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Autore: Alexiel Mihawk    25/11/2014    4 recensioni
«No, no, non è cieco» dice tra i singulti «C’è qualcosa che posso fare per te…?»
«Persefone, no, in realtà mi stavo solo annoiando e avevo voglia di chiacchierare, e tu sei sempre qui, quindi mi è sembrato normale farmi un po’ di fatti tuoi mentre sono in pausa. Aspetta, stavi lavorando?»
Ade ride di nuovo, perdendosi a osservare le lentiggini sparse su tutto il suo volto e i suoi occhi verdi, che brillano di curiosità e preoccupazione.
«No, ho finito» anche se, ovviamente, non è vero e quando tornerà in ufficio avrà il doppio di cose da fare «Posso offrirti qualcosa?»

[Ade/Persefone, coffe shop!AU - La prima volta che Ade e Persefone si incontrano lei lavora in un caffé e nessuno dei due ha minimamente idea di chi abbia di fronte, ma di una cosa il dio dei morti è sicuro: non ha mai visto una ragazza più bella.]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Altri, Persefone
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Caffé nero e semi di melograno'
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Autore: Alexiel Mihawk | alexiel_hamona (LJ)
Titolo: Caffé nero e semi di melograno
Fandom: Mitologia Greca
Personaggi: Ade, Thanatos, Persefone, Ecate (Hypnos, Radamante)
Genere: generale, commedia, sentimentale
Rating: verde, sfw
Avvertimento: one shot, implied!Incest, modern!AU
Parole: 4243
Prompt: Mitologia, Ade/Persefone, modern AU, scappare di casa
Note: Prompt di kuma_cla, nato da un’iniziativa su LJ che si chiama FanFiction Meme. Funziona così, io dò una lista di fandom e il mondo mi lascia dei prompt su quei fandom/quelle ship, in modo che io possa poi scriverci. Trovate la mia lista qui sul mio Livejournal, se volete passare e lasciare dei prompt sentitevi liberi di farlo.
Ora, come sempre le note tecniche. Ho cercato di dare agli dei una caratterizzazione particolare, senza lasciarmi influenzare da altri fandom o dal luoghi comuni, sono contenta che mi abbiate detto che sono IC, ma IC rispetto a cosa? Perché non esiste un vero canone per la mitologia e credo di essermi permessa un po' di uscire dai confini con questo capitolo (e ricordo che il fandom è Mitologia Greca!).
Quindi sì, Ecate è molto diversa da come ve l’aspettate, ha l’aspetto di una ragazzina, ma non solo quello, ha un pessimo gusto: guarda soap opere americane, si veste come una rockettara senza soldi e le piacciono il rosa e l’animalier. Non solo questo però, siccome mi piace molto il concetto di Ecate come dea trimorfa ho deciso di applicarlo qui, anche se per ora si vede solo un assaggio della dea cambia età, diventato più giovane. Siccome Ecate è fanciulla, madre e anziana (wicca, sì, e nel prossimo capitolo rinfaccerà la cosa a chi di dovere) e ha influenza sia sulla terra che sul cielo che sul mare, ho deciso di darle la possibilità di cambiare età; quando cambia la sua età cambiano anche i suoi gusti e di conseguenza l’intero mobilio delle sue stanze si trasforma. Inoltre la dea si incazza quando viene definita semplicemente dea dei crocevia, perché lei dei crocevia se ne sbatte, ma a quanto pare gli Olimpi si dimenticano sempre (apposta) che è la dea della magia e degli spettri e soprattutto una divinità psicopompa. A parte Ade con cui sono amiconi (sì, 100 Days of Night, questa è colpa tua). Per quanto riguarda altre cose tecniche: Ecate è figlia di Perse e Asteria che sono due titani; Selene ed Eos sono sorelle, figlie dei titani Theia e Iperione; Thanatos e Hypnos, la morte e il sonno, sono fratelli, figli di Nyx, la notte, ed Erebo, le tenebre; Eaco, Minosse e Radamante sono i tre giudici degli inferi. E credo avere finito.

