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Autore: Nebula216    26/11/2014    2 recensioni
Ghignava, l’Uomo Nero, come ormai faceva da secoli e secoli.
Ghignava, pregustandosi già la vittoria… Fino a quando le sue dita non toccarono una piccola sfera.
Non sembrava importante, gli pareva una di quelle tante biglie che i mocciosi come quello collezionavano in un sacchettino e perdevano, il più delle volte, a destra e a sinistra.
Eppure, per quanto ci pensasse, quella non sembrava una semplice biglia di vetro.
Distratto, Pitch raccolse quel piccolo oggetto che lo aveva deviato dal suo obiettivo, studiandolo con i suoi occhi del colore dei topazi.
Non era una sferetta di vetro priva di valore, ma qualcosa di molto più importante.
Una perla.
Stupito per la strana scoperta, il re degli incubi strinse nelle sue dita affusolate quel piccolo tesoro, osservandolo come se fosse un miraggio…
O un ricordo ormai lontano nel tempo.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kozmotis 'Pitch' Pitchiner, Nuovo personaggio, Pitch
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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It’s the Fear
 
“La paura inizia ogni sapienza, e chi non ha paura, non può sapere.”
(Francisco De Quevedo)



Rilegato sotto le ombre del letto, Pitch non aspettava altro che l’attimo giusto per poter colpire il bambino.
Nonostante tutte le precauzioni dell’umano, quali un rifugio sotto le coperte e la torcia sotto il cuscino, l’Uomo Nero sapeva che quei tentativi sarebbero risultati vani.
Doveva solo pazientare ancora un po’, poi avrebbe gioito del terrore  di quel marmocchio.
Contò i battiti del cuore, i respiri farsi sempre più tranquilli, il dileguarsi dei passi dei genitori al piano inferiore.
Poi finalmente quel momento di silenzio che presagiva il suo attacco perfetto.
Finalmente campo libero.
Ghignò, Pitch Black, mentre avanzava furtivo verso i bordi della trapunta verde smeraldo.
Ghignava, pregustando già l’incubo che avrebbe inculcato nella mente malleabile della sua nuova vittima.
Ghignava, l’Uomo Nero, come ormai faceva da secoli e secoli.
Ghignava, pregustandosi già la vittoria… Fino a quando le sue dita non toccarono una piccola sfera.
Non sembrava importante, gli pareva una di quelle tante biglie che i mocciosi come quello collezionavano in un sacchettino e perdevano, il più delle volte, a destra e a sinistra.
Eppure, per quanto ci pensasse, quella non sembrava una semplice biglia di vetro.
Distratto, Pitch raccolse quel piccolo oggetto che lo aveva deviato dal suo obiettivo, studiandolo con i suoi occhi del colore dei topazi.
Non era una sferetta di vetro priva di valore, ma qualcosa di molto più importante.
Una perla.
Stupito per la strana scoperta, il re degli incubi strinse nelle sue dita affusolate quel piccolo tesoro, osservandolo come se fosse un miraggio…
O un ricordo ormai lontano nel tempo.
 
