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Autore: Julietds    27/11/2014    2 recensioni
[Raccolta] [Led Zeppelin] – Me ne stavo ad accarezzare il mio boa cangiante di piume di struzzo lungo il Sunset Strip, precisamente appoggiata al lucido sportello della limousine degli Zeppelin, quando sentì per la prima volta pronunciare quella parola. Stavo aspettando che Jimmy si liberasse dalla folla per infilarmi in macchina tra le sue braccia quando una ragazza, in mezzo alla massa di fan urlanti, gridò: « Guardate, quella dev'essere una Groupie! »
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Più storie di giovani sognatrici come tante che riuscirono a toccare, ispirare e correre con anime eccezionali come poche e a far parte della grande esperienza mistica che è stato il Rock n'Roll. Non solo delle ragazze, non solo delle "groupies", molto di più; le muse per eccellenza, gli angeli senza ali che accompagnarono per un pezzo numerosi rocker lungo le proprie strade: signori e signore, a voi le Groupies.
Genere: Erotico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jimmy Page, Nuovo personaggio, Robert Plant
Note: Lemon, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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GROUPIE!  Part I:
Pamela des Barres



I’m gonna give you every inch of my love

 
 

 
Ero approdata da poco tempo sulla soglia dei miei quattordici anni quando mi giunse alle orecchie la
meravigliosa notizia che il leggendario gruppo rock Rolling Stones avrebbe fatto tappa in California,
precisamente a Los Angeles.
Avrebbero sicuramente alloggiato all'Ambassador Hotel, non era poi così lontano da casa mia; ai tempi
era un hotel di lusso perennemente occupato da rockstar che si davano alla pazza gioia in stanze
vittoriane che lasciavano rase al suolo la mattina prima di ripartire. Persino dopo essere stato teatro
della tragica morte del Presidente Kennedy la gente continuò ad andarci. Frequentavano quel posto
soprattutto per la fama che aveva in città e per il Cocoanut Grove, un night per ricconi che sfornava a
manetta esibizioni con artisti del calibro di Frank Sinatra, Judy Garland e Liza Minelli. Se stavi
all'Ambassador, stavi nell'Olimpo. Io non mi sarei mai sognata di metterci piedi se non per aspettare
urlante e attaccata ai vetri esteri una qualche rockstar che ci “dormiva”, in quel posto.
Ad ogni modo la notizia, tra le mie compagne, suonò come l'occasione d'oro del secolo dato che
stravedevamo per i gruppi inglesi; sarebbe stata una delle poche chance che avremmo avuto per
provare a toccare con mano gli dei del rock, nonostante facessimo spesso dei viaggi assurdi per
andare a beccare qualche band in giro per il Paese. Ero eccitata certo, piena di speranze e già un
paio di volte mi era capitato di avvicinarmi di molto a qualche musicista ma non mi sarei mai e poi
mai mi sognata di trovarmi faccia a faccia con il re del rock, Mick Jagger in carne e ossa, nel suo
camerino, e invece da lì a poco sarebbe successo.
Aspirai dalla sigaretta trattenendo più che potevo trattenendo ognuna di quelle particelle rarefatte il
più a lungo nei miei polmoni che immaginavo, secondo dopo secondo, diventare sempre più neri,
come i miei capelli, come la voglia che avevo di avvicinarmi allo sconosciuto viandante che brandiva
una chitarra.
« Mia madre continua a dirmi che questa volta non ci vengo a Dallas e che dovrei tagliarmi i capelli.
Ogni tanto torna a casa e decide che è il momento buono per farsi valere » feci, rispondendo alla
proposta di Elizabeth di seguire i Beatles nel tour americano che avrebbero intrapreso da lì a poco.
« Pazza! Non osare. Darei tutti i miei dischi di Bowie e le mie misure pur di avere dei capelli
meravigliosi quanto i tuoi » rispose civettuola passando le dita affusolate tra i miei capelli e
procurandomi un brivido non appena mi sfiorarono la gola. Connie ci allungò una mano a testa e
senza mai mollare la presa ci trascinò fuori dal bagno intonando Little Wing di Jimi Hendrix.