Detto ciò buona lettura e mi spiace se ci sarà meno sarcasm!Ade e più dork!Ade, ma in questo capitolo me lo sono troppo immaginato alle prese con Persefone. In casa sua. Sotto lo stesso tetto. Ansia.
 
 
 
Caffè nero e semi di melograno
Capitolo secondo: in cui Ade rischia una crisi di nervi e Persefone scopre che il mondo dei morti è più vivo di quanto pensasse.
 
 
 
«Scusa, dove ti lascio?»
«Cosa? Da nessuna parte! Quella ha orecchie dappertutto!»
«Mica posso portarti con me negli inferi!»
«Veramente mi sembra un’idea eccellente».
Ovviamente non lo fu.
 
Al contrario di quello che pensano in molti, l’Averno non è un brutto luogo in cui vivere. Il grande errore dei mortali, così come di quasi tutti gli dei, è confondere il regno dei morti con il Tartaro, che non è che una piccola parte di un territorio più vasto; certo il Tartaro è uno schifo, sporco, buio, umido, affitti carissimi e punizioni atroci, ma il resto? Il resto è solo diverso dalla superficie.
La reggia di Ade sorge tra le praterie degli Asfodeli e i Campi Elisi, si tratta di un enorme palazzo in ossidiana nera, illuminato da innumerevoli fiaccole celesti e verdi e decorato di pietre preziose; ampi giardini ed edifici di dimensioni più basse lo circondano, dando vita a una vera e propria città sotterranea.
Persefone non sapeva bene cosa aspettarsi quando era entrata nella macchina di Ade, ma di una cosa ora è certa: non si aspettava quello.
Come l’uomo in completo scuro scende dalla vettura e le apre la portiera con fare gentile, la ragazza si trova di fronte un nugolo di facce curiose, perché “Ehi! Il capo ha portato qualcuno a casa!”, e vorrebbe avvicinarsi e vedere chi abita in quel luogo, ma la sua attenzione viene catturata dalla Volvo che si trasforma lentamente in un carro trainato da cavalli neri.
«Ma cosa!» esclama la ragazza sorpresa andando a sbattere contro qualcuno.
«Fai attenzione!» borbotta Thanatos seccato, ci mette qualche secondo per metterla a fuoco e riconoscerla e quando lo fa inizia a indicarla boccheggiando e fissa Ade così a lungo che il dio dei morti è quasi tentato di prenderlo a schiaffi.
«Dentro. Tutti e due» sibila tra i denti imboccando l’ingresso del palazzo e dirigendosi a passo spedito verso il suo ufficio.
 
«Quindi fammi capire» gli dice Radamante dopo averlo raggiunto assieme ad Hypnos «Lei è salita sulla tua macchina, ti ha detto di partire e tu, come un povero fesso, le hai dato retta?»
Ade si passa le mani sulle tempie, il suo mal di testa sta aumentando esponenzialmente da quando la stanza si è riempita; annuisce e lancia uno sguardo di fuoco a Thanatos che gli scoppia a ridere in faccia.
«Senti, capo, posto che avevo ragione io e non è umana, non credi che sia stata una scelta, come dire, del cazzo, quella di portarla qui?» domanda il dio della morte, senza lasciarsi sfuggire la possibilità di rimarcare che lui glielo aveva detto.
Radamante agita una mano, come a scacciare un insetto fastidioso e riprende il discorso da dove si è interrotto.
«Ade, non voglio mettere in dubbio le tue decisioni, ma ti sei completamente bevuto il cervello?» esclama il giudice degli Inferi saltando in piedi «Hai idea di quali ripercussioni dovremo aspettarci da quella psicopatica di Demetra?»
«Beh» interviene Hypnos per la prima volta, cercando di non addormentarsi sulla poltrona, perché a lui proprio quella faccenda non interessa «Poteva andare peggio».
«Ah, sì? E in che modo, fratello?» domanda Thanatos sarcastico.