“Erano state chiamate tutte le più alte cariche delle Galassie, quella sera.
Mai Pitch, o meglio, Kozmotis Pitchiner, aveva mai visto tutto quel turbinio di colori, sorrisi e sentimenti gioiosi.
Era stato chiamato non solo per esser premiato dell’ultima impresa compiuta, ma anche perché la sua presenza era stata altamente richiesta dalla famiglia regnante Lunanoff.
Come poteva lui rifiutare un tale invito?
Era giunto al palazzo candido con una scorta di amici e compagni d’arme, parlando dei più svariati argomenti e salutando, quando richiesto, i nuovi invitati.
Adorava la sua vita, adorava quello che faceva e la protezione che offriva, il tutto senza mai chiedere niente in cambio.
Con un calice stretto in una mano e la sua alta uniforme addosso, il condottiero delle Armate D’Oro osservava la sala gremita di invitati danzare come se non ci fosse un domani, seguendo il ritmo allegro scandito dall’orchestra.
Non poteva esserci niente di più perfetto o stupendo di quello che stava vivendo.
Eppure, nonostante tutta la sua gioia e l’allegria, sentiva che mancava qualcosa.
Un compagno d’armi, con sguardo complice, gli dette delle gomitate sul braccio, indicandogli ogni volta qualche dama sola pronta soltanto per poter danzare col prode capitano Kozmosis Pitchiner. Sebbene fossero tutte giovani e graziose, Pitch non percepiva niente quando le guardava e, per questo, desisteva.
Sì, al guerriero senza macchia e senza paura mancava la sua metà, mancava quella donna disposta a sostenerlo nei momenti difficili, ad amarlo per quello che era…
A donargli quella felicità che poteva rendere la sua vita ancor più meravigliosa.
Bevve un sorso, ignorando di sana pianta i punzecchiamenti dei compari e riflettendo, invece, sulla sua donna ideale. Non ci aveva mai pensato, non si era soffermato su come doveva essere, sia caratterialmente che fisicamente: si limitava ad eseguire gli ordini e a garantire la pace.
Schioccò la lingua, iniziando a parlare fra sé e sé.
-Sicuramente, vecchio mio, deve essere dolce, sincera, colta  e saggia.
Mh… sì, deve anche avere un carattere forte, ma non troppo: vorrei tornare a casa e uscirne vivo il giorno dopo.-
Ridacchiò, gustandosi un altro sorso di champagne, per poi riprendere.
-Come potrebbe essere?Beh, deve avere un suo fascino fisicamente… Non so… degli occhi magnetici o delle labbra abbastanza carnose.
Esisterà una donna simile?-

Prima che potesse finire il contenuto del calice, i suoi occhi caddero su uno spiazzo con poca folla, per la precisione su una giovane donna che ascoltava, poco interessata, un rampollo di chissà quale famiglia aristocratica.
Pitch non era mai stato competitivo, ma per una volta e per una donna come quella, l’avrebbe fatto volentieri.
Con un sorrisetto furbo e divertito, scese una rampa di scale e, fra complimenti e ringraziamenti vari, riuscì ad avvicinarsi abbastanza da poterla vedere meglio.
 Anche se non fosse andata bene la sua spedizione, almeno era valsa la pena di scendere le scale per ammirare una bellezza così rara.
La misteriosa donna dai capelli corvini si guardava intorno disinteressata, appoggiando il suo sguardo di ghiaccio su qualsiasi invitato tranne che sul suo interlocutore; conversazione interessante, si ritrovò a pensare divertito il guerriero mentre avanzava, sempre di più, verso la straniera vestita di un abito dai riflessi madreperlacei.
Non era carica di gioielli, ma quei pochi che portava illuminavano ancora di più la sua pelle candida e pura come neve.
La vita, sottile e snella, era avvolta da una cintura d’oro bianco rigida, con al centro una perla, gemella a quella che troneggiava nella sua collana rappresentante, a vista d’occhio, la rosa dei venti. Sulla fronte, invece, pendeva una tiara con altre tre piccole perle dalla forma ovale, le stesse che abbellivano le sue orecchie nascoste dalla folta chioma riccia.
Pitch la vide bere un sorso di champagne e, grazie a quell’azione, poté notare il rossetto rosso scuro che risaltava le labbra carnose.
Sorrise, avvicinandosi sempre di più alla coppia e preparando il suo attacco…
Per una volta privo di armi.
-E insomma le stavo dicendo delle mie bellissime composiz…-
-Buonasera! Chiedo venia messere per la mia interruzione,  ma volevo chiedere alla signorina qui presente se è disposta a concedermi il prossimo ballo.-
Il rampollo nobile, alquanto seccato per l’interruzione del soldato, rispose con un sonoro sbuffo, pronto soltanto per riprendere il discorso a senso unico.
Trattenendosi a fatica dallo scoppiargli a ridere in faccia, Kozmosis Pitchiner prese la mano della sconosciuta e, con delicatezza, la condusse proprio al centro della pista, sotto il grande lampadario di cristalli e pietre di luna.

