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Autore: A lexie s    24/11/2014    2 recensioni
Chi non conosce il Titanic?! E' una delle mie grandi passioni, non solo in termini filmistici.
Non ci troviamo sulla Jolly Roger, bensì sull'imponente piroscafo affondato nel 1912, ma sempre di una nave si tratta.
Le vicende seguono, più o meno, quelle del film (dico più o meno perché ovviamente ci saranno delle novità).
Dal capitolo: Erano trascorsi settantotto anni ed Emma poteva rivederlo nella propria mente, ogni ricordo era nitido come se davvero si trovasse lì. La consistenza della ringhiera fredda e bagnata dalla rugiada, l’odore di vernice fresca e il rumore del mare. Il Titanic era considerato la nave dei sogni e lo era, lo era davvero.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titanic

Capitolo 8

Azzurro.
Tutto quello che Emma riusciva a vedere era l’azzurro degli occhi di Killian che la guardavano preoccupati. Nulla in confronto al nero che s’intravedeva ormai fuori da quell’oblò, l’acqua ai loro piedi continuava a crescere rapidamente mentre lei non riusciva a vedere nulla se non l’azzurro.
Si concentrò su quelli, rimase a fissarli a lungo e cercò se stessa in quel riflesso, lui la guardava senza dire nulla con il desiderio pungente di far scorrere le dita tra quei capelli d’oro.
“Mi dispiace, mi dispiace tanto” mormorò la bionda, adagiando la fronte su quella del ragazzo. Lui sorrise, chinando il capo ed indicando le manette, “lo so, ma adesso dobbiamo andare via da qui” asserì tranquillo. Paradossalmente la sua espressione era rilassata e non tradiva la paura che invece provava, che entrambi provavano. Lo faceva per lei, non voleva che si agitasse ancora di più, doveva rimanere concentrata ed aveva bisogno che restasse lucida qualora lui non fosse riuscito a liberarsi dalle manette perché a quel punto avrebbe dovuto proseguire da sola e lasciarlo lì.
Emma annuì con vigore, facendo scorrere le dita sul metallo stranamente caldo, ormai la sua temperatura era così bassa che cominciava a sentire i piedi intorpiditi e formicolanti, “come posso fare?”
“Vedi quell’armadietto” indicò sul lato opposto della stanza un mobiletto color ciliegio. Emma fece cenno di si ed andò ad aprirlo, rimase sconvolta dalla quantità di chiavi che facevano capolino lì dentro, insomma a che diavolo dovevano servire e cosa mai potevano aprire? Scacciò velocemente quei pensieri dalla sua testa e si voltò verso Killian.
“Ci dovrebbe essere una piccola chiave d’argento.”
Una chiave d’argento, una chiave d’argento.. Cominciò a frugare in quell’ammasso indistinto di chiavi ma non vi era nessuna chiave d’argento, soltanto chiavi in ottone di tutte le dimensioni e forme. “Dove sei maledetta chiave?” Mormorò a se stessa, mentre continuava a rigirarsele tra le mani, gli occhi vagavano per tutto il mobile. Cercò di accertarsi che non fosse caduta a terra, ma con tutta quell’acqua non era di certo un’impresa semplice.
“Non c’è nessuna chiave d’argento, solo maledetto ottone” proruppe voltandosi, il viso provato da quella consapevolezza ed il panico che in cuor suo continuava a crescere.
Gli occhi di Emma erano sinceri, forse enigmatici, ma sinceri. Chi sapeva guardare riusciva a scorgere di tutto in quelle pozze verdi, tutto l’ardore e l’intensità che nascondeva dentro di sé, mentre altri non potevano decifrare nulla della complessità della ragazza. Killian vi aveva letto sempre mille sfumature del suo carattere, fin dalla prima volta in cui si erano incontrati, o meglio, fin dalla prima volta che l’aveva vista su quel ponte. In quel momento aveva capito che voleva immergersi in lei, anche se non aveva diritto di farlo, anche se non avrebbe dovuto portare caos nella sua vita.
