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Autore: Silvar tales    26/11/2014    1 recensioni
"Sei davvero presuntuoso Ratonhakè:ton, se credi di potermi insegnare a cavalcare".
"Cavalcare?" La provocò Connor strizzandole l'occhio. Il cavallo soffiò in direzione di Faline, che arretrò di almeno dieci passi. Ma impiegò soltanto mezzo secondo per recuperare la sua grinta.
"Nel senso primo del termine. Purtroppo credo che per un altro tipo di cavalcata abbia tu bisogno di prendere lezioni da me, Ratonhakè:ton".
Genere: Avventura, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Kenway, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Concord



I superstiti dei seguaci di Faline l'attendevano a Concord, la maggior parte rintanata in taverna a bere e festeggiare la vittoria. Ma per la ragazza quelle baldorie e quelle grasse risa erano divenute pungenti per le sue orecchie, e pesanti per il suo cuore.
Su di lei gravava la responsabilità di essersi presa la vita di Connor Kenway, aveva agito a nome delle Figlie del Vento e non era stata una decisione facile. Ma non poteva logorarsi nel rimorso, lo stesso rimorso che aveva rimproverato alla sua vittima.
Si sedette in disparte a un tavolaccio di legno, distante dal fuoco, con un boccale di birra a portata di labbra e il cappuccio calato sugli occhi. Aveva lasciato il corpo dell'Assassino nello stesso luogo in cui l'aveva ammazzato, nascosto dai rami bassi dei pini e dalla neve, che continuava a cadere senza dare segni di sosta. Silenziosa e discreta com'era, nessuno dei suoi uomini s'era accorto della sua presenza. Almeno non subito.
Dopo alcuni minuti, Jord, che era sempre più sobrio degli altri, scorse la figura appartata di Faline nascosta nella penombra. Lei gli fece cenno di avvicinarsi: era sempre stata molto in intimità con Jord, con lui si confidava più volentieri che con gli altri, doveva ammettere, anche se odiava fare preferenze tra i suoi compagni.
Il ragazzo inglese le si sedette accanto, cercando di non attirare l'attenzione degli altri: aveva intuito che Faline anelava parlare con lui solo.
"Leggo inquietudine nei tuoi occhi, ragazza".
Faline non alzò gli occhi dal suo boccale, rimase a capo chino, con la saliva che le si seccava in bocca. Tolse il cappuccio dal viso e fissò lo sguardo in quello di Jord. Prima di parlare bevve un lungo sorso di alcolico.
"Ho ammazzato Kenway".
I suoi occhi rimasero innaturalmente freddi mentre lo diceva, la sua espressione contratta e il suo animo padrone di sé. Era un dato di fatto, non un auspicio, e non aveva timore di calcare con la voce ciò che era già accaduto, ciò a cui non si poteva porre rimedio.
Jord, com'era sua peculiarità, non diede a vedere apertamente la sua sorpresa, alzò la testa e inspirò profondamente, mentre i suoi occhi diventavano più sottili e si coloravano di disappunto.
"Faline..."
"Avanti, cos'hai da dire?" Si infervorò lei, dopo aver vuotato in un sol colpo il calice. "Ho sbagliato? Sei qui per riprendermi come una scolara alle prime armi? Credi che non sappia prendermi le mie responsabilità?"
Senza nemmeno accorgersene, Faline si era alzata in piedi, e adesso gli occhi di tutti i suoi uomini erano puntati su di lei, assieme a quelli degli avventori.
"È meglio se ne discutiamo fuori..." Disse Jord a bassa voce, facendo un cenno agli altri che subito uscirono dalla locanda, bisbigliando animatamente tra loro.
Faline li seguì irata, lasciando sul tavolo più monete del necessario. Fuori, l'aria fredda la rinsavì un poco, e riprese facoltà di sé. I suoi Assassini si erano riuniti attorno alle luci del portico, e attendevano spiegazioni.