La mora lo guardò, inarcando un sopracciglio.
-Non siete stato cortese, comandante. L’adorabile storia delle ballate di messer…-
-Adorabile? Permettetemi di dissentirvi, mademoiselle… stavate pregando la morte con quella faccia. Devo dedurre che i suoi sproloqui erano tutto tranne che adorabili.-
La donna lo guardò severamente, mentre l’orchestra attaccava col valzer successivo.
-Non siete carino, comandante Kozmosis Pitchiner.
Potrei lasciarvi qui nel mezzo del salone solo in balia delle altre nobildonne qui presenti.-
La bocca di Pitch si piegò in un sorrisetto divertito.
-Tuttavia non lo state facendo e, suppongo, che non siate intenzionata a farlo.-
Calò un breve attimo di silenzio, durante il quale il militare fece volteggiare la sconosciuta su sé stessa, per poi riavvicinarsela saldamente.
-Come vi chiamate?-
-Perché vi interessa il mio nome?-

-Perché non penso siate capace di sopportare tutta la sera l’appellativo mademoiselle.
Preferisco chiamarvi quantomeno per cognome.-
-… Kandida Senkalit*.-
Pitch le sorrise, facendole un veloce baciamano per non perderla fra la folla.
-Lieto di conoscervi, Lady Senkalit.-
-Vi sentite realizzato adesso? Sapete il mio nome e cognome, mi avete trascinata a ballare… quale sarà la vostra prossima mossa?-
Il comandante rimase in silenzio, osservandola con il solito sorrisetto vittorioso. Seguendo il resto dei danzanti, le afferrò con ambedue le mani i fianchi e la sollevò in aria, salvo poi riadagiarla con grazia a terra.
-Non so quale sarà la mia prossima mossa… Improvviso.-
-Lei fa cosa?!-
-Improvviso. Colgo l’attimo. Non lo avete mai fatto?-
La mora discostò lo sguardo, senza mai smettere di seguire il cavaliere in quel ballo inaspettato. Non aveva mai improvvisato, non così e la situazione le appariva imbarazzante; tuttavia, per quanto vergognosa, non le dispiaceva.
Nessuno si era avvicinato a lei come aveva fatto il militare: un po’ sfacciato, certo, ma diverso da tutti gli altri.

Speciale, ecco come era.
Accennò un sorriso, osservando il comandante negli occhi.
-Non ho mai improvvisato, confesso.-
Pitch ricambiò il sorriso, salvo poi diminuire con una dolce stretta la distanza tra lui e Kandida.
-Non pensa di poter almeno provare?-
-Lei mi porta sulla cattiva strada, comandante Pitchiner. Non si vergogna?-
Lui rise in maniera composta, contagiandola con la sua allegria e trasportandola ancora di più nel ballo, dimenticandosi di tutta la gente che li circondava, osservava, magari commentando a bassa voce, chi benevolmente e chi malamente.
Il guerriero si fermò a tempo con la musica, senza mai distogliere lo sguardo dalle iridi di ghiaccio della sua ballerina.
-Come posso portarvi sulla cattiva strada, Lady Senkalit, se voi mi avete già depistato con la vostra rara bellezza?-“
 
Quella perla non gli sembrava luminosa come quelle che Kandida indossava quella sera.
Oh, era così bella che aveva pensato, per un momento, di esser stato vittima di un miraggio; ma quale illusione poteva coglierlo se non vi era alcuna traccia di deserto intorno a lui?
Ormai lontano dal suo compito di Re degli Incubi, Pitch osservava nostalgico quella piccola rarità del mare, cercando di ricordare tutta la bellezza della donna che era riuscito a strappare dalla noiosa discussione.
Su cos’era?
Le ballate, certo.
Quelle ballate talmente pompose da soffocarlo subito al primo verso.
Non le aveva mai digerite, almeno non quelle di quel rampollo del quale aveva dimenticato persino il nome.
Se scavava a fondo nella sua memoria, se si concentrava e si sforzava, poteva ricordare i loro scambi di lettere, i pomeriggi passati a parlare e a conoscersi.
Con fatica, poteva ricordare quel pomeriggio che era stato chiamato frettolosamente dalla ragazza, salvo scoprire poi che voleva presentarlo ai propri genitori.
Con dolore poteva ricordare il giorno delle nozze e, pochi mesi dopo, la bellissima notizia.
Rigirò la perla fra le sue dita affusolate, tornando a pensare alle pompose ballate del rampollo.
-Hai dimenticato un dettaglio, Pitch…-
Perché odiare le ballate quando lui stesso, anni dopo quell’incontro, ne aveva raccontate ed inventate per il loro piccolo gioiello?
 