“Okay Emma, stai tranquilla, forse dovresti solo.. Andare” sussurrò piano, gli occhi che non riuscivano a sostenere il verde limpido e spaventato di lei.
“No, che stai dicendo? Stai scherzando? Io non ti lascio.” Urlò, gettando tutte quelle chiavi in acqua e spostando pezzi di mobili che galleggiavano vicino a lei.
Corse da lui, nonostante i movimenti le risultassero complicati, gli accarezzò il viso, stringendolo nella morsa delle sue mani e si avvicinò nuovamente per inchiodarlo con lo sguardo, “io non ti lascio” mormorò piano stavolta.
Killian annuì, un ciuffo nero gli ricadde davanti agli occhi e lei con i polpastrelli lo scostò piano, poi si tirò indietro perché se volevano uscirne vivi doveva in primo luogo trovare un modo per liberarlo.
“Vado a cercare aiuto” sostenne convinta, “tornerò tra poco” gli intimò a bassa voce, mentre si avviava verso la porta.
“Non mi muoverò da qui” scherzò lui, conquistandosi uno sguardo di disapprovazione e poi un sorrisino.
Quanto doveva essere stupido per riuscire a scherzare in un momento simile? No, non lo era. Aveva imparato che nella vita bisognava godere dei momenti, attimi di felicità e lui li aveva vissuti. Dio, se li aveva vissuti.
Si era aggrappato a loro con così tanta forza da poterne sentire l’odore e il sapore sulla lingua. Aveva vissuto momenti che non sognava nemmeno di poter avere, veri attimi di paradiso sulla terra ed ora la vita veniva a riscuotere, maledetta legge del contrappasso.
Sentiva le urla di Emma che chiedeva aiuto, consapevole che non ne avrebbe trovato perché non c’era più nessuno in quel luogo della nave, tutti erano ormai scappati per mettersi in salvo.
Continuava a sentire le sue urla, ma nella sua mente la scena era differente. C’erano loro nudi e stretti in un abbraccio caldo, confortante e amorevole. Un abbraccio quasi bruciante, profondo e forte. Le urla di Emma si trasformarono in parole sussurrate al suo orecchio e la paura si trasformò in benessere. Pensò a quanto sarebbe stato bello poter godere ancora di quei momenti e di altri che ancora dovevano vivere, lei poteva e doveva andare, mentre lui rimaneva lì. Magari davvero il mare prende tanto quanto dona, aveva passato la sua vita nel mare, tutti i suoi ricordi d’infanzia erano legati a gite che faceva con i genitori grazie alla Jolly Roger. Suo padre era così fiero di quel peschereccio e dell’attività che aveva creato dal nulla per sfamare la sua famiglia, poi il mare aveva deciso che era abbastanza ed aveva portato via sua madre. La stessa cosa era successa con Emma, il mare gli aveva concesso di prenderla, di amarla e adesso non gli permetteva di vivere con lei.
“Questa può andar bene?” La ragazza tornò nella stanza con una grande ascia, cercando di trascinare quel peso ingombrante si avvicinò a lui interrompendo i suoi pensieri ormai divaganti.
Gli occhi di Killian si aprirono di scatto, l’azzurro si fece più scuro mentre focalizzava l’attenzione sull’oggetto che la sua Emma teneva nelle mani, inghiottì piano il nodo che gli era salito alla gola ed i suoi occhi si fecero vacui per un attimo mentre immaginava la scena che di lì a poco gli si sarebbe parata davanti.
“Possiamo provarci” mormorò, cercando di distanziare le mani il più possibile mentre la ragazza si accingeva a portare indietro l’oggetto, “aspetta, non è che ti sei fissata con l’idea di Capitan Uncino e vuoi tagliarmi una mano vero?” La schernì ridendo, cercando di farla rilassare. Dopo tutto lui si fidava di lei, ed aveva bisogno che lei si fidasse di se stessa.
“Killian, ti sembra il momento di scherzare?” Lo ammonì bonariamente, mentre cercava di distanziare le gambe per acquisire maggiore stabilità.
