’eucaliptolo da spalmarsi sotto il naso.
Dietro a lui Ryan entrò con la stessa aria schifata.
“Ma che fetida cloaca è questa?” Sbottò Castle alle sue spalle.
“Kate non appoggiare le mani su questo schifo di muro. Metti i guanti.” Disse con una voce stridula e Kate espirò.
“Zitto Castle…” Disse piano. Kate faceva fatica a respirare. L’odore era davvero nauseabondo ed era come se quelle ondate disgustose la mettessero in difficoltà. Non le era mai capitato, o forse non aveva mai sentito odori così fortemente nauseanti. Nonostante la grande quantità di cadaveri che aveva visto, anche in decomposizione avanzata, non rammentava niente di così violentemente disgustoso per le sue narici.
Lo scontro a fuoco sul perimetro esterno in confronto era stata un passeggiata rapportato all’ingresso in quel corridoio: il puzzo era qualcosa di insostenibile. Sapeva che alcune squadre stavano mettendo in sicurezza il perimetro esterno ma l’interno non era ancora stato ripulito del tutto, dovevano stare in guardia.
La radio di uno degli agenti che li seguiva gracchiò dando dei segnali di ok da parte di più fronti.
Una sola porta si vedeva alla fine di quel corridoio ed Esposito ed il collega Norman l’avevano raggiunta.
Attese che Ryan arrivasse alle loro spalle e poi fece cenno ai colleghi di stare in guardia.
I movimenti successivi furono rapidi ed efficaci. I colpi andarono a segno. Beckett si mosse decisa verso un lato e Castle rimase all’ombra di un grosso pilastro.
La stanza in cui erano finiti era una sorta di sala d’attesa. Logora, sporca e disseminata di giornali e lattine. Bottiglie rotolavano vicino ai muri e alcuni dei neon erano intermittenti. Carta da parati imbrattata di scritte. C’erano dediche, improperi e frasi ad effetto. Castle, dal suo riparo, cercò di leggerne qualcuna velocemente ma i colpi d’arma da fuoco non si erano ancora placati, così non si mosse.
La resistenza fu sbaragliata in pochi minuti. Esposito atterrò con colpi sicuri un paio di scagnozzi e il resto del gruppo fece piazza pulita dei restanti.
Altri agenti sopraggiunsero alle loro spalle bloccando e ammanettando i malviventi.
Castle sbucò dal suo pilastro con un ghigno schifato.
“Beckett, mi porti sempre in posti pieni di fascino!” Disse muovendosi verso di lei con cautela. Kate abbassò l’arma e gli sorrise.
“Non sei mai contento.” Replicò scuotendo il capo.
“Sembra una sala d’attesa. Ma per cosa?” Si chiese Castle guardando in giro.
Esposito maltrattò uno dei malviventi fino a farsi dire dove stavano rinchiusi i colleghi poi lo buttò tra le mani di uno degli agenti. Indicò quindi a Beckett e a Ryan un paio di direzioni da seguire.
Il corridoio era mediamente meno lurido del primo, ma si difendeva bene.
Castle continuò a commentare borbottando in sottofondo.
“Castle?” Lo richiamò Kate a bassa voce.
Un mugugno lamentoso arrivò dall’ultima porta. Si avvicinarono con cautela e Beckett l’aprì con un calcio ben assestato e puntando la pistola verso l’interno.
Entrarono in quello che sembrava essere una sorta di ambulatorio medico. Su un lettino era sdraiato un uomo privo di sensi, Beckett lo riconobbe, come riconobbe il pallore della morte sui suoi tratti: era Benjamin Lopez, uno degli uomini della squadra di Johnson.
C’era sangue dovunque.  C’erano guanti di lattice e strumenti chirurgici sparsi sul pianale di acciaio sporco, appena scostato dal lettino. Qualcuno aveva tentato di salvarlo forse in modo maldestro, ma le ferite dovevano essere state serie.
A terra, buttato su un materasso, Denver era stato immobilizzato mani e piedi. Ammutolito con una striscia sulla bocca, cercava di liberarsi muovendosi e agitandosi come un pesce caduto fuori dall’acquario.
Beckett si sincerò dello stato di Lopez, avvicinandosi al lettino.
Esposito entrò e guardò Denver agitarsi.