«Immaginate se al posto di Demetra ci fosse stata Era».
Nessuno osa discutere su questo punto, perché i problemi di gestione della rabbia della regina degli dei sono cosa nota a tutti; che poi lei ci ha anche provato a darsi agli ansiolitici, ma non è che stiano funzionando benissimo.
«Beh, lei vuole restare, quindi resta. E tu» dice indicando Thanatos «Tu andrai a procurarle del cibo in superficie. Due volte al giorno».
«Cosa? Perché io? Vacci tu!»
«Con Demetra che mi cerca per farmi fuori? Ho scritto beota in fronte, per caso?»
«No, hai scritto “pollo”» risponde Radamante fissandolo con scherno «E dove hai lasciato la fanciulla?».
«Con Ecate, qui fuori».
«Fantastico» borbotta Hypnos «Perché non l’hai lasciata con mia madre già che c’eri? Affidiamo pure la gente a Ecate, tanto lei è così simpatica».
«Senza contare che adesso tempo due ore e tutto l’Ade saprà della sua presenza, quella non sa stare zitta» borbotta Thanatos a sua volta.
«Fuori. Tutti. Adesso» esclama Ade sull’orlo di una crisi di nervi.
 
Persefone non ha mai visto nulla di così imponente.
La casa di sua madre a Efeso è un semplice edificio di mattoni bruciati dal sole, con tegole rosse e muri di legno; gli appartamenti in cui ha vissuto girando per il mondo, senza meta e senza sosta, sono sempre stati piccoli e accoglienti, dipinti in colori caldi e decorati con fotografie e stoffe aranciate. Il palazzo di Ade è su un altro livello, è la casa di un re e per la prima volta nella sua vita la giovane prova un moto di ammirazione. L’ossidiana nera riflette la luce e la cattura al suo interno, rifrangendola in bagliori colorati che illuminano le alte volte e le stanze che sembrano non finire mai, è fredda al tatto, ma Persefone ne rimane ugualmente affascinata.
«Un po’ troppo nero per i miei gusti, ma quando ho provato a colorare le lanterne di rosa Ade mi ha ignorata per una settimana, per non parlare di quando abbiamo provato col rosso: sembrava un film horror di pessimo gusto».
Una ragazza con un corto caschetto nero e una frangetta sfilata le si avvicina, indossa stretti pantaloni di pelle e una canotta rosa fin troppo larga; il rossetto sul suo viso è rosso come il sangue, e il trucco sugli occhi scuro e pesante, assomiglia a una di quelle persone che sua madre le ha sempre sconsigliato di frequentare e a Persefone piace immediatamente.
«Sono Ecate» si presenta la mora «Tu devi essere Kore».
La giovane storce il naso e le stringe la mano.
«Persefone, preferisco Persefone».
Ecate la studia per un momento quindi annuisce: «Ti si addice di più».
La prende sotto braccio e se la trascina dietro attraverso un lungo corridoio, fino a giungere in un piccolo salotto con divani zebrati e mobili dai colori sgargianti.
«Vuoi un tè, cara?» le domanda mettendosi ad armeggiare con una credenza «È importato, è puro tè del Cachemire, non come quel pezzentone di Ade che si fa solo caffè nero annacquato. Comunque non devi preoccuparti, non succederà niente se lo bevi, anche l’acqua che uso è imbottigliata e proviene dalla superficie».
Non sa esattamente cosa potrebbe succederle, perché non le sembra che il sottosuolo sia così pericoloso come glielo aveva descritto sua madre, quindi accetta volentieri e si siede all’estremità di un divanetto.
«Tu vivi qui?» domanda esitante.
«Sì, non amo gli dei e sull’Olimpo non mi vedono di buon occhio, nessuno apprezza i parenti anziani che ti dicono cosa fare e Zeus è sempre stato troppo arrogante per accettare i suggerimenti. No, Ecate. Stai zitta, Ecate. So come si combatte un centimano, Ecate. Sparati! Biscottino?»
