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Autore: LaniePaciock    28/11/2014    6 recensioni
Torniamo indietro nel tempo e spostiamoci di luogo: 1943, Berlino, Germania. Una storia diversa, ma forse simile ad altre. Un giovane colonnello, una ragazza in cerca della madre, un leale maggiore, una moglie combattiva, una cameriera silenziosa, una famiglia in fuga e un tipografo coraggioso. Cosa fa incrociare la vita di tutte queste persone? La Seconda Guerra Mondiale. E la voglia di ricominciare a vivere.
Genere: Guerra, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Cap.26 Un attimo di speranza
 

“Dreil!” strillò alla fine. “O… o forse Dreib? Dreis?” Castle strinse i pugni fino a sentirsi le unghie conficcarsi nella carne. Il suo pensiero si era rivelato purtroppo di nuovo esatto. Guardò Ryan che gli lanciò un’occhiata di orrore e rabbia.
“Dreixk.” sibilò Castle. “Colonnello Michael Dreixk.”
 
“Cosa facciamo ora?” chiese nervoso Ryan mentre lui e Castle tornavano al piano terra. Per le scale, l’unico rumore che si sentiva era l’eco dei loro passi e la loro voce.
“Troviamo Montgomery.” replicò Rick senza fermarsi con tono duro. “Dopo penseremo a Dreixk.” Non riusciva ancora a credere che quell’essere avesse davvero organizzato una tale barbarie solo per incastrarlo. La ferita al volto gli tirava dolorosamente tanto più lui contraeva la mascella. Quasi si aspettò di sentire il sangue colargli lungo la guancia ancora una volta. Kevin rimase per qualche attimo in silenzio mentre seguiva il colonnello.
“E se… Castle, e se fosse troppo tard…” Il maggiore però non riuscì a finire perché il colonnello si voltò a metà di un gradino per fronteggiarlo, furioso, puntandogli con forza un dito contro il petto.
“Non è troppo tardi!” dichiarò con rabbia, la voce che rimbombava cupa nelle scale. “Roy è un uomo forte.” aggiunse poi in tono più controllato, voltandosi lentamente di nuovo per continuare a scendere. “Non può essere morto. Hahn ha sbagliato. Se lo hanno portato qui come sostiene Klein, allora è probabile che fosse ancora…”
“Rick.” lo chiamò piano Ryan. Castle si fermò di nuovo e alla fine si voltò. Kevin non si era mosso dal gradino su cui lo aveva lasciato. “Quanto ci credi davvero che Roy sia ancora vivo?” Il colonnello aprì la bocca di slancio per rispondere. Voleva farlo, voleva affermare che lui confidava con tutto sé stesso in Roy Montgomery e nella sua forza, ma… ma semplicemente non ci riuscì. Le parole non gli uscirono dalla gola. Rimasero dolorosamente bloccate all’altezza del pomo d’Adamo. Tutto quello che arrivò a fare fu richiudere la bocca e abbassare lo sguardo. Quindi voltò la testa e continuò a scendere le scale. Ryan non chiese altro. Riprese semplicemente a seguirlo con un sospiro rassegnato, il capo chino in avanti.
Qualche minuto dopo erano di nuovo davanti al banco accettazione dell’ospedale militare per parlare con Simon. Questa volta l’infermiera dovette notare dalle loro facce cupe che la loro visita non doveva essere andata come speravano perché non fece commenti di sorta indirizzati a Castle. Si limitò ad attendere che uno dei due dicesse qualcosa.
“Simon, so che sei piena di lavoro, ma devo chiederti un ultimo favore.” disse Rick serio alla fine. La donna lo osservò attenta da sopra gli occhialetti rettangolari.
“Se posso aiutarti, tesoro, non hai che da chiedere.” replicò con un mezzo sorriso in tono dolce. Non c’era malizia nelle sue parole e il tono spensierato che aveva usato in precedenza per flirtare con il colonnello era scomparso. Era un’infermiera, sapeva riconoscere la sofferenza in chi le stava davanti. Castle cercò di ricambiare il sorriso, ma lo sentì troppo tirato e alla fine lasciò perdere. Poi prese un respiro profondo.
“Cerchiamo un uomo che dovrebbe essere stato portato qui più o meno nello stesso periodo di Klein.” spiegò. “Si chiama Roy, ma probabilmente non c’è scritto da nessuna parte perché non faceva parte dell’esercito e non credo avesse documenti con sé. Però è particolare: scuro di pelle, piuttosto anziano, con i capelli brizzolati. Potrebbe avere diversi… diversi segni sul corpo.” Non era riuscito a dire ‘segni di torture’. “Sapresti dirci dove lo hanno portato?” Simon alzò gli occhi pensierosa, aggiustandosi in un gesto automatico gli occhiali sul naso.
“Generalmente ti direi di no, ma sono stati molto pochi gli uomini di colore a essere ospedalizzati stanotte.” rispose alla fine l’infermiera, riabbassando lo sguardo. “Fammi controllare.” Castle e Ryan si lanciarono un’occhiata nervosa e attesero impazienti che Simon potesse dargli notizie. Dopo qualche minuto la donna annuì a dei fogli che aveva in mano, quindi tornò a rivolgersi a loro. “Allora abbiamo avuto solo tre uomini dalla pelle scura, ma uno è poco più che un ragazzo e l’altro è un vecchio morto schiacciato dalla casa che gli è crollata addosso. Suppongo però non siano quelli i segni che cercate.”