Ma Faline era fiera e non si voltava indietro, avrebbe preferito cento volte la disapprovazione dei suoi compagni piuttosto che mostrarsi debole e insicura delle proprie scelte.
"Ho preso la mia decisione. Il figlio di Kenway è morto".
Calò un silenzio generale, e Faline non vide un solo sguardo amichevole davanti a lei. Finché Gerard, un giovanotto della Provenza pronto a fare la rivoluzione ad ogni goccia di bruttotempo, si azzardò a esprimere il suo parere senza mezzi termini, proprio come Faline gli aveva insegnato.
"C'era un Kenway, tempo fa, gran sterminatore di croci rosse. Solcava i mari e cavalcava la Jackdaw, onorò e combatté fianco a fianco dei tuoi ideali, e che modo di onorare la sua memoria, troncare la vita della sua eredità! Non ti sei dimostrata diversa dai Templari!"
Non sei diverso dai cani inglesi. Le ritornarono alla mente le parole che aveva sputato in faccia a Ratonhakè:ton, mesi prima all'ombra delle colline di Great Peace.
Faline si rifiutò di prestare orecchio a quelle parole, e rimase salda a difesa della sua scelta. Non poteva permettersi di vacillare.
"Noi abbiamo giurato fedeltà a te, figlia del vento, e ai tuoi ideali. Ma ciò che hai fatto non si adegua affatto ai tuoi insegnamenti. Hai fatto una cosa che viola i tuoi stessi principi. Ci chiedi integrità, coerenza e fedeltà, e le hai rese tre cose inconciliabili!" Marcus parlò con estrema lucidità, tanto che pareva impossibile ribattere a parole dettate con tale fermezza.
Ma Faline era più cocciuta che mai. Distolse lo sguardo dai suoi uomini, e parlò a voce bassa, sommessa, ma tagliente. Più tagliente di qualsiasi altra lingua.
"Ciò che dite può essere vero, ma nessuno di voi ha il peso che io porto sulle spalle, da sempre.
Secoli e secoli di ferite sanguinanti, mai cucite, mai cicatrizzate. Ragione avete a dire che l'odio e l'astio intestino non si risolvono con una vita mozzata, ma essa può reclamare la nostra superiorità in merito alla lotta contro i Templari. E dico lotta, non parvenza di alleanza, come più volte Ratonhakè:ton ha mostrato di volere. Ora tocca a noi prendere le redini dell'Ordine, tocca a noi riportarlo agli antichi fasti, non lasciarlo nelle mani di uno stupido ragazzino che nemmeno conosce i basilari principi del Credo!"
Ma quelle parole, seppur pronunciate con gran forza e trasporto, convinsero poco i compagni di Faline, ancora diffidenti e quasi timorosi che il loro capo avesse perso il lume della ragione. Dopo vibranti attimi di silenzio, Marcus parlò a nome di tutti gli altri:
"Questa volta non possiamo sostenere la tua scelta, Faline. Ci hai insegnato tu a pensare con la nostra testa, a non seguire ciecamente il volere del leader, ebbene noi ti diciamo apertamente che hai commesso un grave errore. E che costerà caro a lungo, a chiunque voglia combattere nell'Ordine sotto il segno di Jasmine Jalil".
Calò un silenzio pressante, tanto che si udiva il rumore ovattato della neve che cadeva.
"Ebbene, penso che abbiate espresso a sufficienza il vostro parere. Ora siete congedati. Vi raggiungerò in mattinata a Monmouth. Chi non intende più seguirmi, lasci questa compagnia stanotte stessa".
Sulla squadriglia calò un gelo più mordente del fiato invernale che ghiacciava la Frontiera. Ma poi, pian piano, la coltre di ghiaccio sgocciolò fino a sciogliersi, e gli uomini di Faline si mossero, senza vergogna né risentimento, poiché essi erano uomini fieri e liberi come l'Assassino che li guidava.
Chi ritenne fosse meglio abbandonare la causa di Faline, le voltò le spalle in quell'attimo stesso, non senza rivolgerle poche e secche parole di congedo.