Era la prima volta che mi imbucavo in un backstage.
Nei miei 14 anni, nei miei lunghi capelli scuri ed un vestito bianco come il manto di una colomba,
mi aggiravo fluttuando come un volant mosso dal vento in mezzo a uomini irsuti, molto più vecchi
di me e delle mie compagne, i quali mi osservavano sorridenti continuando a suonare e fumare
nonostante la piacevole distrazione che apprezzavano tra loro.
Salterellavo in giro spensierata lasciandomi vezzeggiare da quegli sguardi e delicati apprezzamenti
quando un'amica mi afferrò per un braccio e mi trascinò lungo un corridoio ad un ritmo sostenuto
che divenne poi una corsa, al punto che non riuscivo più a tenere il passo. Le sue risate
riecheggiavano nei meandri dei miei sensi, le ciocche bronzee mi ricadevano sugli occhi e sentivo
l'aria fresca mordermi delicatamente la pelle da sotto la gonna finché un brusco arresto di Isabelle
non mi riportò alla realtà. Quando la porta bianca si spalancò oltre le dita di Connie, aggrappata al
mio braccio sinistro, un giovane che sembrava non essere di questo mondo comparve davanti ai
nostri occhi come una visione: aveva i capelli castani, spettinati e lunghi fino a sfiorare appena le
spalle, la pelle delle guance leggermente rovinata, portava una camicia bianca con un paio di
bottoni slacciati e dei pantaloni attillati color del caffè più amaro, scarpe lucide, nere, a punta e
una sigaretta tra le labbra tirate in un riso beffardo e distratto.
Da dentro la stanza provenivano una nube bianca di fumo e della musica oltre al moro, il quale
imbracciava una chitarra, che ci sorrise senza smettere di arpeggiare; di rimando Connie rise
frivolamente mentre io non riuscii a fare altro che abbozzare un sorriso imbambolata al punto che
lui, stregato quasi quanto me da quello che aveva davanti agli occhi ma molto più rilassato, senza
distogliere lo sguardo dal mio viso, diede una voce a qualcuno dentro il camerino.
« Vieni a vedere Keith, ho appena trovato l'ispirazione che stavamo cercando. »

Tutto lì, non successe niente di più quella sera. Solo un incontro mordi e fuggi con uno degli dei
del rock, una delle più grandi promesse che quella musica ci avesse mai fatto.

Fu solo qualche anno dopo – intorno al 1969 se la memoria non mi inganna – che conobbi il vero
artista che mi cambiò l'esistenza. Non solo aveva un dono divino che si librava dalle sue dita sotto
forma di musica celestiale, Jimmy Page era anche un gentiluomo estremamente romantico e
sempre, tremendamente ispirato, mi piace pensare, da me.
Molte volte, quando non era in tournée, ci rinchiudevamo nella sua casa di campagna e passavamo
le ore io sdraiata sul pavimento e lui seduto sul letto ad ascoltare i pezzi che aveva registrato con
gli Zeppelin. Io dovevo commentare ogni singola nota con minuzia e la passione che mi
contraddistingueva dalle altre, diceva, mentre lui prendeva pagine e pagine di appunti e se per caso
saltavo qualcosa, fatto che tra l'altro non capitava quasi mai tranne quando ero molto stanca, lui me
lo faceva notare e pretendeva che mi esprimessi. “Il più liberamente possibile” diceva; “Non posso
scrivere cose nuove altrimenti”
. E poi rideva con il mio mento tra le dita.

Ma questo fu molto più avanti.

