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Autore: Hermione Weasley    28/11/2014    3 recensioni
Lei è in fuga da se stessa. A lui sono stati offerti due milioni di dollari per ucciderla. Ma le mire di qualcun altro, deciso a riunire sei persone che non hanno più niente da perdere, manderanno all'aria i loro piani.
-
“Chi cazzo è questo idiota?” Blaterò qualcuno.
“Un forestiere!” Decise un altro.
“Che razza di accento era quello?” Indagò un terzo.
Si sentì spingere bruscamente verso l'arena, senza poter far granché a riguardo. Quando le fu ad un misero metro di distanza, tra le grida che si alzavano dal gruppo, fu la voce bassa e pacata della donna a sovrastare tutte le altre.
“E' l'uomo che mi ucciderà.”

[Clint x Natasha + Avengers] [Dark!AU] [Completa]
Genere: Azione, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Capitolo 14 -

 

 

 

11 ore dopo

Anchorage, Alaska

 

“Scegli la cosa più costosa che trovi,” le suggerì Clint. “Tanto paga Stark.”

Natasha rialzò lo sguardo dalla striminzita selezione di indumenti femminili in esposizione nel reparto abbigliamento del primo negozio che erano riusciti ad intercettare sulla loro strada.

Erano atterrati in un piccolo aeroporto privato di Anchorage che le luci del pomeriggio erano ancora alte; l'aria fredda e pungente li aveva accolti senza troppe cerimonie, a differenza dei lacché di Stark la cui influenza sembrava non conoscere confini geografici di alcun tipo.

Sembrava che nessuno avesse rivolto più di un pensiero al brusco cambiamento di clima che li attendeva: solo Natasha non si era sorpresa, ma la convinzione di poter sostenere temperature ben più rigide di quelle l'aveva spinta a mettere in secondo piano quella particolare considerazione. Fu ben presto costretta a realizzare di non esserci più granché abituata: nonostante casa (se così poteva definire la sua terra natia) si trovasse a poche miglia a ovest dal punto in cui si trovavano, oltre lo stretto di Bering, c'era ben poco, in Anchorage, che le ricordasse la sua infanzia.

La città si stendeva pigramente tra le gelide acque del golfo di Cook e la catena montuosa innevata che si innalzava alle sue spalle, schiacciando l'esiguo agglomerato urbano nel suo solido abbraccio. Non ci avevano messo molto a raggiungere il centro cittadino sulle vetture che Stark aveva predisposto mentre ancora si trovavano in volo, ma procurarsi un abbigliamento adeguato era stata la prima preoccupazione di tutti.

Tirò fuori una giacca a vento nera, assicurandosi che l'interno fosse sufficientemente pesante da tenerla al caldo anche quando le temperature fossero calate per la notte imminente.

Fece scorrere lo sguardo da un capo all'altro del negozio: il maggior numero di clienti si concentrava nell'area dedicata a caccia e pesca mentre i pochi altri avventori erano disseminati nelle varie corsie. Bruce e Tony sembravano impegnati in una fitta conversazione riguardo – se gli stralci che aveva colto sul jet ne erano un qualche indizio – complicate questioni scientifiche di cui non era riuscita a decifrare granché. Poco più oltre Steve e Thor stavano passando in rassegna alcuni giubbotti pesanti con aria non molto convinta.

“Credo che Thor abbia rischiato di sfondarne uno, prima,” Clint, che doveva aver seguito la direzione del suo sguardo, tornò a parlare, rivolgendole un microscopico sorriso. L'idea che uomini tanto grossi e in forma facessero fatica a trovare indumenti che calzassero loro alla perfezione la divertì per qualche assurdo motivo.

“Tu che hai preso?” Si decise a chiedergli: nonostante la poca voglia che aveva di parlare, non le andava di far cadere nel vuoto tutti i suoi tentativi d'approccio (se, poi, di quelli effettivamente si trattasse, era tutto da vedere).

Clint le mostrò la giacca a vento viola scuro che aveva scelto, insieme ad un paio di guanti neri e un cappellino di lana dello stesso colore.

Uscirono bardati di tutto punto dopo aver lasciato che Stark pagasse per tutti. Strade larghe e regolari suddividevano la città, organizzando facilmente lo scarso traffico che l'attraversava. Tony si fermò in prossimità delle due auto scure che li avevano portati fin lì, fronteggiandoli tutti quanti con un'espressione che non prometteva niente di buono.

“Ho una notizia buona e una cattiva,” decretò solennemente.

“Sarebbe a dire?” Steve, che aveva già indurito lo sguardo, gli rivolse un'occhiata corrucciata.

“Nessuno ha sentito la parte su quella buona?” Protestò il miliardario, simulando un'indignazione eccessiva. “Ho convinto il responsabile alla supervisione della centrale a lasciarcela visitare.”

