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Autore: Koori_chan    27/11/2014    2 recensioni
Dall’esito drammatico della missione al Ponte Kannabi, il Team Minato non è più stato lo stesso.
Kakashi è tornato a casa capace di vedere il mondo con occhi diversi, ammorbidito e contemporaneamente stremato da una consapevolezza che non lo abbandonerà mai. Ma del ragazzo dello Sharingan già molto è stato detto. Che ne è stato, invece, della sua compagna di squadra?
Rin Nohara è cambiata, non più la ragazzina fragile e bisognosa di protezione, ma una donna adulta e autosufficiente, che ha saputo distinguersi per coraggio e intelligenza.
Eppure, ancora, il dolore le strina le vene e le impedisce di vivere davvero.
Sarà una decisone, estrema e definitiva, a condurla per mano lungo una strada che la vedrà crescere, maturare e rafforzarsi fino a quando, aiutata da nuovi ed inaspettati compagni, Rin non riuscirà a lasciarsi alle spalle il rimpianto che la sta divorando.
Peccato non sappia che la vita ha in serbo per lei molto più del previsto…
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Nuovo Personaggio, Obito Uchiha, Rin, Yondaime
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio, Contesto generale/vago
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Salve a tutti! Questa è la prima storia che mi azzardo a pubblicare nella sezione di Naruto, nonostante vi bazzichi già da diversi anni a fasi alterne. Ho letto il manga fino in fondo, e nonostante già da qualche anno non fossi più entusiasta dei capitoli che venivano pubblicati, ho accolto con grande affetto e malinconia il termine di un'opera che mi ha accompagnata attraverso l'adolescenza e parte dell'infanzia.
E' probabilmente per colpa di questa specie di groppo in gola esistenziale(? xD) che, dopo vari ripensamenti, mi sono decisa a buttare giù questa fanfiction, la cui trama fu inventata in realtà su per giù sette anni fa, quando ancora lo Shippuden era agli albori e tutto ciò che sapevamo di Obito, Rin e Minato era desumibile da quei sei capitoletti morti dal freddo del Kakashi Gaiden.
Con ciò sto cercando di dirvi che si tratta di una What If dalle proporzioni colossali, che stravolge completamente alcuni punti chiave dell'opera dal capitolo 450 -più o meno- in poi.
Sì, insomma, questa fanfiction è un azzardo, e confesso che sono un po' terrorizzata all'idea di pubblicarla. Fra l'altro, tenendo conto dell'avvertimento What If, ho sviluppato alcuni personaggi in modo diverso rispetto a quello che poi Kishimoto ci ha mostrato.
Non so bene se metterli OOC, e per questo vi chiedo, se sarà necessario, di segnalarmelo.
In ogni caso eccomi qui, io me la rischio! xD
Grazie mille per la pazienza e buona lettura!








