Chiara
si alzò di scatto a sedere, quasi fosse stata punta da una
vespa, e si voltò in
direzione della voce.
Quello
che vide fu un uomo, molto alto e magro, con capelli corvini lunghi
fino alle
spalle, accuratamente spazzolati all’indietro, e grandi occhi
verdi, freddi
come il ghiaccio.
Se
ne stava lì, a poco più di tre metri da lei, in
piedi, con le mani dietro la
schiena e un mezzo sorriso disegnato sulle labbra sottili. Sembrava essere piuttosto
giovane, ma dal suo
sguardo traspariva un’intelligenza e un acume che andavano
ben al di là della
giovane età.
-Come
hai fatto ad entrare?- domandò Chiara.
-Domanda
intelligente- rispose lui - perché ti aspetti che, da dove
sono entrato io, tu
possa uscire, ma temo di doverti deludere. Sono entrato
nell’esatto momento in
cui sei entrata tu e nello stesso identico modo.
-Cosa
significa?- chiese Chiara – ero da sola quando mi hanno
riportata qui. Non
c’era nessun altro.
L’uomo
non rispose, ma si limitò ad osservarla come un oggetto
interessante trovato su
una bancarella del mercato, analizzando ogni suo aspetto e valutandone
il
prezzo.
A
Chiara non piacque per niente il silenzio che si era venuto a creare,
così
riprese la conversazione chiedendo: -Chi sei?
-Oh,
dovresti saperlo!- rispose l’uomo, beffardo – In
fondo, io sono parte
di te.
Chiara
rimase senza parole, quella giornata stava diventando davvero troppo
insostenibile
per lei ed era stufa degli indovinelli di quell’individuo.
-Dimmi
chi sei e senza giri di parole!- esplose alla fine.
-Io
sono la tua paura- ribatté l’uomo, accompagnando
quelle parole con un agghiacciante
sorriso a denti scoperti.
-Ok,
ora basta con questa storia!- sbottò la ragazza infuriata,
alzandosi e avvicinandosi
all’individuo, finché non l’ebbe a pochi
centimetri da sé.
-Non
so chi tu sia né perché mi stai dicendo questo,
ma se sei venuto per
infastidirmi è meglio che ti levi dalle … - non
riuscì a finire la frase
perché, nel tentativo di dare uno spintone allo sconosciuto,
si accorse che le
sue mani non solo non riuscivano a toccarlo, ma addirittura gli
attraversavano
il petto da parte a parte.
Sorpresa
e disgustata, le ritrasse subito e si allontanò dallo strano
uomo, che sbuffò
impaziente.
-Visto?-
disse alla fine con un velo di impazienza -Niente tatto. Sono
un’immagine della
tua testa, non puoi scacciarmi così facilmente.
Chiara
rimase per un attimo in silenzio, cercando di darsi una spiegazione
logica a
quello che era appena successo, ma invano. Decise, dunque, che avrebbe
mantenuto
quel minimo di dignità che le rimaneva: non si sarebbe fatta
mettere i piedi in
testa, stavolta.
-Come
fai a dire di essere la mia paura? Sei inquietante, questo è
vero, ma non mi
spaventi!- lo sfidò, cercando di assumere
un’espressione risoluta in viso.
-Oh,
tu dici?- il sorriso dell’uomo si fece più ampio
-Eppure stai tremando!
Era
vero: le caviglie e i polsi di Chiara erano in preda a dei tremori
incontrollati, così la ragazza dovette sedersi sulla branda,
cercando di
placare o, almeno, di celare quell’involontaria reazione.
Poi
l’uomo riprese: -Conosco tutte le tue paure, quelle che ti
hanno accompagnata
per la tua intera vita, dall’infanzia fino ad oggi. La paura
del buio, quando i
tuoi genitori ti mettevano a dormire e chiudevano la porta della tua
stanza; la
paura di annegare, quando andavi al mare in vacanza con la tua
famiglia; la
paura di perdere le attenzioni dei tuoi parenti quando è
nato tuo fratello. Oh,
quanto mi sono divertito con quest’ultima!