“La cattiva?” Intervenne Thor con una certa impazienza.

“La cattiva è che non si trova esattamente ad Anchorage,” aggiunse Tony in tono impercettibilmente più basso. “Ci sono un paio d'ore di macchina per arrivarci.”

“Fantastico. Tra un paio d'ore sarà notte,” borbottò Clint.

“E' già tanto che mi sia ricordato di questo buco di città!” Si giustificò Stark a gran voce. “La centrale è a Cordova, un villaggio qua vicino,” alzò una mano, come a bloccare qualsiasi protesta o insulto. “Ringraziate la vostra buona stella che non mi sia ricordato di Cordova o avrei rischiato di spedirci tutti in Spagna.”

“Se non altro non fa tutto questo freddo, in Spagna,” mormorò Bruce, tirando su la cerniera del piumino verde brillante che aveva scelto.

“E hanno pure la sangria,” aggiunse Clint, come per stabilire quale delle due opzioni avrebbe di gran lunga preferito.

“Adesso che facciamo?” Domandò Thor, le grosse braccia intrecciate al petto in un'espressione minacciosa.

“Ci conviene guidare fino a Cordova,” suggerì Natasha, “dormire da qualche parte e aspettare che faccia mattina.”

Diffusi cenni d'assenso stabilirono la meta della seconda tappa del viaggio.

 

*

 

2 ore e mezzo dopo

Cordova, Alaska

 

Cordova si era rivelata essere un mucchietto di casa colorate affacciato sul golfo d'Alaska; nel porticciolo antistante avevano trovato rifugio un gran numero di imbarcazioni dalle dimensioni piuttosto ridotte, ad occhio e croce – Clint constatò – quasi tutte pescherecci. Lo scendere della sera aveva portato con sé un velo di grigiore che aveva ricoperto ogni cosa, assottigliando la profondità, uniformando le ombre che cominciavano ad allungarsi tutt'intorno.

Stark aveva loro prenotato due quadruple al Reluctant Fisherman Inn, una costruzione di legno bianco venato di nero che si affacciava direttamente sulle barche attraccate nel porto.

Seduto sulla sommità del tetto spiovente della locanda, Clint osservava mentre l'oceano si trasformava in una pozza scura puntinata dalle luci dei pescherecci sempre meno distinguibili; sopra di lui, quasi specularmente, il cielo nero e le stelle luminose.

Non ricordava quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che si era concesso un lusso del genere: pochi minuti di silenzio quasi assoluto, svariati metri di distanza a separarlo dal resto del mondo, la sensazione di poter allungare un dito e sfiorare le nuvole; non una singola preoccupazione nell'universo.

Le risate provenienti dal piano inferiore, in prossimità del ristorante, riuscivano ancora a raggiungerlo nonostante la postazione e l'ululato del vento che pareva intensificarsi con ogni minuto che passava. Forse fu per quello che non riuscì a registrare il rumore di passi in avvicinamento solo finché Natasha non lo sovrastò con tutta la sua altezza, bloccandogli improvvisamente la visuale. Doveva aver accompagnato la sua comparsa con qualche parola che, tuttavia, Clint non riuscì a cogliere. Si trattenne a stento dal chiederle di ripetere, mentre la donna lo aggirava per sedersi sull'altro lato, quello dell'orecchio buono.

“Ho detto che ero uscita a cercarti,” disse.

I capelli scarlatti spettinati dal vento, le guance arrossate dal freddo e le labbra più piene del solito risaltavano contro la sua pelle pallida a dispetto del buio circostante. La osservò per qualche istante, sentendo qualcosa di oscuro e viscerale muoverglisi in petto (e molto più in basso, là dove prendevano sempre forma i suoi più sordidi istinti), prima di scacciare prepotentemente la sensazione; rialzò la schiena e si rimise seduto.

“Ancora non mi hai detto come hai fatto a capire che sono mezzo sordo,” si ritrovò a chiederle implicitamente. Non gli era sfuggito il modo in cui la donna si era assicurata di essere dalla parte giusta prima di rivolgerglisi per una seconda volta.

“Favorisci sempre questo lato,” si limitò a rispondere lei. “Ti giri sempre di qua quando parli con qualcuno.”

“Sembra che tu non abbia mai fatto altro che studiare la gente,” la prese debolmente in giro, guardandola stringersi nella sua giacca a vento nuova di pacca.

“E' un modo per passare il tempo,” si giustificò con una leggera scrollata di spalle.