“La riunione era durata più del previsto, tanto da costringerlo a rincasare solo a sole tramontato.
Se quello che aveva sentito era vero, non poteva crogiolarsi sugli allori.
Se era tutta la verità, poteva soltanto passare le ultime ore di libertà con le sue perle più preziose.
Camminò a lungo nei corridoi del palazzo, notando in fondo al corridoio verde smeraldo delle ombre tremanti e dinamiche; poi gli giunsero le voci, due voci femminili divertite e squillanti.
Sorrise, avvicinandosi con passo felpato alla camera scelta come “campo di battaglia”, affacciandosi appena dalla porta di legno scuro.
-Ahahahah! Mamma le pernacchie no!-
-Ma come no? Guarda che pancina tenera!-
A stento il comandante riuscì a trattenersi dal ridere e, quando pensò di averla fatta franca e di esser passato inosservato, i suoi occhi incrociarono quelli della sua piccola principessa.
-Papà!-
Lesta come uno scoiattolo, la bambina di quattro anni si liberò dalle braccia della madre e, facendo attenzione alla sua piccola camicetta da notte, gli corse incontro, abbracciandolo con tutta l’energia che poteva avere nelle sue piccole braccia.
Pitch sorrise, finalmente sereno dopo tante ore di discorsi preoccupanti e stressanti.
Finalmente a casa con la sua bellissima famiglia.
Baciò la figlia sulla guancia, prendendola in braccio e avvicinandosi al letto sul quale, sorridente, vi era ancora seduta Kandida.
-Hai fatto la brava oggi?-
La piccola moretta annuì, guardando la madre con occhi imbarazzati.
-Ora posso mamma?-
Confuso, il padre guardò la sua sposa, notando un dolce sorriso dipinto sulle sue labbra.
-Ora sì, Emily Jane.-
Ancora ignaro di tutto, Pitch lasciò che la sua bimba gli scendesse dalle braccia, osservandola come cercava decisa in uno dei tanti cassetti del suo tavolino con specchio.
In quel frangente, Kandida si alzò e lo baciò, felice che fosse finalmente tornato a casa dopo una giornata intera.
-Ci sei mancato tanto.-
L’uomo le sorrise, ricambiando con una certa soddisfazione il bacio datogli poco prima.
-Anche voi mi siete mancate. Ehi, che cosa nascondi per il papà?-
Emily Jane aveva raggiunto i genitori con poche falcate e sorrideva, imbarazzata, al padre.
Le mani, nascoste dietro la schiena, stavano tenendo qualcosa che il moro non riusciva bene ad identificare.
Guardò la moglie, la quale si limitò a sorridergli e a fargli un cenno col capo: non poteva parlare, sicuramente la piccola di casa gli aveva fatto fare un giuramento importante.
Curioso, si inginocchiò e sorrise.
-Che succede?-
-Per te papà!-
Velocemente, Emily Jane portò le mani davanti al padre, mostrando il contenuto delle sue piccole manine: era un ciondolo ovale di color ottone antico, uno di quelli usati per portarsi dietro una foto.
Pitch studiò i disegni del coperchio, notando la fantasia floreale, scelta sicuramente dalla bambina in persona.
Quando lo prese e lo aprì, non poté non sorridere per la foto della sua principessa guardarlo con un sorriso che andava da orecchio ad orecchio.