“Infatti.” commentò per entrambi Ryan. Simon sospirò.
“Come temevo.” continuò. “Allora il vostro uomo è questo.” disse, posando due fogli e tenendone in mano un terzo. Rimase incerta per un attimo, ma alla fine gli consegnò il pezzo di carta in modo che potessero leggerlo. “Aveva diversi segni sul corpo che non sembravano causati da crolli o bombe.” dichiarò l’infermiera condensando il succo del documento. “Era già morto quando è arrivato qui.” Quelle poche parole ebbero il potere di freddare quell’ultimo residuo di speranza che i due soldati ancora provavano in corpo.
Castle e Ryan rimasero per un momento in un silenzio pesante. Parevano non sentire nulla del casino ospedaliero intorno a loro. C’erano solo loro due e quel pezzo di carta che decretava la fine di Roy Montgomery.
“Possiamo vederlo?” mormorò alla fine Rick, cercando di riprendersi un poco. Lanciò un’ultima occhiata al foglio clinico che confermava il decesso del paziente, quindi lo restituì a Simon con gesti lenti, quasi avesse a che fare più con una bomba che con della carta. L’infermiera lì osservò dubbiosa e un po’ preoccupata, ma alla fine annuì, quasi rassegnata.
“L’obitorio è al piano seminterrato.” disse solo in tono neutro. Rick la ringraziò con un cenno della testa e si avviò con passo pesante verso il luogo indicato, seguito da un tetro Ryan. Questa volta fu un supplizio scendere le scale. Ogni gradino li portava sempre più vicini al loro amico, all’uomo che era morto pur di non confessare i loro nomi.
Quando giunsero al seminterrato, i due soldati notarono subito che lo scenario era completamente diverso dai piani superiori. Lì nessuno andava di fretta. Nessuno gemeva o urlava. Nessuno parlava neppure. Quello era il regno dei morti. Lì c’era solo silenzio.
Alle pareti non era addossati lettini con pazienti vivi, come negli altri piani, ma solo uomini senza vita con un lenzuolo bianco sopra in attesa di essere controllati e schedati. In diversi casi i corpi erano già avvolti in pezze di tele con attaccato un cartellino con il nome del defunto, pronti per essere portati via dai becchini o dai parenti. I pochi medici che si aggiravano tra le brande a completare le cartelle cliniche lo facevano con aria stanca e provata. Lavoravano in silenzio, scambiandosi qualche parola solo se necessario. Alcuni parevano pallidi quanto il camice che indossavano. C’erano comunque anche i casi particolari. Ad esempio, mentre passavano da una delle corsie, Castle e Ryan sentirono uno dei dottori parlare a voce bassa con un morto, raccontandogli qualcosa, come se quello fosse ancora in grado di poterlo sentire.
Colonnello e maggiore dovettero oltrepassare due lunghi corridoi e una sala d’attesa straripante di corpi senza vita prima di poter arrivare all’ufficio principale. La porta aperta recava la scritta Gerichtsarzt, ovvero medico legale, in grandi lettere nere sul vetro semitrasparente.
Castle si fece avanti e bussò piano, osservando intanto la stanza. Più che un ufficio pareva un magazzino in cui erano state sistemate file di schedari alle pareti e una scrivania al centro. In quel momento il caos regnava sovrano: c’erano ovunque cartelline mediche giallognole e fogli poggiati o impilati ovunque. In un angolo, Rick notò una piccola pianta mezza morta, semi-sommersa da tutta quella carta, con le foglie verdognole ormai rinsecchite.
“Desiderate?” domandò un ometto piuttosto anziano con un camice lindo, ma un po’ stropicciato, spuntato in quel momento da dietro una pila di incartamenti. Portava un paio di occhiali tondi in bilico sulla punta del naso e i pochi capelli che gli rimanevano erano ormai quasi del tutto bianchi. Dalle occhiaie abbastanza marcate che aveva, era probabile che non avesse dormito niente quella notte. Rick si sentì un po’ a disagio sentendosi trapassare dagli occhi azzurro-ghiaccio del dottore mentre li studiava in un misto di curiosità, diffidenza e stanchezza.
“Sono il Colonnello Castle.” si presentò Rick. Poi indicò Kevin. “Lui è il Maggiore Ryan. Vorremmo chiederle di poter vedere un… un uomo.” La parola cadavere gli si era bloccata in gola, senza che potesse uscirne. Il medico alzò un sopracciglio, quindi posò la cartellina che aveva in mano, si pulì le mani impolverate sul camice e si avvicinò loro con qualche difficoltà, costretto a fare lo slalom tra le torri di carta a terra per raggiungerli.
“Sono il dottor Pfeiffer.” disse, allungando un braccio. “Spero possiate essere più precisi nella descrizione del vostro uomo, oppure penso che sarà una ricerca piuttosto lunga.” continuò con un mezzo sorriso, stringendo intanto loro la mano.