Analizzare il comportamento delle persone non era esattamente quello che avrebbe definito un hobby sano, ma Clint suppose che proprio a quell'abitudine Natasha doveva la sua straordinaria dimestichezza con i suoi interlocutori... quelli che doveva ingannare, almeno. Sembrava che la donna avesse a propria disposizione un repertorio più o meno ampio di personaggi tra cui scegliere a seconda delle circostanze e delle necessità; ciascuno minuziosamente ricostruito raccogliendo dettagli ed indizi tra gli individui con cui entrava in contatto ogni giorno. Un gran lavoro di patchwork che doveva aver dato i suoi frutti ben più d'una volta. Tra tutte quelle identità, però, Clint aveva come l'impressione che Natasha avesse smarrito se stessa e che ancora non fosse riuscita a ritrovarsi, ritrovandosi impossibilitata a ricordare quante maschere si fosse messa, quante tolta, ad essere sicura di non averne ancora una o più addosso.

“Com'è successo?”

La domanda della donna sembrò disperdersi nell'aria insieme al vento che se la portò via. Valutò se rispondere o meno, senza poter fare a meno di irrigidirsi un poco. Spinse le mani nelle tasche della giacca, realizzando con un attimo di ritardo di averle strette a pugno.

“Mio padre,” decretò dopo un lungo attimo di silenzio. Ma Natasha doveva aver intuito, dalla sua reazione a malapena accennata, che non era perché non aveva sentito che non stava rispondendo. “Aveva il brutto vizio di scaricare la rabbia su di me.” E su Barney, aggiunse tra sé, non troppo sicuro di voler dare consistenza reale al ricordo del fratello per paura che tornasse in qualche modo a tormentarlo.

Il volto di Natasha era impassibile, non un traccia di solidarietà, né di goffa pietà: sembrava semplicemente aver preso atto delle sue parole, magari rimuginandoci sopra tra sé e sé, per la qual cosa le fu estremamente grato.

“Che mi sono perso di sotto?” Si affrettò a domandare, dirottando la conversazione – se la si poteva definire tale – in territori di gran lunga meno insidiosi.

“Stark ha rischiato di strozzarsi con una lisca,” lo informò in tono monocorde, “Rogers era convinto che lo stesse prendendo per il culo.” Clint si mise a ridere. “Ci ha messo un po' prima di decidersi a salvarlo.”

“Mi sarebbe piaciuto vederlo.”

“Te ne sei andato...” lo accusò con un vago mormorio, puntando l'attenzione sul porto piuttosto che su di lui.

“Non sono l'unico che comincia a non soffrire più la compagnia,” rilanciò, ricambiando la sua occhiata sorpresa con uno sguardo esplicito. Sarebbe stato impossibile non accorgersi di quanto fosse diventata taciturna in quelle ultime ore: si era abituato all'atteggiamento ostico della donna, ma quello... era qualcos'altro. Il nervosismo con cui si era sforzata di rispondere alle sue domande, quando tutto ciò che avrebbe voluto fare era nascondersi da qualche parte a godersi silenzio e solitudine, gli era apparso piuttosto evidente.

“Cos'è che ti preoccupa?” Si ritrovo a chiederle.

Natasha si strinse nelle spalle, come a sminuire le sue osservazioni: probabilmente sapeva che aveva ragione, ma non aveva alcuna intenzione di glorificare i suoi sospetti con una qualche – seppur vaga – conferma.

“Niente.”

“Per essere una perfetta bugiarda, alle volte sei veramente scarsa.”

“Non sono per niente scarsa,” l'avvertì minacciosamente, voltandosi di nuovo verso di lui.

“Lo sei. Lo so che stai mentendo... e tu sai che io so,” puntualizzò.

La vide stringere le labbra fino a ridurle ad una rossa, linea sottile; gli occhi verdi illuminati di vera e propria indisponenza nei suoi confronti. Sostenne il suo sguardo, osservando il lento passaggio da quell'espressione inviperita ad una colpevole ad una solo velatamente dispiaciuta: Natasha non era l'unica a vantare una certa perspicacia, quando si trattava di studiare i comportamenti della gente.

“Non lo so...,” fece una breve pausa, attirando le ginocchia al petto per poggiarci sopra le braccia. “Non sono più tanto sicura che continuare sia una buona idea.”

“Perché?” Non era stata forse lei a convincerli ad arrivare fino a quel punto? L'unico motivo per cui erano riusciti a raggiungere Rogers era stata proprio la sua caparbietà: le cose erano andate molto più lisce da quando era arrivato il capitano a darle inconsapevole man forte, ma adesso i piani sembravano essersi ribaltati.

“Che razza di organizzazione criminale si nasconde in Alaska?” Gli chiese, cercando di nuovo il suo sguardo. “Qual è il delinquente che si isola a tal punto dal resto del mondo?”