La
ragazza cercò di ribattere qualcosa, ma lui glielo
impedì, proseguendo
implacabile il suo elenco: - Poi sei cresciuta e hai cominciato ad
avere paura
di non essere abbastanza bella, intelligente e spiritosa per piacere a
qualcuno
e da qui nacque la tua paura del rifiuto e della solitudine. Glorioso
nutrimento per me, che mi sono saziato per vent’anni! Ed
eccoti qui, oggi,
tutta sola, così lontana da casa, con la paura di morire
dentro questa
insignificante cella, sprecando la tua vita nel nulla. Ora dimmi, mi
temi?
Chiara
alzò lo sguardo sull’uomo e provò
l’impulso di picchiarlo, di cancellargli quel
sorriso malevolo dalla faccia, ma sapeva che non avrebbe portato a
niente, così
rispose: -No! Non ho paura di te! Mi spaventa di più la
possibilità di essere
impazzita e di avere le visioni, ma TU non mi fai paura!
Il
sorriso dell’uomo svanì e al suo posto comparve
un’espressione incuriosita,
come se non si fosse aspettato una simile risposta. Chiara si
sentì soddisfatta
e ricambiò il suo sguardo, con aria di sfida.
-Sciocca
ragazza- l’apostrofò l’uomo - Non
immagini nemmeno con chi hai a che fare.
-Hai
detto di essere la mia paura, giusto?- rispose Chiara, offesa da
quell’insulto -Ho
convissuto tutta la vita con le mie paure e posso farlo anche con te! E
comunque non fai più paura di quanto non me ne faccia lo
stare rinchiusa qua
dentro.
Gli
occhi verdi dell’uomo si contrassero a fessura e le ombre
sugli zigomi
sporgenti si fecero più marcate. L’aveva fatto
arrabbiare, ma ormai era fatta e
Chiara non aveva intenzione di farsi sottomettere da
un’immagine creata dalla
sua testa.
Alla
fine l’uomo scoppiò in una risata tale da farle
congelare il sangue nelle vene
e svanì, esattamente come era comparso: nel nulla.
Chiara
trasse un sospiro e, coricatasi sulla branda, pensò che, se
avesse continuato a
suscitare così assiduamente l’ilarità
della gente, ben presto l’avrebbero
assunta come giullare di corte.
-Sempre
meglio che starmene rinchiusa in gabbia- sussurrò la ragazza
prima di
addormentarsi.
La
notte che seguì fu agitata: forse a causa degli eventi della
giornata o forse
perché quella brandina era maledettamente scomoda, i suoi
sogni furono
movimentati.
Sognò
la propria casa nella campagna silenziosa che per anni aveva odiato, ma
che, in
quel momento, rappresentava l’unico posto in cui avrebbe
desiderato trovarsi.
Era
davanti alla porta d’ingresso
socchiusa e si domandò se all’interno ci fosse
qualcuno, così allungò la mano e
la spalancò.
Oltre
la soglia l’ingresso, il
salotto e la cucina, solitamente in perfetto ordine, erano stati messi
a
soqquadro: i cuscini del divano erano stati strappati, le ante dei
mobili erano
state sfondate, la televisione giaceva al suolo in mille pezzi e
l’imbottitura
del divano era sparsa in ogni dove. La cucina non era messa meglio: il
tavolo
di legno era ridotto ad un ammasso di schegge, i cocci dei piatti
coprivano il
pavimento come un tappeto e i fornelli erano accesi a fiamma alta,
mentre dal
lavandino schizzava un forte getto d’acqua.
Perché
era tutto sottosopra?
Cos’era successo? Mamma e papà
dov’erano? Sapevano di tutto ciò?
Corse
verso le scale per verificare
se la situazione fosse la stessa anche nelle camere da letto, ma,
sull’ultimo
gradino, vi trovò una figura scura. In un primo momento a
Chiara sembrò che
fosse un bambino, ma, osservandolo meglio, vide che era troppo alto per
essere
in età puerile e in una mano stringeva uno scettro dorato.