«Sì, grazie, ma io credevo che fossi una dea anche tu. Mia madre ti ha nominata qualche volta, sei la dea dei crocevia, non è così?»
La ragazza scoppia a ridere e a Persefone sembra proprio che ora sia più piccola di prima, ma non si spiega come sia possibile.
«Oh, tesoro! Tua madre è una stronza, non devi ascoltare tutto quello che dice».
Persefone rimane a bocca aperta con il biscotto ancora stretto tra le dita e la mano a mezz’aria, non può credere che l’abbia detto davvero.
«Oh, scusa, ti sei offesa?»
«No, no, è che non ho mai sentito nessuno parlarne così; sono d’accordo, credo. Cioè le voglio bene, ma per tutti i Titani se sa essere irritante!»
«Visto? In ogni caso non sono propriamente una dea tesoro, e di sicuro non solo la dea dei crocevia, quello è venuto dopo. Rimango una degli ultimi discendenti dei Titani che camminano sulla terra» esclama lasciandosi cadere sul divano al suo fianco e porgendole una tazzina rosa shocking.
«Persino tuo padre aveva rispetto per me, certo prima di iniziare a provarci con qualsiasi cosa si muovesse e venire preso a pesci in faccia quando si è presentato alla mia porta dicendo “Ehi, lo sai che Era è in vacanza?”. Ehi, lo sai che sei un vero bastardo?! Ma non siamo qui per parlare di me, né di quel porco di Zeus, dimmi un po’, carina, come ci sei finita qui?»
Persefone si torce nervosamente le mani, perché vorrebbe dire la verità, ma non vuole nemmeno mettere nei guai Aidoneo. Può ancora chiamarlo Aidoneo? Perché ora che sa che il suo nome è Ade la cosa suona troppo strana. Senza contare che non dovrebbe essere il capo lì sotto, perché tutti sembrano fare quello che vogliono?
«Ecco io –»
«Oh. Mio. Dio! Non me lo dire, Ade ti ha rapito! Oh, sapevo che prima o poi sarebbe successo! Non poteva rimanere single a vita!»
«No, veramente no, cioè sono salita a forza sulla sua macchina e l’ho costretto a partire» la corregge Persefone arrossendo leggermente.
«Tesoro, nessuno costringe Ade a fare niente. Una volta Thanatos ha provato a obbligarlo a uscire per un doppio appuntamento con Selene e Eos, si è ritrovato a ripulire la barca di Caronte. Con uno spazzolino da denti».
La ragazza scoppia a ridere divertita e in parte sollevata all’idea che, dopo tutto, Ade è esattamente come l’aveva immaginato in quei mesi che si sono incontrati al bar, certo con in più il fattore dio dell’oltretomba, ma quello è secondario. O forse non lo è, ma di sicuro a Persefone non dà fastidio.
Ecate sta per lanciarsi di nuovo in una serie di domande quando la porta del salottino si apre e ne entra Ade in persona con un’aria esasperata e la cravatta leggermente allentata.
«Tu, con me» borbotta indicando Persefone «E tu, muta. Come un pesce, e– Oh, per Urano! Ma le hai dato da mangiare?»
«Rilassati, Ciccio» e c’è un che di comico nel vedere il re degli inferi chiamato ciccio da una ragazzina che dimostra appena sedici anni «Tutta roba di sopra. Non dirmi che non glielo hai ancora spiegato, sei un pessimo ospite».
«Spiegato cosa?» domanda la figlia di Demetra.
Ade le offre il braccio e, mentre Ecate li saluta agitando una mano, la conduce verso la porta.
«Tutto ciò che di commestibile è prodotto in questa terra, l’oltretomba, è, come dire, vincolante. Se mangi qualcosa del mondo dei morti sei costretto a vivere nel mondo dei morti, ne diventi parte. È per questo che quelli di noi che vivono qui difficilmente si allontanano a lungo».