Il periodo che passammo solo a punzecchiarci e lanciarci sguardi provocatori fu pressoché infinito:
Jimmy proseguiva nel perorare la sua ricerca di amore e ispirazione mentre io continuavo a rifiutarlo
seguendo consigli di amiche che la sapevano lunga riguardo agli Zeppelin, ma sempre tentata e
incuriosita da quel volto angelico che mi chiamava con voce sibillina.
Era capodanno del '68 quando vidi per la prima volta un poster di quella nuova rockband bazzicando
a casa della mia amica Cynthia. Seduta sul suo letto a baldacchino lessi la scritta a caratteri
cubitali del nome del gruppo e dissi semplicemente: « Wow…questa band sarà sicuramente divina.»
Ero sul punto di svenire su quei riccioli scuri e quelle labbra di rosa quando mi mise in guardia per la
prima volta.
« Non ti avvicinare a lui o qualsiasi altro membro dei Led Zeppelin » dichiarò con enfasi. « Sono
pericolosi. Specialmente Jimmy Page. »

La goccia che fece traboccare il vaso – stracolmo già da tempo di curiosità verso quella figura così
misteriosa e attraente – cadde quando gli Zeppelin si presentarono al Whisky a Go Go un paio di
giorni più tardi.
Ero in piedi, centralmente spiaccicata contro il palco ad assistere all'esibizione di una delle prime
band heavy metal mai esistite.
Quell'uomo così giovane non solo aveva migliorato il sound degli Yardbirds in maniera irreversibile,
aveva completamente dato una scossa ai bassi – ai tempi non era ancora stato promosso a
chitarrista – sparando fuori da quegli amplificatori tutte le allucinazioni che gli annebbiavano la
mente. Lo guardai sciogliersi ai bordi del palco mentre mi rivoltavo contro il feltro di quel podio.
Ero ancora determinata a restare lontana dal lato pericoloso della situazione.
Un paio di mesi dopo tornarono in città, nello stesso momento ricevetti una cartolina da un amico
che avevo in Inghilterra. “Jimmy Page vuole Miss Pamela” leggeva. Alquanto stuzzicante per la
mia fame di distruzione!
Un giorno, non so come, mise le mani sul mio numero di telefono e mi invitò ad una festa riservata
al seguito della band a Santa Barbara; accettai.
Era la sua opportunità, il momento decisivo per conquistarmi, la sua occasione d'oro
Jimmy Page fa sempre breccia, prima o dopo. Sempre.