“Aspetta” fece di nuovo lui, l’espressione di Emma mutò nuovamente assumendo un’aria interrogativa, il suo sguardo si acuì in cerca della nuova spiegazione per quell’interruzione, “prova prima lì” spiegò lui, indicando il mobile in cui precedentemente aveva cercato la chiave.
La ragazza si avviò e riprese posizione di fronte a quello mentre lui le impartiva diverse istruzioni – distanzia le gambe, metti una mano vicino al margine, focalizza e colpisci con sicurezza due volte – ed Emma fece così, colpendo però due direzioni opposte ed agitandosi maggiormente per non essere riuscita ad avvicinarsi al primo colpo.
“Okay, Emma.”
“Okay? Ho colpito due parti opposte” fece lei agitata, l’ascia era decisamente pesante per lei nonostante la donna avesse un corpo tonico.
“Io mi fido di te, vieni e prova qui direttamente.” Allargò nuovamente le mani per invitarla a farsi avanti e così fece.
Tirò l’oggetto indietro e seguì nuovamente le sue indicazioni, bastava un colpo forte e deciso. Focalizzò il punto in cui l’ascia doveva colpire e distanziò un po’ le mani prima di fare un respiro profondo ed agire.
Un tonfo breve e profondo risuonò nelle orecchie di entrambi. Killian abbassò lo sguardo sulle sue mani ed Emma fece lo stesso, c’era riuscita, si sentì orgogliosa e soddisfatta mentre le braccia del ragazzo l’avvolgevano in un abbraccio disperato e le sue labbra la ringraziavano con ardore.  
“Grazie” gemette piano sulle labbra della ragazza, mentre il respiro di lei usciva a rantoli.
Si staccarono poco dopo per avviarsi verso la porta e cercare un modo per salire al piano superiore.
I corridoi sembravano tutti uguali, l’acqua ormai raggiungeva i busti dei due ragazzi mentre camminavano continuando a tenersi per mano. Ripercorsero la strada a ritroso, il corridoio riservato all’equipaggio fino a giungere all’ascensore che Emma aveva usato per scendere.
“Dobbiamo trovare le scale, vieni.” Disse Killian, sospingendola lungo la parte opposta. La ragazza si lasciò trascinare fino a quando sentì il pianto di un bambino, rivolse uno sguardo preoccupato a Killian e gli lasciò la mano.
“Non possiamo lasciarlo qui.” Era buona la sua Emma, lei pensava sempre agli altri prima che a se stessa. Il ragazzo si guardò intorno per qualche secondo, scorse l’immagine del bambino nascosto dietro una porta semichiusa.
“Okay, vado a prenderlo. Rimani qui.” La implorò con lo sguardo, mentre correva verso quella porta, verso quel bambino. La ritrovò alle sue spalle qualche secondo dopo, incurante delle parole che le aveva rivolto, “non fai mai come ti dico” alzò gli occhi al cielo e si passò una mano sui capelli bagnandoli.
Afferrò il bambino da sotto le ascelle e se lo caricò addosso, seguendo Emma per tornare a cercare le scale. Un uomo uscì come una furia da dietro l’angolo, avviandosi verso i due ragazzi e sottraendo il bambino dalle braccia di Killian in malo modo. “Volevamo soltanto aiutare” mormorò quello, lasciando andare il bimbo a quello che probabilmente era suo padre, ma l’uomo non capiva una sola parola, spintonò Killian e si avviò verso la fine del corridoio.
“Sta andando dalla parte sbagliata” fece Emma, in procinto di seguirlo, ma quello non ne volle sapere di tornare indietro.
“Emma, lascialo andare, non possiamo fermarlo” le afferrò una mano e la inchiodò con lo sguardo, “dobbiamo andare” sussurrò di nuovo, aumentando la stretta.
“Okay, andiamo.” La ragazza annuì e si avviarono nuovamente, svoltarono l’angolo per trovarsi di fronte ad un altro corridoio. Non era facile trovare la strada giusta, ma dopo aver svoltato un paio di volte riuscirono a trovare le scale, salirono velocemente, l’acqua per fortuna non aveva ancora raggiunto il piano superiore.