Persefone annuisce, domandandosi però se sia davvero un posto così brutto in cui vivere, l’Averno. Lei si immaginava un antro buio e freddo, ma lì di buio c’è solo in cielo, e non è nemmeno sicura che sia un cielo vero, anche se la volta si eleva per chilometri sopra il suo capo ed è costellato di luci verdi e bianche e rosa che le ricordano le stelle.
«Aidon-, no, zio, posso chiederti –»
Il dio dei morti si blocca all’improvviso e la interrompe con una smorfia di disgusto stampata in viso.
«Ti prego, chiamami Ade. Sentirmi chiamare zio è imbarazzante e mi irrita».
Scopre di essere d’accordo e scopre di non voler pensare alle strane relazioni di parentela della loro disfunzionale famiglia divina.
Mentre l’accompagna per le strade di quella città sotterranea Ade gliene racconta le origini e le parla a lungo della struttura dell’Averno; la conduce lungo le praterie degli Asfodeli, dove anime in pena camminano senza sosta su campi fioriti. Le indica le porte dei campi Elisi dove riposano le anime dei giusti e degli eroi e la porta a vedere i fiumi degli inferi, che imponenti e vorticanti scorrono in un tripudio di fiamme, ghiaccio e grida.
Persefone è affascinata da quello spettacolo, ma anche intimorita. Vede per la prima volta dinnanzi ai suoi occhi la potenza della morte, e scopre che la sua mente è attraversata da pensieri che non l’hanno mai sfiorata prima: quel luogo è vivo e in costante movimento e i suoi abitanti sono gentili e caldi. Per una dea della primavera come lei la morte è sempre stata sinonimo di annullamento, di oblio, non ha mai pensato che potesse esserci qualcos’altro dopo, non ha mai pensato che l’Ade potesse essere abitato da persone in carne ed ossa, da qualcuno che non vuole lasciarlo e, intimamente, scopre di apprezzarlo. Scopre che quel paesaggio freddo, in cui aleggia una vaga nebbia biancastra e in cui si muovono le anime dei morti, riflette molto della personalità del suo sovrano, basta guardare oltre la superficie per scoprire particolari che a prima vista sfuggono.
Ade veste Armani, ma se potesse tornerebbe al chitone; Ade è sempre serio, ma cerca in ogni modo di strapparle un sorriso con il suo sarcasmo pungente; Ade è freddo come il ghiaccio e respinge chiunque cerchi di avvicinarsi, ma in quei tre mesi che è venuto a trovarla al caffè è sempre stato gentile e ha sempre avuto un sorriso per lei. Persefone ha imparato a non fermarsi alla prima occhiata e non ha intenzione di farlo nemmeno con l’Averno che, a modo suo, la sta stregando più di quanto credesse possibile, nonostante non ci siano fiori colorati, né alberi in fiore, né grano, né frutti.
 
«Capo».
«Capo».
«Che palle, Ade! Mi stai ascoltando, si o no?» domanda Thanatos scocciato.
Sperava che ora che Persefone si trova lì, la concentrazione del dio dei morti sarebbe migliorata, ovviamente la sua era una pia illusione, perché ora Ade è ancora più distratto di prima. Non riesce a pensare ad altro che alla giovane dea che cammina lungo i corridoi, che dorme sotto il suo stesso tetto, che mangia alla sua tavola; ripensa a come si è presentata quella mattina a colazione, con i capelli rossicci raccolti in una morbida treccia oltre la spalla, un vestito bianco a papaveri rossi e gli occhi ancora semichiusi; ripensa a come gli abbia versato il caffè, senza nemmeno pensarci, nero e bollente come piace a lui, augurargli una buona giornata e a come sia uscita dalla porta, per poi tornare subito indietro con il giornale in mano: «Cerbero ha portato questo, ed incredibilmente non è sbavato. Ho pensato lo volessi».
Thanatos si sbatte una mano sulla faccia e molto lentamente la fa scivolare verso il basso, non stanno andando da nessuna parte e quella situazione non si smuoverà da sola. Forse è il caso di fare al capo un discorsetto.