What I've Overcome~













Il campanello suonò nella notte con il suo sottile trillo argenteo.
Fuori dalla finestra, la luna lottava senza tregua con le nuvole lacere e cariche di pioggia, mentre un vento sibilante giungeva da lontano.
La ragazza scese le scale a piedi scalzi, troppo assonnata e contemporaneamente troppo curiosa per sprecare tempo a indossare le ciabatte abbandonate chissà dove la sera prima.
I gradini scricchiolarono appena sotto al suo peso, facendo sì che un brivido viscido le corresse su per la schiena mentre la pioggia riprendeva a rovesciarsi sul villaggio.
Chi poteva essere a quell’ora della notte?
Il buio la avvolgeva, e faceva freddo, troppo freddo per essere solo ai primi di Ottobre.
Improvvisamente si rese conto di non essere tranquilla.
C’era qualcosa, acquattato nell’oscurità, che la fissava dal fondo dell’abisso, una bestia nera che attendeva un suo qualsiasi passo falso, pronta a sbranarla.
Deglutì, la fronte imperlata di sudore gelido, poi aprì la porta.
- Obito, sei tu! –
Il viso dolce e familiare del ragazzino la tranquillizzò come una luce nella notte, permettendole di tirare un sospiro di sollievo.
Era al sicuro.
Il giovane però non rispose, lo sguardo puntato a terra.
- Che ci fai qui a quest’ora? Va tutto bene? – domandò lei, allarmata da quel comportamento atipico.
Proprio mentre pronunciava quelle parole si rese conto con un’angoscia incontrollabile di cosa stesse succedendo.
Presa dal panico, cercò di chiudergli la porta in faccia, ma il compagno di squadra fu più svelto e le afferrò un polso, stringendo forte.
Lacrime salate presero a scorrere lungo le guance della ragazza senza che il giovane Uchiha avesse ancora proferito parola, ma durò solo un istante. La sua voce appena incrinata dalla consapevolezza si alzò nel silenzio come il  rumore di unghie sul vetro.
- Koori è… Mi dispiace tanto, non c’è stato niente da fare… E’ morta. -
La kunoichi prese a singhiozzare sempre più forte, stretta fra le braccia del moro che cercava di confortarla.
La pioggia bagnava entrambi, ma presto la ragazza si accorse che non era acqua ciò che stava colando lentamente impregnandole i vestiti.
- Obito? – balbettò, levando appena lo sguardo.
Non poté trattenere un urlo di terrore: davanti a sé, ancora stretto a lei, vi era il cadavere del suo migliore amico,  la parte destra del corpo ridotta a brandelli macilenti.
Dove avrebbe dovuto trovarsi il suo vispo occhio sinistro, sempre allegro e ammiccante, vi era ora una voragine di putrescente terrore.
- Mi hai lasciato morire… - sussurrò il cadavere, stringendo la presa sul suo polso.
La fanciulla prese a respirare in modo meccanico, aritmico, un senso di claustrofobia a strizzarle i polmoni nel panico più asfissiante.
- Obito, mi dispiace! Io non… - mormorò.
- Hai preferito Kakashi, mi hai lasciato morire. Come Koori, come il sensei! – continuò l’ammasso di carne e sangue che ancora stava in piedi di fronte a lei.
I singhiozzi presero il sopravvento, scuotendola in spasmi incontrollabili.
- Obito, no, non è così! – si ritrovò a gridare, indietreggiando automaticamente all’avanzare del ragazzo.
- E’ colpa tua! –
- No, ti prego! Obito, no! –
Un ultimo passo, e il muro freddo e umido contro le sue spalle.
Era in trappola.
- OBITO! –
 







