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Autore: Odiblue    25/11/2014    5 recensioni
“Mentre guardava la grandine scendere nel cortile dei Nara, non poteva che paragonarla a Sasuke. Era bella – bellissima! - in ogni acino di ghiaccio che martoriava il lastricato, bianca come la pelle di lui, eppure, nonostante avesse il colore della purezza, dannatamente pericolosa. Difficile da sciogliere, impossibile da scaldare “. La storia partecipa al contest “NARUTO the movie: la vita e l'amore”, indetto da manga, sasuk8 e meryl watase, sul forum di EFP.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Hinata/Naruto, Sai/Ino, Sasuke/Sakura, Shikamaru/Temari
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la serie
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Nome Account Forum / Efp: Odiblue

Titolo storia: Grandine

Coppia principale: Sasuke - Sakura

Rating: Giallo

Introduzione: “Mentre guardava la grandine scendere nel cortile dei Nara, non poteva che paragonarla a Sasuke. Era bella – bellissima! - in ogni acino di ghiaccio che martoriava il lastricato, bianca come la pelle di lui, eppure, nonostante avesse il colore della purezza, dannatamente pericolosa. Difficile da sciogliere, impossibile da scaldare “. La storia partecipa al contest “NARUTO the movie: la vita e l'amore”, indetto da manga, sasuk8 e meryl watase, sul forum di EFP.

Avvertimenti: La seguente storia non prende in considerazione gli avvenimenti successivi al capitolo 695.

Genere: Generale, introspettivo, romantico.

Note: What if?

Disclaimer: questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Masashi Kishimoto. Questa storia è stata scritta senza scopo di lucro.


                                    



Dedico questa fanfiction, in modo molto spontaneo, al procione,
colui che con i suoi "mi faresti una sasusaku?",
nonostante i miei "ma ho già una long in corso",
alla fine mi ha convinta a scriverla. ♥





Grandine






I.


Era una fredda giornata d'estate e a Konoha pioveva. Shikamaru aveva appoggiato la scacchiera da shogi sul pavimento dell'engawa. Sottili fili d'acqua scendevano dal cielo e bagnavano il cortile. Sakura, avvolta in un maglioncino rosso, due volte la sua taglia, fissava la griglia a nove righe e nove colonne in cerca di una trappola. Per qualche assurdo motivo, Shikamaru aveva mosso l'alfiere e non la tessera del Generale Oro. Lei era ancora una novellina e spesso si perdeva in quella confusione di ideogrammi giapponesi, frecce, tattiche e tranelli mentali.

“Perché cavolo ha mosso l'alfiere?” si chiedeva. “Me l'ha insegnata lui la mossa del Generale Oro e allora perché non metterla in pratica?”.

Ignorava la risposta al dilemma, ma aveva una certezza: non si trattava di un errore, bensì di una scelta calcolata. Probabilmente Shikamaru voleva farle credere fosse uno sbaglio, per poi coglierla di sorpresa, quando meno se l'aspettava.

Era da circa due mesi che giocavano assieme, da quando scariche di grandine improvvise avevano costretto l'intera Konoha a rassegnarsi: la bella stagione non sarebbe arrivata. E pensare che si trattava di un'estate attesissima, la prima dopo anni di duro lavoro per rimettere in piedi il villaggio!

A guerra finita c'erano stati gli accordi di pace, le assemblee tra Kage per giudicare i nukenin, liti e dissapori, con duelli e qualche pugno di troppo in conclusione. Sakura si era immersa a pieno nel lavoro. Per un medico la vera guerra non iniziava con l'invasione del nemico. Iniziava dopo, quando i soldati potevano dire “È finita”, mentre i dottori sospiravano con un “Forza e coraggio! Si continua!”. Stanchi, ma determinati ad andare avanti.

Così Sakura aveva lasciato che la piega degli eventi seguisse un corso autonomo, senza preoccuparsi di riallacciare vecchi rapporti perduti, chiarire tentati omicidi, incazzarsi per illusioni che le avevano strappato il cuore dal petto. Letteralmente. Avvolta da una bolla di responsabilità e senso del dovere, si era spaccata la schiena, correndo dai letti dei feriti alla sala operatoria, fino a quando il lavoro non era diminuito e Konoha aveva imparato a rimettersi in piedi.