Le sembrò anche di
scorgere un paio di lunghe corna arcuate, ma furono i suoi occhi ad
atterrirla:
il sinistro brillava di un’intensa luce verde, mentre il
destro aveva un
profondo colore scarlatto.
Le
sembrò di sentire una risata,
mentre da una stanza una donna urlò.
-Mamma!-
gridò la ragazza, salendo
le scale il più velocemente possibile, ma inutilmente:
sebbene corresse alla
maggiore velocità consentitale dalle sue gambe, era come se
non si muovesse di
un solo passo. La figura era sempre alla stessa distanza e continuava a
fissarla, ridendo di gusto.
All’improvviso
lo scenario cambiò e
la ragazza si ritrovò in un ambiente freddo e ostile. Il
vento soffiava forte,
ululando attraverso le complicate architetture create dal ghiaccio.
Tutto
intorno era gelo e oscurità, ma il freddo non sembrava
lambirle la pelle, né il
vento toccarla.
Chiara
si guardò intorno, cercando
di scorgere qualcuno che potesse aiutarla a tornare a casa, ma non vide
alcun
segno di vita. Solo tanto ghiaccio e tanta oscurità.
Ad
un tratto sentì delle voci in
lontananza e scorse del movimento in un punto lontano
dell’orizzonte.
Cominciò
ad avvicinarsi e, ad ogni
passo, le parve di distinguere più chiaramente i suoni, che
ora non erano solo
voci, ma anche ruggiti, rumori metallici e tonfi di colluttazione.
Non
riusciva a distinguere bene le
forme, ma le sembrò che fosse in corso una battaglia, poi,
all’improvviso, una
colonna di luce scese dal cielo e, in pochi minuti, il movimento e i
rumori
svanirono.
Non
le interessava nulla di quello
che era capitato, tra chi fosse avvenuto lo scontro, né
tantomeno da dove
venisse quella strana colonna di luce. Voleva tornare a casa: sentiva
che era
successo qualcosa di terribile e voleva sapere che cosa.
Continuò
a vagare nel ghiaccio,
cercando disperatamente una strada, un cartello o qualunque cosa che
avrebbe
potuto riportarla a casa sua.
Fu
una ricerca vana.
Non
vi era alcun segno di civiltà
tra i ghiacci e il corpo della ragazza si stava facendo stanco e
pesante.
Decise di fermarsi e riposare un po’, ma temeva che,
così facendo, qualcuno
l’avrebbe trovata e difficilmente sarebbe stato ben disposto
nei suoi
confronti. Però era così stanca …
Poi
il vento trasportò un suono,
come una sorta di lamento.
-Dimmelo!-
urlava la voce, svanendo
poi come un’eco nel vento.
-Cosa
devo dirti?- chiese la
ragazza, accucciandosi nella neve, stremata. -Cosa vuoi che dica?-
continuò a
domandare Chiara, la cui voce ora era poco più di un
sussurro.
Un
rumore improvviso la fece svegliare di soprassalto: una delle guardie
aveva
battuto la propria lancia contro il pannello, mentre l’altra
si apprestava ad
aprire la cella.
Chiara
si strofinò gli occhi stanchi e si alzò in piedi,
cercando di riprendersi dal
torpore del sonno.
Il
pannello scomparve e la guardia pose sul pavimento della cella un
catino
d’acqua e un sacchetto di stoffa lurida. Dal rumore che
produsse nell’entrare a
contatto con il suolo, Chiara capì che conteneva qualcosa,
ma l’espressione minacciosa
sul viso della guardia le fece capire che avrebbe dovuto aspettare la
chiusura
della cella prima di poterne scoprire il contenuto.
Così
attese pazientemente che l’uomo avesse finito il suo compito
e avesse
fatto riapparire il pannello, poi si avvicinò al sacchetto e
lo aprì: al
suo interno vi erano un tozzo di pane, un bicchiere di peltro, un
cucchiaio di stagno e
un barattolo sigillato
accuratamente.