“Scuro di pelle, alto, anziano, capelli brizzolati e segni di maltrattamenti sul corpo.” replicò Castle. Pfeiffer lo guardò con curiosità, la testa leggermente inclinata di lato mentre il colonnello gli dava una descrizione sommaria di Roy. “Ci hanno detto che è stato portato qui.” Il medico ci pensò per un momento, grattandosi il mento leggermente ispido per la barba non fatta dal giorno prima, quindi annuì.
“Sì, credo di sapere chi è il vostro uomo.” disse alla fine. Lanciò un’occhiata dietro di sé ai fogli sparsi, come se fosse tentato di cercare qualcosa, ma alla fine rinunciò con un’alzata di spalle. “Faccio prima a portarvi da lui che a trovare la cartella esatta tra tutte queste dannate scartoffie.” aggiunse con uno sbuffo. “Venite.” continuò poi, facendo segno di seguirlo. Pfeiffer li scortò lungo un altro corridoio, parlando intanto di come era stata la vita lì in ospedale dopo l’attacco. I due soldati non facevano altro che ascoltare, non avendo nessuna voglia di mettersi a fare conversazione, ma pareva che il medico legale ne avesse abbastanza per chiacchiere per tutti e tre. Rick pensò che forse il lavorare così a lungo con i morti ti portava quasi inconsapevolmente a iniziare conversazioni con chiunque, che ti rispondesse o meno.
Dopo qualche minuto finalmente il dottore si fermò davanti a uno dei tanti corpi avvolti in un telo. Controllò il cartellino attaccato sopra di esso, annuì e si voltò verso di loro.
“Credo sia questo l’uomo che cercate.” disse. “E’ senza nome, ma è difficile sbagliare con la descrizione che mi avete fornito.” Rick e Kevin si lanciarono un’occhiata nervosa, poi tornarono a guardare Pfeiffer annuendo, come a dargli il permesso di aprire il sacco. Il medico allora si mise, con molta cura e attenzione, a spostare le bende a partire dalla sommità della testa. Lentamente scostò ogni lembo mentre Castle restava con il fiato sospeso. Per un attimo tornò un accenno di speranza. Per un attimo riuscì quasi a convincersi che il volto che avrebbero visto sarebbe stato quello di un altro uomo. Per un attimo si immaginò a sospirare sollevato per la grande paura provata. Per un attimo. Poi il dottore scostò l’ultimo telo e il volto sfigurato, ma ben riconoscibile, di Roy Montgomery tornò all’aria, sotto la fredda luce bianca della lampada sopra di lui.
La cosa peggiore fu aver provato quell’attimo di speranza. Perché gli si ritorse contro con una forza inaudita, come se quell’attimo fosse una cosa viva che impugnava un coltello. Poteva quasi sentire la lama conficcarsi all’altezza della bocca dello stomaco e iniziare a girare dentro la ferita. Chiuse gli occhi involontariamente, voltando la testa di lato. Dietro di sé sentì Kevin gemere piano.
“Non ce la faccio…” mormorò Ryan, prima di allontanarsi in fretta lungo il corridoio, non riuscendo a sopportare oltre la vista del loro amico così martoriato. Castle sentì i suoi passi veloci rimbombare leggermente per il corridoio. Quando calò di nuovo il silenzio, si costrinse a tornare a guardare Roy. Lentamente riaprì gli occhi e si voltò di nuovo. Sentiva la gola secca, aveva la mascella contratta e i pugni stretti lungo i fianchi. Sentiva lo sfregio al volto tirare e la spalla gli bruciava per quanto era teso. Il male però gli schiarì la mente. Si accorse in quel momento che aveva il respiro bloccato da quando il medico aveva scoperto Montgomery. Ricominciò a buttare fuori aria dai polmoni piano, cercando di calmare la rabbia e il dolore. Quindi iniziò a osservare quello che era stato un suo amico. Tutto quello che riusciva a vedere di lui erano la testa e le spalle nude, ma erano già sufficienti. La faccia era completamente segnata da tagli aperti rosso scuri. Una serie di tagli paralleli gli sfregiavano la fronte, quasi a seguire la linea delle rughe, e sulle guance. Notò in quel momento che non aveva più l’orecchio sinistro, tagliato di netto. Il naso era tumefatto, come anche un occhio, e il labbro inferiore spaccato. Inoltre doveva avere una spalla rotta perché c’era un osso che sporgeva ben più del normale sotto la pelle.
“Cosa… cosa gli hanno fatto?” si costrinse a domandare alla fine Castle al medico, gli occhi fissi sul cadavere del suo amico. Non voleva vedere cos’altro aveva dovuto subire Roy, ma aveva bisogno di saperlo. Era stanco di ripetere sempre la stessa domanda. Stanco di veder soffrire o morire le persone a cui teneva di più. La sua unica consolazione fu che non sarebbe durata a lungo. Ormai era certo, passaporti o meno avrebbe spedito tutti lontano dalla Germania per sottrarli non solo dalle grinfie dei nazisti, ma anche e soprattutto da quelle di Dreixk.
Pfeiffer sospirò brevemente prima di rispondere, prendendo tempo, togliendosi gli occhiali e pulendoli su un angolo del camice.