“Lo liberiamo dopo.” Disse a Ryan e insieme uscirono per continuare il controllo dei locali sull’altro corridoio.
Castle osservò la stanza con la stessa espressione di disgusto stampata sul viso e si mosse avanzando verso gli armadi chiusi lungo una parete.
“Merda…” Imprecò Beckett girandosi verso Denver che ancora si agitava per terra.
“Guarda che casino hai combinato. Guarda che cosa è successo a causa tua, razza di coglione incosciente!” Sputò fuori con rabbia indicando Lopez riverso sul lettino. Denver si calmò.
“Castle non toccare ok?” Lo ammonì. Ma era già tardi: il suo uomo curioso aveva già aperto quello che sembrava essere un grosso freezer e il contenuto raggelò lo sguardo di entrambi.
“Quelli sono…” Mormorò Kate.
“Feti…” Finì Castle deglutendo e facendo qualche passo indietro inorridito. Decine di piccoli corpicini congelati ognuno nella propria sacca trasparente erano accatastati con cura in cestelli per surgelati. Castle si voltò verso Beckett e la vide spalancare gli occhi e boccheggiare.
Indietreggiò chinandosi in avanti e cercando di bloccare la propria bocca con la mano disarmata. Castle la raggiunse prima che cadesse, sorreggendola ed evitando che si appoggiasse a terra. Riteneva che fosse troppo sporco e contaminato.
Conati di vomito le squassarono stomaco e Kate buttò tutto fuori sputando quello che rimaneva del pranzo digerito per terra. Castle la sostenne con un braccio intorno alla vita e con una mano le tenne i capelli.
Kate respirò a bocca aperta lasciando che la saliva colasse a terra. Poi richiuse la bocca e si portò una mano al viso sfregandosi le labbra col dorso. Castle le prese la pistola dalla mano destra e gliela ripose nella fondina mettendo la sicura. Kate imprecò sonoramente e si raddrizzò aiutata dal suo uomo. I conati si placarono e i capogiri andarono a mitigarsi. Una volta che riuscì a stare in piedi con le proprie forze Castle le diede un fazzoletto per pulirsi la bocca.
Kate strinse gli occhi e l’accettò. Negli occhi di Castle c’era il suo stesso sgomento. Gli fece un sorriso debole e pieno di gratitudine.
“Beh…” Castle guardò i resti del suo pranzo sul pavimento e fece una smorfia.
“Era un ottimo pranzo Castle. Mi dispiace.” Replicò Beckett con un velo di ironia.
“Te ne cucinerò un altro.” Riuscì a dire. Cercò di stemperare la tensione ma la sensazione che aveva attanagliato i cuori di entrambi era prevaricante.
Castle la lasciò e si sporse rapidamente verso il freezer chiudendo l’anta, nascondendo così alla vista di entrambi quelle povere creature. Si accorse che sulla porta era comparsa la Gates, la quale era sopraggiunta a operazioni concluse avvertita da Ryan.
“Signore esca di qui…” Le disse Beckett mentre la raggiungeva per uscire. Il capitano afferrò Beckett per un braccio e l’aiutò a varcare la porta, vedendola poco salda sulle proprie gambe.
“Venga, ha bisogno d’aria.” Disse con voce grave. Quel posto era un vero parco degli orrori e la vista del contenuto del freezer non gli era sfuggita. Guardò il corpo di Lopez riverso sul lettino e strinse i denti amareggiata. Tutto quello poteva essere evitato. Con il viso tirato, l’espressione buia e feroce cercò gli occhi di colui che reputava il colpevole di quella morte senza senso.
“Se solo avessi fermato questo stronzo quando ne ho avuto l’occasione.” Pensò arrabbiata. Dal suo discorso non erano passate dodici ore. Ci aveva messo meno di una giornata a farle rimpiangere di non averlo preso a calci prima. Il senso di colpa si stava facendo largo in lei e Castle sembrò accorgersi del suo stato.
Beckett era ferma sulla porta.
“Accompagno Beckett fuori, lei lo liberi…” disse infine facendo un cenno a Castle indicandogli l’uomo ancora immobilizzato sul materasso sporco.
Castle annuì. Tolse di tasca un coltellino multiuso e lo utilizzò per liberare Denver. Tagliò i legacci che lo tenevano immobilizzato e l’uomo di divincolò strappandosi il nastro dal viso una volta che le sue mani furono libere di muoversi.
