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Autore: Ashura_exarch    24/11/2014    3 recensioni
Darwin aveva ragione, solo il più forte sopravvive. E, diciamoci la verità, i pokemon sono molto più forti degli umani, è naturale che alla fine li abbiano soverchiati. Non li hanno assoggettati o cose del genere, ma li hanno proprio portati all'estinzione. O quasi. L'ultimo esponente di questa antica razza sa di avere i giorni contati, ma non ha intenzione di finire dimenticato come milioni di altri individui prima di lui.
Genere: Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
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9. Dreams from the past

Navigò nell'oscurità per un tempo che sembrò quasi infinito. Ed era una sensazione parecchio strana. Lloyd di sentiva di essere presente e di non esserlo allo stesso tempo, quasi come fosse un fantasma. Galleggiava e basta. Nemmeno in una precisa direzione, semplicemente sentiva di starsi muovendo.
Personalmente invece Lloyd non riusciva a fare nulla. Stava lì, immobile, e contemplava il nero davanti a sé. Non riusciva ad articolare nemmeno un pensiero, e non chiudeva nemmeno le palpebre. Ma il suo sguardo non era perso nel vuoto, anzi.
Non molto distante da lui, ma abbastanza perché si potesse confondere con il nero dell'ambiente circostante, c'era una specie di parete. Anzi, il Deino non l'avrebbe nemmeno definita così, dato che sembrava avere uno spessore. Addirittura certe volte il pokemon riusciva a cogliere dei movimenti. Niente di che, solo piccole vibrazioni, che però andavano via via aumentando d'intensità.
Quella specie di struttura sembrava qualcosa di vivo. Di pulsante, addirittura. Dopo molto tempo passato ad osservarla, Lloyd notò che ondeggiava. Ma il movimento non sembrava casuale. Era simile al ritmico abbassarsi ed alzarsi del petto nel mentre della respirazione. Anzi, un esempio che potesse rendere ancora meglio l'idea era che potesse sembrare come se dall'altra parte ci fosse stato qualcuno intento a spingere per rompere il muro. O peggio, qualcosa.

 

Il passaggio dal mondo dei sogni a quello della realtà non fu indolore. La testa prese a pulsargli, e quando provò a muoversi Lloyd si sentì intorpidito, anche molto più di quanto sarebbe dovuto essere, come quasi se qualcosa lo stesse costringendo a stare in quella posizione. I nervi gli trasmisero tante piccole fitte di acuta sofferenza, che però sopportò a denti stretti.
Il suo cervello non riacquistò in fretta lucidità, tanto che poco dopo il suo tentativo di movimento rischiò di nuovo di cadere nel torpore dell'incoscienza. Però qualche strana forza interiore lo spinse a resistere dal desiderio di ripiombare nel nulla assoluto, e ce la fece a mantenere gli occhi aperti il tempo necessario perché si potesse svegliare del tutto.
Nel mentre, per tenersi concentrato, ripensò al muro del sogno. Le cose che gli erano rimaste più impresse erano due: il suo colore più nero del nero e il suo pulsare. Solo allora il Deino ebbe un brivido di paura. Si rese conto che quando stava sognando non aveva provato nessuna emozione, mentre adesso che ci ripensava non poteva fare a meno di inquietarsi.
Eppure, mescolata all'ansia, il pokemon avvertì un'altra sensazione. Era qualcosa di molto strano, che non aveva nemmeno lontanamente a che fare con la paura. Anzi, al contrario, sembrava trasmettergli una vaga sicurezza. Quasi calore. Un calore che non aveva mai percepito in tutta la sua vita.
Nonostante fosse la prima volta che sognava una cosa del genere, gli sembrava quasi di averla già vista. Non si ricordava dove, ma era sicuro di averla notata da qualche altra parte. "Eppure" pensò "una cosa così difficilmente si dimentica. Dove potrei averla vista?".
Osservò l'ambiente circostante. Si trovava in una stanza completamente buia e all'apparenza stretta. Ma abbastanza larga da contenere cinque pokemon. Lloyd riconobbe quasi immediatamente le sagome dei suoi compagni. Gregory si trovava adagiato alla parete opposta, a un metro e mezzo di distanza da Irving, anche lui nella stessa posizione. Finley e Nellie invece erano accasciati sul pavimento, separati da quasi un metro. Continuò a guardarsi attorno, e notò che la sala non aveva finestre, o che comunque le doveva aver avute solo in passato. L'unica via d'uscita sembrava essere una porta, posta non molto lontano dal Deino.
"Forse posso farcela" si disse, sperando ingenuamente di poter uscire.
Provò ad alzarsi, ma non gli riuscì, a causa dello stesso torpore di poco prima. Oramai non percepiva quasi più le zampe. Deciso a vedere che cosa gli impediva di muoversi, si soffermò a guardare le sue zampe. Non fece fatica a riconoscere i contorni di alcune corde avvinghiate attorno alle caviglie, rispettivamente quelle anteriori e quelle posteriori. Era stato legato. E probabilmente era di nuovo prigioniero.