Clint fece per rispondere, ma si ritrovò a chiudere la bocca prima di poter proferire parola: Natasha aveva ragione. Di criminali ne aveva conosciuti anche troppi e tutti – in varia misura – erano perfettamente calati nell'ambiente nel quale si trovavano ad operare. Che si trattasse di mafia o del riccone di turno interessato a salvaguardare i propri interessi in modo non del tutto legale, non aveva importanza: ognuno respirava e agiva in un luogo ben preciso con il quale viveva praticamente in simbiosi. La piccola e isolata Cordova, in quel senso, non offriva un campo giochi particolarmente allettante.

“E poi c'è la questione della centrale di Stark,” riprese la donna. “Significa che chiunque ci stia contattando collabora con le Stark Industries.”

“Credi che siamo già arrivati al capolinea?” Non c'era qualche possibilità che la centrale non fosse altro che la collocazione dell'indizio successivo? Magari la caccia al tesoro non sarebbe finita lì, ma li avrebbe portati altrove.

“Penso che non ci avrebbero spedito fin quassù per così poco,” ragionò lei.

Tornò a scrutare il porto e le sue luci: sembrava assurdo che la calma assoluta di quel villaggio di pescatori schiacciato tra le montagne potesse celare chissà quale complicato segreto.

“Abbiamo a che fare con gente importante,” Natasha sottolineò.

“Il che spiegherebbe anche come hanno fatto a trovarci,” aggiunse, ottenendo in cambio un debole cenno d'assenso.

“Che succede se stiamo camminando dritti in una trappola?” La donna era tornata a guardarlo, posando su di lui uno sguardo incerto, preoccupato... forse persino spaventato.

“Ci siamo spinti troppo oltre per poter tornare indietro proprio adesso,” tentò di rassicurarla. “E poi dubito che saremmo in grado di convincere Stark a desistere.” Natasha parve prendere atto di quel particolare affatto irrilevante con estrema riluttanza. “Se si tratta di una trappola, ce ne tireremo fuori. Dopotutto non siamo una super squadra di delinquenti?”

La donna gli scoccò un'occhiata scettica, se per il “super” o per la “squadra”, questo non avrebbe saputo dirlo.

“Immagino che domani lo scopriremo,” sentenziò lei sovrappensiero.

Si limitò ad annuire, a distendere le mani ancora contratte nelle tasche della giacca.

“Andiamo,” Natasha si era rimessa in piedi, “lo faccio io il primo turno.”

Dopo il tacito patto che avevano stretto sul jet di Stark, Clint non ebbe bisogno di chiederle a cosa si stesse riferendo. Ignorando ostinatamente quell'informe e fastidiosa sensazione che la sua presenza gli procurava (ripromettendosi – per l'ennesima volta – di affrontarla in un secondo momento) accettò di buon grado il suo invito.

 

*

 

La centrale era un imponente edificio dalla facciata giallognola incastrato nella sottile striscia di terreno che separava l'oceano Pacifico da un ampio lago interno. Il vento, quella mattina, soffiava con insistenza persino maggiore, increspando inesorabilmente la superficie dell'acqua che li circondava quasi da ogni lato.

L'uomo in giacca e cravatta che li aveva accolti fuori dalla locanda neanche un'ora prima, stava loro illustrando il funzionamento dello stabilimento e i progressi che erano stati fatti in quegli ultimi mesi, dopo che Stark era stato estromesso dalla direzione delle Stark Industries e di fatto tenuto all'oscuro dello stato dei progetti ancora in corso. L'immagine di ingestibile rampollo di ricca famiglia mal si conciliava con l'espressione sinceramente concentrata che Tony stava dedicando allo sconosciuto. Natasha l'aveva osservato attentamente mentre annuiva o si soffermava a chiedere qualche chiarimento, coinvolgendo Bruce in certe sue riflessioni a cui lei stessa faticava a star dietro.

“Posso chiederle chi l'accompagna?” L'ometto fece un cenno alle due guardie che sostavano davanti alla grande porta d'ingresso, voltandosi poi per rivolgere a tutti loro un sorriso stucchevole. Parlava con voce bassa e pacata, quasi avesse temuto di fare troppo rumore.

“Questi sono...” Stark scoccò rapide, allucinate occhiate nella loro direzione. “Dei miei amici,” decretò infine, dopo un attimo di smarrimento. Natasha tirò un impercettibile sospiro di sollievo: doveva essersi trattenuto – praticamente per miracolo! - dall'affibbiare a tutti un qualche odioso nomignolo. “Erano convinti che stessi raccontando loro una marea di stronzate, quando ho menzionato la centrale...”

“Un viaggio estremamente lungo per vincere una scommessa,” commentò l'altro.

“Non se hai soldi da buttar via,” stabilì Tony allegramente, “e poi avevamo un po' tutti bisogno di una vacanza.”