“Ah che schifo!” Disse alzandosi. Incrociò lo sguardo con Castle alzando le spalle in modo divertito.
“Stomaco debole Beckett.” Commentò muovendosi verso la porta e ignorando volutamente il corpo di Lopez.
“Ma non è grave. E non credere che io mi senta in debito con te per avermi liberato.” Disse abbassando il tono.
“Prima o poi te la porterò via.” Sussurrò uscendo e Castle aprì la bocca basito.
Uomo spregevole, meschino e senza cuore. Era stato la causa di un conflitto a fuoco che aveva visto la morte di un collega e se ne stava lì a pensare che avrebbe fatto di tutto per mettere le mani addosso a Kate? Una reazione rabbiosa lo colse, cercò di rincorrerlo nel corridoio ma fuori aveva già incrociato il pugno feroce di Norman, il partner di Lopez. Probabilmente era stato già informato da Beckett della scomparsa del collega e la sua reazione violenta e sanguigna placò per alcuni istanti quella di Castle.
Lasciò quindi che Norman si prendesse la briga di pestare Denver come era giusto. Pensò che se lo meritasse e che Norman avesse bisogno di quello sfogo. Aveva perso un amico, il suo fidato compagno. L’uomo con cui aveva condiviso pericoli, vittorie e sconfitte. Lo reputò orfano di qualcosa. Lui si sarebbe sentito così e non solo. Si sarebbe sentito accecato dalla rabbia se qualcosa fosse accaduta a lei.
Passò quindi oltre cercando l’uscita e Beckett oltre quella.

Una volta tornati al distretto, il caos generale li aveva colti. Interrogatori, documenti da compilare. E la sensazione di morte che pesava sul cuore di tutti. Lopez era un brav’uomo. Lasciava una famiglia: la moglie e tre bambini. Ma più di tutto Beckett non riusciva a togliersi dagli occhi quei piccoli corpi surgelati.
Sentiva anche così freddo che Castle le aveva dovuto dare la sua giacca per riscaldala.
Osservarono entrambi l’ufficio della Gates mentre quest’ultima parlava al telefono. Tutta quella situazione si sarebbe ritorta contro di lei, ma per Beckett la colpa non era da imputare al Capitano. In fondo come tutti loro non conoscevano bene quell’idiota dal cervello di gallina.
Chiunque avesse mandato da loro un tipo del genere con delle credenziali su carta ben diverse dalle capacità reali aveva una parte importante di responsabilità in tutta quella vicenda amara, ne era sicura.
Si chiese chi era stato a portarlo tanto in alto, oppure quale macroscopico errore di valutazione doveva aver commesso per non accorgersi di quanto fosse indisciplinato e incapace di pensare e agire in una logica di squadra.
Denver intanto era stato medicato sommariamente e poi portato nella saletta degli interrogatori dove era rimasto sotto la sorveglianza di alcuni agenti. La disciplinare non avrebbe tardato.
Johnson parlava con i suoi e i vari detective e agenti del distretto stavano passando da lui un po’ alla spicciolata per lasciare una dimostrazione di vicinanza e solidarietà. Nessuno aveva osato dire qualcosa a Norman dopo la sua furiosa reazione, nemmeno la Gates stessa.
Beckett strinse la mano di Castle.
Era addirittura troppo silenzioso. Se ne stava lì accanto a lei e la teneva per mano. Non riusciva a capire se fosse assente, perso in chissà quali pensieri, oppure semplicemente stanco. Probabilmente era turbato come lo era lei del resto. La mascella contratta le fecero capire che era teso e forse arrabbiato.
“Castle…” mormorò per richiamare la sua attenzione.
“Nh?” Spostò gli occhi dalla vetrata degli uffici del capitano.
“Pensi che avrà guai per questo?” Chiese rompendo il silenzio. “La Gates gli ha dato una possibilità e lui ha fatto un casino.” Aggiunse dando una spiegazione forse non necessaria. Kate si strinse nelle spalle mordendosi le labbra.
“Non so. Probabilmente…” mormorò abbassando il capo.
Castle alzò la mano e le diede una carezza sul viso pallido. “Dovremmo andare a casa tesoro. Sei stanca, devi mangiare, devi dormire un po’…” Kate assunse un’espressione sofferente.
