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Autore: Dregova Tencligno    24/11/2014    0 recensioni
Sono la figlia di una strega, sono dotata di poteri che in molti non riuscirebbero nemmeno a immaginare. Vivo ricordi che non sono i miei ma sono gli unici indizi che ho per capire la mia natura. Sono stata una figlia, un’oggetto, un'anima, un fantasma. Se i nomi definiscono chi siamo sono stata Pulce, Piccola, Emma, Custode, Amore… Ma solo ad un nome, che ho perso molti anni fa, posso rispondere con certezza… nessuno me lo potrà togliere perché con quello sono morta e sono rinata.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Monte del Sacrificio si staglia davanti a me. Cerberus non mi ha seguita, si è fermato nella foresta ringhiando contro la montagna, ho preferito rimandarlo al villaggio per controllare Zephyro e Lovro, penso sia stata la decisione migliore.
Solo i morti possono accedervi.
In mano tengo il fermaglio di Zoe, me lo rigiro tra le dita dopo aver frugato ancora nei suoi ricordi e mi sento in colpa, ma sono giunta a un punto dove ogni tassello deve tornare al suo posto.
-Sono la Custode delle Anime, la voce di chi non c’è più, il mio è il canto del tempo.-
Delle linee nere segnano il terreno formando una porta orizzontale le cui ante si aprono verso l’esterno; il puzzo penetrante di terra bruciata mi entra nelle narici e mi sembra di poterlo sentire sulla lingua, è pastoso.
C’è una scala e la scendo fino a quando davanti a me si allunga un corridoio che odora di pioggia e di muffa, sento l’eco che producono le gocce che si infrangono al suolo trasmettendomi una sensazione che mi fa ricordare di un viaggio fatto con la mia famiglia. Eravamo andati a Lacrimosa, chiamata così a causa della perenne pioggia che bagna i suoi tetti, un agglomerato urbano con case di mattoni e lamiere e con ampi spazi coperti da una sottile e scura erba schiacciata dalla pungente acqua piovana.
Parlo della città al presente perché non so se esiste ancora, o se ha solo cambiato nome… ma degli avvenimenti che mi hanno vista in questo paese posso solo parlare usando il passato.
Ci eravamo recati lì perché mio padre doveva incontrare un acquirente, un suo vecchio amico d’infanzia. Un cinese alto e muscoloso. Mi aveva fatto ridere la sua figura: un corpo enorme sormontato da una testa minuscola e priva di peli; non aveva né sopracciglia, né ciglia, né capelli, né barba, ma la cosa più strana erano le sue orecchie a punta che svettavano come antenne sui lati del volto.
Assistemmo per la prima volta a uno spettacolo circense in un capannone ricco di odori e colori.
Adesso, mentre ripercorro con la mia mente il sentiero che ho percorso, delineo i contorni leggeri di ragazze che mi avevano fatto sognare con la loro grazia e leggerezza, e quei ragazzi forzuti che si cimentavano nelle acrobazie più strane mi avevano fatta arrossire pensando che, nel mio futuro, mi sarebbe piaciuto essere stretta da quelle braccia muscolose al loro forte petto. Tutto di loro mi dava sicurezza, tutto di loro mi prometteva protezione.
Era emozionante sentire e vedere la passione che li spingeva ogni volta a migliorare, a stupire sempre più le persone. Alcuni di loro lo facevano solo per i soldi, per avere una pagnotta ogni sera o un piatto di zuppa calda. Ma c’erano altri che lo facevano per i bambini, per vedere sui loro volti un sorriso. Sorriso che è difficile trovare sui volti degli orfani. Volevano regalare dei piccoli sogni, far immaginare anche a loro di poter volare o fare giravolte in aria sostenuti solo da un telo colorato.
La luce lunare non riesce a filtrare nell’oscurità del tunnel che ho davanti. Accendo un fuocherello che illumina la zona intorno a me con il suo bagliore azzurro. Il corridoio sembra non avere fine ed essere pronto a inghiottirmi alla prima occasione chiudendosi su se stesso.
