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Autore: CHAOSevangeline    27/11/2014    1 recensioni
{ Raccolta UsUk }
| Dal primo capitolo |
La loro storia era sempre stata un treno in corsa: era arrivata così tanto inaspettatamente che per poco entrambi avrebbero potuto rischiare di perderla, si era sviluppata in fretta sotto i loro occhi senza che potessero far nulla per fermarla e, in men che non si dica, erano arrivati fino a quel punto.
Era un treno che entrambi erano felici di non aver perso.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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#1 - Di giradischi e melodie
Pairing: UsUk
Raiting: Verde
Genere: AU | Romantico ; Fluff.

 


Arthur non aveva sempre condotto un vita modesta: in passato aveva conosciuto cosa voleva dire essere ricco e benestante, ma aveva abbandonato ogni agio per vivere in modo indipendente.
Una scelta da lupo solitario, la sua. Da insensibile, aveva sentito dire da sua madre poco prima che se ne andasse di casa.
Quelle parole non lo avevano fatto sentire in colpa, però, e anzi, avrebbe varcato la soglia della casa dove aveva passato la sua infanzia più e più volte solo per assaporare di nuovo la sensazione di libertà che gli aveva riempito i polmoni in quel momento.
Aveva voltato le spalle al padre che sempre aveva preteso da lui senza mai considerare i suoi risultati abbastanza.
Aveva voltato le spalle alla madre che, da quando aveva dichiarato la propria intenzione di andarsene, non aveva fatto altro che asciugarsi delle finte lacrime con il fazzoletto perfettamente stirato da una delle domestiche, chiedendo al cielo perché il creatore non le avesse dato un figlio più normale.
Arthur aveva smesso da tempo di sentirsi inadeguato, di chiedersi se il piccolo sassolino in grado di far inceppare gli ingranaggi di quella famiglia fosse lui; era giunto alla semplicissima conclusione che se lui era un piccolo sassolino capace di bloccare degli ingranaggi, i suoi genitori erano delle pietre che non li avevano mai resi in grado di muoversi.
Era partito con poco: una valigia di vestiti in una mano e un borsone di libri da reggere con l’altra. Forse aveva più libri che vestiti con sé e prova ne era la libreria straripante e l’armadio ancora da colmare del tutto.
Se n’era andato a ventidue anni, Arthur.
Dopo ventidue anni passati a rimandare aveva deciso e tutto per colpa – o forse avrebbe dovuto dire grazie – al figlio del proprietario del bar dove lavorava.
Perché sì, pur essendo sempre stato dedito allo studio, Arthur lavorava in un bar come cameriere. Lavoro rispettabile, mai avrebbe osato dire il contrario, ma non era esattamente quello che aveva programmato per sé quando da piccolo aveva raggiunto l’America con la famiglia.
L’America, la terra delle occasioni e del futuro. L’aveva sentito dire spesso dagli adulti e per quanto crescendo la cosa avesse cominciato a suonargli incredibile, una parte di lui aveva continuato a crederci.
Visto che con lo studio l’America avrebbe potuto dargli grandi opportunità, il vecchio Arthur avrebbe quasi certamente montato una corazza per continuare a sfruttare fino all’osso coloro che tanto gli avevano rovinato la vita solo per conquistare un titolo di studi e garantirsi così un futuro più sicuro e roseo, ma il sorriso e le parole ingenue e spontanee che quel ragazzo gli aveva rivolto erano bastati a convincerlo.
L’aveva conosciuto una sera ad un orario molto tardo, quel ragazzo. Un orario in cui generalmente non si è soliti incontrare le persone.
Il suo turno era cominciato alle sette, quindi era reduce da un pienone dovuto alla cena e da una serata che aveva visto un numero di persone interessate a bere un drink insolitamente elevato.
Arthur era già alterato dalla stanchezza quando aveva iniziato a passare lo straccio per terra su ordine del suo capo. “Per non lasciare lavoro da fare a chi arriverà domani mattina!”, aveva detto.
Peccato che sarebbe stato sempre lui di turno, il mattino dopo.
Tuttavia, si era scelto lui quell’impiego e non si sarebbe lamentato per una sciocchezza come dover pulire un pavimento alle due della notte.
Quando aveva finito si era scoperto insolitamente a pezzi e le palpebre, diventate abbastanza pesanti da abbassarsi contro il suo volere, gli ostruivano sempre più frequentemente la vista.