«Ade» comincia il dio della morte, scuotendolo per le spalle per richiamare la sua attenzione «Dobbiamo parlare di come si fanno i bambini».
L’uomo sgrana lo sguardo, quindi arrossisce leggermente, per poi rischiare di cadere dalla sedia.
«Sei completamente deficiente? So come si fanno i bambini».
«Perfetto! Quindi sai che serve un essere del sesso opposto! Ora» continuò Thanatos facendo un passo di lato per evitare di essere colpito da un libro «Dovresti chiedere a Persefone di uscire».
«Per andare dove!? È scappata di casa!»
«Come se non l’avessi notato» borbotta l’amico «Senti portala a spasso, portala a cena fuori, a Venezia di notte, a Parigi, a fare un pic-nic sui campi elisi, basta che tu faccia qualcosa perché non ti si può veder in queste condizioni, ti sei completamente bevuto il cervello».
«Io mi sono bevuto il cervello? Ma ti senti parlare? Non ho tempo da perdere, ho un regno da portare avanti, Minosse che è sparito di nuovo ed Eaco che non lo trova, Cerbero ha mangiato di nuovo la posta e ho duecento mail di preghiere da leggere. Fammi un favore e sparisci, tu e le tue idee del cazzo» ringhia per tutta risposta il Re degli inferi sistemandosi il nodo della cravatta per darsi un tono e cacciando in malo modo Thanatos dallo studio.
«E non tornare finché non avrai finito di prelevare le anime della giornata!» sbotta chiudendo la porta con un tonfo.
Ade sa che Thanatos ha ragione, e se Persefone fosse stata una semplice mortale forse l’avrebbe già invitata ad uscire; in realtà il fatto che sia una dea semplifica di molto tutta la parte del ti spiego che sono il dio degli inferi, per piacere non dare in escandescenze, peccato che fosse anche sua nipote e lui non era come Zeus. Per Gea! Forse avrebbe davvero avuto bisogno del consiglio dei suoi fratelli, lui non era mai stato tipo da darsi a grandi avventure romantiche, anche perché nessuna dea, ninfa e nemmeno figlia di titani aveva mai voluto avvicinarsi a qualcuno con il dominio sull’Oltretomba. Inquietante, dicevano sempre; e un po’ Ade ci rimaneva male, perché insomma ha sempre saputo di non essere affascinante come Zeus, né carismatico come Poseidone, o biondo come Apollo, né schifosamente bello come Thanatos o Eros, ma, insomma, era pur sempre un Re e, a dirla tutta, non era un brutto uomo. Sì, forse il suo naso avrebbe potuto essere un po’ più piccolo e la sua carnagione un po’ meno pallida e i suoi occhi un po’ meno neri, ma insomma, la genetica mica l’aveva decisa lui e nemmeno il suo dominio, a dire la verità.
Perché in realtà il cielo, l’oceano e il sottosuolo lui e quei mentecatti dei suoi fratelli se li erano giocati a dadi una sera che erano troppo ubriachi per pensare lucidamente (ma forse Zeus non era poi così ubriaco come aveva fatto loro credere), quando ancora si stavano dando ai bagordi per festeggiare la vittoria su Crono.
Decide che chiederà a Persefone se vuole cenare con lui sulla terrazza quella sera, perché, anche se non possono uscire, non è giusto che la ragazza passi le sue giornate ad annoiarsi da sola.
«E quindi poi Cerbero ha passato il pomeriggio con me e ha rincorso le anime sulle praterie degli Asfodeli, e sì, all’inizio mi sentivo in colpa per averlo trascinato lì e ho cercato di fermarlo, ma –, Ade mi ascolti?» domanda Persefone mentre racconta con tono entusiasta come ha trascorso la giornata.
No, scusa, sono troppo impegnato a contare le lentiggini sul tuo naso perché ho appena realizzato che amo le donne con le lentiggini.
«Sì, certo, continua ti prego» risponde l’uomo felice anche solo di poterla ascoltare.