Nonostante l'assenza di Happy, abbandonato in un albergo di Anchorage, Stark non aveva avuto grandi difficoltà a comportarsi bene: da quel che Natasha aveva capito, solitamente era proprio l'autista ad impedirgli di spingersi troppo oltre... o almeno ci provava. Fatto stava che le brutte occhiaie scure, che il miliardario aveva sfoggiato la sera del loro primo incontro, erano sparite quasi del tutto, cedendo il passo ad un'espressione ragionevolmente assonnata.

Il loro accompagnatore si limitò a prenderne atto, conducendoli finalmente oltre le porte d'ingresso e nel grande ambiente in cui si muovevano svariate persone, affaccendate intorno ad enormi macchinari di forme e dimensioni diverse. L'uomo aspettò che fossero tutti entrati e sembrò sul punto di attaccare con un qualche discorso educativo, ma il suo telefono squillò, zittendolo preventivamente. Tirò fuori l'apparecchio dalla tasca del pesante giubbotto che indossava sopra il completo elegante, scrutando per qualche istante il display prima di tornare su di loro con aria rammaricata.

“Perdonatemi, ma è una telefonata importante,” si portò il cellulare all'orecchio, “faccia come se fosse a casa sua signor Stark. Sarò con voi a breve, scusatemi ancora.” Si allontanò frettolosamente, attivando la chiamata quando fu ormai sufficientemente lontano da impedirle di cogliere anche solo qualche stralcio della conversazione appena intrapresa.

“Dividiamoci.” La voce di Rogers la costrinse a lasciare il loro accompagnatore a se stesso.

“Cosa dobbiamo cercare? Il logo delle due sirene?” Chiese Thor.

“Dev'essere qui da qualche parte,” confermò Stark. “Mi sono assicurato che venisse realizzato.”

“Bruce tu va' con Thor,” decise Steve, “Clint con Natasha, e tu, Stark, vieni con me.”

Dopo un paio di rapide, ma sentite raccomandazioni, il capitano li spedì in tre direzioni diverse col compito di perlustrare ciascuno la propria zona e di avvisare gli altri in caso avessero trovato qualcosa.

“Vaneggio o Steve continua a guardarci in modo strano?” L'arciere l'aveva affiancata, ma continuava a far scorrere lo sguardo un po' ovunque, passando in rassegna i macchinari, i dipendenti, le poche indicazioni sparse per la sala principale, persino il soffitto che li dominava dall'alto.

“Non riesce a capire se lavoriamo insieme o altro,” rispose semplicemente, aprendo una doppia porta a spinta che dava su una stanza secondaria, più piccola e luminosa, che aveva l'aria di aver ancora bisogno di qualche mese di lavoro per essere definitivamente ultimata.

“Lo trovi divertente?”

“Vederlo sforzarsi di decifrarci?” Si strinse nelle spalle, come a manifestare il proprio assenso. “E' combattuto tra il fidarsi e il non fidarsi,” aggiunse, mentre Clint si soffermava a sbirciare alcune ampie mappe abbandonate su uno dei tanti tavoli da lavoro che li circondavano. “Cosa sono?”

“Credo siano i piani della centrale,” rispose l'arciere, seguendo con l'indice una linea immaginaria. “Dovremmo essere qui.”

Rimasero ad osservarli ancora per qualche attimo prima di decidere che non sarebbero stati poi così utili e di proseguire oltre: i dieci minuti che Rogers aveva loro concesso rischiavano di scadere da un momento all'altro. Attraversarono la stanza, ignorando le occhiate disinteressate dei dipendenti che si muovevano instancabilmente da un capo all'altro, tutti troppo impegnati in una qualche specifica mansione per dirottare la loro attenzione altrove; raggiunsero un corridoio laterale, su cui si affacciavano diverse porte.

“Gli uffici?” Azzardò Clint, sporgendosi all'interno di una delle stanze imbiancate di fresco e ancora irrimediabilmente vuote, non fosse stato per qualche occasionale utensile abbandonato da un operaio sbadato: uno scaleo, un secchio, un pennello ormai asciutto...

Svoltarono in un secondo corridoio, più stretto e buio del precedente per la totale mancanza di finestre che dessero sull'esterno. Avanzarono finché una porta non sbarrò loro la strada: il simbolo delle scale suggeriva che doveva condurre al piano superiore, ma nonostante tutti i tentativi di aprirla, aveva l'aria di essere ancora sigillata; in più, non c'era nessuna serratura che potesse supplicarla di essere forzata.

“Fantastico,” borbottò l'arciere, “ci tocca tornare indietro.”

Natasha tentò un'ultima volta prima di seguire Clint, già tornato sui suoi passi. Gli andò a sbattere addosso quando quello si fermò di colpo, tagliandole bruscamente la strada per fronteggiare una porta dall'aria anonima.

“Cazzo,” protestò, ma l'uomo sembrava a tal punto preso dalla sua scoperta da non prestarle minimamente attenzione.

“Guarda.”