 
Rin Nohara splancò gli occhi con un grido.
Intorno a lei tutto era buio, fatta eccezione per il sottile fascio di luce lunare che filtrava attraverso le tende.
Nessun rumore, nemmeno il fine ticchettio della pioggia, ogni cosa era calma nella notte di Konoha.
Una fastidiosa sensazione di caldo umido la indusse a sollevare le coperte, perdendo un battito nel notare una chiazza scura allargarsi sul lenzuolo appena visibile nella penombra.
Una lacrima le sfuggì dalle ciglia e scivolò silenziosa ed amara lungo il profilo del suo naso delicato.
Era successo di nuovo.
Colta da una vergogna bruciante che aveva ormai imparato a conoscere, scivolò fuori dal letto e tolse coperte e lenzuola, appallottolandole e portandole dritte nella cesta dei panni da lavare, assieme al pigiama e all’intimo.
Senza pensarci due volte, la ragazza si infilò sotto la doccia, accogliendo il getto rovente senza un fiato.
All’inizio le succedeva praticamente tutte le notti.
Aveva cercato di tenerlo nascosto a sua madre, ma quella l’aveva scoperto subito. Le aveva detto che era ua cosa normale, che col tempo sarebbe passato, ma a distanza di quattro anni le previsioni della donna si erano dimostrate errate.
Alla veneranda età di diciotto anni, Rin continuava sistematicamente a pisciarsi addosso ad ogni incubo.
Certo, adesso succedeva più raramente, ma non era raro che si ritrovasse, proprio come quella notte, a dover riempire la cesta dei panni sporchi e cercarsi un pigiama pulito a tentoni nel buio.
Mentre l’acqua ustionante le lavava via gli ultimi residui di paura, calmando i tremori, la ragazza non riusciva ad impedirsi di riflettere.
L’anno prima era entrata nella sezione ANBU in supporto alla squadra medica per decisione diretta di Sarutobi, era una jounin rispettata fra i colleghi, e in ospedale le infermiere più giovani la ammiravano per le sue straordinarie capacità in campo medico.
Sì, Rin era cresciuta ed era diventata una kunoichi coi fiocchi, ma sapeva benissimo che non era sufficiente.
Era venuta a sapere della tragica vicenda del padre di Kakashi solo dopo la disastrosa missione al Ponte Kannabi, e in tutta onestà pensava di capire le motivazioni che avevano spinto Sakumo Hatake al gesto estremo.
Come avrebbe potuto vivere quando erano le persone che amava di più ad incolparlo del peggiore dei mali?
Allo stesso modo, lei non riusciva più a passeggiare per le strade di Konoha senza sentire sulla nuca lo sguardo bruciante di Minato-sensei, lassù dalla statua di roccia.
Più volte Kakashi le aveva detto di non rimproverarsi, perché nessuna delle morti che avevano flagellato la loro infanzia era avvenuta per mano sua, ma nonostante tutto la ragazza continuava ad avere gli incubi, e a risvegliarsi fra lenzuola zuppe di piscio.
Non poteva andare avanti in quel modo, questo era chiaro, ma la decisione da prendere l’aveva sempre spaventata.
Era legata a quei volti, a quelle voci, a quei ricordi, era ancora troppo presto per lasciarli andare.
Come avrebbe potuto resistere lontano dai colori di quella che, fino ad un certo punto, era stata l’infanzia più felice che una persona possa desiderare? In che modo sarebbe riuscita a lasciarsi alle spalle i sorrisi di coloro che amava più di se stessa?
Quando Obito era morto, quel maledetto giorno di tanti anni prima, aveva giurato alle stelle che non avrebbe mollato, che avrebbe tenuto duro per lui.
Ma poi, uno dopo l’altro, tutti i suoi affetti le erano scivolati fra le dita come sabbia, per primi Minato-sensei e Kushina, fino ad arrivare ai suoi genitori.
Cosa le era rimasto? Gli occhi di suo padre, il naso di sua madre, i consigli del sensei, una casa vuota e un mucchio di fotografie.
E poi lui, Kakashi Hatake.
Paradossalmente, in quella macabra ironia di cui è intessuta la vita, si era accorta di non amarlo nel preciso momento in cui gli aveva confessato i suoi sentimenti. Probabilmente comuincare a Kakashi il suo amore per lui subito dopo aver scoperto i sentimenti di Obito era stata una decisione pessima, ma Rin sapeva che lo avrebbe rifatto mille e mille volte.
La verità era che lei, Kakashi, non lo amava più da un pezzo, e forse non lo aveva mai nemmeno amato per davvero. A dodici anni si confondono facilmente i sentimenti: lei ad esempio aveva scambiato l’ammirazione per amore, come tante volte Koori aveva cercato di farle capire.
Forse, se avesse dato retta all’amica quando era il momento, Obito non sarebbe morto sotto quel macigno. Forse, se avesse ammesso almeno a se stessa che ciò che provava per la pecora nera degli Uchiha era ben più di semplice affetto, adesso né lei né Kakashi avrebbero passato le notti da soli, a farsi consumare dai rimpianti.
In ogni caso, quella confessione tardiva ad Iwa era stata necessaria: il coperchio del sarcofago, il lucchetto del forziere, la parola fine di una farsa che aveva causato davvero troppi problemi.
Con quella confessione, Rin aveva detto addio alla sua infanzia, aveva guardato negli occhi la fredda e volgare verità, ed era diventata una donna.
Con quale risultato?
Adesso, invece di avere al suo fianco il grande amore su cui aveva sempre fantasticato, aveva trovato un amico devoto. Sempre introverso, sempre distaccato, ma onesto, trasparente.
Lei e Kakashi erano diventati le due facce della stessa medaglia.
Era anche per questo che non era ancora riuscita a decidersi, in tutti quegli anni. Era successo qualcosa di strano, qualcosa di singolare: i ruoli si erano invertiti.
Mentre un tempo Rin Nohara era stata la ragazzina ingenua e timida, l’elemento da salvare, adesso era fiorita nella sua stoica fierezza come un cardo che resiste ai venti freddi dell’inverno, decisa e irriducibile nella sua pragmatica dolcezza.
Kakashi, invece, era crollato. Sempre impeccabile e professionale, certo, ma le tragedie gli si erano rovesciate addosso con l’irruenza di una cascata, strappandogli di dosso con la loro onda di piena quella maschera di indifferenza che per anni l’aveva mantenuto lontano, almeno in apparenza, dal dolore. Ora, del figlio di Zanna Bianca rimaneva un giovane uomo stanco e vulnerabile, privo di quei sostegni di cui aveva finito per ammettere la necessità.
Assurdamente, non era Rin ad avere bisogno di Kakashi, bensì era il contrario.
Il cielo al di fuori della piccola finestrella del bagno si era pian piano tinto di bianco, preludio di un’alba che avrebbe presto incendiato i tetti di Konoha.
Rin uscì dalla doccia e, ancora gocciolante, indossò l’accappatoio.