Qualcuno dall’alto decise di infastidirlo ulteriormente mandando un bell’acquazzone per dividerlo dal suo letto, il quale si trovava a una buona distanza da percorrere a piedi, visto che ancora non se n’era andato di casa all’epoca .
Arthur era però troppo stanco per prendersela e la sua mente esausta aveva cominciato a meditare di chiedere al suo capo di dormire sul retro per quella notte. Tanto, per quanto Arthur fosse una persona composta e abitudinaria, dormire in uno stanzone polveroso o infradiciarsi prima di tornare a casa sarebbe stato ugualmente stressante.
Continuò a produrre pensieri lenti e assonnati fino a quando il campanello in cima alla porta d’ingresso tintinnò e, sull’uscio del bar, si materializzò un ragazzo.
Chiunque avrebbe potuto indovinare i suoi vent’anni d’età, ma quando Arthur lo vide camminare con le scarpe sporche di fango e la giacca zuppa d’acqua sul pavimento che aveva appena pulito pensò di aver a che fare con un bambino di appena cinque anni.
Siccome la professionalità veniva prima di tutto non l’aveva insultato, non aveva gridato e non aveva nemmeno cercato di rispedirlo sotto la pioggia.
L’unica cosa che Arthur aveva fatto per sfogare la propria rabbia, dopo essersi istantaneamente svegliato, era stato colpire accidentalmente con il manico del mocio l’intruso.
Intruso che fu felice di non aver percosso ripetutamente e di proposito nonostante le sue mancate scuse e il suo apparente menefreghismo; scoprì infatti la sua identità grazie al capo che chiamò a gran voce un certo Alfred, quando lo vide.
Ad Arthur bastò collegare un paio di vaghi ricordi per rammentare il nome che il proprietario gli aveva rivelato parlandogli di suo figlio.
La cosa che più fece ridere Arthur, quando quella notte ripensò all’accaduto sdraiato sul letto dell’appartamento che il proprietario del bar stava cercando di affittare, fu la previsione che il suo datore di lavoro aveva fatto quando aveva accennato a suo figlio qualche tempo prima: “Spero che voi due non vi vediate mai: non penso che vi sopportereste.”
Arthur inizialmente aveva concordato e aveva continuato a farlo, almeno fino a quando quell’Alfred non iniziò a frequentare il locale, presentandosi ogni mattina per fare colazione, a pranzo quando il lavoro glielo permetteva e a cena se non aveva impegni con qualche suo amichetto idiota tanto quanto lui – considerazione che Arthur aveva mentalmente aggiunto.
Era passato un mese scandito da quella routine e Arthur si era ritrovato più volte a voltarsi sentendo il campanello tintinnare, consapevole che fosse l’orario giusto per veder entrare Alfred e quel suo maledetto sorriso allegro che sempre si portava dietro.
Ad Arthur non era mai capitato di vedere un sorriso contagioso come quello e una parte di lui pareva sperare che quell’espressione raggiante sparisse dalla sua vista per paura che lo influenzasse troppo.
Più le visite di Alfred aumentavano, più aumentavano le probabilità che esse avvenissero nei momenti in cui Arthur andava in pausa e proprio per questo talvolta veniva invitato dal più giovane al suo tavolo.
Aveva scoperto che non aveva voluto continuare gli studi più per non far compiere sacrifici a suo padre, che perché non gli piacesse. Aveva scoperto i nomi dei dischi che più gli piacevano e il perché le scarpe logore che cercava di indossare ogni giorno fossero le sue preferite.
Sapeva che amava il salato tanto quanto il dolce e faceva scorpacciate di entrambi i tipi di cibi in modo da equilibrare i due gusti a fine giornata. Se si sentiva dire “il solito” non doveva neanche pensare a cosa servirgli, perché lo sapeva già.
Così, dopo aver conosciuto Alfred quasi meglio di sé stesso, Arthur gli aveva raccontato la sua storia.
Aveva parlato di sé perché si era reso conto che Alfred si era lasciato studiare, come se avesse compreso che Arthur aveva bisogno di quello prima di aprirsi.
Gli aveva parlato della propria situazione e Alfred l’aveva incalzato con domande sciocche.
Ma non ti dà fastidio che ti trattino così?