Chiara
diede uno sguardo alle altre celle e notò che anche gli
altri detenuti avevano
ricevuto lo stesso sacchetto con il medesimo contenuto e il catino.
“Evidentemente
è l’ora della distribuzione del pasto”
pensò Chiara, rendendosi improvvisamente
conto di avere una gran fame.
Spezzò,
dunque, il pane e ne mangiò un primo boccone, mentre con
l’altra mano svitava
il tappo del barattolo. L’odore che ne uscì le
fece chiudere improvvisamente la
bocca dello stomaco: era una misto di cavolo rancido, uova marce e un
altro
odore (per niente gradevole) che Chiara non riuscì,
né volle, distinguere.
In
preda alla nausea, si affrettò a chiudere il barattolo e ad
allontanarlo il più
possibile da sé.
-Maledizione!-
imprecò tra i denti la ragazza -Siamo in un cavolo di
palazzo reale con sala
del trono tappezzata d’oro e non riescono a fare un pasto
commestibile?!
Finì
di mangiare il suo pezzo di pane e, per nulla soddisfatta della
colazione, andò
al catino per riempire il bicchiere e placare, se non la fame, almeno
la sete.
Immerse
il bicchiere nell’acqua limpida e lasciò che il
liquido le rinfrescasse la
gola.
Quando
si fu dissetata, il suo sguardo cadde sui jeans e sulla maglietta che
indossava
e notò che erano molto impolverati e sporchi di terra,
inoltre all’altezza del
ginocchio sinistro, il tessuto era stato squarciato e vi si poteva
vedere attraverso
la pelle chiara sopra la rotula.
“Direi
che sia il caso di darmi una sistemata o, oltre ad essere una galeotta,
avrò
pure l’aspetto di un senzatetto” pensò
Chiara e si sporse sul catino per
raccogliere un po’ d’acqua per il viso.
La
superficie dell’acqua le restituì il suo riflesso
e un sospiro uscì dalle
labbra della ragazza: i capelli castani erano tremendamente
scompigliati, il
viso tondo era impolverato e sudicio e, all’altezza dello
zigomo destro, vi era
un piccolo taglio con del sangue raggrumato.
-Grandioso!-
bisbigliò la ragazza, prendendo nel palmo delle mani un
po’ d’acqua e
sfregandosi energicamente il viso.
Quando
riportò lo sguardo sul catino, per poco non le venne un
infarto: le sembrò,
infatti, che l’immagine riflessa sulla superficie del liquido
non fosse la sua,
ma piuttosto quella, ghignante, dello strano uomo della sera precedente.
Fu
un lampo e poi l’acqua tornò a riflettere il suo
solito viso (sebbene con
un’espressione piuttosto sconcertata).
Si
guardò nervosamente intorno, ma non le parve di scorgere
nulla di insolito
all’interno della piccola cella.
-Stai
cercando di farmi prendere un colpo?- domandò Chiara ad alta
voce, ma senza
ricevere alcuna risposta, se non un grugnito da parte del mostro
dagli occhi cremisi nella cella di fronte.
-Buongiorno
anche a te, caro vicino- gli si rivolse Chiara, che ricevette, in tutta
risposta, un altro grugnito accompagnato da uno sguardo torvo.
-Disgustoso,
il pasto, non è vero?- continuò la ragazza
–Spero non siano tutti così. Sai,
quand’ero a casa mia avevo la fortuna di avere una famiglia
di cuochi provetti
e ogni giorno sulla tavola c’era qualcosa di buono. Mia madre
cucinava dell’ottimo
tacchino accompagnato da una purea di carote, mentre mio nonno era
favoloso nel
preparare la pasta fatta in casa. Dal canto mio, come cuoca ho sempre
fatto
pena, ma nessuno sapeva mangiare come me!
Molto
probabilmente quella creatura non capiva una parola di quello che stava
dicendo, ma sembrava ascoltarla, in qualche modo: si era seduto sulla
sua
branda e la osservava, mangiando lentamente la brodaglia nel barattolo.
