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Autore: Cromo    25/11/2014    0 recensioni
[http://it.wikipedia.org/wiki/Dota_2]
Prima storia che appartiene allo stesso ciclo di quella di Rubick ma non sarà questa volta così immediata.
Ho scelto infatti di fare più capitoli che arriveranno in seguito e spero il più presto
Intanto ecco a voi il primo capitolo.
Niente di speciale davvero solo spero in un pò di Curiosità
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1: Dawn

Il cielo era scarlatto.
Il sole stava facendo capolino.
Gli edifici della città erano colpiti dalla luce mattutina ed ogni singolo anfratto della città di Tur veniva riportato ad un nuovo giorno.
Dalla finestra più in alto di uno degli edifici, filtravano i raggi del sole da dietro le tende di lino.
I raggi, per gioco, caddero precisamente sopra ad uno dei quattro occhi che si trovavano appisolati tra le coperte calde.
Le palpebre si serrarono ancora più stoicamente al filtrare della luce.
Eppure non era abbastanza e la luce continuò ad avanzare colpendo direttamente l’occhio.
E Puf!. In un battibaleno l’uomo infastidito dalla luce si svegliò
Il raggio di luce aveva fatto partire un piccolo messaggio nel cervello dell’uomo.
Un messaggio preciso, che aveva iniziato a viaggiare per ogni singolo neurone del suo cervello ed ognuno di essi lo aveva fatto rimbalzare su se stesso, mandandolo al successivo.
Dai neuroni, il raggio si era poi spostato ad ogni singola parte del suo corpo.
Il cuore aveva accelerato leggermente il battito, i polmoni riempiti con più aria ed ogni muscolo si era messo in riga pronto all’ordine.
Un semplice raggio di luce aveva dato origine a qualcosa di immenso.
Aveva messo in moto qualcosa di molto più grande.
Tutto un semplice raggio di luce.
L’uomo si era svegliato. Ma non aveva apparentemente considerato un piccolo inconveniente.
La trave su cui aveva sbattuto la testa cercando di alzarsi in piedi quando era ancora sul letto.
Si sentì un gemito di dolore e l’uomo si ri-butto, ricoprendosi con le coperte, privato della voglia di alzarsi.
Posò la testa cercando il suo cuscino caldo.
Pochi secondi dopo, sul suo corpo desideroso di sonno si posò una calda mano ed una voce parlò:
“Uuuhmmm” e sospirò “Amore, è ora di alzarsi.”
L’uomo con la faccia nel cuscino alzo lentamente il volto.
Aveva dei capelli ricci color castano chiaro. Degli zigomi forti ed un naso fino ma ben presente.
Occhi scuri e spenti, probabilmente per il sonno. Le borse degli occhi si erano un po’ affievolite comparate a quelle dei giorni precedenti. Le labbra chiare e la carnagione rosata.
La barba ben curata, o meglio, del tutto tagliata.
Ed il mento, come tutto il resto, appuntito.
La donna dai capelli rossi scostò leggermente la spalla dell’uomo. La mano si avvicinava lentamente passando sensualmente sulla sua schiena. Leggermente saliva e le unghie sfioravano la pelle nuda dell’uomo. Passarono la spalla e la colonna vertebrale per poi passare alla scapola destra. Ad ogni centimetro percorso la mano di si avvicinava sempre più al corpo del uomo.
Un movimento del corpo della donna, che era rimasto tutto il tempo fermo, scosse l’uomo nuovamente appisolato. La mano destra partì quindi con uno scatto ancora più energico verso l’altro trovando fermo appiglio. Il morbido del cuscino stretto fra le lunghe dita affusolate. Afferrato il cuscino, con gesto repentino lo tirò a se levandolo dal viso dell’uomo che si abbatté sul materasso al di sotto.
L’uomo si svegliò di scatto. Il suo sguardo stizzito ricadde sul viso della donna racchiuso nell’abbraccio del suo cuscino.
Si alzò in piedi e si strofinò gli occhi con le mani.
I piedi scalzi toccavano il pavimento di legno del piano superiore della casa.
A tentoni, guardandosi attorno come un errante ramingo privo di meta, girava per la stanza cercando una camicia da mettere. Afferrata e messa alla rinfusa, si avvicinò alla donna addormentata.
Poso la mano sulla testa cercando di svegliarla.
“Tesoro, ora tocca a te”
I rossi capelli arruffati sprofondarono ancora di più nel cuscino. La mano si fece ancora più rigida ogni secondo che passava. Passarono cinque secondi e la donna si alzò.
Pelle chiara e capelli rosso scarlatti. Zigomi accesi e naso dolce. Occhi chiari e labbra, anch’esse, accese.
Si strofinò gli occhi e si alzò in piedi.
Alta poco meno dell’uomo, gli si mise al fianco.
Si sistemò la scollatura della veste da notte.
L’uomo la guardò con fare sopito e le parlò
“vai a svegliare Joshuan, penserò io alla colazione”
La donna annuì e prese a cercare nell’armadio un abito più adatto alla giornata.