Percorro la gola profonda e le sue pareti sono decorate da strani segni. Avvicino la luce al muro. Sono simboli strani, che non riesco a decifrare… alcuni sembrano persino degli animali che si muovono, ma è solo frutto della mia immaginazione.
Mi sento strana in questo luogo, è permeato da secoli di storia, di eventi; è qui che i Custodi si sono recati per migliaia di anni.
Ma per fare cosa?
-Accidenti!-
Mi pizzicano gli occhi, il prurito diventa un forte bruciore che si concentra all’intero della retina; li apro e chiudo mentre il dolore si affievolisce. Le rune sul muro ruotano vorticosamente scambiandosi di posto e mutando nelle lettere del mio alfabeto.
È una lista di nomi alcuni dei quali impronunciabili.
Albrither, Monurutm, Trumototoru…
Ogni scritta ha la sua grafia.
Marcus, Caesar, Tanato, Lucanus, Albae…
Si susseguono per tutto il muro. I nomi si intrecciano diventando confusi, alcuni sono grandi, altri talmente piccoli da renderne difficile la lettura.
Emma, Taylor, Logan, Rupert, Daniele, Asa, Lorenzo…
Continuo e scorro le dita sulle incisioni. Appena li tocco riacquistano la loro forma originale, non sono loro a essersi trasformati, sono io che li vedo diversi.
Alfredo, Delia, Selena, Ingrid, Camelia, Bianco, Rosalba, Gabriele…
Vedo i loro volti nella mia testa, tanti occhi che puntano dritti al mio cuore. Celesti, ambrati, azzurri, verdi, castani, neri…
Le loro energie attraversano il mio corpo, vedo le loro seconde morti.
Avevo sempre creduto che noi fantasmi fossimo immortali, non avevo idea che esistessero delle armi capaci di eliminare completamente la nostra anima e neppure che ci fossero delle persone capaci di vederci anche quando siamo invisibili agli occhi degli altri Viventi.
Diego, Jacob, Carlotta, Phyra, Tom, Salem…
Sembrano non finire mai.
Katherine, Mària, Eugenio, Aleksandar, Albrecth…
Il muro curva e finisco in una stanza, spingo il fuoco fatuo all’interno di questa fino a quando non incontra un ostacolo e si spegne con un leggero scoppio, ne accendo un altro e cammino con cautela fino a quando non mi trovo davanti a una scultura di roccia. Alla luce azzurra le decorazioni sono inquietanti. Quest’opera ha la forma di una coppa quadrata e ogni lato è decorato con volti maschilisimboleggianti le fasi della vita umana.
Il viso di un bambino ha un ricciolo di capelli sulla fronte e un naso a patata su una bocca spalancata in un sorriso gioioso. Ha quattro occhi.
Il volto di un giovane adulto ha due occhi e un corno sulla fronte che divide i capelli in due ciuffi che cadono ai lati del viso, l’espressione è seria, il naso leggermente all’insù.
Una barba lunga che copre la bocca ha invece l’anziano con tre occhi contornati da profonde rughe e con un naso lungo e bitorzoluto.
Il terzo volto è terrificante. Ha una sola orbita vuota, senza bocca e con due tagli al posto del naso.
La coppa è piena di una sostanza oleosa e traslucida alla quale avvicino il mio fuocherello per vedere se contiene qualcosa, ma sono costretta a indietreggiare perché il liquido prende fuoco illuminando completamente la stanza.
Anche qui le pareti sono decorate con nomi, pure il soffitto lo è. Solo una porzione di muro è ancora sgombra.
Carlos, Diamante, Elios, Alias, Zoe…
E poi…
Il mio nome.
Degli strani echi mi chiamano. Sono miliardi di voci che si accavallano, davanti ai miei occhi sfilano tante vite.