“Ho ancora la nausea. Non dovrebbero venire di mattina?” Chiese con un mezzo sorriso.
“Tu sei unica anche in quello.” La dolcezza nella sua voce portò anche a mitigare la tensione sul suo viso.
Il capitano uscì dal proprio ufficio. Parlò con Johnson a bassa voce. Probabilmente avrebbero dovuto andare a casa di Lopez e dare la notizia alla moglie. Non sarebbe stato facile per Johnson, Kate conosceva bene quella situazione. Attesero che la donna si liberasse e la videro voltarsi e attendere ferma a capo chino nel corridoio.
Esposito e Ryan fecero il loro ingresso al distretto camminando stancamente lungo il corridoio. Tutte le operazioni per la detenzione del gruppo di malviventi erano state espletate, almeno per quanto potevano fare quella notte. Oltrepassarono il capitano, facendogli un semplice cenno con il capo e raggiunsero Beckett alla sua scrivania.
“Serata orrenda…” Commentò Ryan sedendosi pesantemente sulla sua sedia.
Esposito sbuffò. Non avevano potuto seguire il loro caso e l’orologio a muro segnava le 2 e 40 del mattino.
Tra meno di 6 ore dovevano tornare al lavoro. Tanto valeva non andare a dormire, era praticamente inutile.
“Mi ci vuole un litro di caffè.” Disse quindi guardando Beckett avvolta nella giacca del marito.
“Beckett stai bene?” Chiese quindi non vedendola reagire. Di solito il caffè era il suo alimento principe.
Lei scosse il capo. “Ragazzi… dobbiamo dirvi una cosa.” Iniziò a dire.
Ryan fece un sorriso e diede un colpo al braccio di Esposito.
“C’è un piccolo Castle in arrivo vero?” Domandò con dolcezza. L’irlandese sembrava felice.
Castle fece un’espressione stupita e scambiò con Kate uno sguardo divertito. Lei annuì.
“Già. Si nota molto?” Mormorò passandosi una mano sul viso fino a spostarsi i capelli dalla fronte.
I ragazzi annuirono contemporaneamente.
Ryan, si avvicinò. Sembrava entusiasta della cosa “Di quanto sei?”
“Otto settimane circa…” Kate sorrise all’amico e strinse la mano ad un orgoglioso Castle.
Esposito diede un colpo alla spalla dello scrittore.
“E quando intendevate dircelo?”
“Sabato sera, a cena.” Replicò l’uomo lamentandosi. “Ma perché mi colpite, non è solo colpa mia…”
“Castle, è sempre colpa tua!” Replicò l’ispanico.
Esposito e Ryan abbracciarono Beckett e diedero qualche amichevole pacca sulla spalla all’amico congratulandosi con loro. Era una bella notizia considerato l’andazzo della giornata. Una nuova vita in arrivo era una notizia che andava festeggiata.
“L’ho già detto a Lanie, sabato sera da noi per una cena ok? Facciamo verso le otto.” Ribadì Castle con un sorriso. “Voi però dovete farmi un favore...”
“Spara.” Replicò Esposito.
“Dovete prendervi cura di lei quando io non ci sono.” Disse con una serietà tale che persino Kate si stupì.
Esposito fece una smorfia. “E dove vuoi andare Castle?”
“Beh… potrei dovermi allontanare qualche giorno per lavoro…” Castle guardò Kate e la donna ricordò il discorso fatto a pranzo.
 “Perché tu lavori?” Replicò l’ispanico, divertito.
“Ogni tanto…”
Victoria Gates li raggiunse interrompendo il loro discorso.
“Beckett, sta meglio?” Chiese seria.
Kate annuì stancamente. Fingere di avere più energie non sarebbe stato facile, così semplicemente rimase dov’era attendendo gli ordini.
“Può raggiungermi nel mio ufficio? Anche lei signor Castle.” Si allontanò senza attendere risposta. Doveva essere molto tesa.
Beckett si alzò e si tolse la giacca rendendola a Rick che la indossò.
Nella luce bassa dell’ufficio a Castle sembrò minuta e stremata. Non vedeva l’ora di portarla a casa. Palesare la sua preoccupazione non era ormai più un problema, era certo che i ragazzi avessero capito cosa stava chiedendo loro: un aiuto concreto perché non rischiasse, affinché restasse al sicuro.