 

***

 

La musica risuonava forte per le vie della città, come se la struttura piuttosto angusta delle strade potesse in qualche modo amplificarne il suono. Contando anche che il volume di molte strade era stato quasi dimezzato a causa delle bancarelle che l'occupavano, allora in certi punti l'eco rischiava di divenire assordante. Dovunque ci si trovasse era impossibile non ascoltare quelle note possenti e gioiose, ed era altrettanto impossibile non provare almeno un briciolo di eccitazione.
Neville lo sentiva nell'aria, quella sensazione. Attorno a lui la folla era così fitta che a malapena se ne potevano distinguere le singole persone. Gli uomini e le donne sgusciavano da una parte all'altra della strada in continuazione, in un groviglio confusionario ma allo stesso tempo vivace e colorato. Di tanto in tanto qualcuno si fermava ad ammirare qualche bancarella, ma per poco, venendo poi trascinato via dalla foga della calca. Qualcuno provava anche a chiedere aiuto, ma la sua voce veniva soverchiata dal baccano generato da quella moltitudine di persone.
Per non essere preso anch'egli, Neville stringeva forte la mano di suo padre. Dall'alto della sua statura l'uomo continuava imperterrito a guardare fisso davanti a sé, quasi come se la folla tutt'attorno non esistesse e fosse solo un frutto della sua fantasia. Almeno doveva essere così, visto che la sua faccia era oscurata dall'ombra dei folti capelli.
Neville, la manina in quella del padre, rideva. Non sapeva il perché, ma nessun bambino ha bisogno di un perché per ridere. Forse era a causa dell'allegra istillatagli dalla musica, oppure tutto quel gran vociare che l'attorniava, sta di fatto che alternava ad una risata e un'altra uno sguardo al padre. Alla sua faccia, precisamente. Che non riusciva mai a vedere.
- Papà, guarda! - esclamò estasiato Neville, indicando con l'indice del braccio teso davanti a sé.
Erano giunti nella piazza principale della città. Lì si trovava il centro della fiera, ed anche la banda che stava suonando. Neville lanciò un gridolino eccitato, e si precipitò al di sotto del palco sopraelevato dove i componenti dell'orchestra stavano suonando. Erano tutti vestiti con l'uniforme caratteristica delle bande musicali, con tanto di spalliera e lustrine dorate, cappello e piuma bianca. L'abito era di un rosso sgargiante, che risaltava ancora di più sotto il tiepido sole primaverile di quel giorno.
Neville si piazzò al di sotto di un robusto signore intento a suonare un sousafono. Il piccolo lo guardò con un misto di eccitazione e meraviglia, ammirando lo sforzo che stava compiendo per infondere aria in quel possente strumento. Le sue guancie erano infatti gonfie al massimo, e la pelle stava rapidamente diventando viola. Teneva inoltre gli occhi chiusi, e le rughe sulla sua fronte erano più marcate che mai, come a testimoniare l'enorme forza impressa nel soffio.