«Ecco, e quindi si è messo a rincorrere le anime come fossero palline e io volevo tanto sentirmi in colpa, ma alla fine ho iniziato a trovarlo divertente. Oddio, sono una persona orribile?»
Ade scoppia a ridere e Persefone pensa che sia veramente bello quando ride.
«Tu? Una persona orribile? Ma se sei la persona più bella che abbia mai incontrato!»
Silenzio.
«Cioè la dea. Cioè bella dentro. Voglio dire anche fuori sei bellissima» Ade arrossisce leggermente, non sa cosa dire per non fare la figura del perfetto imbecille «Credo che mi stiano chiamando. Sì, sì, tu non senti che mi chiamano? Torno subito».
Ecco, perfetto, ora ha fatto la figura del perfetto imbecille.
Persefone trattiene a malapena una risatina, rendendosi conto di quanto le abbia fatto piacere quel complimento; realizza anche che Ade non deve essere molto abituato a trattare con le donne, perché sì, insomma, è così impacciato che quasi le fa tenerezza. C’è qualcosa di incredibilmente dolce in un omone altro un metro e ottanta, pallido e serio, che cerca di lodare le grazie di una donna, si impappina e assume lo stesso colore dei papaveri in primavera. Alla dea si scalda un po’ il cuore e mentre le sue dita si stringono attorno al bicchiere di vino sorride leggermente. Scappare di casa non è stata una brutta idea, dopo tutto.
Quando il dio dei morti ritorna (dopo avere sbattuto ripetutamente la testa contro un muro) ha la cravatta leggermente allentata e un’espressione nuovamente seria, sta cercando disperatamente di darsi un contegno, per non far vedere a Persefone che è completamente perso per i suoi capelli fulvi e i suoi occhi verdi: la cosa, purtroppo per lui, non gli riesce molto bene.
Si appoggia al parapetto della terrazza e riprende in mano il suo calice di rosso, mentre lancia un sorriso timido alla ragazza, incoraggiandola a riprendere il discorso di prima. Lei gli si avvicina e si sporge a guardare il panorama, che a dispetto dell’oscurità e delle nebbie mozza il fiato, perché da lì si vedono gli immensi prati di Asfodeli (e potrebbero risultare rossi quella sera, invece che bianchi, perché Persefone si è divertita a giocare con i fiori quel pomeriggio) e il grande albero che sorge nel mezzo.
«Chi ti chiamava?»
«Radamante» inventa l’uomo sul momento, cercando una scusa a cui non ha pensato quando ne aveva la possibilità «Aveva delle notizie su Demetra».
«Credi che mi stia cercando?»
Ade vorrebbe passarle la mano attorno alla vita e abbracciarla perché in quel momento la giovane dea sembra così piccola da non riuscire a gestire il pensiero di sua madre preoccupata.
«Sei scappata di casa, Persefone, certo che ti sta cercando, ti starà cercando per tutta la terra. Chiunque lo farebbe».
«Tu lo faresti?» domanda la ragazza fissandolo negli occhi e prendendolo in contropiede.
«Beh, se avessi una figlia, può essere».
«No, intendevo cercare me, per tutta la terra» arrossisce leggermente, ma sostiene il suo sguardo mentre il viso del re dei morti vira leggermente verso il fucsia.
«Sì» borbotta piano distogliendo lo sguardo e fissando i fiori rossi in lontananza «Per tutta la terra».
Persefone sorride, gli appoggia le mani sul petto per poi stringere gentilmente la cravatta e fissare il nodo.
«Forse dovrei davvero tornare a casa» mormora, le mani ancora strette intorno all’indumento e la testa piegata verso il basso.
Ade sente il cuore perdere un battito, il che è assurdo visto che fino a mezzo secondo prima stava battendo come un tamburo suonato da un rockettaro ubriaco fatto di acidi. Ecco, fantastico, ora se ne sarebbe andata e lui si sarebbe ritrovato con il cuore spezzato, venticinque maledizioni di Demetra e Thanatos a insultarlo per l’eternità: complimenti, Ade, tu sì che sai sempre cavartela in ogni circostanza.