Incoraggiata
da quell’inaspettato pubblico, Chiara continuò a
parlare: -Ora invece mi trovo
come Dantes nel Conte di Montecristo: sono in prigione senza sapere
come sia
potuto accadere e, per di più, non vedo da dove potrebbe
sbucare un
provvidenziale abate Faria per aiutarmi.
Le
guardie, terminata la distribuzione della colazione ai detenuti,
stavano
tornando a passi pesanti alle loro postazioni e, passando davanti alla
cella
della ragazza, una di loro colpì con la propria lancia il
pannello giallo,
urlando: -Silenzio!
A
Chiara, così, non restò che tacere e sedersi
sulla sua branda, sotto lo sguardo
attento della creatura.
Trascorse
il mattino alternando momenti di riposo a camminate nervose nel
ristretto
spazio della sua cella, sforzandosi di cavare qualcosa di utile dalla
sua
memoria.
Riusciva
a ricordarsi praticamente ogni dettaglio della sua ultima giornata
sulla Terra:
il colore della camicia che aveva indossato sua madre quella mattina,
l’ansia
provata nell’attesa di dare l’ultimo esame del
semestre, la gioia di averlo
superato, il suono del motore della sua macchina mentre tornava a
casa…
insomma, ricordava ogni cosa, tranne che per un dettaglio, un qualcosa
che le
sfuggiva e che sapeva essere di fondamentale importanza. Cosa poteva
mai
essere?
Per
quanto si sforzasse, le sembrava di trovarsi sempre davanti a un vicolo
cieco,
ad un punto morto.
Le
ore passavano e, ad un tratto, una guardia, con un nuovo sacchetto di
stoffa in
mano, aprì la cella e vi si introdusse per lasciare la cena.
Quando,
però, prese in mano il barattolo del mattino, contenente
ancora tutta la
sbobba, si rivolse alla detenuta, canzonandola: -La colazione non
è stata di
vostro gradimento, principessa?
Chiara,
sebbene dentro di sé provasse il desiderio di rompergli in
testa quel maledetto
barattolo, si limitò a ignorare l’uomo, evitando
accuratamente di raccogliere
la sua provocazione.
La
guardia, però, non fu soddisfatta di quella reazione e
proseguì: -eppure
è stata preparata apposta per
voi dal migliore cuoco delle cucine reali, secondo una ricetta vecchia
di
generazioni. Non è carino, da parte vostra, rifiutare il
frutto del suo lavoro.
Nel
corridoio, la seconda guardia sghignazzava di gusto alle battute del
collega,
che, non ancora contento, continuò il suo motteggio: -Cosa
c’è? A casa tua la
mammina ti preparava lauti pasti e ora non mangi nemmeno quello che ti
viene
così gentilmente offerto? I tuoi parenti sarebbero
così delusi se sapessero di
avere una figlia tanto ingrata!
Era
troppo. Non poteva permettere che quel disgraziato prendesse in causa
la sua
famiglia per deriderla!
Si
alzò di scatto e si avvicinò all’uomo,
che, con nonchalance, le puntò la punta della picca alla
gola.
-Hai
qualcosa da dire, mocciosa?- le chiese, in tono provocatorio.
-Sì-
rispose Chiara –Visto che questo pasto pare essere
così di tuo gusto, perché
non lo mangi tu e mi dai quello che ti riempie il piatto di solito? O
vuoi
forse essere tu a deludere la tua famiglia? Lo sa tua madre che suo
figlio è un
vigliacco che minaccia con una lancia una ragazza indifesa, mentre lui
è tutto
ben protetto da un’armatura?
Aveva
esagerato e non era solo il suo buon senso a suggerirglielo, ma
soprattutto lo
sguardo rabbioso e il digrignare dei denti della guardia. La lancia
era ancora puntata contro la sua gola e sarebbe bastata avvicinarla di
pochi
centimetri per attraversarle la laringe.
Le
narici dell'uomo si dilatarono e il suo viso si fece paonazzo.
“Ora
questo mi ammazza” pensò la ragazza, aspettandosi
da un momento all’altro di
sentire il freddo metallo lacerarle le carni, ma un boato ruppe quel
momento di
tensione e la guardia si voltò in direzione del rumore.