Una porta in ferro però non gli permetteva di proseguire, Killian cominciò a scuotere le sbarre sperando che cedessero ma risultò tutto inutile.
“Aspetta” disse Emma, togliendosi un fermaglio dai capelli e rompendone le punta. La inserì nella fessura, “solo questione di leve” mormorò, armeggiando un po’ con gli ingranaggi fino a quando udì un click e la porta si aprì.
“Come ci sei riuscita?” Chiese stupito, mentre spalancavano le sbarre e si accingevano a salire di sopra.
“Mio padre mi ha insegnato che è solo questione di leve.” Sorrise lei.
“Mi stupisce sempre di più, signorina Swan” asserì sorridendo mentre continuavano a salire.
Nonostante avessero i vestiti bagnati, riuscivano a muoversi con più fluidità senza tutta quell’acqua che li circondava. In pochi minuti si ritrovarono al piano superiore, ma anche lì le porte erano bloccate ed una folla di gente continuava a scuoterle per cercare di uscire.
“Permetteteci di metterci in salvo” le urla spaventate arrivarono ben presto alle orecchie dei due ragazzi che si accinsero a chiedere spiegazioni. Tra la folla trovarono anche i loro amici, Filippo corse verso Killian abbracciandolo e lo stesso fece Robin, mentre Emma si avvicinava a Regina stringendole le mani tra le sue.
“Che succede?” Chiese, indicando la folla che continuava ad inveire contro i membri dell’equipaggio che si trovavano dalla parte opposta.
“Non ci lasciano passare” rispose Robin per lei, la sua voce salì di parecchi toni mentre riusciva a malapena a trattenere la collera.
Killian si fece spazio tra gli uomini per avvicinarsi alle grate, “lasciateci uscire” urlò.
“Sono state avviate le procedure di salvataggio, uscirete quando toccherà a voi.” Concluse uno, sfidandoli con sguardo di sufficienza.
“Robin, Filippo datemi una mano” fece cenno verso una panchina che si trovava lì vicino ed aiutati da altri uomini riuscirono a sollevarla ed a sbatterla contro quelle grate, un primo colpo e non successe nulla mentre gli uomini continuavano ad urlargli di fermarsi. Al secondo colpo, la porta cedette e la folla si accalcò per uscire, “Emma” gridò Killian prendendole la mano per non perderla, le cinse un fianco con il braccio mentre la conduceva al piano superiore.
 
 
 
Quando Neal Cassidy aveva messo piede sul Titanic non avrebbe mai pensato che le cose sarebbero potute andare in quel modo. Del resto, gli capitava spesso di sentirsi così.
Sembrava un uomo distinto, austero, un maniaco del controllo, ma in realtà non aveva mai controllato nulla della sua vita piuttosto si era sempre lasciato trasportare dagli eventi.
Era stato un bambino allegro, aveva trascorso una bella infanzia fino all’età di undici anni quando tutto era cambiato. Non gli mancava nulla, continuava a vivere nel lusso, ma non era più la stessa cosa.
Sua madre era scappata di casa, stanca, e l’aveva lasciato lì, non aveva deciso di portarlo con lei o di andarlo a trovare, era semplicemente andata via lasciandoselo alle spalle, come se non fosse mai esistito.
Il padre, invece, era sempre via. Si spostava da un luogo all’altro, intraprendendo viaggi lunghissimi che lo tenevano lontano per mesi interi, soltanto per soddisfare la sua sete di potere ed il piccolo Neal era affidato alle cure di due balie. E se materialmente non gli mancava nulla, c’era qualcosa che non poteva ottenere con il denaro ma continuava a bramare con tutte le sue forze. L’affetto.
Questo l’aveva reso duro, ambizioso e molto somigliante a suo padre. Si era ripromesso di non commettere quell’errore, si era ripromesso di trattare Emma diversamente da come suo padre trattava la madre. Non voleva che lei fosse un oggetto e alla fine, invece, aveva fatto l’esatto contrario.