Questa volta non ho sentito nulla. Semplicemente l’oscurità è calata sui miei occhi.
 
‘Asa. Venti anni. Morto a causa di una valanga che lo ha travolto. Non ha sentito nulla. Lui e la carovana con cui era in viaggio scomparvero nel nulla sotto metri di candida neve assassina. Solo quattro di loro rimasero nel mondo dei Viventi come fantasmi. Lui l’unico a diventare un Custode. Capelli bianchi e occhi rosa, una pelle chiara attraverso la quale si intravedevano le vene e le arterie che un tempo avevano contenuto il suo sangue pulsante. La sua seconda morte lo venne a prendere un’estate. Un uomo, armato solo di spada, lo colpì alle spalle attraversando il suo corpo che esplose in una nube di scintille, la sua anima si perse per sempre.’
 
‘Selena. Sedici anni. I capelli arancio fuoco e gli occhi verde acqua, il viso coperto da efelidi e un sorriso che avrebbe sciolto gli Immensi Ghiacciai. Gentile e dolce come il miele, la morte l’aveva accolta in giovane età a causa di una malattia terribile che aveva sfigurato il suo bellissimo corpicino rendendolo esile e fragile, fino a spezzarlo. Da fantasma non ebbe la forza di abbandonare sua madre e suo fratello, non voleva più vedere lo zio abusare di loro. Divenne una Custode e spaventò il mostro che l’aveva fatta soffrire fino a farlo scappare. Non tornò più. Sviluppò i doni che la Morte aveva da offrirle. Non si mostrò mai al resto del villaggio in cui abitò, ma con il suo canto guarì per duecento anni le persone che contraevano malattie mortali. Ma, ormai, tutte le persone che aveva conosciuto e amato erano morte e la solitudine iniziò a farsi largo tra le sue sensazioni. Ruppe la promessa che fece a sua madre sul letto di morte e si mostrò a una ragazza. Furono amiche per molto tempo. Avevano imparato entrambe che la morte rappresentava un inizio e fu per questa donna che Selena rinunciò a essere un Custode. Bruciò se stessa e la propria anima pur di salvarla da un parto funesto. Si chiamava Phyra e a novantacinque anni diventò Custode guidando i fantasmi e i mortali nelle loro scelte per più di duemila anni. Proprio come aveva fatto la sua amica prima di lei.’
 
Per millenni i Custodi si sono susseguiti, piango per le loro morti. Per entrambe. Chi per salvare i Viventi e chi ucciso da armi magiche.
 
‘Diamante. Dodici anni. Pelle scura e gli occhi due pozzi neri di infinito coraggio. Solo un bambino quando morì per salvare dalle acquee il suo fratellino nato da poco. Ci riuscì ma dovette abbandonare la sua famiglia. Come fantasma viaggiò molto fino a giungere in un piccolo villaggio in riva al mare. L’acqua gli aveva tolto la vita ma, in qualche modo, lo chiamava. Qui incontrò dei fantasmi che non erano come lui, non sembravano essere capaci di provare la vasta gamma di sensazioni che invece si agitavano nel suo piccolo petto trasparente. Come un fardello, la solitudine aveva accompagnato la seconda esistenza dei Custodi e lui non fu da meno. Non comprendeva ciò che gli stava accadendo e si rifiutava di utilizzare i poteri che lentamente sviluppava. Voleva lasciare il mondo dei Viventi ma non ci riusciva, c’era ancora qualcosa che lo teneva legato a esso. La sua stessa coscienza. Sapeva che c’era un motivo se era diverso dagli altri suoi simili.
La sua solitudine trovò tregua quando incontrò un ragazzo. Non si era mai mostrato ai Viventi, ma non ce ne fu bisogno perché questo Vivente era in grado di vedere i fantasmi.