Oggi, prima che apra la biblioteca, devo allenarmi un po’.

Considerò fra sé e sé.

Un po’ tanto, visto che ieri mattina ho lavorato solo per due ore. Se anche oggi Kurenai viene a ciarlare di Asuma-san è la volta buona che la mando a quel paese!

Sospirò poi con una luce affettuosa negli occhi.
Stava mettendo a punto una tecnica nuova, e per completarla aveva bisogno di qualche suggerimento teorico. Tuttavia le prime ore del giorno, quando il sole si arrampica pigramente su per l’orizzonte, sono quelle in cui il corpo risponde meglio agli stimoli, e come sempre ne avrebbe approfittato per allenarsi al campo tre. Sempre che la sua amica non avesse deciso di nuovo di tenerle compagnia durante gli allenamenti, ossia di raccontarle dettagliatamente il suo ultimo appuntamento galante richiedendo la sua massima attenzione…
Chiusasi la porta del bagno alle spalle, i capelli gocciolanti che lasciavano una scia di pozzanghere lungo il suo passaggio, si diresse in camera alla ricerca di un completo pulito per l’allenamento.
Scivolando silenziosa verso l’armadio, non riuscì ad evitare di posare lo sguardo sul riflesso nello specchio.
Di fronte a lei, appena infreddolita nel morbido tessuto dell’accappatoio, se ne stava una ragazza giovane e slanciata, gli occhi castani cerchiati da occhiaie leggere.
Alle sue spalle, appiccicate con lo scotch alle pareti fino a intasare la stampa di ciliegio appesa sopra al suo letto, decine e decine di foto la ritraevano, più giovane e più felice, assieme ai suoi migliori amici.
Ai piedi di quelle immagini gioiose e quanto mai lontane nel tempo, troneggiava imperioso e accusatore il letto nudo, vuoto e disfatto, privo di quelle coperte che ancora una volta le avevano rinfacciato la sua vergogna.
Tornò a guardare la sua figura nello specchio, e gli occhi finirono per soffermarsi sul ciondolo che portava al collo, il piccolo ventaglio rosso e bianco degli Uchiha.
No, non poteva più andare avanti così.
Qualcosa andava fatto.
Dieci minuti dopo, Rin Nohara marciava sicura per le vie di Konoha, il coprifronte legato stretto e i capelli a rimbalzarle sulle spalle ad ogni passo. Tuttavia non si stava dirigendo al campo tre, bensì al palazzo dell’Hokage.
Aveva aspettato anche troppo.
Ora era il momento di agire.



























 
Note:

Se siete arrivati fin qua, GRAZIE MILLE.
Questo primo capitolo, in realtà, è abbastanza standard: insomma, è vero, ci sono un sacco di fanfiction su Rin che prevedono la kunoichi in preda ad un incubo. Cliché? Decisamente sì, ma a me, nel caso specifico, è servito ad introdurre qualche piccolo dettaglio sulla psiche della protagonista che ci aiuterà a comprendere meglio alcune sue azioni.
Ora, immagino che tutti voi, a leggere il nome di Koori, vi siate giustamente chiesti "ma chi diamine è sta qui?" e qualcuno avrà anche notato che il suo nome compare nel mio nickname. Lo dico da subito, onde evitare inconvenienti: Koori NON sono io e non si tratta di self-insert. Questa sarà una storia stracolma di OC, ma, anche se per certi versi importanti, non saranno i protagonisti.
La protagonista di questa storia è Rin, mentre Koori (che in realtà è il personaggio principale di un'altra fanfcition che non credo pubblicherò mai, ma ssssh! xD) è semplicemente un personaggio di contorno.
Importante, ma di contorno.
Insomma, con questo sproloquio volevo solo tranquillizzarvi: nessuno dei personaggi da me inventati prenderà il sopravvento, ma saranno solo elementi di contorno per la prosecuzione della trama! xD
Beh, direi che per ora ho già blaterato abbastanza...
Ancora grazie mille a chi ha letto, ogni commento è bene accetto e se c'è da criticare FATELO. Ci resterò male, ma almeno, nel caso, provvederò a far sparire gli orrori! xD

Kisses,
Koori-chan
  
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