Un tour de force come quella sera poi non era più consono alla sua salute. La seguì quindi nell’ufficio della Gates dove attesero che lei iniziasse a parlare.
Il rumoreggiare degli uffici si era placato. Tutti in quella notte aveva bisogno di calma per stemperare le tensioni e metabolizzare la scomparsa di un amico e collega.
“Dovete dirmi qualcosa vero?” Il capitano fece scivolare via gli occhiali dal naso. Anche lei sembrava piuttosto stanca, ma c’era dell’altro.
Entrambi annuirono.
“Sono incinta capitano.” Mormorò Kate. Castle passò una mano sulla spalla di sua moglie.
“Mi dispiace per quanto è successo stasera. Non sono riuscita a trattenermi.” Aggiunse.
Victoria Gates la guardò con un sorriso mesto. Scosse il capo spostandosi all’indietro e appoggiando la schiena tesa allo schienale della sedia.
“Non si dispiaccia. Quella vista avrebbe fatto dare di stomaco a molti. E non solo…” indicò ai due di sedersi.
“Era una clinica clandestina che praticava aborti, molte delle loro clienti erano prostitute.” Spiegò a bassa voce. Sembrava pensierosa e distante.
“Immagino sia difficile far sparire l’immagine di quei corpicini dalla mente, soprattutto nel suo stato.”
“Già.” Fu solo in grado di dire Beckett.
“Questo cambia un po’ le cose sulle sue attività, detective. Ammetto di averlo sospettato. I cambiamenti delle ultime settimane sono stati evidenti. Lei signor Castle è stato determinante nel farmi capire quello che stava accadendo.” Mormorò. “E’ diventato più apprensivo e… beh…” Indicò con una mano la porta. Forse era cosciente del fatto che l’aver aggredito Denver era stato solo un gesto dettato dalla rabbia di vedere la propria moglie toccata da un altro uomo, con l’aggravante che la donna aspettava un figlio da lui.
Castle considerò quella mezza frase come una forma di scuse ma si guardò bene dal commentare.
Aprire una discussione su quell’infame lo avrebbe fatto scoppiare. Avrebbe detto cose che potevano farlo allontanare di nuovo. Rimase in silenzio annuendo col capo. Deglutì e guardò Kate.
Gates si rivolse di nuovo a lei. “Comunque mi fa piacere che abbia deciso per il corso da ufficiale. Ottimizzerà questo suo periodo di fermo…”
Beckett si sporse in avanti. “Capitano, ho intenzione di lavorare finché potrò.”
La Gates sorrise e inclinò il capo. “Lavori d’ufficio detective. Indagini, ma non ho intenzione di darle incarichi come quelli di stasera.”
Castle spalancò gli occhi sorpreso.
“Capitano, so che potrebbe sentirsi in colpa per quanto è accaduto a Lopez. Ma lei ha fatto solo il suo lavoro, cercando di fare il meglio per il distretto.”
Le parole di Beckett sorpresero il capitano più del dovuto. Forse non voleva dare a vedere il suo turbamento, ma la donna era sveglia e l’aveva già capito.
“Apprezzo la sua sincerità ed il suo appoggio, ma ho fatto un errore.” Ammise annuendo. “E ne pagherò le conseguenze.”
“Denver ha fatto un errore. Non lei, dovrà pagare lui. Non lo lasci in polizia a rendere vedove altre donne.” Castle aveva parlato con voce grave, un velo di ferocia nella voce richiamò l’attenzione delle due donne.
“Ma l’ho rimesso io in strada. Avrei dovuto intuire che era una testa calda. E ora la moglie di Lopez è sola con tre figli a carico. Non mi sento priva di rimorsi.” Commentò alzandosi. Camminò lentamente.
“Voi due però non tenetemi nascoste più notizie del genere, è chiaro?” Disse con voce ferma.
Beckett espirò. “Ha fatto quel che doveva fare signore. Gravidanza o meno io sono un detective, sono in servizio e c’era bisogno di noi quindi ora non torni sui suoi passi. Non a causa di Denver. Di lui la disciplinare farà piazza pulita ma non si accolli colpe che non ha.”