Divenne più di un amico, più di un fratello. Restarono insieme anche dopo la sua morte. Il vero amore aveva assunto un’inusuale forma per mostrarsi. Come lo è tutt’ora. Il ragazzo si chiamava Thanksoh; aveva gli occhi a mandorla castani, come i capelli, sormontati da due sottili sopracciglia e un naso piccolissimo. I sui lineamenti erano dolci e ben si sposavano col suo corpo esile e scattante.
La famiglia di Thanksoh possedeva uno specchio con un grande potere. Lo Specchio dell’Eterno Divenire.
Thanksoh non aveva mai imparato i trucchetti da fantasma che, invece, Diamante sapeva fare. Non poté nulla per salvare il suo migliore amico da una freccia incantata. Era stata scoccata dal servo di una strega. Uno Spettro.’
 
Il fuoco sembra scintillare ancora più forte disegnando sulle pareti quello che ho visto. Un bagliore attira il mio sguardo. Incastonato nella parete c’è un oggetto coperto da un telo stracciato da un lato facendo intravedere quello che dovrebbe essere il vetro di uno specchio.
Mi avvicino e afferro la stoffa spessa, la tiro alzando una nuvola di polvere.
Infatti.
Riflette la mia immagine, anche se devo dire che è diversa. Lo sguardo… è più forte. Deciso.
-Diamine!-
Faccio un balzo all’indietro quando la mia immagine nello specchio si muove, posa i palmi delle mani sull’altra parte dello specchio come se fosse una finestra che divide due diversi universi simili. Le mie mani coprono perfettamente le sue e avviene un ritorno di fiamma, un’implosione del tempo stesso che si accartoccia su se stesso frammentando la realtà e sostituendola con una più antica.
 
‘Sono io bambina che corro davanti alla mia casa. Ricordo questo giorno.
Un dolce vento soffia pigro, ma con la giusta forza per farmi sperare di poter volare quando il vestito si gonfia. Avevo solo tre anni.
La piccola saluta il padre, un giovane uomo che ha sempre desiderato questa vita. La osserva seduto sul prato e ogni tanto la piccola gli si appende al collo e ride come una matta.
-Pulce.- la chiama lui –La mia piccola pulce.-
La stringe forte e lei si inebria dell’odore paterno e di quella gabbia protettiva che sono le sue braccia forti per il lavoro che a volte fa mangiare e altre no. Ma sono felici e non hanno mai sofferto.
Lui falegname, lei pulce giocherellona.
Questo è un giorno speciale.
La bambina è un po’ preoccupata per la madre, in nove mesi si è ingrossata tantissimo. Non sa cosa le stia accadendo e non le sono sufficienti le vaghe risposte dei genitori che dicono che è tutto normale, che lei ha un bambino nella pancia.
Lei non ci crede perché è impossibile che la sua mammina abbia mangiato un bambino tutto intero, sicuramente è malata. E il padre, per tranquillizzarla, le dice che sì è malata, ma di vita.
Le piccola me non è molto convinta ma preferisce andare a giocare.
Un urlo proviene dalla casa, è nonna Myll.
-Dedalo! Dedalo, è ora!-
Dedalo la prende in braccio e corre a casa dove lascia la bambina alle cure della nonna.
Entra nella dimora e per un tempo che alla piccola pulce sembra eterno si sentono solo gemiti di dolore, poi un pianto e le risa dei suoi genitori.
-Entrate!-
La nonna le tiene la manina, ma lei non vuole perché quella di Myll trema ed è tutta sudata. Non le è difficile liberarsi dalla sua presa e a correre verso la madre. Ma si spaventa, c’è uno strano liquido che copre le lenzuola e gli abiti di Dedalo.
La madre vedendo la sua indecisione la invita ad avvicinarsi. –Vieni, guarda.-
La curiosità vince sul timore e sale sul letto mettendosi al fianco della madre per vedere cosa nasconde quel bozzolo di stoffa.
