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Autore: Little Wings    25/11/2014    3 recensioni
Jake sapeva che sarebbe arrivato quel momento, prima o poi. Erano davvero pochi i semidei che raggiungevano l'età adulta anche durante i tempi di pace, in tempo di guerra e con la regina dei giganti a tener banco le possibilità di sopravvivenza si avvicinavano drasticamente a zero. Almeno, gli sarebbe piaciuto andarsene in modo eroico, magari dopo aver sconfitto un'intera armata di mostri da solo, ma non era un figlio di Ares, non era lui quello destinato alle imprese eroiche in battaglia. Non era uno dei protagonisti della guerra, ma uno dei tanti addetti che girovagavano dietro le quinte, pronti a suggerire battuta a chi se la fosse dimenticata.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jake Mason
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nick: Little Wings
Titolo: Il principio della fine
Personaggio scelto: Jake Mason
Pacchetto scelto: Combatto contro un paio di cheerleader, ho usato l’obbligo
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Conteggio parole: 1508
Introduzione: Jake sapeva che sarebbe arrivato quel momento, prima o poi. Erano davvero pochi i semidei che raggiungevano l'età adulta anche durante i tempi di pace, in tempo di guerra e con la regina dei giganti a tener banco le possibilità di sopravvivenza si avvicinavano drasticamente a zero. Almeno, gli sarebbe piaciuto andarsene in modo eroico, magari dopo aver sconfitto un'intera armata di mostri da solo, ma non era un figlio di Ares, non era lui quello destinato alle imprese eroiche in battaglia. Non era uno dei protagonisti della guerra, ma uno dei tanti addetti che girovagavano dietro le quinte, pronti a suggerire battuta a chi se la fosse dimenticata.
Note dell'autore: Allora, allora, allora. C'è un accenno a una coppia Slash (Jake/Will) e un Death!Character (?), ma mi ispirava questa cosa, perciò perché far vivere un personaggio quando può morire? Si, sono sadica. A parte questo, non dovrei aver fatto spoiler, visto che non ho letto BoO e tutto quello che ho scritto è inventato di sana pianta.
 
 
 
 

 
 
 
 
 
Il principio della fine
 
 
 

 


 
Jake sapeva che sarebbe arrivato quel momento, prima o poi. Erano davvero pochi i semidei che raggiungevano l'età adulta anche durante i tempi di pace, in tempo di guerra e con la regina dei giganti a tener banco le possibilità di sopravvivenza si avvicinavano drasticamente a zero. Almeno, gli sarebbe piaciuto andarsene in modo eroico, magari dopo aver sconfitto un'intera armata di mostri da solo, ma non era un figlio di Ares, non era lui quello destinato alle imprese eroiche in battaglia. Non era uno dei protagonisti della guerra, ma uno dei tanti addetti che girovagavano dietro le quinte, pronti a suggerire battuta a chi se la fosse dimenticata. E la maggior parte delle volte gli andava bene così, lavorava nella fucina del campo, sempre pronta a sfornare armi micidiali, senza prendersi alcun merito particolare. Non era uno spadaccino e nemmeno un arciere, non era agile come i figli di Ermes e non si era mai lamentato - non troppo, almeno - di questo. Però ogni tanto sentiva il bisogno di essere ricordato, desiderio intrinseco della maggior parte dei semidei, soprattutto quando un paio di occhi blu accompagnati da una chioma bionda facevano la loro comparsa.
E invece molto probabilmente nessuno si sarebbe accorto della sua mancanza fino alla fine della battaglia. Non che fosse un asociale senza amici, ma preferiva le macchine alle persone, proprio come suo padre.
Chiuse gli occhi, mentre una lacrima solitaria gli solcava la guancia destra. Provò a muovere la gamba ferita, ma una fitta di dolore lo costrinse a fermarsi. Era stato colpito da una freccia durante un'imboscata. Ci era cascato in pieno e si era ritrovato da solo in quella zona del bosco con cinque dracene che sibilavano divertite. Appena aveva compreso il suo errore, si era voltato, pronto a fuggire, ma una freccia - forse avvelenata, visto il dolore che provava alla gamba - l'aveva colpito appena sopra il ginocchio, facendolo cadere rovinosamente a terra, mentre un’altra gli aveva ferito di striscio l’avambraccio destro. Poi evidentemente le donne serpente avevano deciso che non era un avversario degno di loro e l’avevano lasciato lì a morire agonizzante.
La sua fine sarebbe stata tutt'altro che eroica, sarebbe morto tra i dolori, senza poter fare a meno di sentire la battaglia che ancora si combatteva. Armature che cadevano al suolo, mostri che ringhiavano, semidei che urlavano... Jake chiuse gli occhi, cercando di estraniarsi dalla realtà, scavando nella sua memoria alla ricerca di qualche bel ricordo con cui andarsene. E, quando ne trovò uno, sorrise.
 