Cosa farebbero i suoi fratelli in una situazione come quella? Pensa facendo funzionare il cervello alla velocità della luce, scarta subito la voce di Zeus che urla “Trasformati in animale e fecondala, subito!”, decide anche di evitare il suggerimento di Poiseidone perché “Cantale una serenata con l’ukulele e mostrale i pettorali” non è proprio cosa che si adatta alla sua persona; gli dispiace di non essere più in confidenza con Afrodite, perché avrebbe potuto chiamarla e farsi dare qualche consiglio. Forse no, poi l’avrebbe saputo l’intero Olimpo e sarebbe stato preso in giro a vita. Sospira sconsolato e passa le mani lungo le braccia di Persefone che solleva il viso e gli sorride.
«Puoi sempre restare» le dice piano con voce gentile «Può essere anche casa tua, se lo vuoi».
Sente la giovane dea irrigidirsi e pensa di avere detto la cosa sbagliata, ma quando lei alza il viso i suoi occhi brillano e Ade pensa che sia bellissima. Non sa bene cosa lo spinga in quel momento, ma sente l’impulso di baciarla (ed è la quindicesima volta quella sera) e, una volta tanto, si lascia guidare dall’istinto e, dopo averla avvicinata leggermente a sé, le chiude le labbra con le proprie.
È un bacio leggero, gentile e in qualche modo casto e per Persefone è anche il primo bacio della sua vita. Mentre chiude gli occhi si immagina come debba essere approfondire quel contatto e si domanda che sapore abbia Ade, perché baciarlo davvero deve essere un’esperienza incredibile. Anche se al momento, con il cuore che batte all’impazzata e il sangue che affluisce alle guance, la ragazza fatica ad immaginare qualcosa più incredibile di quello.
Quando il dio dei morti si stacca la dea legge nei suoi occhi un misto di amore e desiderio e si chiede come abbia fatto a non accorgersene prima.
«Io. Io ci penserò» risponde piano, ma dentro di sé sa di avere già deciso.
Quando si ritira in camera sua quella sera sente le rotelle del suo cervello che girano vorticosamente e capisce che le serve qualcosa, qualcosa che convinca sua madre a lasciarla andare, a lasciarla lì, altrimenti Demetra non si arrenderà mai.
 
Thanatos si è addormentato sul divano.
La televisione mortale prende abbastanza bene in quella parte dell’Averno, per lo più grazie ai ripetitori che Efesto ha installato su richiesta di Ecate (che dal 1963 non si può perdere nemmeno un episodio di General Hospital), e il dio della morte spesso finisce con l’assopirsi mentre rumorosi mortali discutono le notizie del giorno.
Ovviamente non si accorge che qualcuno bussa alla porta; non è come Hypnos che non si sveglia nemmeno con le cannonate, ma ha il sonno pesante. Quando, però, Persefone spalanca la porta e la sbatte rumorosamente per richiuderla, il ragazzo salta sull’attenti sul divano, bofonchiando qualcosa riguardo al fatto che è sveglio e no, non stava assolutamente dormendo.
«Oh, sei tu» borbotta mettendo a fuoco la ragazza «Che ci fai qui? Se Ade ti trova in camera mia mi uccide, poi mi riporta in vita e mi uccide di nuovo. O peggio, mi spedisce a lavare Cerbero».
«Ho bisogno del tuo aiuto» risponde la ragazza raggiungendolo e sedendosi su una poltrona di fronte a lui.
Thanatos alza un sopracciglio e sta per dirle che no, lui non commette omicidi su commissione, ma quando Persefone gli spiega il suo problema allora cambia tutto. Perché nel momento in cui la ragazza dice: «Devi aiutarmi a trovare un modo per rimanere qui». Thanatos capisce solamente che, finalmente, dopo secoli di noia, può tornare a divertirsi alle spalle degli altri dei.
«Dimmi» dice il dio della morte «Hai mai sentito parlare di semi di melograno?»




 
   
 
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