“A giudicare dai segni, questo pover’uomo ha subito parecchio in poco tempo.” disse alla fine il dottore con tono grave, risistemandosi gli occhiali sulla punta del naso. “Di solito non effettuiamo autopsie subito dopo i bombardamenti, ma mi erano parse troppo strane le sue ferite, diverse da quelle che mi sarei aspettato da una granata o un crollo. Così ho fatto un rapido controllo: direi che prima è stato picchiato, anche piuttosto brutalmente oserei dire e sistematicamente, poi gli hanno inferto tagli in tutto il corpo. Sul suo petto ho trovato anche…”
“Una scritta?” lo anticipò Castle atono, gli occhi ancora puntati sul volto sfigurato di Montgomery. Stupito, il dottor Pfeiffer ci mise qualche attimo prima di continuare.
“Sì… sì, una scritta.”affermò piano. “O meglio una parola.”
“Quale?” chiese Rick con un certo sforzo. Prima di rispondere, il medico scostò di più il lenzuolo fino a mostrare il petto di Roy. Quasi il colonnello avrebbe voluto che non lo facesse.
Fälscher.” rispose il dottore, indicando la parola incisa in grandi lettere maiuscole sullo sterno di Montgomery. Falsario. Castle strinse i pugni fino a conficcarsi le unghie nella carne e contrasse la mascella quasi a farsi male mentre quelle lettere si marcavano a fuoco nella sua mente, allo stesso modo di quelle di Semir.
“Lo copra.” disse al medico, voltando di nuovo la testa per non guardare. “Per favore.” Pfeiffer lo fece senza chiedere nulla. Risistemò con attenzione i teli sopra il petto di Roy e poi intorno alla testa, nascondendolo di nuovo del tutto alla vista. Addio, amico mio... pensò Rick, osservando per l’ultima volta il cadavere avvolto di Montgomery. Grazie. Quindi si voltò lungo il corridoio per tornare da dove erano venuti. D’un tratto si sentì stanco e abbattuto. Sospirò e si passò una mano sulla faccia, non curandosi del taglio sulla guancia che protestò con forza quando lo sfregò.
“Immagino non fosse in quel modo che voleva trovare il suo amico.” commentò Pfeiffer, affiancandolo. L’unica risposta che ottenne fu un cenno negativo con la testa. Poco più in là trovarono Ryan accasciato a terra nell’unico punto libero del corridoio, le ginocchia sollevate e la testa fra le mani. Non stava piangendo né singhiozzando. Era semplicemente immobile a fissare il pavimento. Doveva essere distrutto. Anni prima aveva salvato la vita a Roy e la sua famiglia dai nazisti, ma stavolta non aveva potuto fare nulla. Roy aveva cancellato il debito che aveva con Kevin, ma Ryan non avrebbe mai potuto ringraziarlo per aver tenuto al sicuro il loro segreto e aver così salvato la sua di famiglia.
“La ringrazio, dottor Pfeiffer.” disse allora Castle, allungando una mano verso il medico. Quello gli fece un mezzo sorriso triste e gliela strinse.
“Dovevate tenere molto a lui.” constatò il dottore con tono paterno.
“Era una brava persona.” replicò solo il colonnello, girando per un momento lo sguardo indietro verso dove stava Roy. “Un buon amico. Ci ha aiutati molto e gli dobbiamo tanto. E non potremo mai ringraziarlo sul serio…” mormorò poi, mentre i suoi occhi si spostavano sul pavimento.
“Se nel suo cuore vuole davvero ringraziarlo, allora lo ha già fatto e lui lo sa.” ribatté Pfeiffer, posandogli una mano sul braccio. Rick aggrottò le sopracciglia e rialzò lo sguardo su di lui. C’era un sorriso dolce in quel viso contornato da rughe e gli occhi ora non sembravano più azzurro-ghiaccio, ma caldi e comprensivi. “Non si affligga per ciò che è stato. Se c’è una cosa che ho imparato dai miei pazienti, è che il passato non si può cambiare. Si può solamente andare avanti.” Castle lo osservò pensieroso e alla fine sospirò, facendogli un mezzo sorriso tirato.
“Posso chiederle ancora un favore, dottore?” domandò. Pfeiffer annuì. “Si può rimandare la salma alla famiglia?”
“Abitano a Berlino?” chiese in risposta l’uomo.
“No, fuori dalla Germania.” replicò Rick, scuotendo la testa. Non ricordava esattamente il nome del paese in cui si era stabilita la famiglia di Roy, poiché sapeva che negli anni avevano cambiato più volte città. Se non sbagliava, dovevano essere da qualche parte vicino Edmonton. “Probabilmente in Canada.” Il dottore ci pensò su per un momento, grattandosi il mento.
“Uhm, potrebbero esserci delle complicazioni, ma vedrò che posso fare.” disse alla fine. “Lei cerchi di darmi l’indirizzo a cui mandare la salma e io vedrò di fare il resto. Più di questo purtroppo non posso promettere nulla.” continuò con tono un po’ sconsolato.
“E’ abbastanza.” replicò Castle sinceramente. “Grazie mille, dottore.” Quindi gli strinse ancora una volta la mano e lo lasciò per andare a recuperare Ryan dallo stato di immobilità in cui era caduto.
