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Autore: Kore Flavia    24/11/2014    8 recensioni
- Robb, ho sete…- si lamentò la ragazza seduta sul fondo della stanza, la schiena poggiata alla parete. – Il muro fa schifo, è tutto umidiccio! – mugugnò tirando su con il naso, alzò lo sguardo sul compagno che faceva su e giù per quella stramaledettissima stanza vuota[...]
Le possibilità erano due: o aveva una dose di autostima esagerata o pensava di essere in un film adolescenziale in cui il ragazzo sfigato fa colpo sulla ragazza figa. La giovane sperò vivamente che non fosse la seconda possibilità perché in quel momento era lei la figa della situazione[...]
Non poté continuare a parlare perché due labbra si erano scontrate contro le sue.[...]
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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New Year in the slammer

 


 
- Robb, ho sete…- si lamentò la ragazza seduta sul fondo della stanza, la schiena poggiata alla parete. – Il muro fa schifo, è tutto umidiccio! – mugugnò tirando su con il naso, alzò lo sguardo sul compagno che faceva su e giù per quella stramaledettissima stanza vuota.

- La pianti di camminare? Mi dai il nervoso! – sbottò dopo qualche minuto passato a contemplarlo.
Il ragazzo davanti a lei non poteva essere definito certo un bel ragazzo, anzi: era basso; i capelli troppo lunghi color cacca erano unti e gli cadevano pesantemente sulle spalle. Lui si voltò a guardarla con rabbia. Ora si poteva vedere meglio il viso, sulla guancia destra c’erano due nei, la bocca sottile era piegata in una smorfia, gli occhi di un brillante azzurro perennemente cerchiati da profonde occhiaie.

-E tu la pianti di lagnarti? Non riesco a pensare così, diamine! – sbraitò lui. Lei lo fissò qualche istante e poi scoppiò a ridere, osservando la smorfia che stava facendo il ragazzo.

-E ora che hai? Sei isterica o cosa? – lui aggrottò le sopracciglia e storse il naso in un’espressione perplessa. Spostò il peso da un piede all’altro aspettando una risposta.

- Hai fatto una faccia troppo buffa! Oddio, sto morendo, no… non respiro! – gracchiò tra le risate, un palmo poggiato all’altezza della pancia. La risata si diffuse in tutta la cella rimbalzando da un muro all’altro, ma si smorzò rapidamente quando la ragazza notò lo sguardo furibondo dell’amico. Ora fu il suo turno d’aggrottare le sopracciglia:

- Non dirmi che ti sei offeso, nano… - Lo canzonò lei facendo ondeggiare il viso da destra a sinistra. Una ciocca bionda le ricadde davanti agli occhi solleticandole il naso, provò, usando il solo fiato, a spostarlo almeno di qualche millimetro, ma fallì miseramente.

-Ehi tonta, non riesci nemmeno a spostare una ciocca di capelli? Ci credo che siamo finiti in questa stupidissima cella! – brontolò Robb, incrociando le braccia davanti al petto e chinandosi ad osservarla. Lei gli fece prontamente una linguaccia e si voltò ad osservare un punto indefinito del muro alla sua destra.
-Non era così che volevo passare il capodanno… - mugugnò lei, tornando a guardarlo un po’ più da vicino. Alla fine non era troppo male, ovviamente superando il fatto che avesse quella capigliatura da sfigato, che fosse basso… Aveva dei begli occhi e le occhiaie conferivano profondità allo sguardo. Jess notò di essergli terribilmente vicina, la distanza tra i due era di pochi centimetri e (evidentemente) se ne accorse anche lui. Infatti si scostò rapidamente da quella posizione, ritornando in piedi.

-E come volevi passarlo, si può sapere? – gracchiò, passandosi una mano tra i capelli unti come fanno di solito i figoni delle scuole. Lei la trovò una cosa paradossale: lui, il ragazzo più EW della classe che si comportava come un divo. Le possibilità erano due: o aveva una dose di autostima esagerata o pensava di essere in un film adolescenziale in cui il ragazzo sfigato fa colpo sulla ragazza figa. La giovane sperò vivamente che non fosse la seconda possibilità perché in quel momento era lei la figa della situazione…

- Beh, innanzitutto non lo passerei in una CELLA?! Oh e di certo preferirei essere in compagnia di un bel figaccione invece che con… questo. – l’ultima parte della frase fu accompagnata da un ampio gesto che comprendeva tutto il corpo di Robb. Lui fece una smorfia indispettita, mormorando improperi per qualche secondo, poi si sedette davanti alla ragazza, la schiena poggiata all’inferriata.