Continuava a riflettere sui suoi errori mentre intorno a lui si era scatenato il caos totale. Gente che correva da ogni parte, ufficiali che cercavano di mantenere ordine servendosi perfino delle armi, quegli sciocchi musicisti che si ostinavano a suonare nonostante nessuno li ascoltasse. Un po’ più lontano scorse un prete intento a benedire le anime dei fedeli accerchiati intorno a lui, così colpito da un’improvvisa voglia di redimersi per gli sbagli commessi si avviò verso di lui.
Cominciò a camminare quando qualcosa, o meglio qualcuno, alle sue spalle attirò la sua attenzione. Tutti i suoi buoni propositi andarono in fumo nell’esatto momento in cui una chioma bionda fece capolino dalla parte opposta.
“Emma” un unico urlo.
 

 
“Maledizione Neal” imprecò la ragazza tra i denti, mentre la sua mano si stringeva di più a quella di Killian. Il passo era sicuro e deciso, non tradiva l’agitazione che le cresceva dentro.
Il vento freddo della notte la colpì velocemente, ed i vestiti bagnati le si attaccarono addosso provocandole dei brividi.
“Vieni qui” disse Killian, passando il braccio attorno alle sue spalle e sfregandole per darle un minimo sollievo, anche lui era fradicio ed aveva freddo, ma stare vicino a lei riusciva sempre in qualche modo a riscaldargli il cuore.
“Forse dovremmo andare dall’altra parte” propose, scorgendo un gruppo di persone che si era radunato vicino ad una scialuppa.
“Non possiamo evitarlo per sempre, anche perché se non te ne fossi accorta presto ci ritroveremo tutti in delle piccole e anguste scialuppe” fece una faccia fintamente sconvolta, provocando le risa della bionda.
“Chi ha detto che debba trovarsi nella nostra?” Domandò lei, soltanto pochi passi la dividevano ormai da quello che era il suo ex fidanzato.
“Il fatto che quella” indicò una scialuppa ai margini del ponte, “è l’unica scialuppa vuota rimasta e spero proprio di salirci” concluse, scuotendo le spalle.
Le altre scialuppe erano già in mare, la maggior parte delle quali anche mezze vuote. Non sapevano quanto peso potessero sopportare e questo aveva comportato l’incapacità di riempirle a sufficienza. Il mare era buio come il cielo, le luci cominciavano a spegnersi man mano che l’acqua raggiungeva i generatori di corrente e presto si sarebbero ritrovati nel buio totale. La gente continuava a correre disperata alla ricerca di qualsiasi cosa a cui appigliarsi prima che la nave cominciasse ad inclinarsi definitivamente. Emma continuava a stringersi nell’abbraccio di Killian e stava bene, si appigliava a lui, si ancorava al suo busto e stava bene.
“Emma, sei fradicia, metti questo” fece Neal, una volta avvicinatosi alla ragazza. Si tolse il lungo cappotto nero e lo passò dietro di lei, Killian lo scostò malamente ed aiutò la ragazza ad indossare il cappotto. Del resto, desiderava solo che stesse bene e al caldo, quindi era disposto ad accettare che questo fosse merito di Neal e non suo.
“Ho promesso a tua madre che ti avrei fatta salire su una scialuppa” continuò l’uomo, i capelli corvini gli ricaddero davanti e con un colpo di mano tornò a metterli a posto mentre si girava indicando una scialuppa.
“Io non vado senza di te” asserì Emma, girandosi verso Killian ed avvicinandosi di più al suo fianco.
“C’è una scialuppa per me e per il signor Jones dall’altra parte, ho dato dei soldi ad un ufficiale quindi staremo bene.. Tu però devi salire in questa” mentì Neal con un finto sorriso benevolo stampato in faccia. Killian lo capì subito, nonostante non conoscesse l’uomo da molto riuscì a cogliere dello scherno nella sua espressione, ma voleva soltanto che Emma si mettesse in salvo e se questo voleva dire accordarsi con quell’uomo lo avrebbe fatto. Avrebbe fatto di tutto per lei.