 
“Cosa vogliamo fare ora?” domandò Kevin dopo più di dieci minuti di silenzio in auto. Era la prima volta che parlava da quando se ne era andato dal corpo di Roy. Sembrava si fosse appena risvegliato dallo stato di torpore in cui era caduto. “Dove stiamo andando?" aggiunse poi guardandosi in giro, non riconoscendo il posto.
“In centro.” rispose solo Castle, gli occhi fissi sulla strada. La via che stavano percorrendo era piena di buche e piuttosto dissestata a causa dei bombardamenti, così Rick doveva metterci il doppio dell’attenzione per evitare di incappare in qualcosa.
“In centro?” ripeté Ryan perplesso. “Che dobbiamo fare in centro?”
“Tu niente.” replicò il colonnello, svoltando per una stradina che sembrava meno danneggiata. “Io devo fare una visita a un vecchio amico.” continuò con un tono strano, stringendo con più forza il volante tra le mani. Kevin aggrottò le sopracciglia confuso. Quindi scosse piano la testa.
“Castle, ti prego, torniamo a casa.” disse stancamente. “Ho bisogno di rivedere mia moglie.”
“Ci andremo subito dopo.” ribatté Rick, poco impietosito dalla voce dell’amico. Era troppo concentrato sul suo obiettivo per pensarci. In quel momento sbucarono con l’auto in una strada più larga e ancora fortunatamente indenne. Era una via centrale molto frequentata e conosciuta e per questo alla fine il maggiore la riconobbe. Sgranò gli occhi e spalancò la bocca, come se all’improvviso fossero stati catapultati su Marte.
“Fermati!” dichiarò serio, quasi in tono di ordine. Castle non gli diede nemmeno uno sguardo.
“No.” replicò solo, lo sguardo puntato in avanti.
“Castle, fermati!” ripeté Ryan con più forza e rabbia. Rick aggrottò per un attimo le sopracciglia e gli lanciò un’occhiata. Sapeva che non sarebbe stato d’accordo, ma non credeva se la sarebbe presa tanto. Tornò a fissare la strada.
“No.” ripeté deciso.
“Rick, cazzo, fermati!” esclamò di nuovo il maggiore, slanciandosi in parte in avanti come per afferrare il volante. A Castle quasi prese un infarto, tanto che sterzò bruscamente e inchiodò qualche metro più avanti a lato della strada con un grande stridore di ruote. Ansante per lo spavento e furente, Rick si voltò verso Kevin.
“Mettiamo in chiaro una cosa.” sibilò, arrabbiato e stupito insieme da quel comportamento. “Io sono ancora un tuo superiore, Maggiore Ryan.” Odiava dover arrivare a quel punto, non lo aveva mai fatto e mai si sarebbe sognato di doverlo fare. “Non azzardarti mai più.”
“Rick, ti sto parlando da amico, non da soldato!” replicò invece Ryan, quasi supplicante. “Lascia stare Dreixk. Torniamo a casa, ti dico. Andare da quello stronzo non cambierà quello che è successo!”
“Cambierà per me, Ryan.” ribatté il colonnello con tono duro. “Inoltre tu resterai in auto. Voglio solo vedere la sua faccia del cazzo che…”
“Rick, ho promesso a Kate che non ti avrei permesso di cacciarti nei guai.” sbottò Kevin seccato, interrompendolo. “Andando a infilarti nella tana del lupo, non fai altro che il gioco di quel figlio di puttana. Davvero vuoi questo?” gli chiese poi retorico. “Tra due giorni tutti saranno al sicuro fuori da Berlino e allora…”
“Kev, se non metto subito in chiaro le cose con quel bastardo, potremmo non averli proprio questi due giorni.” lo bloccò questa volta Castle, serio. “Se Hahn è riuscito a parlare con lui prima del bombardamento, allora è probabile che sappia dei documenti e tutto. Dannazione, ce li ha messi lui alle costole! Voglio solo capire quanto effettivamente conosce prima di muovermi. Non voglio tentare di andare in aeroporto senza sapere quali rischi corrono Kate e gli altri!” In quel momento un colpo secco al suo finestrino li fece sobbalzare. Voltandosi, Rick vide un soldato piuttosto giovane con una mano pronta alla fondina che passava lo sguardo da lui a Ryan con aria diffidente. Il colonnello fece un respiro profondo e seccato, poi abbassò il finestrino per metà, facendo entrare un fiotto di aria gelida in auto.
“Ci sono problemi, soldato?” chiese, tentando di tenere a bada la voglia di spaccare qualcosa che aveva. L’uomo non rispose subito. Lanciando un’altra occhiata ai due dovette notare le loro mostrine, perché subito gli fece il saluto.
“Mi spiace averla disturbata, Colonnello.” disse il ragazzo. Probabilmente aveva a malapena vent’anni, pensò Castle. “Ma vi siete fermati bruscamente, così sono venuto a vedere se andava tutto bene.” Rick spostò lo sguardo davanti a sé e vide che effettivamente erano a solo una decina di metri dalla caserma di Dreixk, dove il suo compagno di guardiola all’ingresso, non molto più vecchio di lui, li stava osservando curioso.