-Hai appena indicato tutto me… - constatò; Jess capì d’aver sbagliato, ma ormai la sua boccaccia aveva fatto quello che faceva sempre: parlare.

- Sì, ecco… Non intendevo… cioè sai no? – provò a giustificarsi, gesticolando ampiamente con le braccia e facendo boccacce di ogni genere. Lui per tutto il tempo che durarono le sue buffonate rimase zitto ad osservarla.

-Se non fosse stato per questo – e dicendolo, fece un gesto che lo percorse interamente. – Saresti stata più contenta? Scommetto che ci avresti provato con il figone di turno, ma visto che hai davanti… questo non hai niente da fare – quelle parole la fecero sentire un mostro, un enorme orribile e cattivo mostro. Ed ecco che Robb usava il suo super potere contro di lei, quello di farla sentire terribilmente in colpa, cosa strana visto che lei non si sentiva mai in colpa!

-Comunque fa niente, so come sei fatta c’è poco da fare… apri bocca senza pensare… - nella voce era impresso il suo sorriso. Era una cosa che sapeva fare solo lui: mettere il sorriso anche alle parole che diceva. Era un’abilità che lei gli invidiava molto, quella di sorridere sempre anche quando non era dell’umore per farlo. Lei invece se era arrabbiata o ferita o triste o qualsiasi altra cosa lo faceva vedere bene. Anche troppo, a volte: per poco non ci scappava il morto quando era infuriata. Urlava, strepitava, piangeva e poi tutto passava come se fosse stato un tornado.
Lui era più come un vulcano che piano piano si riempie sempre più, poi, con uno scossone più forte, esplode. Spesso l’effetto che provocava era devastante: gli abitanti dovevano rifugiarsi, scappare pur di salvarsi dall’ira del vulcano o di Robb.
Lei alla risposta dell’amico aveva sorriso di rimando, era contenta che lui non se la fosse presa. Era sicura che se qualcuno fosse stato a lungo con lei -come aveva fatto lui- ci avrebbe fatta la pelle, ma a volte esagerava comunque.

-E comunque è colpa tua se stiamo in una cella - ed ecco che si tornava al normale Robb, quello che ti prendeva in giro, che non perdeva un’occasione per manifestare la sua onnipotenza.

-Che vorresti dire? – sbuffò irritata la ragazza mostrando un ghigno che non presagiva nulla di buono. Lui fece spallucce e si alzò in piedi. Era la quarta volta che si alzava in piedi e la cosa la urtava. Non che l’urtasse che lui stesse in piedi, quelli erano cavoli suoi, ma il fatto che ogni volta che si alzava, lui si avvicinasse a lei.

-Beh, sei tu quella che ci ha fatto scoprire – si poggiò alle sbarre dietro di sé sorridendo sornione, le braccia incrociate davanti al petto; una pesante felpa nera aperta davanti lasciava intravedere la sottile maglietta bianca che portava.

-Non è colpa mia! Non fare lo scarica barile! – Sbottò lei allacciando le braccia sotto il seno, storse il naso aspettando un risposta, che arrivò immediatamente:

-Ah no? Chi era la persona incaricata di distrarre le guardie mentre io mi intrufolavo nel luna park? E chi è che si è messo a ridere come un emerito beota? – L’indice del ragazzo(era) puntato verso la ragazza con fare accusatorio, un sogghigno disegnato sulle labbra. Poi concluse. –Tu, ecco chi. –

-Ehi ehi ehi, frena bello! Ora dimmi tu chi si era messo quella ridicola tutina nera? – Mimò egregiamente il tono usato precedentemente dall’amico.
In una cosa era brava: copiare la gente e non perdeva mai l’occasione di farlo. Decise di rincarare con un bel:

- Sembravi particolarmente gay. Non che io abbia nulla contro i gay... – che fu immediatamente seguito da quello che doveva essere un ringhio, ma che finì per sembrare un muggito emesso dall’amico. Jess ridacchiò portandosi una mano all’altezza della bocca.

- Serviva a mimetizzarsi… lo fanno sempre nei film - provò a discolparsi con scarso successo. Ecco che Jess lo metteva alle strette con la sua lingua biforcuta! “Robb 0-1 Jess bello!” pensò lei. Lui sbuffò notando il sorriso sbilenco dell’amica e fece un gesto plateale con il braccio sino a portarsi una mano a stropicciarsi il naso.