Quando passò il suo turno, l'uomo staccò le labbra dallo strumento e respirò a grandi boccate. Si mise nel frattempo ad ammirare il piccolo pubblico della banda, e si accorse quasi subito di Neville, dato che il bimbo lo guardava con tanto d'occhi. L'uomo sorrise, compiaciuto di avere un ammiratore, prese dalla tasca una monetina e glie la lanciò. Neville la prese al volo, e tornò a guardare il suonatore. Quello gli sorrise ancora, facendogli l'occhiolino, e riprese a suonare.
Neville si infilò in tasca la monetina e si girò. Si infilò di filata dentro la folla, correndo come un matto da una bancarella all'altra e fermandosi ad ammirare le merci che più attiravano la sua labile attenzione da bambino di quattro anni.
La sera scese in modo fulmineo, e prima che i lampioni sui marciapiedi si potessero accendere era quasi totalmente buio. Le persone della folla cominciarono a sparire a vista d'occhio, anche se gradualmente. Solo la banda musicale restava costantemente al suo posto, continuando a suonare la canzone caratteristica della fiera.
Portobello road... Portobello road...
Neville si guardò intorno, alla ricerca del padre. Si era divertito per tutto il giorno, ma adesso ne aveva abbastanza, e voleva tornare a casa. Ma ovunque volgesse lo sguardo, suo padre non c'era. C'era sempre meno gente, ma le ombre stranamente non facevano che aumentare, segno che quella non doveva essere una normale nottata.
Street where the riches of ages are stowed...
Finalmente lo vide. Suo padre stava al di sotto di un lampione, appena appoggiato alla sua superficie metallica. Neville gli fece un cenno entusiasta con la mano, e cominciò a correre verso di lui. Il padre per tutta risposta si girò, e prese a camminare verso un vicolo buio.
Anything and everything a chap can unload...
Neville correva a più non posso, tanto da fargli sembrare di avere le ali ai piedi. Ma più si sforzava di velocizzare il passo, più il padre si avvicinava all'entrata del vicolo. Finché non la raggiunse, scomparendo nell'oscurità.
Finalmente anche Neville raggiunse il vicolo, e vi entrò a capofitto senza nemmeno pensarci due volte. Corse a perdifiato, finché la luce dei lampioni alle sue spalle non scomparve, lasciandolo quasi completamente al buio. Sbuffi di nebbia si levavano dai tombini chiusi, e tutto aveva assunto una colorazione macabra e tenebrosa.
Is sold off the barrow in Portobello Road...
Neville chiamò a gran voce il padre, invano. Urlò il suo nome molte volte, tanto da fargli bruciare la gola. A interromperlo alla fine fu un guizzo alle sue spalle. Si voltò di scatto, ma non vide nulla. E appena ebbe pensato di esserselo immaginato rieccolo alla sua destra. Si girò, e riuscì a distinguere un'ombra. Cominciò ad avere paura.
Quel carosello sfibrante continuò per un tempo che parve infinito, e l'ombra non faceva altro che avvicinarglisi. Una lacrima scappò dall'occhio di Neville, e alla fine cedette. Si accasciò al suolo, e cominciò a piangere, chiamando a gran voce suo padre.
- Papà! Papà, dove sei? - singhiozzava.
You'll find what you want in the Portobello Road...
L'ombra incombette per un attimo su di lui. Neville aprì gli occhi, guardando in faccia l'orrore che lo perseguitava. E urlò.

 