“Riposo, soldato.” replicò Castle, cercando di nascondere l’irritazione. “Hai fatto il tuo dovere. Ora torna alla tua postazione. Qui va tutto bene, ho solo creduto di aver visto una buca.”
“Sì, signore!” rispose subito quello, prima di voltarsi e tornare velocemente da dove era venuto. Solo a quel punto il colonnello richiuse il finestrino.
“Voglio solo sapere se possiamo rischiare di spostarci in sicurezza.” disse alla fine stancamente riprendendo il discorso di prima, passandosi una mano tra i capelli e rompendo il silenzio teso che si era creato con l’amico. “Non mi metterò nei guai, lo giuro.” aggiunse poi con un mezzo sorriso, voltandosi a guardare Kevin. Ryan lo osservò scettico, un sopracciglio alzato. “Dico sul serio.” continuò Rick. “Anche io ho fatto la mia promessa a Kate e voglio essere certo di poter tornare per mantenerla.” Quelle parole tranquillizzarono un poco Kevin, che si accasciò sul sedile, lo sguardo fisso e assente puntato sul cruscotto.
“Muoviti.” replicò solo con una smorfia amara, come se avesse dovuto forzarsi per dirlo.
“Resta in auto.” gli ordinò Castle, aprendo la portiera. “Non ci vorrà molto.” Ryan sbuffò, borbottando qualcosa d’incomprensibile mentre lui usciva. Una volta fuori, Rick non riuscì a reprimere un brivido di freddo e si strinse di più nel cappotto, calcando meglio il cappello in testa. Il respiro si gli condensava davanti al volto in piccole nuvolette bianche che subito svanivano mentre si avviava verso la caserma comandata da Dreixk. In quel tratto la neve rimasta dall’ultima nevicata era stata ben spostata e fatta a mucchio in un angolo della strada. Il vento gelido però aveva un po’ modellato l’ammasso di neve sporca e la superficie nerastra pareva quasi levigata.
Castle si avviò a passo spedito dentro il portone con a guardia i due giovani soldati. Questi, vedendolo avvicinarsi, gli fecero subito il saluto e rimasero immobili finché lui non li ebbe sorpassati. Rispetto alla sua piccola e caotica centrale, quel posto sembrava qualcosa di completamente diverso. La sala d’ingresso era ampia, spaziosa ed estremamente vuota. Tutto ciò che poteva vedere era un tavolo con un soldato addetto alle informazioni dietro di esso. Non c’era nessuno che girava con carte da firmare in mano o che si fumava una sigaretta o un civile che chiedeva di essere ricevuto. Nemmeno una pianta in un angolo o un quadro alla parete. Lì non c’era niente. Ogni cosa aveva la sua utilità e la sua sistemazione, quindi il superfluo era stato eliminato. Castle pensò che si notava straordinariamente il tocco maniacale di Dreixk per l’ordine. Completamente spoglio e con le pareti bianche, il luogo parve a Rick ancora più freddo dell’esterno. Rabbrividì leggermente e si avvicinò al tavolo dall’altra parte della sala. Non si stupì di sentir rimbombare i propri passi sul pavimento in marmo.
Il soldato dall’altra parte della scrivania non alzò la testa finché Castle non fu a meno di due metri da lui. Quindi scattò in piedi quando lanciò un’occhiata ai suoi gradi.
“Colonnello!” esclamò, facendogli il saluto.
“Riposo.” replicò Rick con tono nervoso, fermandosi davanti al tavolo. “Dove trovo il Colonnello Dreixk?” continuò, andando subito al sodo. Il soldato si mosse leggermente a disagio, passando il peso da un piede all’altro.
“Mi spiace, Colonnello, ma mi è stato ordinato di…” cercò di dire, ma lui lo bloccò subito.
“Sergente,” disse Castle, dopo aver buttato un occhio alle mostrine dell’uomo. “Devo parlare immediatamente con Dreixk, per cui si muova a dirmi dove posso trovarlo. Sono certo che per me troverà un po’ di tempo…” commentò poi contraendo la mascella, rivolto più a sé stesso che al soldato. Il sergente rimase incerto ancora per qualche secondo quindi si morse l’interno della guancia.
“Devo chiamare…” iniziò cauto, ma Castle lo interruppe di nuovo.
“E allora chiami!” esclamò scocciato. “Non mi faccia perdere altro tempo!” L’uomo annuì subito e si risedette per chiamare velocemente un numero interno. Rick sbuffò, quindi si tolse con gesti secchi i guanti e li buttò con irritazione nel cappello, che pure si era levato. Sentì a metà il soldato che chiedeva di parlare con Dreixk o con un suo sottoposto. Stava osservando il luogo. Non aveva notato che, ai lati della sala, c’erano due nicchie rientranti nel muro con due scalinate laterali che davano ai piani superiori. Per ognuna delle scale c’erano due guardie armate. Inoltre con la mente Castle era già davanti a quello stronzo che era il suo parigrado. Aveva una voglia matta di prendere un coltello e iniziare a inciderlo sulla faccia, ma sapeva che non poterlo fare. La sua sarebbe rimasta solo una dolce fantasia. Ci pensò il sergente a riportarlo con i piedi per terra.