-Vai, dillo- Aveva un tono esasperato, come se avesse avuto a che fare con una bambina di otto anni che non voleva stare ferma. La compagna allargò ulteriormente il sorriso, fino a farlo arrivare quasi all’altezza delle orecchie. Balzò in piedi un pugno alzato in segno di vittoria ed esclamò:

- 1 a 0 per me! – Il tono fiero con cui lo dichiarò fu come un pugno in faccia per Robb, che girò il viso verso il corridoio, dove ad intervalli regolari passava una guardia dal viso sfatto per la stanchezza. Gli occhi dei due s’incrociarono e Jess non poté non notare quanto i due avessero la stessa espressione avvilita, come se fossero entrambi piegati dagli avvenimenti. Tutto durò solo qualche istante, ma bastò. La guardia s’allontano con passo svelto e bofonchiando qualche improperio. La giovane rimase lì, a guardare le sbarre e la sagoma dell’amico che si stagliava –per quanto potesse stagliarsi un ragazzo basso come lui- davanti ad esse.

- Ehi guardia, Dobbiamo stare ancora allungo qui dentro? – L’ esclamazione di Robb cadde a terra, nessuno la raccolse, nessuno gli diede risposta. Lui si girò e sbatté la schiena contro le sbarre; un suono metallico ruppe il silenzio.
Rimasero così, fin quando stufa del silenzio Jess aprì bocca:

- Credo dovremmo stare qui ancora un bel po’… - Ed ecco la risposta tanto agognata, la risposta tanto ovvia, ma tanto temuta. Nessuno vuole stare in cella, nessuno vuole esserlo in compagnia di Jess o di Robb, ma gli adulti ci mettono molto a venire a salvarti. Il mondo dei grandi è cosi: quando sei dentro sei spacciato, quando sei fuori, beh, sei spacciato lo stesso. L’amico alla sua constatazione mise su una maschera sorridente, ma era ovvio non lo fosse, sorridente.

-Già, c’ero arrivato anch’io- Rise sommessamente, poi si bloccò interrotto da un rumore sordo, un cigolio e poi un urlo proveniente da una guardia. Il grido attutito dagli spessi muri fu incomprensibile, ma Jess captò quattro parole: “Cella del luna-park!”. Alla ragazza ricordò molto un film horror o thriller, dove le urla e i trambusti sinistri erano all’ordine del giorno.

Robb e lei rimasero in attesa; il silenzio era caduto sulla cella. Un altro frastuono e la porta del corridoio s’aprì, il ragazzo si affacciò quanto più possibile, mentre lei rimase seduta a terra la schiena poggiata contro il muro lurido. Tornò la guardia di prima seguita da un paio di ragazzotti barbuti, che sghignazzavano bellamente prendendo in giro il custode.
Il ragazzo storse il naso e si allontanò dall’entrata, avvicinandosi a Jess, ma rimanendo in piedi. Poggiò anche lui la schiena al muro, le braccia allacciate sul petto. Era in chiaro disagio e la ragazza non poté far a meno di notare che era in posizione di difesa, la stessa che usano le mamme dei cuccioli in natura e in quel momento lui era la mamma e lei il cucciolo. La cosa non le andava a genio, ma certo non poteva lamentarsi avendo così una guardia del corpo niente male.

-E dovremmo stare con quei marmocchi? – esclamò uno dei due estranei, la guardia sbuffò e si passò una mano tra i capelli con lo stesso gesto che avrebbe usato Robb, poi si strinse nelle spalle.

-Se non vi va di stare qui, più avanti c’è una cella vuota. Vi ci porto- La voce rassegnata uscì per la prima volta dall’uomo. La fronte si aggrottò per qualche secondo, chiaro segno che stesse riflettendo, poi si girò a guardare i due ragazzi osservandoli corrucciato prima di continuare:

-Non fate chiasso. Non voglio avere problemi con il capo- I ragazzi scimmiottarono un “Sì signore” con tanto di saluto da militare. Jess si sorprese a ridacchiare sotto i baffi a quella scena: se fosse stata uno dei due ragazzi avrebbe fatto la stessa identica cosa, a differenze di Robb che si sarebbe limitato ad un’alzata di spalle e degli occhi. Il custode quindi li accompagnò alla cella vuota e chiuse la porta sbattendola. Si sollevarono parecchie proteste per il fracasso prodotto dalle porte.
Tornò il silenzio di prima, Robb si ricompose portandosi verso le sbarre; Jess si accompagnò le ginocchia al petto cingendole con le braccia. Alcuni minuti passarono indisturbati; si era steso un telo di disagio tra quelle mura e, diversamente da quanto chiunque avrebbe potuto pensare, non fu Jess a romperlo, ma Robb:

- Quei tipi sembravano usciti fuori da una serie tv – Il commento fuoriuscì come veleno. La ragazza avrebbe potuto scommettere che quei due non gli sarebbero stati simpatici. Pensandoci però era vero: uno dei due sembrava il protagonista di Arrow, quello tutto muscoli che faceva il salmon ladder - lei si ricordava solo quella parte: aveva cercato video su youtube in cerca di versioni estese -, mentre l’altro sembrava Liam di Faking it. Entrambi da lei ritenuti dei figaccioni rari, ma preferì sorvolare su quel punto e si limitò ad urlare:

- Hai ragione! Non ci avevo pensato! –La foga con cui buttò fuori le parole però fece ridere il suo compagno di cella, che si portò una mano alla bocca. Il sorriso di Jess lasciò spazio ad un’espressione di disappunto. Notando il cambiamenti d’ espressione della ragazza la risata si smorzò, lasciando spazio ad una leggera tosse allusiva.

-Non ridere. – Non era un consiglio o una domanda, bensì un vero e proprio ordine. A quel punto persino la tosse si estinse tra le sbarre, come fumo. Poi un sorriso malizioso fece capolino sul viso dai lineamenti infantili del ragazzo, che fece per aprire bocca, ma una mano si sollevò rapidamente davanti al viso della ragazza. Un ammonimento che non fu preso seriamente, l’amico si inoltrò in un luogo pericoloso con le sue sole parole:

-Mi scusi Milady, non volevo turbarla… - Un sogghigno ed un inchino seguirono quelle parole, se la frase era da imprudenti aggiungerci persino dei gesti erano un chiaro segno di demenza. Era come firmare un patto con il diavolo, o un tentato suicidio. Infatti Jess scattò in piedi gli occhi arrossati per la rabbia, le mani strette a pugno e i denti digrignati. Ricordava un felino che soffiava all’avversario, ma lui non si lasciò intimorire, tutt’altro, ghignò soddisfatto. Se lei sembrava un gatto su di giri, lui doveva senz’altro sembrare un lupo: un lupo spelacchiato, ma pronto ad attaccare.
Un commento, due singole parole riuscirono a fermare quel momento, proveniente dalla bocca del lupo:

-Sei bella anche così. – Tutto si fermò per qualche istante, poi una smorfia interdetta prese il posto della rabbia; le labbra si dischiusero in una domanda silenziosa: “Davvero?”. Lui la captò e comprese di essere andato troppo oltre. Ebbe la sensazione del sangue che fluiva fino a raggiungere le guance e ringraziò il cielo che fossero nella penombra, non poteva permettersi una svista del genere. Doveva rimediare.

-C-certo che no! Che ti salta in mente? Sembravi una cocorita starnazzante! – Non si rese conto d’aver parlato fino a che le sue parole non furono subito seguite dalle risa dei due ragazzi che erano passati poc’anzi. Seguirono acclamazioni, schiamazzi e battiti di mani. La porta del corridoio si spalancò e ne uscì una guardia trafelata e sudata.

-Smettete d’urlare o sarò costretto a chiamare il capo! – Una volta gridato questo tornò nel suo ufficio sbattendo tutte le porte che gli capitavano a tiro. Un silenzio tombale cadde nelle celle, intramezzato solo da fiumi di parole che spingevano per uscire dalla bocca socchiusa della ragazza, che intanto si era lasciata cadere a terra, stringendosi le ginocchia al petto. Erano maledizioni ed improperi, il ragazzo però comprese solamente un: “grazie tante” dai toni scuri, se fosse stato un colore sarebbe stato il nero notte, una notte senza stelle, senza luci.