Intanto Sakura aveva visto due anni di vita volare davanti alla punta del suo naso, senza riuscire ad acciuffare un attimo degno di essere definito “ricordo”. Per ventiquattro mesi era rimasta inchiodata al punto di partenza e non aveva mosso un unico passo verso la linea del futuro. Non con gli allenamenti. Non con gli studi medici. Non con i suoi amici. Non con Sasuke.

Con la metà di maggio Tsunade l'aveva informata che le loro giornate all'ospedale sarebbero state più leggere e avrebbe potuto prendersi perfino qualche giorno di vacanza.

“Eccome se lo farò!” aveva pensato tra sé e sé.

Non vedeva l'ora di portare a compimento quelle piccole cose che aveva agognato, chiusa tra le mura di un ospedale.

“Farò lunghe passeggiate al sole con Ino, fino al campo di fiori dove giocavamo da bambine” aveva iniziato a sognare, per poi ricordarsi che la guerra aveva bruciato ogni zolla d'erba e petali. “Però sono passati due anni e sono convinta che Ino e il suo pollice verde lo abbiano fatto tornare come nuovo. E poi andrò a pranzare all'aperto da Ichiraku, assieme a Naruto. E devo ricordarmi di spettegolare con Hinata sulla sua nuova relazione. Potrei organizzare un pic-nic sotto un albero di ciliegio, portare una vaschetta di gelato alla fragola”.

Ma poi era arrivata la grandine, per i suoi sogni un nemico più crudele di una nuova guerra ninja. Niente passeggiate al sole, niente pranzi all'aperto, niente pettegolezzi davanti al gelato. La grandine aveva un unico dono: metterla di cattivo umore. Con la scusa del brutto tempo, Hinata e Naruto trascorrevano i giorni a scegliere l'arredamento per la futura casa; Ino impartiva “ripetizioni d'anatomia” a Sai che, preso dall'entusiasmo, aveva accantonato perfino la passione per il disegno.

Proprio quando Sakura temeva di morire di solitudine e inedia, Shikamaru aveva bussato alla sua porta, l'aveva rapita con una scusa che nemmeno ricordava, e imprigionata nella casa di famiglia.

“Tu non hai niente da fare” le aveva detto. “E a me serve qualcuno con cui giocare a shogi...”.

Si era trattenuto dal concludere la frase. Sakura aveva capito e accettato la richiesta. Era la nuova sfidante e aveva perso talmente tante volte da potersi definire un totale disastro. Fino a quel giorno...

«Non dirmi che quest'oggi hai pietà di me, Shikamaru, e mi stai facendo vincere di proposito» gli disse.

Lui studiava la scacchiera con zero interesse e fin troppi sbuffi.   

«È la grandine» rispose. Spostò una tessera. Quella sbagliata. «Troppo rumorosa. Non riesco a concentrarmi.»

Con sua sorpresa Sakura si trovò ad ascoltare il ticchettio dell'ennesimo scherzo climatico. Il bambù batteva ritmicamente contro la pietra, gettando secchiate di ghiaccio sulle lastre bianche del cortile e scaricando l'acqua dal canale di gronda. Era una serie di rumori che torturava i due giocatori da mesi, ma Sakura doveva ancora abituarsi agli sfoghi di Madre Natura. Shikamaru però... le sfuggì una risata.  

«Sei in squadra con Ino!» gli ricordò. «Se non ti deconcentrano i suoi starnazzi da oca, come può riuscirci qualche chicco di grandine?»    

In tutta risposta, stizzito e scocciato per un'affermazione non attesa, Shikamaru si decise a muovere la tessera del Generale Oro.

«Oggi non ci sei proprio con la testa» sogghignò Sakura. «Quello è il mio Generale Oro! Non il tuo!»

Shikamaru biascicò due improperi in un tono talmente basso da risultare impercettibile. Sakura non capì quale Kami lassù, in cielo, si fosse meritato la bestemmia. Analizzò invece i movimenti dell'amico, la rabbia con la quale staccò pollice e indice per liberarsi di una tessera che pareva bruciargli i polpastrelli.    

«Che scocciatura» le disse. Arricciò il naso e si sistemò la coperta sulle spalle, non appena una lieve brezza li fece tremare dal freddo. «Siamo a luglio e sono due mesi che grandina un giorno sì e un giorno no. Non ricordo nemmeno come è fatto il cielo senza pioggia.»

Sakura smise di studiare la scacchiera sull'impiantito e stirò le labbra nel classico sorriso di “chi sa”. Aveva passato ore e ore seduta su quelle assi di legno e, oltre ai meccanismi del gioco, aveva imparato a conoscere i pensieri che agitavano il cervello di Shikamaru.