« Oh Jimmy, ti prego, suona per me » lo imploravo. Lui rideva e scuoteva la testa facendo vibrare
quella sua cascata di riccioli neri come la pece in cui le mie dita giovani amavano così tanto
perdersi.
« Niente da fare Miss Pamela, il nostro caro Jimmy adora farci aspettare e irritare fino a desiderare
la sua musica con un bisogno impellente, prima di darci il sollievo » commentò Robert ridendo.
Robert Plant, l'amico, il confidente, colui che mi illuminava sulle ombre di quell'uomo così
misterioso che era il suo chitarrista quando io mi sentivo troppo dispersa nell'universo dei pensieri
che Jimmy mi lasciava intravedere ma non mi spiegava mai completamente.
« Dovresti dire al signor Page che di questo passo i suoi fan si stancheranno rimanendo sempre
per troppo tempo delusi e a bocca asciutta » feci al biondo fingendomi indispettita dal
comportamento di Page.
« Oh tesoro, lo farei volentieri ma vedi, il signor Jimmy Page adora essere implorato e devo
ammettere di essermi piegato ai suoi giochi sadici fin troppe volte sino ad oggi » rispose
prendendomi sotto braccio e carezzandomi la mano mentre il suo amico camminava distante da
noi cospiratori intento a fumare ed osservare la scena da un'angolatura diversa per ogni istante in
base a quale secondo lui fosse la prospettiva migliore per cogliere il nostro profilo più insolito.
« Dio, Pamela… lo sai che per te suonerei a tutte le ore del giorno e della notte se non fossi così
soggiogato dalla tua bellezza. A volte mi sembra che il fiore dei tuoi anni possa strappare uno
sguardo di invidia persino a un'anima buona come quella di Robert... oltre a chiunque ti stia intorno,
naturalmente. »
Jimmy mi lusingava sempre sia con le parole che con il suo sguardo che in ogni momento
sembrava carezzarmi gentilmente la chioma e il viso anche se eravamo separati da una stanza
piena di persone.
Jimmy e i suoi modi cavallereschi, Jimmy, incurabile romantico, che aveva occhi solo per me e
per me era pronto a rinnegare la sua natura, ovunque lo portasse.
Ciononostante Robert si divertiva a punzecchiarlo spesso e volentieri, specialmente quando aveva
una complice, anche se nel mio caso, probabilmente, non ne avrà tratto gran soddisfazione, al
massimo la piacevole compagnia di un'amica che non sa resistere allo sguardo implorante del suo
amore come una rondine al richiamo della primavera.
« Pagey! Lo sai che non potrei mai provare alcun sentimento che non sia positivo e di amicizia nei
confronti di questa adorabile fanciulla, non essere così crudele con lei. Impara bene la lezione dal
signor Page, Miss Pamela, a volte l'uomo sa essere irreparabilmente e ingiustificatamente cattivo.
Come Jimmy lo è con me » disse lanciando al compagno uno sguardo d'intesa accoppiato ad un
sorrisetto malizioso.
« Qualcosa mi dice che questa sera avrei fatto meglio ad andarmene con Bonzo… » disse
aspirando dalla sigaretta con un enigmatico riso sardonico stampato sulle labbra e lo sguardo
perso nel vuoto.
A quel punto corsi da lui e, gettandogli i palmi al petto, rannicchiandomi contro di lui per paura
che potesse veramente andarsene, presi a implorarlo di restare e di farmi ascoltare la sua
musica ancora una volta.
« Naturalmente. Per quel poco che ho da dare all'anima più meritevole di amore in questo
mondo, la mia musica mi sembra un buon inizio. »
Scivolai tra le braccia di Jimmy che si tesero allontanandomi dal suo corpo quando,
prendendomi per i fianchi, mi issò sopra un piano rialzato sistemato non troppo lontano dalla
batteria e velocemente raggiunse il suo cantante. Robert era già pronto al centro della scena:
gli occhi chiusi, il viso rivolto al cielo, le braccia abbandonate come ali aperte che sfioravano
terra, i riccioli attraversati da una brezza leggera che quella sera sembrava voler giocarsi il
cielo con l'anima di quei palloncini di piombo destinati a sfracellarsi al suolo a fine serata come
Icaro una volta sciolte le ali di cera per essersi avvicinato troppo al sole. Così erano loro: Robert
era la stella che illuminava il giorno, Jimmy la luna che alle spalle del sole rifletteva la sua luce
attraverso i suoi crateri, John Paul era l'anima vibrante, il respiro di quel dirigibile e John era colpi
contro un muro fatto di illusioni dotate di vita propria, il quale si deformava sotto i pugni inferti per
poi tornare al suo stato originario.
Li ascoltai suonare quelle loro melodie celestiali per ore seguendo con lo sguardo ogni passo
dell'uomo che si voltava continuamente a dedicarmi ogni sua nota. Avevo la forte sensazione che
da un momento all'altro avrebbe potuto abbandonare tutto lì solo per correre da me e stringermi
e trascinarmi a fare l'amore con le spalle al muro, con affanno, in modo che mi spaventava ogni
volta che si gettava a capofitto sulle mie labbra e sul mio corpo ma che allo stesso tempo amavo
poiché era tipico suo.

« Sei dannatamente invitante questa sera… lo sai, Miss Pamela? » mi sussurrò in modo
suadente, afferrandomi tenacemente per i fianchi e riportandomi con i piedi per terra. Nonostante
il brusio dato dai roadie e tutte le persone presenti attorno al bancone del Whisky quella sera,
fu come se la sua voce fosse l'unico suono che il mio udito potesse sentire e la mia mente
intendere.
« I'm gonna give you every inch of my love… gonna give you my love » canticchiò al mio
orecchio sensualmente senza mai staccare i suoi occhi dai miei. Poi, da un momento all'altro,
mi ritrovai con metà viso immerso nei suoi capelli e il suo odore pungente che invadeva le mie
narici non appena prese a baciarmi il collo scendendo man mano sempre più in basso, fino ad
arrivare a mordicchiare il pizzo sul mio décolleté.
Non sapeva per niente trattenersi, Jimmy… Fortunatamente.
« Ti voglio… adesso » ansimò piano.  « Andiamocene da qui. »