“Ehm… Colonnello, mi scusi, potrebbe dirmi il suo nome?” chiese il sergente nervoso.
“Castle.” rispose Rick. Quello annuì e lo comunicò dall’altra parte del telefono. Rimase in silenzio qualche secondo ad aspettare una risposta, quindi annuì, ringraziò e posò la cornetta.
“Il Colonnello può riceverla.” gli comunicò alla fine l’uomo con tono sollevato. Evidentemente non aveva voglia di subire un colonnello incazzato davanti alla scrivania per troppo tempo. Quindi gli indicò la scalinata sulla sinistra. “Salga quelle scale. Troverà il Colonnello Dreixk al quinto piano nella porta in fondo al corridoio.” Castle gli fece un cenno secco con il capo di ringraziamento, si mise sottobraccio il cappello con i guanti e si diresse spedito nella direzione indicata. Superò senza degnare di un’occhiata i due soldati di guardia, che gli fecero il saluto appena passò, e iniziò a salire le scale. Raggiunto finalmente il piano giusto, Rick si andò dritto al suo obiettivo. Come il piano terra, anche il quinto era silenzioso quasi in modo anormale. Da una delle poche porte aperte, vide un paio di soldati scambiarsi a bassa voce delle informazioni e un altro che batteva a macchina in silenzio. Le pareti dovevano essere state rese isolanti al suono perché perfino il rumore cadenzato e metallico della macchina da scrivere si perse subito oltrepassata la porta.
Dopo diversi metri, finalmente Castle raggiunse il capo del corridoio. Non c’era nome sulla porta, ma il legno scuro e levigato di questa, molto più pregiata delle altre semplicemente metalliche, faceva subito intendere che dall’altra parte doveva esserci un uomo importante. Il colonnello prese un respiro profondo, quindi, senza pensarci un secondo di più, girò la maniglia dorata e aprì la porta senza bussare né annunciare la propria presenza. La prima cosa che notò fu la grande vetrata che occupava mezza parete e che mostrava una buona fetta di Berlino. Un paesaggio che, se qualche tempo prima doveva essere stato bello, in quel momento invece mostrava solo la distruzione che aveva subito. Lo sguardo di Rick poi si posò sulla grande scrivania intagliata al centro della stanza dietro la quale era seduto Dreixk. Accanto a lui c’era un altro soldato, probabilmente il segretario o qualche galoppino, che stava parlando con il colonnello mostrandogli insieme dei fogli. L’uomo lo guardò scandalizzato e stupito per quell’entrata a sorpresa. Dreixk invece si limitò a lanciargli un’occhiata curiosa e annoiata insieme. Castle però poté vedere il lampo maligno che passò nei suoi occhi neri, come un ghigno represso.
“Colonnello Castle.” lo salutò con la sua solita voce melliflua, tornando a prestare attenzione al soldato in piedi vicino a lui. “Piacere di vederti.”
“Il piacere è solo tuo, Dreixk.” replicò Rick in tono duro.
“Fammi finire di sbrigare queste pratiche e arrivo.” continuò il colonnello, ma Castle non cedette.
“Mandalo via.” disse con il tono di un ordine. “Devo parlarti.”
“Castle, Castle...” cantilenò Dreixk con un mezzo sorriso di rimprovero, quasi stesse parlando a un bambino, ignorandolo e continuando a guardare le carte che gli aveva passato il soldato. “Non lo sai che la pazienza è la virtù dei forti?”
“Pensavo fosse la calma.” replicò Castle, seccato da quel giochino, avvicinandosi alla scrivania, scostando la sedia libera in malo modo e sbattendo il cappello con i guanti sopra il tavolo del colonnello. Quel gesto fece cadere un portapenne metallico con una decina tra calamai e stilografiche all’interno. Lo schianto improvviso fece sobbalzare il soldato in piedi mentre Dreixk si limitò a guardare l’oggetto con un sopracciglio alzato, quasi annoiato dalla cosa.
“A quanto pare tu non hai né l’una né l’altra al momento…” commentò Dreixk con un mezzo sospiro, recuperando una delle stilografiche cadute e firmando il primo dei fogli che aveva in mano. Quindi riconsegnò tutto al suo galoppino e gli ordinò di andarsene e non disturbarlo finché non chiamato. “Allora, Castle.” disse alla fine con di nuovo quel suo mezzo sorriso mellifluo, quando il soldato si fu richiuso la porta alle spalle. Si stese meglio sulla poltrona e posò i gomiti sui braccioli, giungendo poi le mani davanti al mento. “Qual buon vento ti porta qui?”
“Sei un pezzo di merda, Dreixk.” replicò Rick in un sibilo furioso, posando le mani sul tavolo e allungandosi verso di lui. “Sai benissimo perché sono qui.” L’altro lo osservò senza scomporsi. Così vicino, i suoi occhi volarono per un momento alla sfregio che aveva in faccia, esaminandolo quasi con curiosità. Poi alzò lo sguardo al soffitto come se cercasse di ricordare qualcosa, quindi scosse la testa.