«Immagino sia questo a scocciarti» ribatté con finta comprensione. «Oltre al fatto di perdere contro una principiante.»

Inaccettabile per il prodigio dello shogi! Ma Shikamaru pareva determinato a tenere addosso la maschera della faccia tosta, a non abboccare all'amo della provocazione.

«Non posso guardare le nuvole» disse. «E, come ben sai, guardare le nuvole mi rilassa.»

Enfatizzò quel “come ben sai” per sfatare le supposizioni di Sakura.

«Sì, sì. Proprio le nuvole non puoi guardare!» rise lei.

Di buon gusto, perché Shikamaru era davvero tenero e sprovveduto. Non sapeva raccapezzarsi in quell'oceano di bugie e scusanti che propinava alla gente pur di non ammettere che sì, Temari gli mancava da impazzire e, se odiava il brutto tempo, lo odiava solamente perché gli impediva di vederla. Quando si arrivava ai sentimenti, Shikamaru diventava un goffo marionettista, incapace di muovere un filo senza ingarbugliare la matassa e trasformare lo spettacolo in un flop totale.

Su un qualcosa tuttavia aveva ragione.

«Questa grandine» disse Sakura con un sospiro stanco. «È una vera scocciatura.»

Nemmeno lei riusciva a capire quale fosse la ragione del suo odio. La guardava mentre si schiantava sulle pietre del cortile e trovava quella visione ammaliante, uno spettacolo di tinte bianche in mille sfumature. Coriandoli duri come sassi danzavano decisi, precipitavano nel vuoto, determinati, abbattevano qualunque ostacolo bloccasse il loro tragitto e alla fine, incuranti di ciò che avevano distrutto, giungevano alla meta: terra. Forse era proprio questa consapevolezza ad annientare Sakura e a far scalpitare nel suo petto una melanconia che la condannava a una silenziosa tristezza. Quando la grandine scendeva dal cielo, arrivava sempre a destinazione: non c'era ramo, foglia, o tetto a ostacolarla. Lei, invece, sentiva in se stessa il rimpianto di tutto quello che non aveva portato a termine. Perché sapeva benissimo che se Sasuke era tornato a Konoha il merito spettava a Naruto, non a lei.

Quando si parlava di ingiustizie della vita... confidava nella sua intelligenza, nella sua forza, nella capacità di sgretolare una montagna con un pugno. Bastava però che l'argomento in questione fosse Sasuke e lei diventava piccola, innocua, succube di un uomo che avrebbe voluto distruggere a suon di destri e sinistri. Invece lo vedeva e ogni sua convinzione si squagliava sotto l'intensità di un singolo sguardo.

Sakura ricordava perfettamente com'era finita la guerra. Il momento coincideva per lei con la dispersione di un'illusione in cui si trovava rinchiusa. E ricordava anche che era stato proprio Sasuke, dopo aver “discusso” con Naruto - Chidori contro Rasengan - a riportarla indietro. Era stata un'illusione crudele, la sua. Dissacratoria. Aveva profanato quell'amore che Sakura custodiva tanto fedelmente nel suo cuore, come una reliquia. Lo aveva calpestato, spolpato della linfa che lo nutriva. Così, dopo l'ennesima umiliazione da lei subita, dopo la fine di una guerra colpevole di aver decimato la popolazione di Konoha, aveva creduto di essersi finalmente liberata di un peso che gravava sulle sue spalle sin da quando era bambina: l'amore per Sasuke.

Negli anni passati, nonostante le avversità, quel sentimento era rimasto un fiume in piena, traboccante di vita. Mentre cercava di liberarsi dal genjutsu, il corso d'acqua aveva finito però con lo svuotarsi e diventare arido quanto la terra del deserto.

Appena uscirò da qui, lo griderò al mondo intero. Sakura Haruno ha smesso di amare Sasuke Uchiha.

Poi aveva sentito dei passi in lontananza e una voce che la chiamava. Era flebile, appena un sussurro. Eppure, quando ancora non era una parola completa, aveva capito all'istante di chi fosse. Sakura avrebbe riconosciuto quel tono profondo e basso, anche se un ninja nemico le avesse strappato i timpani dalle orecchie.

Non ascoltarlo. Non andare da lui. Lui ti ha lasciata. Non spetta a te seguirlo.