Per poco non crollai nelle sue braccia ma sapevo – speravo – che almeno uno di noi avrebbe
saputo trattenersi almeno per il tragitto… erroneamente confidavo nel suo autocontrollo. Era
pur sempre Jimmy. “I Led Zeppelin sono pericolosi” ricordavo. “Specialmente Jimmy Page”.
E in quel momento caddi rovinosamente alla sua mercé, il cuore a brandelli, il corpo che
reclamava amore coperto di lividi. Alcune volte era dolce, incredibilmente passionale, poi in
pochi istanti diventava estremamente perverso, si lasciava travolgere dal suo istinto, la sua
smania di lussuria, il suo sadismo. Lo capivo dal suo sguardo mordace che non voleva solo
fare breccia nel mio labile cuore ma desiderava infierire.
Era incredibile il contrasto tra i suoi tratti innocenti e il suo lato oscuro. Era qualcosa solo da
Jimmy Page, qualcosa di cui non mi dimenticherò mai.
Crudele, adulatore, angelico: i tre volti di Jimmy che si fondevano nell'unico uomo che amavo.
Jimmy che mi bacia senza ritegno e mi spoglia lentamente invocando non so nemmeno quale
Dio e pregandolo di trattenerlo con la forza ogni volta che nuovi lembi di pelle si mostrava alla
luce della luna.
Jimmy che si siede sul mio bacino, mi mette le mani attorno alla gola come un dolce cappio
e mi sussurra: « Non aver paura di me, non ti farò del male » facendomi fremere.

Una sera, dopo uno show, eravamo insieme nella sua camera d'albergo e senza volere gettai
un'occhiata alla sua valigia in cui stavano ripiegate delle fruste che parevano stare schiacciando
un pisolino nella loro abituale dimora. Distolsi lo sguardo immediatamente pregando
silenziosamente che non se ne fosse accorto.
« Hai paura? » mi chiese avvicinandosi lentamente. Lo fissavo dritto negli occhi scuri senza dire
una parola. « Non averne Miss Pamela. Io non sarò mai più così, non le userò mai con te. »
Poi mi baciò dolcemente ricoprendo ogni centimetro di pelle che non fosse coperto dallo chiffon
del mio vestito mentre io gli sbottonai la camicia di satin. Lentamente divenne come una danza:
furiosa, passionale, notturna.
Quando ebbe finito di farmi l'amore in quel modo furioso e accecante finalmente lasciò il mio
corpo privo di energie e si fiondò verso le fruste, che arrotolò attorno al suo braccio e buttò in un
sacchetto.
« Scusa, scusa, scusa. Scusami. » disse dolcemente. Non l'avevo mai visto così serio. «Ho
chiuso con tutto questo. Tu sei destinata a qualcosa di migliore » mi soffiò sulle labbra,
improvvisamente così vicino.
« Miss Pamela, spero che tu sappia che non ti libererai mai di me. Per favore, lasciami
restare accanto a te fino a quando non mi vorrai più… Non sono così, che cosa mi sta
succedendo? L’unica cosa che riesco a fare è guardare il tuo viso. Resteremo insieme per lungo,
lunghissimo tempo se tu lo vorrai. E’ come se ti conoscessi da migliaia di anni. Non provi la
stessa cosa? » mi chiese. Stava parlando a se stesso o me? Stava impazzendo.
« Se me lo concedi starò al tuo fianco il più a lungo possibile. Lo vuoi, Miss Pamela? Vuoi
incrociare la tua strada, condividere una maledizione con un folle innamorato? » Sorrise e fu uno
di quei sorrisi amari che lasciavano intendere che apparteneva allo schieramento di quegli esseri
umani che non avevano più possibilità di salvarsi. Provammo a dormire ma ogni dieci minuti
finivamo per svegliarci e baciarci e stringerci dalla paura che quel sogno sarebbe svanito da un
momento all'altro.
 