“Si, amore. Vedrai, staremo bene” sorrise, sistemandole una ciocca di capelli e sospingendola verso la scialuppa seguito a ruota da Cassidy.
La ragazza si lasciò trascinare, tuttavia qualcosa dentro le suggeriva che non avrebbe dovuto fidarsi delle parole di Neal. Killian le cinse i fianchi con il braccio e si avvicinò al suo volto piano mentre Neal si voltava disgustato, forse ferito, da quella visione.
“Andrà tutto bene. Sali in questa scialuppa, per favore, ho bisogno di saperti al sicuro.” Poggiò la sua fronte contro quella di lei e sfregò piano i loro nasi freddi, una carezza lenta e leggera. L’aria condensata che usciva dalla sua bocca le riscaldava le guance offrendogli una sensazione di tepore che non avrebbe voluto lasciare.
“Ti prego, Emma.” Continuò il ragazzo, mentre le mani si spostarono automaticamente sul suo viso per stringerlo piano, le labbra di entrambi si avvicinarono spontaneamente, e quando finalmente si toccarono Emma sentì un calore invadergli il corpo, mille piccoli brividi percorsero le sue terminazioni nervose e, stavolta, non per il freddo.
Killian abbandonò il suo viso, mentre una mano si spostava dietro la testa della ragazza per spingerla maggiormente verso di lui. Le loro lingue si trovarono poco dopo, intrecciandosi per poi fuggire via, per poi ritrovarsi nuovamente insieme.
“Dovete continuare per molto?” Gracchiò Cassidy, la sua voce era scura, cupa e arrabbiata ed interruppe il momento dei due ragazzi.
Emma sospirò staccandosi piano ed aprendo gli occhi per incatenarli a quelli di Killian. Lui annuì, dicendole silenziosamente tutto quello che lei avrebbe voluto sentirsi dire. Andrà tutto bene, staremo bene, ci ritroveremo.
“Adesso vai, per favore” mormorò poi, e lei lo fece davvero. Lo guardò, il suo cuore si spezzò per l’incertezza, ma poi fece per una volta ciò che lui le aveva chiesto.
Salì sulla scialuppa e dopo pochi minuti avviarono le procedure per calarla in mare. Man mano che Emma si abbassava, continuava a mantenere lo sguardo alto per non abbandonare il suo che la osservava dolcemente. Un po’ di centimetri ancora e un pensiero balenò nella sua mente. Frasi sconnesse del loro primo incontro, sembravano passati anni ed invece erano trascorsi appena pochi giorni.
Le condizioni erano poco felici così come in quel momento, una sensazione di mancanza le invase il petto mozzandole il respiro e sentì un’enorme voragine aprirsi nel suo stomaco. La sensazione di vuoto che aveva provato prima di incontrarlo e che non aveva più sentito dopo, minacciava di invaderla nuovamente mentre gli occhi cominciavano ad appannarsi piano e le sue parole continuavano a frullarle nella testa.
“Mi chiamo Killian Jones”- “Mi ascolti, io non la lascerò andare.”- “Avrei voluto farlo diversamente”. Ed ancora, altre parole, il suo sorriso mentre si presentava, l’espressione spaventata ma decisa mentre cercava di tirarla su per non lasciarla precipitare.
“E’ stato un piacere, amore!” - “Preferisco misterioso, tesoro” - “Veramente, ho pensato cosa potesse essere capitato per spingere una ragazza a compiere un simile gesto, ma nulla riguardo alla ragazzina ricca.. Andiamo io non penso che tu sia felice.” Era riuscito a capirla fin dalla loro prima discussione, era riuscito a conquistarla con quei modi sfacciati che nascondevano una facciata completamente diversa, pulita, dolce, bella.
Le tante espressioni che le aveva donato in quei giorni si susseguivano rapidamente nella sua mente.
“Lasciati semplicemente andare e smetti di pensare” - “Vorrei non doverti lasciare andare” , e poi ancora la scena cambiò nuovamente, e c’erano solo loro, una camera, dei sospiri e delle parole sussurrate.