-È bruttissimo.-
-Non è brutto.- spiega la madre. -È la cosa più bella che ci sia potuta accadere. È un bambino, tuo fratello.-
Fratello. La parola magica che sblocca qualcosa nel cervellino della bambina, che trasforma quella faccetta tutta grinzosa in un piccolo tesoro che muove le manine e il nasino.
-Come lo avete chiamato?-
-Non ci abbiamo ancora pensato.- dice la madre.
-Non è accetabile.- cinguetta Myll.
-Elizabeth ha bisogno di riposo ora.- dice Dedalo.
-Non potete non dargli un nome!-
-Ronan.-
Tutti tacciono e osservano la bambina che ha dato il nome a suo fratello.
Ronan. Chissà perché proprio questo nome.
Una luce mi illumina da dietro. Mi volto e vedo che fuoriesce da sotto una porta. La attraverso e tutto cambia.
Sono passati tanti anni dal giorno della sua nascita, per la precisione tredici e due giorni.
-Ronan, fammi entrare!-
-No! Vattene!-
-Dai, non fare così. Permettimi di aiutarti. Apri la porta.-
Ronan è accovacciato sul letto e si tiene la testa fra le ginocchia. La camera è piccola e i due letti presenti sono attaccati.
Sta piangendo, le lacrime mescolate al sangue che gli sporca il viso fanno sembrare ancora di più il liquido denso e vermiglio.
Continua a piangere anche quando la sorella minaccia di buttare giù la porta della loro camera. Alla fine lo convince dicendo che avrebbe raccontato tutto ai loro genitori; la sedia che blocca la porta viene spostata e la sorella entra nella stanza, Ronan le si getta tra le braccia sporcandole il vestito di sangue.
Coll’indice spinge in alto il viso del fratello per guardare la sua ferita.
-Chi è stato?-
-Nessuno.-
-Jeremia e Santos?-
-No.- ma lei lo conosce troppo bene, sa che sta mentendo. Ogni volta che lo fa si alza sulla punta dei piedi.
-Mi sentiranno.-
-No, non lo fare. Mi faranno del male.-
-Non ne avranno la possibilità.-
Passano il resto del tempo in silenzio mentre lei è impegnata a pulirgli la faccia.
-Non è rotto.- dice passando la stoffa bagnata sul naso di Ronan –Ma ci vorrà un po’ prima che guarisca.- gli da un bacio sulla guancia –Questo è per farlo guarire più in fretta.-
Avrei fatto di tutto per lui.
-Adesso cambiati.-
Lo lascia da solo con la sua vergogna. Non ha detto il motivo che ha spinto gli altri a picchiarlo. Ha difeso un bambino da quei due bulli.
Lui non lo ha mai scoperto, ma la sorella è venuta a conoscenza di quello che è successo estrapolando le informazioni direttamente dalle fonti primarie. Jeremia e Santos. Il primo si è trovato con il naso rotto e il secondo con un enorme livido sulla guancia.
Lei sa di non rischiare nulla, nessuno dei due avrebbe mai detto che a ridurli così è stata una ragazza.
Da sotto la porta d’ingresso entra della luce dorata, appena la apro mi trovo in un altro luogo.
-Tanti auguri mamma!- dice Ronan.
È il compleanno di Elizabeth.
La donna dagli occhi grigioverdi, gli stessi del figlio, sorride contenta di avere tutte le persone che ama vicino. Soprattutto dopo quello che è successo.
Da una settimana sua madre non c’è più. Myll è stata portata via da una malattia che nessuno è stato in grado di curare e che le ha sciolto i muscoli e le ossa trasformandola in un sacco di pelle contenente una sostanza gelatinosa.
È bello vedere come la vita trovi comunque il modo di sopraffare la morte, basta un sorriso a volte per rendere più leggero il cuore e più sopportabile dolore.
Dedalo abbraccia la moglie e la bacia. Ronan e la sorella sono seduti vicini ed aspettano con ansia che la madre apra il loro regalo. Hanno usato gli ultimi loro risparmi per comprarglielo sperando di fare una cosa gradita. Sanno che la madre ne ha avuto uno simile e che lo ha dovuto impegnare per poter comprare la casa dove abitano.
