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Autore: Calipso19    27/11/2014    5 recensioni
-Ti prego, non lasciarmi mai più.
Le era sfuggito dalle labbra prima che se ne rendesse conto, il respiro corto di chi non ha più fiato.
-Ho bisogno di te.
E comprese che Shinichi era tutta la sua forza.
Fra le sue braccia si era sentita sollevare verso la luce, il peso nel suo cuore si era affievolito fino a scomparire.
E anche se il dolore c’era ed era ancora intenso, le era chiaro che con Shinichi avrebbe potuto superare prove ancora più difficili.
Solo con Shinichi avrebbe potuto vivere.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Come petali di ciliegio'
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Come gocce di pioggia, le lacrime di Eri scorrevano ininterrottamente sul suo volto pallido e su quello della giovane ragazza affianco. 

Le mani di entrambe si stringevano l’un l’altra in una morsa d’acciaio per darsi forza in quello che poteva essere il più tragico evento della loro vita. 

La cerimonia funebre era terminata: la bara era appena stata sepolta sotto metri e metri di terra, e gli addetti ancora lavoravano per lisciare il terreno in superficie e ricoprirlo di ghiaia bianca. 

Davanti a loro, la triste effige sembrava guardarle sfacciatamente, come per sottolineare il fatto, che ancora non riuscivano a concepire, che Kogoro Mori non era più tra loro. 

Mancato durante un’indagine, sorpreso dai criminali che stava inseguendo. 

Due criminali le cui vesti nere avevano nascosto l’identità alla polizia. 

Quattro colpi di pistola avevano segnato la fine dell’infallibile detective. 

 

Gli operai si erano allontanati, gli invitati al funerale si stavano pian piano congedando. Solo pochi intimi rimasero accanto alla lapide e alle due donne che sembravano inamovibili. 

Incrociando con gli occhi la foto di Kogoro per l’ennesima volta, Eri non riuscì a trattenersi oltre ed esplose in un pianto disperato, al diavolo la compostezza, al diavolo i presenti, al diavolo il destino che le aveva portato via il marito a cui non aveva mai smesso di pensare e di cui l’amore non aveva potuto accertare. 

Crollò in ginocchio stravolta, i singhiozzi che la soffocavano e Ran che cercava di sostenerla per un braccio. 

Ran. 

A differenza della madre, Ran sembrava una statua di ghiaccio. 

Gli occhi erano rossi e non avevano mai smesso di lacrimare, ma non un singhiozzo le aveva mozzato il respiro, non un singulto l’aveva fatta sobbalzare. 

E ciò era preoccupante, poiché la sua sensibilità la obbligava a piangere per molto meno. 

 

Una donna bellissima le raggiunse con passo rapido ma elegante. 

Yukiko si chinò accanto all’ex-compagna di scuola e le appoggiò entrambe le mani sulle spalle in un muto gesto d’affetto e consolazione. 

Il suo sguardo di cielo si rivolse invece a Ran, che la guardò senza vederla. 

Era ora di andare. 

Stare ancora in quel luogo triste le avrebbe sfinite e rattristate più di quanto già non fossero. 

Lentamente, le tre donne uscirono dal cimitero. 

Solo l’ispettore Megure volle rimanere ancora qualche momento assieme al suo vecchio amico, e nessuno lo privò di questo. 

 

Eri sembrava un’altra persona. 

Il pianto le aveva sbiancato il viso e gli occhi infossati mostravano tutta l’angoscia provata in quel momento. 

Ran invece non c’era. 

Fisicamente era lì con loro, ma la testa era altrove, lontano da lì, probabilmente per tentare di proteggersi da un dolore troppo atroce. 

Yukiko diede una rapida occhiata a entrambe, e con fare premuroso si offrì di accompagnarle a casa in auto. 

L’avvocatessa annuì solamente, ringraziando l’amica con lo sguardo, poi si voltò verso la figlia. 

 

  • Vieni Ran? 

 

Fu la prima volta dopo quella tragedia, che i suoi occhi si posarono veramente su qualcosa. 

La madre le stava sorridendo. 

Nonostante tutto. 

 

  • Vengo a piedi, voglio camminare. 

 

Non poteva sopportare di vedere il volto della mamma privo della scintilla vitale che aveva sempre avuto e che ora si era spenta. 

Era meglio stare lontana finché non si fosse sentita abbastanza forte. 

 

  • Va bene tesoro.. Ma sei sicura di star bene?

 

Sua madre doveva essersi accorta che qualcosa non andava, che il dolore non veniva manifestato completamente. Come avrebbe dovuto rispondere? 

 

  • Tranquilla mamma. 

 

Avvertì una mano gentile posarsi sulla spalla. Due occhi verdi la fissarono con una dolcezza e una delicatezza assolutamente inusuali per una come Sonoko Suzuki. 

 

  • Ti accompagno io Ran, non andrai da sola. 

 

Non voleva lasciarla sola. 

Nemmeno sotto la pioggia. 

Ran la ringraziò con un debole e finto sorriso. 

 

La passeggiata non la rincuorò più di tanto. 

Sentire Sonoko accanto a sè la rincuorava in parte, perché non era sola. 

Ma camminare, al posto di darle forza e far diminuire il dolore, sembrava volerla mandare ancora più a fondo dei suoi pensieri e non fuori, dove doveva essere forte e aiutare la madre a superare quel difficile momento. 

Suo padre avrebbe voluto così, e sarebbe sicuramente stato fiero se fosse riuscita a far sorridere di nuovo la mamma. 