Castle annuì. Era felice che la Gates avesse preso le parti di Kate, considerando l’azione di quella sera rischiosa, ma forse la sua remora era più dovuta all’accaduto. Lopez era rimasto ucciso cercando di aiutare un compagno che non lo meritava, che nemmeno aveva avuto il decoro di guardare colui che era rimasto vittima delle sue azioni. “Beckett ha ragione capitano. Mi fa piacere che lei pensi a salvaguardare la sua salute e gliene sono grato. Ma riguardo a Denver, ha fatto quello che doveva fare per il distretto…” Disse guardandola. “Cerchi piuttosto di trovare chi ha permesso che uno squilibrato con manie di protagonismo del genere arrivasse alla omicidi…”
Victoria Gates guardò la coppia. Lo scrittore era teso e serio. Lo aveva visto poche volte così, in questi casi riusciva a vedere che dietro a quel ragazzone vanesio e un po’ infantile si nascondeva un uomo intelligente e con una profondità d’animo toccante.
“Andate a casa. Riposate. Domani vi aspetta un caso da risolvere.” Disse solo espirando. Si mise le mani sui fianchi e li guardò. “Comunque vi sono davvero grata per il vostro sostegno.”

Il tragitto alla volta di casa avvenne in silenzio. Castle si mise al volante mentre Kate si sedette senza replicare dal lato del passeggero. Se ne restò ad occhi chiusi sprofondata nel sedile. Castle aveva acceso il riscaldamento in auto per evitare che sentisse freddo. La radio borbottava in sottofondo, ma nessuno dei due vi prestò attenzione. Erano le tre passate. Era tardi e la notte newyorkese stava per finire.
Quando scesero dall’auto l’abbracciò durante tutto il tragitto fino all’ascensore. Kate si lasciò coccolare e cullare. Era ancora sottosopra a causa della nausea e di quella vista straziante. Sentiva il bisogno di stare tra le braccia di Rick, ma il suo silenzio la stava preoccupando.
“Castle…” Mormorò mentre lui estraeva dalla tasca le chiavi di casa e apriva la porta del loft.
“Che cosa ti turba?” Chiese entrando e sentendo il calore dell’appartamento con sollievo sul suo corpo. Stare a casa la fece subito rilassare.
L’uomo alzò le spalle. “Non è stata certo una bella serata. Molto lontana da quello che avrei desiderato per noi. Vedere Lopez morto così…” Le diede un bacio fugace tra i capelli e poi si diresse senza voltarsi verso la cucina. Kate strinse le labbra pensierosa.  Abbandonò giacca e borsa sul divano senza perdere Rick di vista. Era roso da qualcosa oltre ad essere probabilmente traumatizzato.
“Dovevamo farlo Castle…” Disse pensando che lui fosse anche arrabbiato per il rischio che avevano corso. I pensieri si accavallarono nella mente stanca. Lui arrivò al frigorifero.
“Lo so, non siamo stronzi come quello…” sbottò prendendo una bottiglia di latte e del cioccolato in polvere. Poi aprì un armadio è ne estrasse un sacchetto di frollini.
“Per colpa sua Lopez ha lasciato la sua famiglia da sola, tre figli Kate, tre figli! E se fosse successo a noi? Se Denver fosse finito nella nostra squadra e fosse accaduto qualcosa a uno di noi? E poi quei piccoli corpi gelati…” I suoi occhi si arrossarono e strinse la mascella appoggiando con veemenza la bottiglia di latte sul tavolo. “E per finire la Gates avrà dei guai…” Un tumulto di emozioni lo stavano mettendo in crisi. Kate si mise una mano in fronte. Poteva capirlo eccome.
“E’ un discorso che possiamo continuare a fare… per giorni e giorni. Lo sai anche tu come vanno queste cose.”
“Non credo di esserci abituato. Lopez ha avuto possibilità di scelta? Non so…” Espirò angustiato abbassando il tono.
Kate si morse un labbro. “Credo che abbia scelto ma gli è andata male purtroppo. Queste sono giornate dove è facile mettere in discussione tante cose sul lavoro da poliziotto.”
“Immagino tu ci sia passata molte altre volte. Io sono un pivellino eh?” Lei annuì soprassedendo al suo sarcasmo. Non riusciva a vedere il suo essere in qualche modo contrariato un male. Era un uomo che aveva imparato a dare valore alla propria vita quando tante volte aveva rischiato di perderla.