L'etichetta ancora incellophanata recitava Ripostiglio e, sotto di quella, campeggiava il logo delle due sirene che Stark si era tanto impegnato di disegnare, anch'esso semi-nascosto dalla pellicola che lo rivestiva.

“Credi che si stiano nascondendo in uno sgabuzzino?” Natasha non poté fare a meno di mostrarsi perplessa.

Clint tentò di aprirla, ma, per quanto agitasse la maniglia, non sembrava avere alcuna intenzione di cedere. Lo costrinse a farsi da parte in modo da lasciarle abbastanza spazio per studiarne la serratura, che – a differenza dell'ingresso alle scale – faceva bella mostra di sé in prossimità dello stipite destro. Si sfilò lo zaino dalle spalle, ripescandone una graffetta completamente aperta e un paio di pinzette.

“Grazie, quello so farlo anch'io,” protestò l'arciere, osservandola dall'alto in basso con aria contrita.

“In meno di cinque secondi?” Le sue parole vennero accompagnate dallo schiocco della serratura che si apriva e da un mezzo sorriso.

“Come fai a metterci così poco?” Clint non si preoccupò di mascherare la propria sorpresa.

“Tanta pratica.” Troppa. Aveva imparato la fine arte dello scassinamento prima ancora di saper leggere e scrivere: aveva ben presto perso il conto di tutti i cassetti, porte, cassaforti che aveva frozato già prima di aver compiuto i suoi primi dieci anni.

Lo sgabuzzino non sembrava contenere niente di particolare: un paio di scaffalature metalliche ancora completamente sgombre e un secchio abbandonato in un angolo. Natasha dissimulò in qualche modo la propria delusione, decidendo, però, di perlustrare lo stanzino prima di dichiararsi definitivamente sconfitta. Clint sembrava aver optato istintivamente per il medesimo proposito: approfittando dell'appoggio dei due scaffali si arrampicò fino al soffitto, dandogli leggeri colpetti col pugno chiuso.

“Qua sopra non c'è niente,” confermò con riluttanza.

Natasha imitò i suoi gesti, colpendo il pavimento rivestito dalla moquette coi piedi finché un rumore di vuoto improvviso non riempì l'angusto spazio che stavano condividendo.

“L'hai sentito?” Gli domandò con urgenza, sollevando il capo verso di lui.

“Cazzo se l'ho sentito!”

Si affrettò a scendere dagli scaffali e a raggiungerla in basso; si chinò per ripetere le operazioni, tendendo l'orecchio buono affinché il suono tornasse a farsi sentire forte e chiaro.

“C'è qualcosa qua sotto,” ribadì a mezza voce, aprendo la sacca che portava ancora a tracolla per tirarne fuori un coltello multiuso. Ne aprì la lama, piantandola nel punto del pavimento che aveva appena colpito. Gli ci volle un po' per sbarazzarsi della porzione di moquette che ricopriva quella che sembrava a tutti gli effetti una botola: sollevare il coperchio dell'impiantito di legno fu un gioco da ragazzi, ma Natasha non si stupì più di tanto nel vedere l'entusiasmo spegnersi dal volto dell'uomo quando si ritrovarono davanti ad un portellone blindato.

“Wow, questi sì che ci tengono alle loro scope,” commentò Clint sarcastico.

“C'è un pannello là sotto,” l'avvertì lei, alzando uno sportellino di plastica per rivelare una tastiera numerica corredata – molto banalmente – da un tasto rosso e uno verde. “Qualche brillante idea?”

“Nessuna,” mormorò l'altro, dando una rapida controllata all'orologio. “Dobbiamo avvertire gli altri.” Ricoprì il buco nel pavimento con poche, abili mosse.

Era vero che non avevano a disposizione proprio nessun codice (inserire le cifre progressive segnate sul retro dei frammenti del logo suonava fin troppo semplice), ma c'era ancora la questione delle chiavi da risolvere.

“Clint,” la voce le uscì più imperiosa del previsto.

“Mh?” L'uomo, fermo sulla soglia dello sgabuzzino, si voltò verso di lei con aria interrogativa.

“Quante banche ci sono a Cordova?”

 

*

 

Due. Due erano le banche di cui il villaggio disponeva.

Dopo aver frettolosamente esposto i frutti della loro ricerca e dell'intuizione di Natasha, senza neanche attendere che il loro accompagnatore avesse concluso la chiamata, Stark aveva deciso di congedarsi, lasciando detto di aspettarli di lì ad un paio d'ore.

Avevano guidato fino alla cittadina, individuando senza particolari difficoltà le uniche due filiali di cui gli abitanti di Cordova potevano servirsi. Se la prima non era altro che un bancone in un angolo del negozio di alimentari più grande del villaggio, la seconda aveva per sé un'intera casupola che, con il suo azzurro pallido, si stagliava loro di fronte con la promessa di un'imminente soluzione a quel rocambolesco andirivieni.