Ma quando si trattava di Sasuke, il corpo di Sakura non conosceva ragione. Si muoveva in automatico, bramava la sua vicinanza, quasi fosse la sorgente dalla quale sgorgava la vita. E anche quella volta non c'era stata eccezione. Aveva fiutato la pista, seguito il richiamo, preso l'immaginaria mano che Sasuke le porgeva. Si era lasciata guidare fino all'uscita dell'illusione. Il viso di Sasuke – stanco, ricoperto di graffi, con occhi talmente lucidi da sembrare pietre d'onice immerse nell'olio – aveva accompagnato il suo risveglio.

“Sakura.”

Solo una parola. Di nuovo, sempre e solo il suo nome.

Era incredibile quante cose riuscisse a dire con un “Sakura”, a seconda delle circostanze: sei irritante, Sakura; ci sei anche tu, Sakura; smettila, Sakura; grazie, Sakura; mi dispiace, Sakura. In questo caso, la traduzione migliore sarebbe stata “bentornata”. Ironia della sorte, visto che lui era fuggito in capo al mondo, in cerca di vendetta.

Forse anche Sasuke aveva percepito il paradosso di quest'ultimo “Sakura”. Aveva abbassato le palpebre, incapace di sostenere il suo sguardo, verde come la verità e tutte le emozioni che non riusciva a trattenere, tutte le domande che avrebbe voluto fargli, tutti gli insulti che sarebbe stato giusto rivolgergli. E a tradimento quel fiume d'amore aveva spaccato l'arida roccia del deserto. Un piccolo rivolo d'acqua fredda, mosso da onde incerte che si facevano strada su un fondale di ciottoli acuminati: il suo dolore, le sue lacrime. Quando Sasuke si era alzato e aveva allungato la mano verso di lei per aiutarla a rimettersi in piedi, di nuovo il corpo di Sakura aveva reagito da solo e aveva accettato quel soccorso. Il rigagnolo aveva aumentato la portata d'acqua ed era tornato a scorrere impetuoso in ogni organo che la componeva, più forte che mai.  

Sakura Haruno che non ama Sasuke Uchiha? Chi voleva prendere in giro? Era la più colossale di tutte le stronzate.

Così Sakura, a distanza di due anni da quel giorno, continuava a rimbeccarsi per essere cascata una seconda volta nella trappola dal cognome Uchiha, e mentre guardava la grandine scendere nel cortile dei Nara, non poteva che paragonarla a Sasuke. Era bella – bellissima! - in ogni acino di ghiaccio che martoriava il lastricato, bianca come la pelle di lui, eppure, nonostante avesse il colore della purezza, dannatamente pericolosa. Difficile da sciogliere, impossibile da scaldare.

A distanza di due anni, pensava anche ai passi da formica che aveva fatto con Sasuke, ai piccoli riconoscimenti che aveva ottenuto.

“Sei cambiata.”

Con queste parole l'aveva salutata dopo il risveglio a fine guerra.

“Da oggi sei il mio medico” aveva aggiunto qualche mese dopo, e se Sasuke aveva scelto lei – non Tsunade, non Shizune, non Ino – era perché si fidava, perché la riteneva brava, la migliore.

Quand'era allora che oltre al ninja e al medico si sarebbe deciso a vedere la donna che continuava ad aspettarlo?

Sakura sospirò e tossì, appena un anello di fumo le entrò nelle narici. Si era persa a tal punto nei suoi pensieri da non accorgersi che Shikamaru aveva messo via le tessere da shogi, per accendere una sigaretta. Studiava ogni chicco di grandine con la stessa attenzione che prestava pure lei a quell'enorme distesa d'acqua solida.

«Scusa» le disse. «Dimenticavo che il fumo ti dà fastidio.»

«Lascia stare. Casa tua, regole tue.»

Aveva replicato con una battuta che mascherasse il cattivo umore. Un sorriso finto. Una risata finta. Una persona finta. E ora spettava a Shikamaru mettersi in faccia l'espressione vincente di “chi sa”. Con la sigaretta spenta, abbandonata sulle assi in legno dell'engawa, con una gentilezza che Sakura mai avrebbe sospettato, allungò la mano sinistra per prendere la sua, per cercare e dare un conforto che entrambi necessitavano.

«Ancora Sasuke» constatò.

Sakura si sentì trapassare. Punta nel vivo. Dannatamente trasparente. E si diede della stupida, perché bastava un nome – Sasuke – a renderla vulnerabile e fragile, come si era ripromessa di non essere. Ma due concorrenti potevano giocare la stessa carta.