“No, non so proprio di cosa parli.” ribatté sorridendo leggermente. Un sorriso maligno e falso. Castle gli lanciò uno sguardo omicida, stringendo i pugni fino a farsi diventare le nocche bianche pur di trattenersi dal prenderlo a botte.
“Il nome Hahn ti dice niente? Stasch Hahn?” domandò con tono gelido. A quel nome Dreixk sbatté le palpebre e mosse leggermente la testa. Quasi un movimento impercettibile dietro le mani, ma Rick lo colse comunque e per un attimo esultò internamente. Dreixk non sapeva che lui sapeva. “Credo tu abbia parlato solo con lui, ma forse hai avuto a che fare anche con i suoi scagnozzi Klein e Fuchs. Mettermeli alle costole non è stata una buona idea, te lo posso assicurare…”
“Non so di che parli.” lo interruppe Dreixk con fare annoiato, abbassando le mani da davanti il volto. “Non ti ho mai messo alle costole nessuno.”
“Chiariamoci, Dreixk.” disse Rick, abbassando la voce, che diventò in qualche modo più minacciosa. “Non sono venuto qui per ascoltare le tue cazzate. So che avevo qualcuno che mi spiava tempo fa, quando hai scoperto di Kate, e so che mi hai messo Hahn dietro negli ultimi tempi. Ah, tanto per la cronaca, è in coma irreversibile.” Un'altra notizia che fece mandare un leggero lampo agli occhi di Dreixk. Evidentemente non sapeva neppure quello. “Quindi non ti sarà più di nessun aiuto. Ha finito di torturare per te e per chiunque.”
“Se è in coma come dici, allora come fai a dire che gli ho detto di spiarti?” replicò Dreixk, ignorando le sue parole e alzando le sopracciglia incuriosito, non nascondendo un mezzo sorriso. Quella calma fece infuriare di più Castle.
“Hahn non era disponibile, ma il suo amichetto Klein era un gran chiacchierone.” rispose in un sibilo rabbioso, ripensando a quanto Klein stesso gli aveva raccontato. “Posso assicurartelo.” Dreixk rimase silenzioso per qualche momento quindi fece una faccia fintamente confusa e allargò le mani.
“E quindi?” disse, come se fosse un agnellino innocente portato al macello. “Io che c’entro?” Rick lo guardò a bocca aperta, incredulo. Cosa credeva? Di prenderlo in giro?
“Cosa centr…” ripeté attonito. Quindi scoppiò, adirato. “Cosa c’entri?? Brutto figlio di puttana hai fatto torturare un uomo e un adolescente per le tue sporche macchinazioni! Un adolescente, Dreixk! Poco più che un bambino! Riesci a rendertene conto??” L’unica risposta che ricevette fu un ghigno compiaciuto che spiazzò Castle.
“Allora ammetti di aver avuto a che fare con lo stampatore falsario e il suo piccolo amico bugiardo.” dichiarò Dreixk quasi in tono gongolante. Quelle parole bloccarono Rick per un secondo, il respiro mozzato in gola. Le immagini del petto martoriato di Semir con la scritta Lügner, bugiardo, e quello di Roy con la parola Fälscher, falsario, si fecero strada nella sua mente all’improvviso, vivide come se avesse avuto davanti i loro corpi in quel momento. Poteva quasi vederle sgorgare sangue. “Mi dispiace, Castle.” continuò Dreixk, ignaro dei pensieri del suo parigrado, troppo soddisfatto della reazione che aveva ricevuto e che confermava le sue idee e le informazioni in suo possesso. “Dovrò chiamare qualcuno per far venire a prendere te e i tuoi amichetti rifugiati in casa prima che…” Castle non sentì oltre. Semplicemente non ci vide più. In un attimo si ritrovò slanciato in avanti sopra il tavolo, il suo pugno contro il naso di Dreixk a una velocità e una forza che nemmeno lui si sarebbe creduto in grado di raggiungere. Vide il suo nemico volare giù dalla sedia quasi a rallentatore. Il sangue gli schizzò fuori dal naso e, visto lo schiocco secco che c’era stato, era probabile che fosse rotto. Quel gesto fece provare in un secondo a Rick un senso di euforia e liberazione, mentre l’adrenalina gli scorreva rapida nelle vene. Gli parve che Dreixk ci mettesse una vita a cadere, ma sapeva che in realtà non doveva essere passato più di un secondo. Alla fine il suo nemico cadde a terra con un tonfo sordo. 

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Xiao! :D
Ehm... che dire, io non sono Reb quindi non faccio resuscitare la gente... XD (non mi uccidete!!) Però dai, ammettetelo, quanti/e di voi aspettavano la scena finale? XD Comuqnue se proprio proprio state tanto tanto male ho una mezza minuscola cavolata che non c'entra nulla con Berlin e che magari vi tirerà su il morale, non so... L'ho scritta per Katia quando mi ha minacciato di morte dopo aver letto la scena di Roy XD Quindi, boh, ditemi voi...
Anyway, orami manca poco gente! Vedo la luce alla fine del tunnel! XD E' altamente probabile che il prossimo sia il penultimo capitolo! Giusto per informarvi... XD
Spero di aggiornare presto, ma purtroppo il tempo un po' c'è e un po' va a farsi benedire...
A presto! :D
Lanie
  
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