Dietro
di essa, infatti, la creatura dai capelli cremisi stava colpendo a
pugni il
pannello, che sotto quella forza brutale sembrò, per un
momento, cedere.
I
due soldati si affrettarono ad intervenire, puntando le armi verso il
detenuto
e aumentando la potenza del pannello, che scaricò sulla
creatura un’energia tale
da ridurlo in ginocchio.
Chiara
era rimasta lì, imbambolata e incredula: quel mostro
l’aveva davvero salvata?
Non
riusciva a credere ai suoi occhi, ma dovette rimandare ad un altro
momento
quella riflessione: le guardie erano impegnate e la cella era rimasta
aperta.
Era la sua occasione.
Silenziosamente,
la ragazza oltrepassò la soglia della stanza e
iniziò a correre verso l’uscita.
In
quel momento sentì il mostro riprendere a urlare e a battere
i pugni contro il
muro: le stava coprendo la fuga, ma la fame e la stanchezza non
condussero
molto lontano la ragazza, che si ritrovò a nascondersi
dietro un pilastro, a
pochi metri dall’uscita, per riprendere fiato.
Era
sfinita, ma doveva provarci, così si buttò verso
la porta di metallo e iniziò a
tirare la maniglia con tutte le sue forze.
Per
quanto si sforzasse, per quanto tirasse, la pesante porta non si mosse
di un
millimetro.
-Andiamo,
apriti!- sussurrò la ragazza, lanciando veloci occhiate alle
sue spalle, con la
paura che, da un momento all’altro, le guardie sarebbero
arrivate a prenderla.
-Ti
prego, apriti.
Ed
essa si aprì, ma a muoverla non era stata la ragazza,
bensì la mano poderosa
del principe, che sbucò da dietro il metallo e
osservò, sorpreso, la scena che
si trovava di fronte.
Poi
si accorse della presenza di Chiara, ancora attaccata alla maniglia di
ferro, e
richiamò le guardie.
A
quel richiamo, i due uomini lasciarono perdere il prigioniero, che,
sfinito, si
acquietò, e corsero in direzione del loro signore.
“Ma
che bravi cagnolini” pensò sarcastica la ragazza,
lasciando la presa sulla
maniglia e dirigendosi, lentamente, verso l’uscita, ma venne
bloccata da un
uomo corpulento, il cui viso era incorniciato da una folta criniera di
barba e
capelli fulvi.
-Penso
che questo sia il motivo per cui siamo qui- disse l’uomo a
Thor, che rispose
con un cenno di assenso per poi rivolgersi alle guardie: -Odino
desidera
conferire con la prigioniera. La scorteremo io e Volstagg, voi rimanete
ai
vostri posti e prestate più attenzione ai carcerati su cui
dovete fare la
guardia.
A
Chiara parve che il principe, nel pronunciare quell’ultima
frase, avesse
lanciato una breve occhiata nella sua direzione, ma non ebbe il tempo
di
appurarlo con certezza perché, in un lampo, le due guardie
si erano avventate
su di lei e la stavano ammanettando.
“Oh
no, non di nuovo!”
Il
principe, però, fermò i due uomini e, indicando
le manette con un dito, disse
semplicemente: -Quelle non sono necessarie.
Le
guardie, sorprese da quell’insolito ordine, obbedirono e
liberarono i polsi
della ragazza, sui cui, una volta rimosso il ferro, comparirono delle
piccole
piaghe rosse, che Chiara non
aveva ancora
notato.
Condividendo
la sorpresa delle guardie, non sapeva se ringraziare per quel gesto di
comprensione o sottolineare nuovamente la sua innocenza dalle accuse
che le
erano state rivolte, ma pensò che, in entrambi i casi, la
sua situazione non
sarebbe migliorata, perciò si limitò a chiedere:
-Hai capito che sono
inoffensiva?