- Mi dispiace…- sussurrò, inginocchiandosi davanti a Jess. Una mano le raggiunse la sommità del ginocchio destro, ma lei non alzò lo sguardo. Delle dita le toccarono il mento, sollevandolo con delicatezza. Davanti agli occhi della ragazza balenarono quelli azzurri di lui, pieni di rammarico accompagnato da un sorriso imbarazzato. I nasi quasi si sfioravano, ma in quel momento non interessava a nessuno dei due. Lei voleva dire qualcosa, qualcosa di profondo o, perlomeno, sensato, ma tutto quello che le uscì fu un imbarazzato: “io non sono una cocorita”.
Lui rise, rimanendo dov’era, non sembrava voler allontanarsi nemmeno di qualche centimetro. Lei sorrise di rimando; quando erano insieme ogni incomprensione, ogni discussione si trasformava in un momento che li univa sempre più. Si conoscevano dal quarto ginnasio e ne avevano combinate di cotte e di crude in quegli anni, ognuna peggiore della precedente ed erano sempre stati insieme. Per quanto fossero due opposti erano legati da un filo invisibile.
Sua madre, quando lei era ancora un fagottino che piangeva perennemente, per calmarla le raccontava sempre la storia del filo rosso del destino. Con il tempo quella favola era diventato una specie di motto per Jess: “secondo una tradizione cinese ogni persona porta, fin dalla nascita, un invisibile filo rosso legato al mignolo della mano sinistra che lo lega alla propria anima gemella.”
Era rimasta affascinata da quelle parole ed era sempre stata curiosa di conoscere il ragazzo legato a lei con un filo rosso. Un pensiero le balenò nella testa, come un’ombra apparsa per poi scomparire nuovamente. Prima aveva pensato che loro due erano legati da un filo invisibile, se fosse stato quello rosso? Quello del destino? Scosse la testa ripetendosi che era impossibile, che di certo lei avrebbe trovato di meglio. Tipo un ragazzo iper palestrato e sexy e non quello… Ma poi cosa voleva di più? Con lui rideva, stava bene, solo che non aveva mai sentito le famose farfalle nello stomaco.

-Jess? Sei ancora lì o sei andata nel tuo piccolo mondo di unicorni? – La canzonò ridendo l’amico.
Accovacciato com’era non sembrava poi così basso. La luce della cella, per quanto poca essa fosse, gli conferiva un’aria più adulta, più matura. L’ombra delle lunghe ciglia andava a posarsi sulle guance pallide, lo sguardo catturava ogni piccolo frammento di luce per risplendere. Rimase un paio di secondi in silenzio poi inarcò la bocca in una smorfia maliziosa:

-No, stavo pensando... Non sei un po’ troppo vicino? – Vide gli occhi del ragazzo sgranarsi più del dovuto e le guance arrossarsi rapidamente. Poggiò entrambe le mani ai lati della testa di Jess per poi darsi una spinta all’indietro.

-Non è colpa mia se sei una specie di strega! – Le parole gli rotolarono giù e vennero accolte a braccia aperte dall’amica che, con tono strafottente, non perse la palla al balzo:

-E che sortilegio ti avrei mai fatto? Troppa bellezza? –A queste parole seguirono numerosi balbettii, alla ricerca della giusta risposta, che non arrivò. Calò un silenzio talmente imbarazzato che persino l’imbarazzo stesso lo era. Era interrotto solamente dal fiato pesante di entrambi e dalle unghie che tamburellavano sul pavimento. Le dita scandivano il tempo, che sembrava non passare mai. Nessun orologio nel corridoio, nessuno orologio sui polsi, niente ora. Ogni respiro un secondo, ogni sospiro un minuto. Jess contò tre sospiri, centottanta respiri, prima che Robb parlasse. Tre minuti che passarono pesantemente.

-Esatto. – Una parola emessa come un fiato, soffiata dalle labbra per farla volteggiare in aria. Un bianco candido, come quello delle ali di un angelo, era questo il colore attribuitile da Jess. Aveva capito perfettamente quel che il ragazzo aveva detto, ma, come quando si riceve una notizia sconcertante e si chiede conferma, lei domandò:

-Scusa? –Di nuovo una piuma sfuggì dalla bocca, una piuma bianca come la neve. Lo vide irrigidirsi; lo sguardo posarsi sul suo, implorandola di non costringerlo a ripetersi, ma lei non ne volle sapere. Dovete aspettare dieci respiri prima di ricevere una risposta.

-Esatto… troppa bellezza…- Nonostante la prima parte della frase fosse chiara e precisa, la seconda s’andò a perdere in un borbottio imbarazzato. Lui abbozzò un sorriso infantile, come un bambino che aspettava il consenso a prendere delle caramelle. Le cose si stavano complicando e doveva essere colpa dell’aria di quella gattabuia!