Fu urlando che si svegliò. Rischiò di cadere dal letto a causa della foga impiegata per risvegliarsi. e si trattenne con le mani al muro per restare fermo dov'era. Prese a respirare a grandi boccate, e guardò la sveglia sul comodino accanto a lui. Erano le cinque del mattino. Gettò un'occhiata alla finestra, e vide che fuori era ancora notte.
Ributtò la testa sul cuscino, cercando di non pensare al sogno appena fatto. Resistette per ben venti secondi, prima che un pensiero cominciasse a premere per essere scandagliato all'interno della sua testa: suo padre. Il padre di cui conservava solo una foto. Il cui fotografo doveva essere stato un completo idiota visto che aveva mosso l'inquadratura all'ultimo secondo, sfocandogli la faccia.
Neville aveva perso il padre quando aveva poco meno di tre anni. Una ferita infettatasi. Inferta da un pokemon, tanto per cambiare. Era successo un pomeriggio di autunno, quando il padre e lo zio erano usciti di casa per andare a caccia di qualcuno di quei mostri allo scopo di fare provviste per l'inverno. Erano ritornati a sera, e lo zio portava suo padre sulle sue spalle, poiché non ce la faceva a camminare. Sua madre aveva subito esaminato la ferita, emettendo un gemito quasi come fosse stata lei a provare quel dolore. Il polpaccio sinistro era stato ridotto completamente a brandelli. E il tutto per mettere qualcosa nel piatto di lì a un paio di mesi.
Suo zio gli amputò la gamba poco sotto il ginocchio, capendo che non era possibile tentare di salvare la parte del corpo ferita. Ma qualcosa andò storto, e la ferita si infettò. L'agonia di suo padre durò per più di due settimane. La gamba andò in cancrena, e un puzzo acre si diffuse per tutta la casa.
Successe una notte, mentre Neville dormiva. Ormai di quei tempi non poteva fare altro, visto che sua madre lo teneva confinato nella sua stanza. Ad ogni domanda sulle condizioni di suo padre, sua madre rispondeva che andava tutto bene e che presto sarebbe guarito. Quanto si sbagliava.
- Omaggio a lei, capitano San Yi!
Quell'urlo svegliò Neville. Gli parve che fosse la voce di suo padre. Assonnato com'era, il bambino non si era chiesto perché il genitore avesse urlato a quel modo, e fece per rimettersi a dormire. Almeno, aveva pensato, era ancora vivo.
Un rumore assordante, come un'esplosione, che durò appena un secondo. Ma bastò a svegliare tutti nella casa. Neville scattò in piedi, leggermente spaventato da tutto quel baccano. Ma la curiosità ebbe il sopravvento, e uscì dalla stanza.
La madre e lo zio di Neville si diressero subito verso la camera di suo padre, con Neville alle calcagna, deciso a scoprire cos'era successo. La madre fu la prima ad aprire la porta, e si lasciò scappare un urlo. Lo zio, prevedendo cosa doveva essere successo, impedì a Neville di entrare. Il bimbo però riuscì a sbirciare al di là del parente, e riuscì a vedere sua madre china su qualcosa.
Il giorno dopo seppellirono suo padre. Neville non si lasciò scappare nemmeno una lacrima. Pensava che gli stessero giocando qualche brutto scherzo. Aveva sentito la voce del padre appena qualche ora prima, era impossibile che fosse morto. Ad un certo punto si rifiutò di stare ancora con i suoi parenti stravolti dal dolore, e si ritirò in camera sua, mettendo il broncio.
Ci vollero due settimane perché qualcuno si decidesse a parlargli. Fu suo zio a venire da lui. Senza dire una parola lo prese e lo portò di peso in salotto, lasciandolo solo con la madre. Neville l'aveva guardata, e aveva stentato a riconoscerla. Le rughe si erano inspessite, aveva acquisito due grandi occhiaie e la luminosità negli occhi era diminuita. L'aveva abbracciato, ed erano rimasti così per minuti interi, forse anche per un'ora, in silenzio. Si erano riappacificati così.
Suo zio gli spiegò cos'era successo solo una decina d'anni dopo, quando lo ritenne pronto per affrontare la dura verità. Suo padre non era morto dissanguato, come gli era stato detto, ma si era suicidato. Si era sparato in testa, per la precisione. Probabilmente non riusciva più a sopportare il dolore causatogli dalla ferita, e aveva preferito la beatitudine della morte ai tormenti terreni.
Neville non era rimasto sorpreso dalla spiegazione, se l'era immaginato. Aveva reagito con un'alzata di spalle, dicendo un laconico "potevate dirmelo prima". Quella fu l'ultima volta che disse qualcosa ai suoi parenti. Il giorno dopo era uscito per tutto il giorno, andando a vedere se le trappole piazzate avessero catturato qualche preda. Stava guardando sconsolato l'ennesima trappola vuota, quando sentì il fragore.