Che genitori hai?
Se da un lato avrebbe voluto colpirlo di nuovo con il manico del mocio usato la prima volta che si erano visti, dall’altro Arthur si era trattenuto ricordando che domande come quelle se le era poste anche lui.
Avevano iniziato a fantasticare e Arthur aveva detto che gli sarebbe piaciuto andarsene. Era stato allora che Alfred l’aveva convinto con una frase spontanea e forse nemmeno ragionata a seguire quel sogno.
“Se vuoi andartene fallo, no? Dillo ai tuoi genitori e vai via: la libertà non ha affatto un cattivo sapore.”
All’inizio Arthur aveva riso sia per quella spontaneità che per l’ultima affermazione del ragazzo, poi aveva riflettuto e prima di rendersene conto si era ritrovato a chiedere al proprietario quanto costasse l’affitto dell’appartamento sopra il bar.
Rendendosi conto che sarebbe stato capace di sbarcare il lunario, Arthur se n’era andato e si era trasferito in quella piccola abitazione che gli sembrava più accogliente della villa piena di lussi dove prima viveva.
Aveva respirato per bene la libertà di cui parlava Alfred e aveva continuato a sentirla mentre lavorava, quando apriva le finestre al mattino e quando rincasava la sera.
Avrebbe dovuto ringraziare Alfred per avergli dato quell’incoraggiamento necessario, ma non lo fece mai. Non a parole, almeno.
Dopo circa un mese dal suo trasferimento, Alfred cominciò a cercare una casa; aveva trovato un lavoro più retribuito di quello che già svolgeva, ma raggiungere la città ogni mattina entro le otto sarebbe stato impensabile considerando che viveva in provincia con il padre.
Sorprendentemente l’idea che aveva salvato Alfred era partita dallo stesso Arthur che tanto odiava le svolte troppo invadenti.
Dal canto suo, Arthur si sarebbe aspettato più resistenza e dubbi da parte dell’americano, invece era bastato proporgli la sua idea, lasciargli ponderare qualche attimo la cosa per poi vederlo alzarsi per andare a raccattare le proprie cose.
Non avrebbe mai pensato che fosse tanto facile far nascere una convivenza, ma forse era stato il semplice fatto di averlo chiesto proprio ad Alfred, a rendere la cosa sorprendentemente semplice.
Per i primi tempi non si videro molto: i turni di Alfred lasciavano libera la casa ad Arthur quando non era in servizio e viceversa.
Era quasi come se la casa fosse rimasta solo sua, semplicemente con un letto in più e un coinquilino da sgridare perché abituato a spargere la biancheria per casa, fosse essa sporca o pulita.
Dopo quel periodo di assestamento, lui e Alfred iniziarono a legare sempre di più.
Con dei turni che permettevano a entrambi di trascorrere più tempo insieme a casa, Arthur aveva avuto modo di essere costretto ad ascoltare i dischi di cui tanto Alfred gli aveva parlato e, talvolta, Arthur gli aveva fatto addirittura la gentilezza di portargli una brioche avanzata la sera prima dal bar affinché la potesse mangiare per colazione.
Per ricambiare il favore, Alfred aveva ascoltato gli sproloqui di Arthur sui libri, anche se una volta si era addormentato mentre ascoltava. Svegliandosi aveva pensato di trovare un qualche segno di vendetta, ma l’unica cosa che aveva visto era la coperta di lana ben sistemata su di lui affinché non sentisse freddo.
Aveva riparato alla cosa facendo trovare al suo coinquilino il romanzo che cercava da tanto sul tavolo della cucina con un biglietto di ironiche scuse. Alfred fu costretto ad appuntarsi quel metodo di pace, perché quella sera trovò il proprio piatto pieno di cibo come non aveva sperato accadesse.
Lentamente si era costruito tra di loro un rapporto che nessuno dei due osava definire e che, ancor meglio, a nessuno dei due interessava definire.
Tuttavia voci maliziose – e affatto ingiustificate – si diffusero tanto rapidamente quanto il rossore irradiatosi sulle guance di Arthur quando Alfred gli strappò il primo bacio.
Era accaduto tutto così in fretta che Alfred non aveva avuto modo di chiedersi quanto Arthur avrebbe potuto schiaffeggiarlo. Arthur invece si era reso conto, per una volta, che aveva apprezzato quel gesto ancor prima di capire che era stato un salto nel vuoto che proprio non gli si addiceva.