“Stai con me, Emma” -  “Mi rendi così felice”.
“Anche tu, anche tu” mormorò nella sua testa, poi i suoi occhi si aprirono di scatto e la dolcezza di quella visione, lasciò il posto alla dura realtà. La realtà era che lei non poteva farlo, non poteva lasciarsi scivolare giù mentre lui continuava a rischiare tutto per lei. Si alzò in piedi e saltò dalla scialuppa, aggrappandosi alla grata della nave. Qualcuno l’aiuto afferrandola da sotto le ascelle per evitare che cadesse in mare e per aiutarla a scavalcare la ringhiera.
“No, Emma” gridò Killian, il panico si diffuse nella sua voce mentre cominciò a correre per recarsi al piano inferiore seguito da Cassidy.
Corse, ma d’altronde correvano tutti, quindi questo non suscitò una particolare sorpresa. Attraversò le porte e scese velocemente le scale in legno per raggiungerla. La vide poco dopo che gli correva incontro, nonostante l’acqua le avesse superato le caviglie, ed un qualcosa si sciolse nel suo stomaco regalandogli un istantaneo sollievo.
“Emma, stai bene?” Gridò, prima di lanciarsi su di lei.
I loro corpi si scontrarono in modo deciso ma dolce. Lui passò una mano dietro la sua schiena e l’ancorò a sé, mentre buttava la testa sulla sua spalle per perdersi tra i suoi capelli.
“Non potevo lasciarti, non potevo farlo” si scusò la ragazza, non sciogliendo la presa dal suo corpo. Killian annuì piano, lasciandole un bacio umido sulla spalla e poi si tirò indietro per guardarla.
“Va bene, troveremo un modo… Insieme” concluse prima di avventarsi sulle sue labbra. Era affamato, letteralmente affamato di lei, bramava quel contatto così intensamente da non riuscire a staccarsi. I gemiti di Emma riempirono lo spazio intorno a loro e le sue mani afferrarono qualche ciocca dei suoi capelli neri, stringendoli disperatamente. Si staccarono per riprendere fiato, giusto in tempo per permettere ad Emma di scorgere Neal alle sue spalle sull’ultimo gradino affiancato da Jefferson.
Lo sguardo dell’uomo passò dal doloroso all’ironico per poi diventare furioso. Afferrò la pistola che si trovava nella fondina del suo dipendente e la puntò verso i due ragazzi.
La bionda scosse Killian in malo modo, il ragazzo si ridestò preoccupato e gettò un’occhiata alle loro spalle sentendo il tonfo sordo del proiettile nell’acqua accanto ai loro piedi.
Si presero per mano e scesero ancora più giù, mentre l’uomo continuava ad inseguirli e a sparare colpendo il legno del passamano, una colonna lì accanto, poi si fermò di colpo ma loro proseguirono senza guardarsi indietro.
“Che sto facendo?” Sussurrò, prendendosi la testa tra le mani. Era disperato, questo non era lui, non era l’uomo che voleva. Chi diavolo era diventato?
Lasciò cadere la pistola nell’acqua e si voltò per tornare al piano superiore. Jefferson l’aveva già raggiunto, salì con lui ma rimase in silenzio fino a quando la risata di Neal squarciò la quiete intorno a loro, e lui non resistette dal chiedere spiegazioni.
“E’ così divertente” proruppe, continuando a ridere. “Avevo conservato il gioiello nel cappotto, ed il cappotto l’ho dato a lei” gridò poi.
Poi rassegnato si attaccò al corrimano, come se quello potesse sostenerlo dallo sprofondare verso il basso e salì le scale mestamente.
“Dobbiamo trovare un modo per metterci in salvo” affermò Jefferson, esortandolo ad andare più veloce.
“Tranquillo, i soldi comprano tutto, anche un posto su una maledetta scialuppa.”
“Allora è meglio sbrigarsi, ne erano rimaste solo due” ed entrambi si avviarono rapidi verso le scale principali.
 
 
 
 
 
 
 
  
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