Corse a più non posso verso casa sua, ma arrivò troppo tardi. Dove un tempo c'era una villetta vecchia di quattro secoli, adesso c'erano soltanto macerie fumanti. E orme di pokemon, dappertutto. Ma non era quello che gli premeva maggiormente, in quel frangente.
Si era messo immediatamente a scavare con le mani tra le macerie, cercando i parenti. Dopo molto tempo venne a contatto con qualcosa di estremamente freddo. Cerco di tirarlo fuori, e dai calcinacci spuntò una mano. La mano di sua madre.
Neville la scosse più e più volte, ma non dava segno di vita. Doveva essere stata schacciata dal crollo, e il ragazzo aveva sperato che fosse morta sul colpo, e non per mancanza d'aria al di sotto delle rovine. E fu allora che, alzando lo sguardo, lo vide.
Inchiodato ad un albero non molto lontano, c'era suo zio. Neville vi si recò immediatamente, e quello che vide lo fece quasi svenire. Il suo corpo era stato crivellato, di colpi, ed era stato inchiodato per le braccia al tronco dell'albero con due grandi frammenti ossei. Dal collo gli pendeva un cartello, che recava una scritta in lingua Unown.
Neville aveva riconosciuto subito quella scritta, poiché la lingua dei pokemon era quasi uguale a quella umana. "Gli umani adesso sono morti. Tutti!" diceva. Neville si era accasciato a terra, in preda alla disperazione. In un solo giorno aveva perso quel che rimaneva della sua famiglia.
Solo dopo molto tempo si calmò. Ma fu per poco. Neville aveva stretto i pugni, e aveva guardato in basso. Adesso che la disperazione era scomparsa, stava arrivando qualcos'altro. Un'emozione che Neville non aveva mai provato prima di allora.
Una furia cieca lo pervase, una furia che lo spinse a cercare immediata vendetta. Seguì le tracce dei pokemon, ed arrivò verso tarda sera ad un piccolo paese di campagna abbandonato. Da un edificio più grosso degli altri proveniva un gran baccano, e Neville vi aveva sbirciato attraverso una finestra.
Dentro vi erano, attorno ad un fuoco, cinque pokemon. Neville non aveva saputo riconoscere le specie, non che gli importasse. Emettevano in continuazione versi dal tono ilare, quasi come se stessero facendo dell'umorismo su quanto accaduto quel giorno. E Neville non fece altro che infuriarsi sempre di più.
Aspettò pazientemente che si addormentassero, e una volta che fu sicuro di ciò si addentrò nell'edificio. Estrasse il suo coltellino, e si mise al lavoro. Squarciò la gola a quattro di quei mostri in men che non si dica, e quelli morirono senza quasi accorgersene. L'unico che ebbe una reazione fu l'ultimo, quello che aveva riso più di tutti quella sera.
Era una specie di drago blu dalla testa rossa, pieno di spunzoni altrettanto rossi e squamosi sul resto del corpo. Appena Neville gli ebbe poggiato la fredda lama del coltello sulla gola, quello si svegliò. Ma Neville fu più rapido, e gli mise una mano sulla bocca. Si soffermò per un attimo sui suoi occhi sgranati, e se ne compiacque. Poi affondò la lama.
Si mise in seguito a rovistare nelle borse che si portavano appresso. Non trovò nulla di utile, solo del denaro. Prese in mano una moneta, e la osservò. Da una parte era stato inciso un numero uno stilizzato, mentre dall'altra erano impresse un'ala, una zampa dall'aspetto felino, una zampa artigliata e una mano umanoide l'una sopra l'altra. Neville gettò via con disprezzo quella moneta. Non sapeva che farsene.
Da quel momento cominciò a vivere da solo, nascondendosi da una città all'altra. Aveva vissuto così per quasi trent'anni, fin quando non aveva sentito di doversi fermare. Senza volerlo era tornato alla sua casa natale, e si soffermò sulle macerie. Le intemperie avevano scoperto molte cose all'apparenza andate perdute nella distruzione della casa, fra le quali Neville trovò una foto. La stessa che conservava ancora.
Essa ritraeva suo padre e suo zio in piedi, dando le spalle ad un piccolo edificio. A quel punto Neville si ricordò di quella casa. Aggirò subito le montagne vicine, e salendo di quota la trovò. Suo padre e suo zio la usavano come deposito per le carni, ma Neville fece presto a riconvertirla in abitazione, come in fondo doveva essere stata molto tempo prima. Da allora aveva sempre vissuto lì, senza spostarsi mai più. Almeno fino a qualche mese prima.