“Ehi, Xena,” Stark si voltò verso Natasha proprio mentre Steve stava loro consegnando le rispettive chiavi. “Spero che tu abbia ragione.”

Non ricevette in cambio che un'occhiata storta, un attimo prima che l'intero gruppo si muovesse all'interno dell'edificio. Il campanello dell'ingresso riempì il quasi totale silenzio dell'unica stanza visibile al pubblico; a parte l'impiegato e la signora intenta a contare i soldi che doveva aver appena ritirato, non c'era nessuno.

Una donna li raggiunse dal retro, sbucando dall'altra parte del bancone: capelli scuri raccolti in una stretta crocchia, occhi azzurri, l'impiegata rivolse loro un sorriso appena accennato.

“Buongiorno, posso esservi utile?”

“Buongiorno,” le fece eco Steve. “Siamo qui per ritirare il contenuto delle nostre cassette di sicurezza.”

“Nessun problema. Avrò bisogno di chiavi e documenti.”

Se il cassiere al suo fianco non sembrava particolarmente convinto da quell'intera faccenda – molto probabilmente chiedendosi chi diavolo fosse tutta quella gente – la donna che li stava servendo non manifestò il benché minimo segno di disagio. Mentre cercava il passaporto che aveva disperso chissà dove nella sacca dell'arco, Clint la studiò attentamente, senza poter fare a meno di constatare quanto poco si amalgamasse con l'atmosfera circostante.

“Vi accompagnerò uno per volta,” annunciò l'impiegata, facendo cenno a Rogers di raggiungerla in una stanza adiacente.

“C'è qualcosa che non va,” Natasha gli si era accostata, parlando a bassa voce, ma fingendo sufficiente indifferenza da convincere l'altro cassiere, che ancora li fissava, che stavano avendo una conversazione qualunque.

“Lei non è di qui,” concordò, intuendo le sue preoccupazioni.

Si scambiarono un'ultima occhiata prima che Steve fosse di ritorno; Thor gli dette prontamente il cambio mentre Stark si fece rapidamente avanti per sapere che cosa le cassette di sicurezza avessero in serbo per loro.

“Post-it,” la voce del capitano suonava più perplessa e contrita del solito.

“Post-it?” Domandò Tony esasperato.

“Che c'è scritto sopra?” Intervenne Clint, determinato a non perdersi in inutili chiacchiere.

“Un numero,” mostrò loro il foglietto sul quale era stato tracciato a pennarello un grosso otto.

“Sei numeri per sei chiavi,” mormorò Natasha.

Sei numeri fanno un codice, si ritrovò a pensare, mentre la consapevolezza di aver appena ottenuto il lasciapassare per la porta blindata si palesava, più o meno puntualmente, a ciascuno di loro.

 

*

 

Dopo svariate contrattazioni avevano deciso, per via della sua esile corporatura, di mandarla avanti. Clint le incombeva addosso, mentre gli altri si erano dovuti accontentare di aspettare nel corridoio a controllare che nessuno sopraggiungesse a far loro la festa: l'angusto spazio offerto dallo sgabuzzino non concedeva soluzioni alternative.

Finì di spostare la moquette già tagliata, di sollevare le tavole di legno del pavimento e scoperchiare la tastiera del portellone che avevano individuato neanche un'ora prima.

“Ci sei?” Clint le chiese conferma, rigirandosi tra le mani i post-it che avevano trovato nelle rispettive cassette di sicurezza, minuziosamente ordinati da Rogers secondo l'ordine dei numeri che erano stati segnati dietro i corrispettivi frammenti del logo.

“Ci sono.”

“Due, sette, cinque, nove, otto... e tre. Te lo devo ripetere?”

Natasha scosse il capo, finendo di inserire le cifre nel pannello che aveva improvvisamente preso vita. Ebbe solo un breve, brevissimo attimo d'esitazione prima di schiacciare il tasto verde. Si rimise rapidamente in piedi, indietreggiando di un mezzo passo mentre il complicato sistema di sicurezza si attivava: il portellone scattò aperto con uno sbuffo d'aria gelida che doveva provenire dalle viscere del piano interrato.

Serrò le labbra, con l'impressione che tutti – lei compresa – stessero trattenendo il respiro in attesa di un qualche evento drammatico che non arrivò... almeno non tanto presto.

“Ottimo. E adesso chi si offre volontario?” Stark aveva spinto la testa tra Clint e Steve, osservando il passaggio appena aperto con aria tremendamente curiosa. “Superman? Conan il Barbaro là in fondo? Nessuno?”

“Sta' zitto, Stark,” l'arciere lo incenerì con lo sguardo.