Anche Dedalo ha aiutato i suoi bambini. Non baderà al fattore estetico del regalo, ma per ciò che vuole dire.
Non l’hanno impacchettato bene e un po’ se ne vergognano ma si rilassano quando lei lo strappa dalle mani del marito urlando. È un semplice carillon un po’ rovinato, ma è come Ronan da appena nato: Anche se bruttino è un tesoro prezioso.
È questo che ha fatto innamorare Dedalo di Elizabeth, riuscire a vedere la bellezza in tutte le cose e persone, anche quando questa sembra non esserci.
Dalle risate passa al pianto di gioia, stringe il marito in un braccio al limite dello strangolamento a cui partecipano anche i figli.
Ma i momenti felici non sono eterni e alcune volte possono essere considerati degli eventi strani vicini alla soglia dell’irrealtà.
In questo giorno, quando madre e figlia rimangono da sole, viene raccontata una strana storia. Parla di una Custode delle Anime e di un ragazzo che si innamorano e di una strega che li ha separati per sempre. Le dice che lei ha un dono ma la sua Pulce è ancora troppo piccola per capire quale peso abbia in realtà quella sua particolarità che la rende diversa da tutte le altre.
Il primo atto della fine.
Sto cominciando a ricordare tutto.’
 
Torno alla mia realtà e guardo con nostalgia al passato.
La me nello specchio è tornata a essere solo un riflesso, niente di più che un’imitazione di ciò che è vero.
Un sussulto.
Alle mie spalle vedo prendere consistenza delle figure, mi volto spaventata, ma non c’è nessuno. Quando ritorno a specchiarmi ci sono cinque fantocci traslucidi dai contorni irregolari. Si allungano e si allargano, prendendo sempre più consistenza e colore.
Inciso sulla cornice c’è scritto “Specchio dell’Eterno Divenire”. Ci metto un po’ prima di ricordarmi le leggende che ne parlano, le quali si uniscono con la visione che ho avuto sia di Zoe che di Diamante.
È in grado di mostrare le persone che, nel bene e nel male, segnano indelebilmente l’esistenza di chi ci si specchia. Si narra che lo specchio non sia altro che la lacrima cristallizzata di una divinità.
Alla sinistra del mio riflesso c’è Lovro, alla mia destra Elebene e sua madre, e dietro di me Zephyro.
La mia seconda famiglia…
Poi mutano e mi trovo circondata da altre persone.
Le lacrime scendono da sole. Non faccio nulla, rimango a osservarli.
Alla destra del mio riflesso c’è Ronan, mi guarda e mi sorride mimando il mio nome. Alla mia sinistra c’è mia madre con i suoi occhi dolci. Dietro di me, con tutta la sua altezza, c’è mio padre, mi sembra quasi di sentirlo chiamarmi “Pulce”.
Ha le mani posate sulle mie spalle, cerco di toccargliele ma sotto le dita sento solo la stoffa ruvida del mantello.
M’irrigidisco quando vedo la mia famiglia che mi abbraccia nello specchio.
Ma nella realtà…
È una cosa terribile. Mi sembra di averli a portata di mano quando in realtà sono lontanissimi. Una stretta soffocante che mi riduce in polvere il petto è il dolore che in questo momento sento.
Guardare ma non toccare. L’unico modo che ho per farlo è scivolare con la memoria tra le pagine della mia esistenza e, con le dita, cercare di afferrare la loro immagine attraverso il vetro. Una magra consolazione prima di vedere gli abitanti dello specchio tornare a essere ombre e sparire lasciando solo il mio riflesso.
Prima di uscire dalla stanza poso a terra il fermaglio di Zoe ai piedi dello specchio. È giunto il momento che torni alla sua proprietaria.
   
 
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