 

Per quanto ci provasse, Neville non riuscì a prendere sonno. Ripensare al suo passato non gli aveva fatto bene. Si rigirava in continuazione tra le coperte, senza mai riuscire ad addormentarsi.
Verso le sei e mezzo, quando cominciò ad albeggiare, si decise ad alzarsi. Guardò fuori dalla finestra, e il suo sguardo si soffermò sul bosco. Doveva togliere quelle maledette trappole di lì, a qualsiasi costo. Gli avevano già procurato più danno che altro, quelle cose, e non aveva intenzione che qualcos'altro andasse storto.
Si armò di pala e vestiti pesanti e uscì. Mentre si dirigeva verso la foresta, prese a ripensare a quelle maledette trappole. Erano state piazzate lì oltre quarant'anni prima da suo zio, dopo che suo padre era morto. Da allora sua madre non aveva più voluto mandare nessuno a caccia, e suo zio era ripiegato su questa soluzione. E pensare che Neville era proprio andato a controllare quelle trappole quel giorno che cambiò la sua vita.
Da allora aveva smesso di mangiare la carne di pokemon. Aveva giurato, sui cadaveri di quelli che aveva ucciso, che non si sarebbe mai più abbassato ad una cosa del genere. E per anni aveva tirato avanti a frutta e verdura mista a dosi massicce di integratori, che l'avevano sì tenuto in vita indebolendogli però il fisico. E le trappole erano rimaste lì ad arrugginire, fino al giorno prima almeno.
Dopo una mezzoretta buona di cammino arrivò al limitare degli alberi, ed entrò cauto nel bosco. Passò accanto alle trappole in cui erano incappati i mostri suoi prigionieri il giorno prima, e si guardò con circospezione attorno, alla ricerca di qualcun'altro di quei marchingegni.
Dopo quella mattinata di lavoro Neville guardò il proprio operato. Aveva perlustrato una buona parte della boscaglia, trovando sì en no una quindicina di trappole, che aveva provveduto a gettare dentro una buca scavata poco prima. Ricoprì la buca di terra, e se ne tornò a casa.
Ne aveva avuto abbastanza delle trappole, e non avrebbe permesso che stessero ancora lì a testimoniare le vestigia di un passato ormai quasi del tutto dimenticato. Anche per Neville i giorni stavano finendo, e non intendeva certo lasciare che l'unico ricordo di lui fossero quegli stupidi ammassi di corde e metallo.
"Per questo quello è il mio libro preferito" pensò, entrando in casa.

Note dell'autore
E rieccomi, dopo quasi un mese di inattività (non è vero visto che ho fatto la superoneshotdellavita) con il nono capitolo di "I am legend". Pensavate che fossi morto eh? Non vi libererete di me così facilmente.
Ecco, da qui le cose cominciano a farsi interessanti. Non potete immaginare il piacere che ho provato a riprendere possesso dei personaggi di Lloyd e Neville (soprattutto del secondo, che ho finalmente approfondito a dovere, anche se le sorprese non sono ancora finite) dopo che erano rimasti rinchiusi per un mese dentro una certella.
Oramai posso dire - sono sicuro di averlo già accennato - che ci troviamo quasi a metà della storia. E ringrazio tutti i recensori e i lettori che la seguono assiduamente. Vi ringrazio soprattutto per la fede che non è venuta meno nonostante l'assenza.
Ah, il sousafono sarebbe un sassofono gigante.
A presto,
A_e

Ormai quei tre caratteri sono un marchio di fabbrica.
  
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