Doveva essere forte, doveva essere adulta. 

 

Non sapeva da quanto stessero camminando. 

Il parco accanto al cimitero dove avevano iniziato la passeggiata era deserto a causa della pioggia.

Il sole, nascosto dietro le nuvole, le aveva private in parte della sua luce, e il crepuscolo preannuncia la sua presenza colorando il cielo di un grigio bluastro. 

Sonoko le propose di fermarsi sotto un gazebo, infreddolita nonostante l’ombrello le riparasse dall’acqua. 

C’era una panchina.

Si sedettero e rimasero in silenzio per altri interminabili istanti. 

Ran era talmente persa nei suoi pensieri da non accorgersi che i lembi della gonna erano ormai completamente fradici a causa dell’umidità e nemmeno del tuono prepotente che fece sobbalzare l’amica d’infanzia. 

Nulla sembrava importante.

Nulla era più forte del dolore che provava, che non riusciva a sopprimere. 

Che non riusciva nemmeno a manifestare e che, come la nostalgia, la lacerava all’interno con squarci profondi e insanabili. 

E come la rabbia, che scuoteva violenta il suo animo indebolito. 

Rabbia nei confronti dei criminali che avevano ucciso suo padre. 

Perché proprio lui? Era stato destino?

 

Avvertì lo sguardo di Sonoko su di sè e la sentì sospirare. 

 

Cos’aveva fatto lei di male per meritarsi questo? 

Per quale colpa Dio aveva deciso di punirla privandola delle persone a lei più care? 

Adesso Kogoro, tre anni prima Shinichi… 

 

Sonoko trattenne il fiato. 

 

Shinichi. 

Anche lui, tre anni prima, le era stato tolto e non era stato più lo stesso. 

Perché non c’era? Perché non era venuto al funerale di suo padre?

Ma soprattutto, perché quando pensava a lui il dolore trovava una via d’uscita e premeva con violenza contro la gola per poter uscire? 

Perché il pianto era così difficile da trattenere quando Lui varcava la soglia dei suoi pensieri? 

Lui, che era la chiave del suo cuore. 

 

Sentì un vuoto accanto a sè. 

Sonoko non c’era più. 

Se n’era andata silenziosa come la nebbia. 

O forse le aveva parlato e lei non l’aveva sentita? 

 

  • Ran. 

 

No, non era ancora così lontana dal mondo come avrebbe voluto essere. 

Riusciva ancora a sentire quando qualcuno le rivolgeva parola. 

Però non c’era nessuno con lei. 

Forse si stava immaginando tutto. Era già così lontana? 

 

  • Ran. 

 

La morte di Kogoro l’aveva fatta impazzire. 

Le sembrava di sentire la voce di Shinichi. 

Così calda e dolce, la chiamava quasi sussurrando, come se il ragazzo le fosse affianco. 

 

  • Ran. 

 

  • Shinichi. 

 

Soffiò quel nome senza respiro, lo sguardo fisso davanti a sé. 

Si voltò e lo vide. 

Un piede appoggiato sul primo gradino del gazebo, le mani in tasca e la giacca fradicia. 

In piedi a un metro dalla panchina si ergeva l’icona dei suoi desideri, il suo sogno di una vita, che l’osservava. 

Era da Londra che non lo vedeva.

Shinichi le rivolse un debole sorriso, di quelli che le faceva sempre mancare il fiato, che però non riusciva a celare la tristezza. 

Lui sapeva. 

Non servivano parole. 

Le lacrime cominciarono a scendere copiose, la pioggia a farsi più intensa attorno a loro. 

Ran si alzò e senza alcun freno o imbarazzo si gettò fra le sue braccia, priva di forze e con la mente svuotata. 

Solo il cuore era rimasto vivo, di nuovo pulsante grazie a quell’abbraccio ma traboccante di dolore incontrollabile. 

Shinichi la strinse a sè in un impeto passionale che non aveva mai mostrato, tuffando il viso fra i suoi capelli sciolti e umidi quasi con urgenza, come per nascondere qualche lacrima clandestina. 

Ran ricambiò la stretta con forza crescente, sentendo il ragazzo ricambiare con altrettanta energia, seppellendo in quell’abbraccio tutti i problemi, le incomprensioni, il caso difficile e complicato ancora da risolvere. 

 

E comprese che Shinichi era tutta la sua forza. 

Fra le sue braccia si era sentita sollevare verso la luce, il peso nel suo cuore si era affievolito fino a scomparire.

E anche se il dolore c’era ed era ancora intenso, le era chiaro che con Shinichi avrebbe potuto superare prove ancora più difficili. 

Solo con Shinichi avrebbe potuto vivere. 

 

  • Ti prego, non lasciarmi mai più. 

 

Le era sfuggito dalle labbra prima che se ne rendesse conto, il respiro corto di chi non ha più fiato. 

 

  • Ho bisogno di te. 

 

Strinse più forte la presa sulle sue spalle e chiuse ermeticamente gli occhi schiacciando il viso contro il suo petto, conscia della richiesta razionalmente assurda. 

Eppure una mano gentile le accarezzò i capelli e Shinichi si avvicinò al suo viso. Lo capì dal respiro caldo sul proprio naso. 

E trattenne il respiro quando finalmente udì la sua voce.

Una voce che nascondeva un grandissimo dolore.  

 

  • Io sono sempre con te Ran. 

 

Ecco la verità, dopotutto. 

 

  
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