I passi ritmati battevano sul pavimento di legno. Spalancò la porta e passò il corridoio.
Dritto per una ventina di passi poi a destra ed infine entrare nell’ultima camera.
Mano ferma nel pomello della porta di legno che riportava, incisa, quello che era una stilizzazione di una lupa con i suoi piccoli. Tre per la precisione. E la lupa li guardava.
Aprì la porta e si ritrovò in una camera scura. Solo una cosa appariva in quel buio rassicurante.
La finestra della cameretta che sputava fuori radi raggi di luce
Il tutto era però troppo scuro e richiedeva troppo sforzo mentale per una donna assonata
A passi avidi si muoveva verso il letto.
La coperta lasciava apparire al suo di sotto quello che era un corpicino.
Ma il quinto passo, quello fatto con il piede destro finì esattamente sopra ad un giocattolo di legno posto sul pavimento. Si mise una mano davanti alla bocca per trattenere un imprecazione.
Si massaggiò quindi il piede dolorante con la mano destra rimanendo per qualche istante in un precario equilibrio.
Passato il futile dolore si avvicinò al letto e presa la vaporosa coperta, levandola dal fagotto sottostante.
Si mostrò ai suoi occhi un bambino all’incirca di nove anni.
Stava ancora dormendo e si poteva sentire il suo respiro.
L’uomo andò in cucina e si sedette ad un tavolo.
Alla sua destra si trovava la moglie mentre alla sinistra il figlio.
La tavola era imbandita con cibarie di vario tipo.
C’era del pane accompagnato da quella che era una confettura di albicocche in un vasetto di vetro verde, della frutta fresca e fette di formaggio.
Davanti al bambino una tazza fumante di latte. Davanti alla donna una di tè. Davanti all’uomo una di caffè
Era Mattina. La mattina di un vago martedì soleggiato in cui il cielo non copriva il sole.
La donna portava una giacchetta sopra all’abito da notte. Il ragazzo aveva invece una camicetta.
L’uomo era vestito portando degli abiti marroni ornati da decorazioni rosso scarlatte, che terminava come una sorta di tunica, rispettando il colore precedentemente usato. Sopra di esso avrebbe dovuto portare probabilmente una giacca che al momento era appoggiata sull’attaccapanni all’ingresso.
L’uomo prese a sorseggiare dalla curata tazza di ceramica. Fece tre o quattro sorsi prima di parlare.
Il ragazzino sedeva in silenzio sorseggiando dalla tazza di latte caldo guardando un po’ annoiato quella scena priva di alcun discorso.
“Che farai oggi, Shila?” come detto prima, disse l’uomo
La donna cremisi abbassò la tazza di tè e gli rispose: “Credo che farò un giro in città con Joshuan, passeremo alla bottega del Telo Rosso e poi andremo al mercato. Oggi è martedì dopo tutto”
“Posso comprare qualcosa alla bottega, Mamma?!” rispose ad orecchie a punta e a lentiggini accese suo figlio.
“Se ti comporterai bene lungo la strada, Joshi”. “Va bene mamma!” rispose il figlio.
E Shila si voltò verso suo marito “A che ora passa tuo fratello, Tesoro?”
Terminò a mala pena la frase che alla porta della casa si udì un suono acceso.
Un suono di una campanella. Un pochino metallico ma ancora squillante.
“Credo sia arrivato” disse con voce decisa.
Si alzò in piedi finendo in fretta il suo caffè e si diresse alla porta, come già detto, già ben vestito.
Prese la giacca e se la mise accertandosi di essere in ordine e sistemandosela ripetutamente davanti allo specchio sull’entrata. Il campanello suonò un'altra volta.
Aprì a quel punto la porta vedendo la piccola campanella venir ri-mossa dalla grossa catena.
Un viso cruciato gli si parò davanti.
I vestiti erano gli stessi. Anche i tratti del viso lo ricordavano parecchio.
Era lo specchio di se stesso solo uno specchio antico con incrinature e pezzettini mancanti.
Non rifletteva bene la luce.
“Sbrigati Tom faremo tardi, muoviamoci”
Tom lo seguì senza far storie.
Passo svelto per entrambi.
Attraversarono la città ancora addormentata.
Silenzio. Nessuno li notava.
Entrarono all’interno di un grande edificio.
Una chiesa. La cattedrale della città.
Il fratello di Tom bussò otto volte prima che la porta si aprì.
Erano però forti colpi quelli che colpivano il portone sigillato; niente di normale.
Lì accolse un terzo uomo. Gli stessi abiti.
Lo seguirono e vennero condotti in una grossa e sfarzosa stanza con tredici sedie.
Si accomodarono e aspettarono tutti i mancanti.
Una volta che tutti furono presenti, un uomo vestito come loro di un rosso pregiato e sfarzoso iniziò a parlare.
“Siamo tutti possiamo incominciare”
“Sappiamo tutti perché siamo qui”...
   
 
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