“Hai fame?” Chiese Castle alzando lo sguardo su di lei con apprensione. Kate negò con il capo. La nausea non era del tutto passata.
“Nemmeno un milkshake al cioccolato con biscotti?”
Kate si avvicinò a lui. Guardò i biscotti e li trovò invitanti. Annuì.
“E milkshake sia…” Disse accontentandolo. Erano entrambi un po’ troppo scossi.
Kate sospirò guardandolo. Non era stupita dal suo atteggiamento, sperava solo di non vederlo amareggiato a lungo. Era rimasto colpito dall’orrore vissuto, restava colpito più di altri dalle cattiverie. Non era l’orrore fisico in sé, a quello c’era abituato e più delle volte lo rendeva solo divertito, ma non quando si rifletteva su persone che conosceva e che erano a lui care. Per non parlare di bambini. Quello era tabù. Ammise di aver ricevuto lei stessa un brutto colpo. Era diventata sicuramente più suscettibile sull’argomento. Poi, come se non bastasse già il suo detestare Denver profondamente, ora Castle aveva una serie di ragioni in più per odiarlo.
“Comunque capisco cosa provi… E’ stato orrendo.” Aggiunse con dolcezza.
“Se non l’avesse pestato Norman l’avrei fatto io!” Sbottò di nuovo scaldando il latte nel microonde e preparando il frullatore. Lo sguardo di Kate lo fulminò.
 “Sì mi sarei messo nei guai… Ma quello stronzo… Ne sarebbe valsa la pena.” Sbuffò. Kate lo avvicinò sospettando che ci fosse altro dietro al suo sfogo.
“Quando siete rimasti soli… ti ha detto qualcosa?” Castle negò ma Kate riconobbe sul suo volto i segni tipici della menzogna. Era evasivo, non la guardava negli occhi. Non sapeva mentirgli.
“Castle?” Insistette. Lo fermò prendendolo per un braccio.
“Ha detto che ti porterà via da me. Se n’è fregato di Lopez, lì davanti a lui, morto per causa sua. Ha detto solo che non ti faceva così debole di stomaco e che non si sentiva in dovere di restituirmi il favore per averlo liberato. E ha detto che ti avrebbe portato via a me… Che stronzo!” Disse amareggiato. Deglutì armeggiando con il frullatore.
Kate inspirò profondamente. Non aveva certo immaginato un situazione del genere. Era davvero stato così carogna da pensare solo al modo di ferire di nuovo Rick. Lo aveva fatto in un momento dove qualsiasi altro uomo sano di mente avrebbe solo mantenuto un decoroso silenzio. Aveva usato la debolezza di Castle, la sua preoccupazione per lei, il cordoglio per Lopez al solo scopo di colpirlo mentre era vulnerabile.
“Ti ha solo voluto sfidare di nuovo vista la figura meschina che ha fatto con la Gates. Non devi nemmeno farti toccare dalle sue sparate.”
“Senti…” Castle si addolcì. “Non sono arrabbiato perché penso che lui possa avere anche solo lontanamente una chance…” Si scusò finendo di preparare le due porzioni di latte al cioccolato.
“Nph… sarei molto delusa se pensassi anche solo per un istante che possa piacermi.” Gli occhi di Kate rotearono come soleva fare quando lo prendeva in giro. Castle sorrise debolmente e lei sedette accanto a lui al bancone. Castle gli pose davanti la loro cena frugale. “Dai… mangia qualcosa.”
Kate si portò alla bocca un biscotto e l’appetito tornò. La stanchezza si faceva sentire, e se fino a quel momento non l’aveva ascoltata, assaggiare del cibo le risvegliò la fame con una certa brama.
“Non dovresti nemmeno pensarci Castle ok? Rimuginando sulle sue parole non fai altro che dargli credito che non merita. Non metterlo tra noi.” Sottolineò lei. Si appoggiò quindi alla sua spalla, cercando il contatto tra loro. Castle le cinse la vita e appoggiò la testa alla sua.
“Hai ragione…” sospirò abbassando lo sguardo.
“Mi chiedo solo perché qualcuno voglia interferire nella nostra vita. Chi gli dà il diritto di farlo…” Mormorò inzuppando un biscotto nel latte osservandolo con attenzione. Kate lo ascoltò attentamente.