Un bambino di otto anni si guardava intorno con la bocca spalancata,  facendo ridacchiare il ragazzo che gli teneva la mano. Aveva detto di chiamarsi James e di essere un figlio di Apelle - o forse era Ampollo? - quando si era avvicinato a lui. Gli aveva proposto di fare un giro per il Campo e Jake aveva annuito entusiasta. Adorava i campi estivi, in quello dell'anno prima aveva conosciuto quello che poi sarebbe diventato il suo migliore amico, Matt, ma quello in cui si trovava in quel momento sembrava più grande, più organizzato e, soprattutto, più divertente. Non capiva perché sua madre era così spaventata mentre lo portava lì, ma, cavoli!, sarebbe proprio dovuta entrare a dare un'occhiata invece di rimanere fuori.
C'erano delle capanne disposte a ferro di cavallo, tutte diverse. Una sembrava un campo da guerra, mentre un'altra era proprio uguale alla casa delle bambole di sua cugina Cindy. Bleah!
James gli stava dicendo qualcosa, ma ormai Jake aveva visto i campi di fragole e non lo ascoltava più. C'era un campo di fragole, cosa poteva chiedere di più? Avrebbe potuto mangiarne quante ne voleva, senza che nessuno lo sgridasse come faceva sua madre. Si prospettava un'estate incredibile.
 

Jake sorrise, ripensando al suo arrivo al Campo Mezzosangue e all'incontro con James, che gli aveva fatto da Cicerone tutto il giorno, anche se al piccoletto non interessava poi molto. A quel tempo non sapeva ancora di essere un figlio di Efesto e si chiedeva continuamente chi fosse il suo genitore divino.
 

A undici anni, Jake Mason viveva ancora con i figli di Ermes e tutti gli altri semidei che non erano ancora stati riconosciuti. Ogni giorno si chiedeva quando - e se - sarebbe stato riconosciuto da suo padre e ogni giorno rimaneva deluso dalla mancanza di affetto degli dei verso i loro figli. Sbuffò, calciando un sassolino e mettendosi le mani in tasca, mentre passava in rassegna gli dei alla ricerca del suo genitore divino per l'ennesima volta. Scartò immediatamente i Tre Pezzi Grossi - non si sentiva abbastanza potente - così come Dioniso - il solo pensiero di essere figlio del signor D gli metteva i brividi. Che fosse figlio di Ermes? No, a stento sopportava i ragazzi con cui condivideva la capanna.
Non dovette arrovellarsi ancora a lungo il cervello, visto che di lì a poco qualcosa prese a brillare sopra la sua testa. Forse suo padre aveva ascoltato le sue preghiere.
Alzò la testa, trovandosi di fronte a un martello infuocato. Sorrise, perché finalmente aveva trovato il suo posto al Campo.
Jake Mason, figlio di Efesto.
 

Un volta arrivato alla capanna nove, si era sentito subito a casa, tra le viti e i bulloni che tappezzavano l'intero edificio.
Un boato lo riscosse dai suoi pensieri e lo riportò alla realtà. La battaglia proseguiva e Jake non poteva far altro che pregare per i suoi fratelli e compagni e per la loro incolumità. Le grida gli fecero chiudere gli occhi e digrignare i denti, essere lì, sapendo di non essere d’aiuto e senza aver notizie degli altri era straziante. Gli spari di un cannone gli riportarono alla mente i rumore dei palloni da basket quando rimbalzano al suolo.
 