Qualche giorno più tardi, in limousine, mi passò un piccolo oggetto metallico e brillante tra le
mani con fare innocente. Lo osservai: era un anello d’argento con venti piccoli turchesi
incastonati sopra. Stavo per fare coppia fissa con uno dei chitarristi più famosi al mondo? Me lo
domandai seriamente più volte mentre lui continuava a tormentare il mio collo incurante della
bufera di pensieri che aveva fatto nascere nella mia mente.
Alla fine decisi semplicemente di esserne felice così passammo il resto del viaggio fino al Thee
Experience
come ogni coppia di innamorati, ridacchiando e tubando come colombe in calore.
« Le nostre strade erano destinate ad incontrarsi » mi ripeteva ossessivamente ma in tono dolce.
« Siamo come sentieri sulla sabbia » diceva.
 
Un'ondata da parte del mare qualche mese dopo e ci saremmo separati per sempre.
Non voleva ferirmi, non voleva contagiarmi. Dovevo rimanere quella che ero, pura, se non era
troppo tardi – mi pregò. Si sentiva incredibilmente in colpa e io non sapevo nemmeno per cosa.
Mi diede dei soldi. Un sacco di soldi.
“Vattene” sembrava urlarmi il suo sguardo.
“Stai lontana, scappa da tutto questo” sembrava ripetere con voce rotta.
Ricordo quel giorno in tutti i suoi particolari: era primavera, giugno probabilmente, iniziava la
bella stazione dalle lunghe giornate, l'arrivo delle rondini, gli alberi in fiore... ma quel giorno,
l'unica cosa che vidi negli occhi di Jimmy, fu la tormenta.
Era completamente infiammato, logorato e allo stesso tempo sembrava un mero simulacro
occupato da una qualche entità che non gli si addiceva.
Non era aggressivo, a pezzi forse, consumato, stanco, ossidato; pareva nascondermi il suo
amore e ruggire senza troppa convinzione per allontanarmi il più possibile dallo scempio che
aveva fatto del suo corpo e della sua anima.

« P., sei una ragazza assolutamente adorabile. Non ti merito, sono solo un bastardo e tu lo sai. »

Ma probabilmente, la cosa che mi rimase più impressa fu il suo sguardo; se lo aveste incrociato
con i vostri occhi non avreste pensato di essere a faccia a faccia con Mefistofele, avrebbe avuto
il solito candido viso di sempre nonostante la sua crudeltà. Sembrava aver fatto un patto con il
diavolo. E il diavolo non lascia i suoi servitori avere amore.
Sembrava così cambiato, un estraneo, eppure era sempre lo stesso.
Lo stesso viso, le stesse mani, le stesse labbra.
Sembrava lontano anni luce con la mente...

Eppure era sempre e solo Jimmy, Jimmy Page.








*





 
  Che dire... primo di qualche capitolo (non ho idea di quanti) di questa raccolta dedicata al rock
  (tanto per cambiare)
. Inizialmente volevo pubblicare questa come oneshot ma c'è così tanto da
  raccontare sul conto delle groupies che sarebbe stato un crimine scrivere solo una fanfiction mordi
  e fuggi su quella che mi ha stregato di piu' con tutta l'ispirazione che ho legata all'argomento!
  Che ne pensate? Ero veramente indecisa se pubblicarla o no soprattutto per il personaggio di
  Jimmy: per me è sempre stato il rocker con un velo di mistero, d'altronde penso di non essermela
  cavata così male per essere alla prima ff in cui faccio comparire gli Zep.
  L'ho tratta da fatti e affermazioni vere strappando alla biografia di Miss Pamela qualche pensiero e
  passando dall'amore all'odio nei confronti di Pagey ogni volta che mi mettevo a scrivere. Spero ne
  sia valsa la pena!


  ― Juliet




   
 
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