Non poteva ricevere un regalo più bello dopo… quello che aveva sentito.
L’abbracciò con affetto, baciandole la testa colma di capelli ricci, ereditati dalla madre.
-Grazie piccola mia… E’ bellissimo.-
-Così…-
Uno sbadiglio interruppe il discorso della figlia, la quale provò a riprenderlo subito.
-…Così mi avrai sempre con te.-
Il cuore dell’uomo fu vittima di una morsa agghiacciante, tanto che persino Kandida notò il turbamento che lo stava avvolgendo. Per quanto Pitch provasse a non farle pesare nulla, la donna sentiva che qualcosa era andato storto alla riunione.
Che qualcosa stava per cambiare.
In silenzio e con un sorriso forzato, osservò il marito mettere sotto le coperte la loro bimba e raccontargli, come ogni sera, una bellissima fiaba. Quella sera era toccata alla storia della piccola principessa che, grazie a misteriosi poteri, sconfiggeva le creature cattive per poter salvare i suoi cari.
Emily Jane, fra uno sbadiglio e l’altro, sorrise, stringendo a sé una delle sue bambole.
-Notte papà… Notte mamma…-
-Buonanotte piccola. Fai tanti sogni d’oro.-
Quando ambedue i genitori ebbero baciato la fronte della bimba,  spento le candele e raggiunto la loro camera da letto, tutte le verità furono rivelate.
Già coricata sotto le coperte, la mora attendeva pazientemente il marito per poter sapere cosa gli era stato comunicato dai rappresentati dei Lunanoff.
Lo osservò denudarsi dell’uniforme e sciacquarsi, più volte, il volto martoriato dalla stanchezza.
Solo quando lo vide stendersi vicino a lei e stringerla a sé decise di parlare.
-Che cosa è saltato fuori?-
Udì un sospiro, poi nient’altro.
Preoccupata, osservò l’amato fissare il soffitto, occupato a soppesare le parole giuste per dirle il tutto.
-I Fearlings… Sono stati imprigionati.-
-Questa… è una bella notizia no?-
Nonostante la domanda, Kandida già sentiva dentro di sé che vi era altro.
Come si era aspettata, infatti, la mazzata arrivò ben presto.
-Parto domani per controllarli.-
Percepire il corpo della sua donna schizzare via dalle sue braccia fu una risposta dilaniante per sé.
Non voleva litigare, né vederla piangere o che altro: l’amava e proprio per quell’amore sincero ed eterno si era candidato come guardiano dei Fearlings.
Si alzò di seguito, avvicinandosi con una coperta alla sua amata.
Odiava vederla in quello stato, odiava doversi allontanare dalla famiglia, ma che altro poteva fare?
Era il suo compito, era un protettore della Galassia e, come tale, doveva adempiere agli incarichi che gli venivano assegnati.
Quando vide il corpo di Kandida tremare, per la fatica che stava impiegando nel trattenere le lacrime, la strinse a sé, baciandole con affetto la spalla sinistra.
-Io non ti ho mai ostacolato… so che è il tuo compito e ti ho sempre appoggiato. Pitch, però ti supplico…-
Volse lo sguardo verso gli occhi color onice del comandante, appoggiando con rassegnazione la fronte alla sua guancia.
-Torna a casa… Ti prego torna.-“
 