"Solace! Passa qua!" urlò un ragazzo biondo a suo fratello, mentre questo si guardava intorno cercando qualcuno smarcato a cui passare la palla che aveva tra le mani.
Ad un Jake ormai quattordicenne sfuggì il cacciavite di mano e si graffiò il palmo. Non era stata una grande idea mettersi all'aperto per riparare quella biga, anche se all'inizio gli era sembrata geniale. Riparare la biga nello spazio davanti alla fucina, che era casualmente vicino al campo da basket dove giocavano i figli di Apollo, perché la luce solare è senz'altro meglio, era un'ottima scusa per guardarsi una partita a pallacanestro – e forse non solo quella.  Non aveva messo in conto però che si sarebbe distratto così spesso.
"Sei un bastardo Solace! Vuoi sempre fare tutto da solo!" gridò un altro ragazzo.
Dannato Solace, riusciva a scombussolarlo solo giocando a basket.
 

Arrossì al ricordo delle partite di pallacanestro a cui aveva assistito. Sapeva benissimo che l'aveva fatto solo per un motivo - o meglio, per una persona.
Una fitta più forte delle altre lo fece mugugnare di dolore e il suo pensiero tornò alla sua imminente fine. Pensò a sua madre, che aspettava il suo messaggio Iride quotidiano che non sarebbe arrivato. Pensò a suo padre, chiedendosi se il dio era a conoscenza delle sue condizioni.  Pensò ai suoi fratelli, pregando che fossero ancora vivi. Pensò a Matt, il suo migliore amico, e a quella che era stata la loro ultima conversazione.
 

"Quando parti?"
Non c'era bisogno di specificare il luogo, entrambi sapevano cosa voleva dire Matt.
"Domani" rispose sospirando Jake.
Oltre a sua madre, Matt era l'unico che sapeva della natura semidivina di Jake, degli dei, del campo e della guerra.
"Tornerai, vero?"
Il sorriso triste di Jake fece capire a Matt che non ne era sicuro.
"Non ne sono sicuro" soffiò, guardando dritto davanti a sé.
Avrebbe tanto voluto dirgli che sarebbe tornato, ma non voleva fare una promessa che non era sicuro di mantenere. A sua madre aveva detto che sarebbe tornato, ma solo parchè non poteva lasciarla col pensiero della morte di suo figlio di appena diciassette anni. Con Matt poteva essere sincero, invece, si erano sempre detti tutto.
"L'altra volta sei tornato"
Matt interruppe il flusso dei suoi pensieri alludendo alla guerra contro crono.
Jake sospirò. "L'altra volta era diverso"
"Diverso o no, tu cerca di tornare"  l'aveva ammonito Matt, prima di abbracciarlo stretto.
 

Un'altra lacrima sfuggì al controllo di Jake e rigò la sua guancia sinistra. Ormai non sentiva più la gamba dal dolore e il braccio gli bruciava a causa della ferita. Sentiva il dolore che si propagava dalla gamba verso il resto del corpo, percepiva il veleno scorrergli nelle vene. Un ultimo sospiro lasciò le sue labbra mentre una nenia prese a riempirgli la testa. Sembrava un canto funebre ed il figlio di Efesto si chiese se gli stesse preannunciando la sua morte o se fosse solo un'invenzione del suo cervello. In un ultimo barlume di lucidità si chiese come sarebbe stata la sua esistenza dal quel momento in poi. Conosceva l’Ade e ciò che si diceva riguardo ad esso, ma non poté fare a meno di chiedersi come sarebbe stato attraversare l’Acheronte e farsi giudicare dai giudici infernali. Avrebbe rivisto i compagni caduti? O avrebbe vagato per l’eternità alla loro ricerca? E dove sarebbe finito? Nelle Praterie degli Asfodeli? Non ci fu bisogno di cercare delle risposte, nel giro di poco tempo le avrebbe avute tutte.
Era giunta la sua fine.
 





 
  
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