"È stato un onore combattere per te, figlia del vento, ma ora viaggiamo su una strada diversa da quella su cui siamo partiti".
"Non intendo più seguirti, Faline, ma che la sorte ti conduca verso una sorte propizia".
"Che tu possa raggiungere i tuoi scopi ed essere felice, anche se da adesso in avanti combatterai sola".
Faline li ascoltò e li guardò andarsene senza battere ciglio, anche se il suo cuore si contorceva e gemeva di dolore: perdere i suoi uomini era come perdere i suoi figli, e si sentiva come una madre che aveva clamorosamente fallito nel suo compito.


La mattina dopo si radunarono a Monmouth in una ventina: trentotto uomini erano assenti dalle sua fila. Marcus e Jord le erano ancora accanto, ma Gerard, Leonard, Alexander, e molti altri compagni di ventura tra i suoi più cari le avevano voltato le spalle.
Vedendo una tale sfoltita, stavolta Faline non riuscì a nascondere il proprio rammarico. Strinse i pugni e i denti fino a farsi male, e gli occhi le lacrimavano, feriti dal chiarore dell'alba. Marcus le afferrò un braccio con forza, e le bisbigliò a mezza voce parole piene di astio represso:
"Io proprio non ti capisco figlia del vento, stavolta non ti capisco".
"Mark, sbaglio o non hai detto tutto quello che volevi dire?" Gli si rivolse lei, fissando i suoi occhi castani in quel pallido viso sferzato dai riccioli neri in balìa dei ghirigori d'aria. "Allora parla francamente. Se ora sei qui solo perché rimani invaghito di quell'inutile cosa che ho fra le gambe che ti ho fatto assaggiare un paio di volte, allora mi disgusti, e ti ritenevo un uomo più onorevole.
Ma se le cose non stanno così, e il mio cuore lo spera, parla. Ora".
Si erano addentrati fra le selve di Monmouth, lontani dall'accampamento, lontani da orecchie indesiderate. Il manto nevoso era costellato di impronte: volpi, lepri, alci e orsetti lavatori si avvicinavano sempre di più ai poli abitati in ricerca di cibo. Era un momento propizio per la caccia: poche esche e il gioco era fatto. Ma Faline aveva ben altri pensieri per la testa.
"Dunque parlerò. E no, voglio tranquillizzarti, il mio cuore non ti desidera. Soprattutto non dopo quello che hai fatto al bastardo indiano. Pensa che sembravate persino due innamorati".
Faline si trattenne dal ridere, e si limitò a soffiare divertita, mentre imperterrita avanzava tra la neve e spezzava i rami secchi che le impedivano il passaggio: si stavano dirigendo verso la costa.
"Che sciocchezza. Pensi che potrò mai innamorarmi Mark?"
Il ragazzo non rispose, ma lasciò intendere un no.
"In ogni modo, cos'hai intenzione di fare con il vecchio? Lui è l'unico che può sospettare di te..."
Stavolta Faline non si sforzò nemmeno di reprimere una risata.
"Che... Cosa? Mi stai consigliando di far fuori Achille Davenport? E cosa ti fa credere che le accuse di un vecchio siano un problema per me?"
"Giusto", ammise Marcus abbassando il capo in segno di resa.
Avevano raggiunto la spiaggia. La mareggiata rodeva il muro di neve che ricopriva la sabbia e le dune, onda dopo onda mangiava il ghiaccio incrostato sulle rocce.
Faline inspirò profondamente l'aria nevosa, scrutando l'orizzonte e il cielo plumbeo. I capelli incrostati di cristalli trasparenti le svolazzavano attorno al viso.
"Riporto Ratonhakè:ton al vecchio della Collina. Oggi".
Mark alzò le spalle, e scosse la testa.
"Una cosa non si può rimproverarti, Faline. Che tu non sia fino in fondo coerente con le tue scelte".
   
 
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