- Io non… - La voce le uscì rauca, le parole le raschiavano la gola come cartavetrata; le si era formato un groppo e non riusciva ad ingoiarlo. Ecco le farfalle nello stomaco farle visita, era la prima volta che si sentiva così davanti a lui. Non poté continuare a parlare perché due labbra si erano scontrate contro le sue. Era un contatto senza pretese, erano semplicemente appoggiate alle sue. Un bacio leggero, a fior di labbra, dai toni dolci e accoglienti come un caminetto acceso d’inverno.

-Ti prego Jess, non rovinare tutto come al solito… - parlò muovendo le labbra rimanendo a contatto con quelle della ragazza, che dopo un’iniziale sorpresa le dischiuse. Si chiese se lo volesse fare davvero, la risposta era: “rischierò”. Le mani del ragazzo erano poggiate al muro ai lati del suo viso. Era accovacciato con la schiena inarcata su di lei, mentre la ragazza aveva allungato le braccia portandole dietro alla nuca dell’ “amico” avvicinandolo di più a lei.
Il bacio prima titubante ed imbarazzato stava diventando sempre più convinto. Anche se lei da una parte aveva paura ormai era tardi per tirarsi indietro. I battiti dei cuori di entrambi si univano in una specie di danza, le gambe si intrecciavano.

Un rumore provenne dal corridoio e tutto finì com’era iniziato. Subito prima che la guardia entrasse si staccarono di malavoglia. Il custode entrò nel corridoio e aprì la loro cella facendo loro cenno d’uscire. Tutto si svolse in silenzio. Raggiunsero la sala d’attesa scambiandosi occhiate che comunicavano più delle parole. Jess ci vide una promessa, un accordo, ma preferì non pensarci subito. I suoi genitori si alzarono dalle seggioline rovinate e la madre l’abbracciò con foga, mentre il padre rimaneva ad osservarle con espressione contrita.
Da sopra la spalle Jess vide Robb con la testa incassata nelle spalle mentre il padre lo sgridava ferocemente. La madre del ragazzo era rimasta seduta lo sguardo che rivolgeva verso il figlio era implorante, chiedeva spiegazioni che non ricevette. La madre dell’amico era una donnina minuta, con i capelli che parevano sempre pesanti sulle sue esili spalle, due occhiaie che le cerchiavano i grossi occhi scuri. Poteva sembrare debole ed indifesa, ma lottava come una leonessa quando si trattava di suo figlio.
La madre di Jess si staccò dall’abbraccio e le poggiò una mano sulla spalla spingendola verso il portone a vetri della prigione. Prima di varcare quella soglia, Jess si voltò a cercare lo sguardo dell’amico, una volta trovato annuì e lui fece lo stesso.
In macchina, sua madre cominciò a dirle quanto si era comportata male quel giorno, di quanto non si fidasse di quel Robb. Lo faceva ogni volta che i due combinavano un qualche guaio e lei aveva smesso d’ascoltarla ormai da tempo, quando cominciava a parlare, Jess spegneva il cervello, si affacciava dal finestrino e si limitava ad osservare il paesaggio che cambiava.

Prima d’uscire lei e Robb si erano fatti una tacita promessa: “quel che accade nella cella rimane nella cella.” 

 

Note d'autore: 
Eccomi qui, dopo lunghi anni di attesa ho postato una nuova storia! 
Vi avverto che per il momento è una one shot, ma se mai ci fosse molta gente a volere un seguito o qualcosa così io pensavo di farlo.
Devo ringraziare mia sorella che ha betato il capitolo (il suo nick è darkrin e ha scritto su TVD ve la consiglio). 
Poi devo ringraziare Alexene per il bellerrimo banner che mi ha fatto! 
Vorrei solo spiegarvi un paio di cose se nel testo non sono chiare: Jess e Robb sono due liceali che la notte di capodanno hanno deciso di fare la furbata di entrare in un luna-park dopo l'orario di chiusura, ma sono stati beccati e portati in una specie di prigione minorile. Spero che il concetto fosse chiaro.
Sto aggiornando con la febbre quindi se ci fosse un qualche errore perdonatelo. Accetto recensione di ogni genere e bla bla bla
Ora vado
Bye bye
Blackcat

 
   
 
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