«Ancora Temari» gli disse. «Non riesce a venire nemmeno questa settimana, vero? Per il brutto tempo.»

Shikamaru aprì bocca per ribattere che si sbagliava, ma la lingua non arrivò ad articolare una parola che Sakura alzò la mano per interromperlo. Era arrivato il momento di finirla con quella farsa.

«Siamo troppo intelligenti per prenderci in giro» gli disse.

Shikamaru sospirò e cacciò dal naso un nugolo di nicotina che era rimasto incastrato nei polmoni.

«Già» ammise. «Stupida grandine.»

Rimasero in silenzio, avvolti in un maglioncino troppo grande e in una coperta sfibrata, a studiare la cascata di ghiaccio che gli dèi versavano sul mondo mortale. E c'era solo quella mano – quella che Sakura e Shikamaru continuavano a stringersi – a stornare dai loro capi la solitudine. La consapevolezza di condividere un dolore non identico, ma quantomeno simile.

“In due si soffre meglio che da soli” si ripeteva Sakura.

Da brava egoista qual era sempre stata, pensava però di avere più diritti di Shikamaru a starci male. Il genio dello shogi si svegliava ogni mattina scaldato da un amore lontano, ma comunque esistente. Viveva i drammi di una storia a distanza con nientemeno che la sorella del Kazekage, una donna dai mille impegni e doveri. Aveva come nemici spazio, tempo e clima, ma per quanto la sua guerra fosse difficile da vincere, gli restava una splendida ragione per battersi con tutte le forze. E gli restava il sollievo di avere una metà della sua anima, sotto un identico cielo che non conosceva gli ostacoli di foreste e deserti.

“Chi l'avrebbe mai detto” sorrise Sakura tra sé e sé. “Un pigrone e un'irascibile. Potrebbero vincere il titolo di coppia più strana dell'anno”.

La loro storia era nata a fine guerra, da uno scambio di battute snervate e pugni stizziti che a Sakura ricordavano la collisione di due chicchi di grandine a metà cielo. Temari rappresentava di natura la durezza e, se gli dèi le avessero accostato un elemento, sarebbe stato l'acciaio. Shikamaru era intelligente e deciso. Quando sapeva quel che voleva, lo prendeva. Non riteneva stancante ottenere ciò che gli avrebbe portato la gioia dell'animo. Desiderava una donna né troppo bella, né troppo brutta; né troppo rumorosa, né troppo taciturna.

E invece gli era capitata sul groppone Temari no Sabaku, una kunoichi che rientrava a pieno nelle prime due categorie: bella, rumorosa. Era merito di Madara, se il ninja della Foglia aveva capito. Paradossalmente l'illusione equivaleva al desiderio e così, quando Naruto e Sasuke avevano disattivato lo Tsukuyomi, Shikamaru aveva riflettuto a lungo, con una mano sotto il mento e uno sbadiglio che premeva per uscire dalle labbra.

“Ti sembra il momento di dormire, razza di scansafatiche?”

Temari aveva minacciato di tirargli una ventagliata in testa, ma la voce di Shikamaru era arrivata in tempo per fermarla:

“Curioso. Nella mia visione c'eri anche tu”.

Temari era diventata più rossa dei capelli di Gaara. Con occhiate sospettose aveva controllato che nessun membro dell'alleanza assistesse al loro battibecco. Quindi, dopo un calcio a un sassolino e un mormorio incomprensibile, lo aveva confessato ad alta voce:

“Anche tu”.

Quando Shikamaru aveva lasciato cadere la conversazione nel silenzio, si era premurata di tirargli un piccolo colpo con il suo immenso ventaglio.

“Non mi farò battere da una finta Temari. Se ero con te in quella visione, rassegnati. Ci sarò anche nella realtà. E comunque è ingiusto! Tocca sempre fare tutto a me, razza di pigrone!”

“Intendi picchiarmi per il resto della nostra vita?”

E allora a Temari era caduto il ventaglio di mano. E Sakura li aveva guardati, discreta, con la coda dell'occhio. Guardava sempre tutto, pur di non dover pensare a Sasuke. E aveva letto nelle parole di Shikamaru il sottotitolo che anche Temari era riuscita a cogliere. La nostra vita. Non la mia. Non la tua. Nostra.