Lasciò che la perla gli scivolasse dalla mano e ne osservò il movimento, constatando come anche quella piccola rarità gli fosse scivolata via dalle mani con la stessa facilità con la quale lui, secoli fa, aveva lasciato vincere la stanchezza e la compassione.
Aveva perso tutto.
Aveva perso la vita, la famiglia… i ricordi più belli.
Ormai lontano dal suo compito, Pitch si lasciò scivolare nelle tenebre, vagando in quel Limbo fatto di nero, di niente…
Di lui.
Chiuse gli occhi, non per paura, ma per vergogna, rilegandosi nuovamente nella sua solitudine.
Lui era l’Uomo Nero.
Lui era il re degli Incubi…
Un re che, come tempo addietro, aveva bisogno della sua regina.
-…Kandida…-
Non riaprì gli occhi Pitch Black, non osò riaprirli fino a quando non sentì il respiro frenetico dei suoi Incubi.
Così come per l’Uomo Nero, anche per il bambino la notte passò alla svelta, lasciando posto al giorno e al nervosismo.
Non voleva andare dal dentista, non voleva sentire il rumore del trapano e la puzza del colluttorio, o il saporaccio delle paste strane che usava.
Sbuffò, nel vano tentativo di inventarsi una qualche scusa per poter saltare la visita, invano: sua madre era entrata e lo aveva prelevato prendendolo in braccio.
-Ma io non voglio!-
Ripeteva il piccolo bambino, osservando sempre un punto alle spalle della madre.
-Dobbiamo andare tesoro… altrimenti i denti ti crescono tutti storti.-
Più il genitore gli diceva quella frase e più l’infante pensava che fosse tutta una scusa.
Passò il viaggio in macchina in silenzio, guardandosi intorno come se fosse alla ricerca di qualcosa o qualcuno; poi, quando finalmente entrò nello studio, la vide.
Sospirò, rivolgendole uno sguardo supplicante.
-Non voglio. Perché devo avere così tanta paura? So che tu sei Mademoiselle la Paura… ma io voglio esser coraggioso!-
Una mano candida si appoggiò sulla sua testa, regalandogli carezze lente e delicate.
La persona alla quale erano rivolte le attenzioni del povero bimbo spaurito era una donna dalla pelle pallida, avvolta da un lungo abito di seta nero con maniche di pizzo lunghe fino alle dita.
Le labbra, carnose, erano tinte da un rossetto cupo, abbinato alle ombre che le avvolgevano gli occhi color ghiaccio.
-Non esiste eroe che non abbia provato un po’ di paura prima di una qualsiasi missione.
Ora sarai spaventato, certo, ma dopo vedrai che il tuo terrore passerà.
Io sono passeggera, piccolo mio, ma nel mio essere temporanea ti porto, oltre al panico, un dono nuovo.-
Gli occhi verdi del bambino si incastonarono nei suoi color ghiaccio, finalmente privi delle lacrime sgorgate fino a quel momento.
-E cos’è?-
Lei sorrise, portandosi dietro l’orecchio una ciocca di riccioli mori.
-Il coraggio.-
Ci fu un attimo di silenzio, durante il quale bimbo dondolava le gambe e pensava, sempre sotto lo sguardo vigile di Mademoiselle.
-Mademoiselle…-
La donna lo guardò.
-Dimmi piccolo mio.-
-Qual è il vostro vero nome?-
La misteriosa donna ammantata di nero rimase zitta, guardando con occhi vitrei la collana di perle che la madre, occupata a leggere una rivista di pettegolezzi, portava con orgoglio.
-…Kandida… Kandida Senkalit.-

 
 
 
 
Angolo Autrice: E' la prima volta che pubblico una OS nel fandom de "Le 5 Leggende" .
All'inizio questa idea doveva essere una long, ma per mancanza di tempo ho voluto concentrarmi su un singolo dettaglio.
Un Pitch un po' OOC, lo ammetto, ma mi ritengo soddisfatta del risultato.
Devo aggiungere un paio di note sul nuovo OC, ovvero la moglie di Pitch.
Il nome deriva dal nome "Candida" che significa "bianco", mentre il cognome è l'unione di "Senka" (di derivazione croata e serba, il cui significato sta per "Ombra") e la modifica della parola Light in Lit, ovvero "Luce".
E' un gioco di parole (o almeno spero risulti questo XD) riferito al cambiamento che ha subito la donna.
Spero vi sia piaciuta, dato che mi sono basata su dati trovati su internet riguardo alla figlia, al nome precedente del nostro caro cattivone e altro (non ho avuto ancora modo di leggere i libri, ho solo visto il film... magnifico *W*).
Che altro dire... Spero di poter approfondire il personaggio di Kandida e, se volete vedere l'immagine di come era prima e come era dopo, le metterò a breve sulla pagina di FB.

Alla prossima!
Bacioni!
Nebula216 <3

 
   
 
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