“Abbiamo passato anni a combattere con noi stessi, con i nostri errori, con le difficoltà del nostro passato… persino tra noi…” La rabbia di Rick era rivolta a quella assurda sfida. Quel suo essere invaghito di Kate rendeva Denver pericoloso ed era uno imprevedibile. Kate capì che Rick non voleva abbassare la guardia. Forse aveva ragione. Forse dovevano guardarsi le spalle da uno così. Strinse la sua mano.
“Abbiamo fatto funzionare le cose, siamo stati bravi.” Replicò con un sorriso che lui ricambiò.
“Già. Ma è troppo chiedere di essere lasciati in pace?”
“No. Mi sembra il minimo. E poi abbiamo tante cose da fare ricordi? Tipo sistemare il loft…”
L’averglielo ricordato lo mise su di giri. “Quando avremo un attimo di tempo dobbiamo studiare qualcosa.”
Il sorriso spuntò negli occhi di Castle. Decise di buttare fuori dalla sua mente il pensiero infelice di Denver che da troppo la stava opprimendo. Voleva godersi quelle poche ore in pace.
Mangiarono il resto della loro cena godendosi la vicinanza reciproca.
Poi approfittarono di una doccia calda insieme, cullandosi tra le carezze e il contatto fisico dei loro corpi. Sotto la doccia Kate si appoggiò alla schiena ampia di Rick, fece scivolare le sue dita sui suoi muscoli tesi sentendoli sciogliere a poco a poco. Le piaceva la sua schiena. Le piaceva toccarlo. Amava farlo soprattutto da quando insieme aveva ritrovato l’equilibrio e la felicità dopo il suo rapimento. Era un rituale, quello della doccia, che facevano quando avevano bisogno di conforto reciproco e lei trovava in quel momento rilassante stare lì semplicemente appoggiata al suo uomo. Le piaceva sapere che allo stesso modo lui si sentiva bene stando semplicemente accanto a lei.
Nel box doccia, il mondo sembrava lontano, l’acqua calda li faceva sentire uniti più che mai. La pelle di Castle era segnata da cicatrici come le sua e le sue dita si spostarono dolcemente da un punto ad un altro mentre lui in silenzio si beava di quel semplice gesto pieno di dolcezza.
Si sussurrarono frasi nel silenzio della loro stanza, asciugandosi reciprocamente. Castle tornò a sorridere riempiendola di attenzioni. L’aiutò a rivestirsi con il pigiama. Si curò che il suo ventre stesse ben caldo. Sistemò la porta del bagno, tenendola aperta così che l’indomani, se Kate avesse avuto delle nausee, non incontrasse alcun ostacolo per arrivare a destinazione e portò degli asciugamani puliti sul suo comodino.
Kate rise divertita per quei piccoli accorgimenti che probabilmente gli sarebbero serviti.
Infine il letto li accolse.
“Sai, alcune volte penso che la nostra vera vita si svolga nei momenti rubati prima di andare a letto oppure al risveglio.” Castle era steso supino e guardava il soffitto restando fermo mentre lei scivolava la mano lentamente sul suo torace in una carezza ipnotica. “Alcune volte lo penso anche io.” Rispose sbadigliando.
“Allora il prossimo week-end libero scappiamo negli Hemptons. Così possiamo dire di avere una vita mondana vivace.” Castle non ricevette risposta.
Kate era crollata nel sonno velocemente, ma Castle non ci riuscì. A lungo rimase sveglio osservandola sdraiata accanto a lui nelle ore che li separava dall’alba. Accarezzò il suo ventre fasciato dalle coperte calde.
“Non smetterò di lottare per te…” disse in un sussurro accanto al suo viso disteso.
Si sistemò meglio e provò a chiudere gli occhi.
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Rieccomi. Ho solo una giornata di libertà: la domenica. Piena e fin troppo corta.
Mi sento quasi in galera.
Volevo ringraziare tutti per i bei commenti rilasciati, come sempre molto graditi. Mi scuso per non aver ancora riposto, ma il tempo è tiranno. (Notate l'ora tarda di pubblicazione!)
Grazie a tutti.
Messaggio per Reb: è vivo! e' vivo vivo... Ti voglio tanto bene!
Messaggio per Monica e Debora: Stupenda storia, bella e piena come sempre!

  
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