-Penso
solo che a una fanciulla si addicano ornamenti di ben altro genere-
rispose
l’uomo, che aggiunse: -Ora andiamo, mio padre desidera
parlarti di nuovo.
-Non
credo di poter fornire informazioni diverse da quelle che ho
già dato ieri-
ammise Chiara.
-Ad
ogni modo, egli vuole porgerti le sue domande- intervenne Volstagg.
Thor
congedò i soldati con un gesto della mano e, riferendosi al
corpulento
compagno, disse: -Volstagg, ti affido la ragazza, tienila
d’occhio.
-Non
penso ce ne sarà bisogno- si intromise Chiara, ripensando al
suo ridicolo
tentativo di fuga di pochi attimi prima -anche senza bracciali di
ferro, non
ho né le forze né la possibilità di
scappare. Dove volete che vada?
Gli
occhi azzurri del Dio del Tuono e quelli castani del guerriero si
concentrarono
su di lei, osservandola come se fosse stata un animale esotico.
In
quel momento Chiara pensò che, per quanto le piccole
accortezze di Thor fossero
state mosse da un nobile sentimento di cavalleria, si fosse reso conto
per la
prima volta solo allora di avere a che fare con una comunissima ragazza
e non con un
criminale come quelli con cui era abituato a trattare.
Ma
fu solo un attimo e il principe diede l’ordine di procedere,
così i tre si
avviarono verso la sala del trono.
Durante
il percorso, nella mente di Chiara affiorò il ricordo di
quell’inaspettata
visita della notte precedente e si domandò se fosse davvero
possibile che si
fosse creata un’immagine così nitida e viva a
rappresentazione della propria paura.
Era un pensiero assurdo e ridicolo, ma da quando si era risvegliata, il
giorno
addietro, di cose assurde ne erano capitate molte e l’idea di
essere diventata
pazza le sembrava il più plausibile tra i fatti avvenuti.
“Forse
è stata la prigionia o la fame” pensò
tra sé la ragazza “Insomma, chi non
impazzirebbe in gattabuia?”.
-Quanti
anni hai, ragazza?-
La
domanda interruppe il filo dei suoi pensieri e Chiara si volse verso
Volstagg,
che le stava sul fianco sinistro, mentre Thor la controllava sul lato
destro.
-Ne
ho venti- rispose lei.
-Venti?-
domandò incredulo lui, lanciando un’eloquente
occhiata al compagno, che lo
ignorò senza dire una parola.
-Dannazione,
Thor- riprese l’uomo, che evidentemente non ammetteva di
essere trascurato -è
una bambina! Come si fa a tenere una bambina in prigione?
-Non
è una bambina, Volstagg, e in ogni caso non è
compito nostro decidere- rispose
seccato il principe di Asgard -Sta a Padre decretare cosa fare e non
credo che
tu voglia opporti a una sua decisione.
-Oh,
andiamo!- riprese il guerriero, per niente soddisfatto della risposta
ricevuta -Guarda questa ragazza: è evidente che non ha
cattive intenzioni! Insomma, non è mica
Loki!
A
quel nome i pugni di Thor si strinsero e un lampo di rabbia
balenò sul suo
viso, facendo zittire completamente il guerriero.
-Basta
così, Volstagg- decretò il principe -La decisione
non spetta a noi e non
voglio più discuterne.
Il
resto del tragitto venne trascorso in silenzio, rotto solo dai pesanti
passi di
Volstagg.
Giunsero, infine, alle porte della sala del trono, che si aprirono al loro passaggio, lasciando che i tre entrassero tra le mura dorate.
Angolo dell'autrice: e siamo a due! Ringrazio con affetto coloro che hanno iniziato a leggere La sua paura; spero che questa seconda parte sia all'altezza della prima e che possa stuzzicare la vostra curiosità. Ho approfittato di un momento di libertà per pubblicare questo capitolo, ma per me si avvicina il tempo degli esami e temo che nei prossimi giorni non avrò molte occasioni da dedicare alla scrittura. Pubblicherò il terzo capitolo quanto prima, croce sul cuore.
Alla prossima e statemi bene!
Lady
Realgar