“Vado io,” decise Natasha, afferrando la maniglia per sollevare il pesante portellone blindato: nel buio sottostante si riusciva ad intravedere una scala metallica a pioli che scendeva fino ad essere completamente inghiottita dal buio.

“Natasha,” Rogers intervenne, “lascia stare, faccio io.”

“Perché sai già cos'è che ci aspetta?” Gli domandò, scoccandogli un'occhiata sferzante.

L'impressione che il capitano sapesse più cose di quanto avesse lasciato a vedere non l'aveva mai realmente abbandonata, men che meno adesso che sembravano tanto vicini alla meta. L'uomo non rispose, dandole solamente l'ennesima – tacita – conferma di averci visto giusto: Rogers non mentiva mai e se rischiava di farlo, piuttosto, se ne rimaneva zitto.

“Io ti seguo,” decretò Clint. “Avremo bisogno di tutte e due le mani per scendere...” Il che rendeva di fatto impossibile impugnare un'arma nel caso ci fosse un comitato d'accoglienza ostile ad attenderli dall'altra parte.

“Non ci avranno fatto venire fin qui per prenderci a calci in culo,” commentò Stark con aria straordinariamente solenne.

Dopo essersi aperta la cerniera della giacca nel tentativo di agevolarsi un minimo i movimenti, Natasha si calò oltre il portellone, il metallo della scala gelido sotto le sue mani. Attese solo un muto via libera da parte di Clint, dopodiché prese a scendere, piolo dopo piolo, attimo dopo attimo.

Scese per quella che le parve un'eternità, mentre l'aria tutt'attorno a lei si faceva più fredda, umida e il buio si infittiva sempre di più, fino a renderle di fatto impossibile distinguere un bel niente. Il cuore pareva accelerare il proprio battito man mano che si allontanava dalla superficie; solo il rumore degli spostamenti dell'arciere sopra di lei l'accompagnavano nella sua discesa.

Dovettero trascorrere svariati minuti prima che i suoi piedi incontrassero il pavimento invece del gradino successivo.

“Siamo arrivati,” disse, sperando solo che la voce raggiungesse Clint.

Si fece da parte, ignorando la spessa coltre di buio che la circondava per sfilarsi lo zaino ed estrarre la Glock. L'arciere le fu di fianco poco dopo, e così, in rapida processione, anche gli altri quattro, prima Steve, poi Thor, infine Tony e Bruce.

“Magari è un nuovo ristorante al buio,” ipotizzò Stark, il nervosismo appena palpabile nella sua voce, “ci siete mai stati? Una stronzata disumana. Potrebbero servirti un piatto di immondizia e neppure te ne accorg-”

Mille luci al neon si accesero bruscamente una dopo l'altra, accecandoli per un lungo, interminabile attimo.

Solo quando gli occhi si furono abituati, Natasha – il cuore in gola – riuscì a scorgere tre figure immobili davanti a loro: riconobbe l'uomo di destra come quello che li aveva accompagnati durante la visita alla centrale che non aveva mai avuto realmente luogo; la donna di sinistra come l'impiegata dalla banca di Cordova; infine, al centro, si stagliava la figura più imponente di tutte, un uomo alto, la pelle scura così come la totalità del suo abbigliamento, una benda a coprirgli l'occhio sinistro.

“Signori,” li accolse con la sua voce bassa e raschiante, “benvenuti al quartier generale dell'ex SHIELD.” Natasha sentì lo stomaco contrarsi in preda all'agitazione. “Vi stavamo aspettando.”

 

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Note:
e dopo un (bel) po' di contortume (spero non troppo) i nostri eroi (?) hanno raggiunto i loro fantomatici datori di lavoro! Come avevate più o meno tutti intuito (l'originalità non è esattamente il mio forte :P) si trattava dello SHIELD e di Fury, che dopo aver visto i nostri in azione "dal vivo", hanno finalmente deciso di scoprire le carte in tavola. Ci sono ulteriori circostanze da chiarire, ma tutto sarà ben delineato col prossimo capitolo. Vi avviso che mi sono avvalsa di vari dettagli del canon dell'MCU, quindi certe cose potrebbero (cioè, sicuramente) risultarvi familiari. Chiedo venia anche per il lato romantico della faccenda: prometto che ci saranno soddisfazioni (*ahem*) ma con l'attacco di tram
ite che ha preso la storia (quando mai, poi!), il rapporto tra Clint e Natasha mi è uscito col piede sul freno, ecco :P Spero che gli indizi lanciati qua e là siano significativi comunque, però ù_ù
E' tutto anche a questa girata! Concludo ringraziando chi legge e mi fa sapere che ne pensa della storia, come sempre, e alla sclero-socia-beta Eli che mi sopporta :*
Buon weekend a tutti e al prossimo aggiornamento (:
S.
  
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