Quella dichiarazione, quel “nostra” era stato il continuo di un processo nato all'improvviso, per uno scherzo del destino. Se il caso non avesse fatto sì che Temari e Shikamaru si confrontassero all'esame Chunin, forse non avrebbero dovuto confrontarsi per il resto dei loro giorni. Invece i Kami, dèi di larghe vedute, avevano messo al confronto due caratteri diversi e opposti. Subito, di primo acchito, Temari e Shikamaru erano rimasti stupiti e ammaliati da quella loro diversità. L'avevano studiata da lontano, desiderata nei periodi di distanza, idealizzata nelle ore di solitudine, negli attimi di pace, trascorsi sdraiati sul letto di due stanze ai confini del mondo, o sotto vecchie querce, persi a contemplare il cielo. E avevano cercato i rispettivi volti in nuvole bianche, più dolci di zucchero filato, ma meno passionali di quel misterioso sentimento che pensiero su pensiero iniziava ad ardere nei loro cuori. Così, avevano sconfitto ogni rifiuto e domato ogni loro negazione, trasformando quella piccola goccia di curiosità in ricerca e in affetto, in rispetto e in venerazione, in un bisogno di completarsi chiamato amore.




La porta di lino si aprì con uno scatto. Sakura per la sorpresa rimase con un boccone di saliva incastrato in gola. Gli occhi si fecero sgranati, grandissimi, ma mai quanto quelli di Shikamaru, aperti al massimo, pur di non perdersi l'insolita visione.  

Temari no Sabaku, in tutto il suo splendore, aveva appena spalancato la porta a suon di ventaglio. Lì, davanti a loro, con qualche chicco di grandine ancora prigioniero di ciocche di capelli ribelli. E poi c'era una sottile smorfia di scocciatura e di fastidio sul viso imbronciato. In effetti, metteva un po' di paura e sembrava pronta a rifilare al suo amato scariche di pugni talmente potenti che anche il cielo era corso ai ripari: aveva smesso di grandinare.

«Portami subito un asciugamano, Nara!»

Sakura fu abbastanza intelligente da sciogliere le sue dita da quelle di Shikamaru. Mentre si sistemava il maglioncino rosso, con l'intenzione di prendere la via della fuga, vedeva il viso dell'amico combattere, nel tentativo di nascondere un sorriso di gioia. Un sorriso non da lui.    

«Sai benissimo dove li tengo. Perché non ti arrangi, razza di seccatura?» le disse.

Finse un sospiro di stanchezza. E invece Sakura, prima di lasciarla, aveva sentito la mano di Shikamaru irrigidirsi e rilassarsi; e le pareva addirittura di aver percepito il tonfo assordante del suo cuore battere all'impazzata.

Si sistemò i sandali e scivolò sul lastricato del cortile: sarebbe uscita dal retro, senza disturbare quell'unione tanto attesa. Come ultima immagine, vide il volto di Temari farsi rosso pomodoro e il fiato salire su, per la gola. Le parole non tardarono ad arrivare:  

«Arrangiarmi? Io dovrei arrangiarmi? Ho fatto tutta questa strada, sotto questo stupido cielo solo per degnarti della mia presenza, e ora devo pure arrangiarmi? Shikamaru Nara, spero per te che-»

Quel che venne dopo Sakura non lo vide: girato l'angolo, si immerse nella via principale che portava alla periferia di Konoha. Sentì però la voce di Temari spezzarsi a metà, rompendo la frase. E c'era un unico modo con il quale Shikamaru si sarebbe potuto liberare di lei.

“Certo, oggi era davvero incapace a shogi, ma a quanto pare la sua intelligenza funziona alla grande per altri generi di trucchetti” si disse.

Con un pizzico di invidia immaginò di essere al posto di Temari e fantasticò di trovarsi con Sasuke, invece che con Shikamaru. Come ci si sentiva a venire zittiti da un bacio? Gli dèi furono veloci a punire quel pensiero peccaminoso. Usarono la loro arma preferita. La più odiata: grandine.


Salve a tutti! Oggi sono - stranamente - di pochissime parole, vista la fretta. Ci tenevo però a postare stasera il primo capitolo di questa storiella breve breve (sono cinque capitoletti), che come dicevo nell'introduzione partecipa al contest "Naruto the movie: la vita e l'amore", di manga, sasuk8 e meryl watase. Ringrazio le giudicIE per avermi dato lo spunto per scrivere questa storia e tutti i lettori. E' davvero una cosetta senza pretese! Grazie a tutti,

un bacione

Odiblue




   
 
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