La loro storia era sempre stata un treno in corsa: era arrivata così tanto inaspettatamente che per poco entrambi avrebbero potuto rischiare di perderla, si era sviluppata in fretta sotto i loro occhi senza che potessero far nulla per fermarla e, in men che non si dica, erano arrivati fino a quel punto.
Era un treno che entrambi erano felici di non aver perso.
Anche se fuori casa sentivano gli sguardi scorrere accusatori lungo le loro spalle, anche se dovevano nascondere tutto ciò che era scaturito da quel bacio, sentivano entrambi che il motivo per cui lo facevano era abbastanza importante da dare la forza necessaria a entrambi.
Così, se prima di entrare in casa nascondevano entrambi i propri sentimenti, una volta nell’appartamento dimenticavano ogni cosa accaduta fuori perché lì niente e nessuno li avrebbe più potuti toccare.
Era capitato, una sera durante la quale Arthur non era riuscito a lasciare l’amarezza provocata dai commenti delle persone su di loro fuori dalle mura che delimitavano il loro piccolo angolo di paradiso, che Alfred lo avesse afferrato canticchiando sommessamente una melodia, costringendolo a muoversi seguendo i passi di una danza lenta.
Per quanto Arthur avesse cercato di staccarsi, affatto dell’umore per sostenere una delle sue solite sciocchezze, Alfred non l’aveva lasciato andare e aveva anzi proseguito a mormorare quella melodia con più vigore.
Arthur realizzò solo allora che era la canzone che tante volte era riecheggiata in quell’appartamento grazie al giradischi.
La stessa che suonava nel bar quando l’aveva visto per la prima volta.
In quel momento non c’era nulla che la riproducesse se non la voce calma e sommessa di Alfred che piano piano andò scemando, lasciando che nella stanza regnasse il più assoluto silenzio.
Continuarono a sentire quella canzone e a muoversi secondo un ritmo immaginario, ma comune a entrambi.
Alfred si scordò di preferire canzoni più movimentate perché quella che stavano ballando in quel momento era una delle preferite di Arthur e anche sua, perché era la loro colonna sonora.
Arthur dimenticò il lato di lui che in condizioni normali avrebbe considerato ridicolo il ballare in mezzo al salotto, ma solo perché si trattava di un’idea di Alfred per risollevargli il morale.
Alfred si ricordò di sussurrargli all’orecchio che lo amava, perché sapeva che era ciò di cui aveva bisogno in quel momento.
Non sbagliò.
Dopotutto, Alfred pareva essere incapace di sbagliare, con lui.






Angolo ~

Mi hanno detto "Ma anche se è una storia senza pretese perché non la posti?"
Probabilmente non aspettavo altro che sentirmelo dire, perché se poco fa ero decisa a tenere questa storia nei meandri di una cartella per rileggerla considerandola un semplice esercizio di scrittura, ora mi sono resa conto che fa proprio al caso di un progetto un po' più ambizioso che stavo programmando di creare un paio di giorni fa.
Alla fine questa sarà una raccolta e ne aggiusterò gli avvenimenti e i generi man mano che mi verranno in mente i capitoli, perché per ora ho in mente solamente il prossimo!
Ho intenzione di trattare l'UsUk in tutte le forme che più mi aggradano e per ora sono certa di scriverci sfruttandola come coppia shonen-ai e come coppia het. Poi si vedrà <3
Piccolo appunto: sono stata ispirata da questa immagine (pescata in questo account di tumblr! <3) Ho scoperto che mi piace parecchio ispirarmi a dei disegni, quindi penso che continuerò.
Inizialmente avevo pensato di inquadrare molto di più storicamente questo primo racconto, ma alla fine è venuta così e devo dirmene ugualmente contenta.
Ultima cosa e poi sparisco: il titolo. L'ho scelto prendendo una parte del nome di uno dei libri che più mi sono piaciuti, ovvero L'Atlante delle Nuvole. Non mi perdo a dire di che parla quel libro, ma l'ho sentito un po' vicino al mio voler mostrare che l'UsUk può vivere in tutte le salse!
Dopo questo sproloquio vi ringrazio per aver letto e spero che vogliate dirmi cosa ve ne pare! <3

CHAOSevangeline
   
 
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