Una sagra di paese e due amici è lo scenario di questo
racconto. Uno scenario semplice con attori che però non sono
poi così semplici come vorrebbero far credere.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Essere annoiati alla mia età non è certo una
bella cosa. O così almeno pensavo quando fissando lo schermo
digitale dell’orologio contavo passare i minuti
nell’attesa che scoccasse l’ora fatidica in cui mi
sarei potuto alzare e avrei potuto lasciare quel posto assurdo.
Il mio sedere ormai aveva la forma della sedia scomoda sulla quale si
era posato all’arrivo in quel luogo angusto, puzzolente e
affollato. Ma d’altronde, non c’era altra via
d’uscita se non aspettare che tutto avesse un compimento.
Tutto un suo piano prestabilito. Tutto una grande noia.
Accanto a me il mio migliore amico rideva alle battute di una ragazza
mai vista prima, con un bel viso e un ancor più bel
davanzale. Aveva fortuna in amore lui. Lui non era gay.
Mi guardai attorno con l’aria di chi non ne può
più, e immediatamente mi si avvicinò una ragazza
per offrirmi qualcosa da bere. Il mondo era davvero cambiato, un tempo
le ragazze erano sedute ad aspettare il principe azzurro, adesso erano
i principi a sedere su trespoli in attesa di essere notati e scelti
dalle guerriere di passaggio.
“No grazie, sono a posto” risposi sorridendo
affabile mentre in verità desideravo solo vederla
sprofondare sotto terra per aver osato rivolgermi la parola di fronte a
tutti, per aver messo in mostra ancora una volta il mio poco interesse
per il lato femminile del mondo.
La ragazza si allontanò con l’aria da cane
bastonato offeso, non mi guardò più per il resto
della serata, mentre il mio amico mi scoccava una lunga occhiata di
rimprovero. Divertiti, sembravano dire quegli occhi, e come fai a
divertirti se non rimorchi nemmeno quelle che ti vengono a cadere ai
piedi? Non aveva poi tutta quella importanza rimorchiare quella sera,
in una festa di paese in cui l’unica cosa che era in grado di
fare era stare seduto a tracannare birra facendo finta di rimirare le
curve delle ragazze che ondeggiavano più o meno a ritmo
sulla pista di cemento. Allungai la mano e afferrai
l’ennesimo bicchiere, giusto per stare in tema con la serata
che mi era prefissato. Mancava poco ormai, all’una avrei
avuto una qualche scusante per tagliare la corda e andare a rifugiarmi
in casa sotto le coperte. Non ci volevo venire, non ci sarei venuto
affatto se avessi saputo che lo scopo dell’uscita era
rimorchiare. Ma in fondo era sempre rimorchiare.
La birra aveva un gusto freddo ma piacevolmente speziato, potevo
sentire tutta la lavorazione scorrermi sulla lingua, giù
fino alla gola secca per l’irritazione. Qualcuno si sedette
accanto a me, un ragazzo che non avevo mai visto. Gli gettai appena
un’occhiata perplessa, prima di prendere un altro lungo sorso.
“Com’è quella scura?” mi
chiese la voce sconosciuta, e io sorrisi a quella voce, al volto che
l’aveva prodotta e alla figura slanciata che mi si era
accostata per una innocua informazione gastronomica.
“Non male, un po’ forte se non sei abituato alla
birra, ma se chiedi una scura è ovvio che devi aspettarti
una gradazione maggiore rispetto alle altre…”
risposi mentre mi leccavo con tranquillità la schiuma dalle
labbra.
Il ragazzo ordinò una birra scura, come me. Era piacevole
vedere che forse la serata si sarebbe risolta in qualcosa di
più di una noia mortale e qualche battutina ironica
scambiata con il mio migliore amico, attualmente impegnato a limonare
la ragazza sulla pista da ballo. Macinavano i fianchi come stessero per
scoparsi sul momento, di fronte a tutti. Gran bella visione di lascivia
e istinto animale. Disgustato, presi un’altra sorsata di
birra sotto lo sguardo pensieroso del mio nuovo compagno di bevute.
“Sei di queste parti? Non mi pare di averti mai visto in
giro” mormorò bevendo un sorso anche lui dal suo
bicchiere, un sorso lungo che mise in risalto il pomo d’Adamo
sviluppato, mentre beveva con calma la sua birra gelata.
“No, vengo da un paese a una ventina di chilometri da
qui…” risposi alla domanda di rito mentre con un
dito disegnavo il contorno del bicchiere sul tavolo, il segno della
condensa. Il bancone di legno era pieno di segni del genere, molti dei
quali lasciati dalle mie consumazioni.
“Ah ecco…” si limitò a dire
il mio sconosciuto amico con un altro lungo sorso che
dimezzò il contenuto del bicchiere. Se avesse continuato
così ben presto mi avrebbe raggiunto. Non sia mai! Afferrai
il mio e presi una lunga sorsata, ben consapevole dello sguardo
dell’altro sulla mia gola, così simile a quello
che avevo rivolto a lui durante il suo turno di mettersi in mostra che
mi venne da ridere. Era una sfida? Sfida raccolta. Tanto non avevo
nulla di meglio da fare in quella serata maledetta.
Anche lo sfidante afferrò il bicchiere e prese a tracannare
con maestria. Niente male. Poggiammo il vetro nello stesso momento,
rivolgendoci uno sguardo di intesa. La sfida era stata lanciata e
accolta favorevolmente.
“Altro giro?”.
“Altro giro” risposti tranquillo. Almeno avevo
smesso di guardare l’orologio digitale.
La musica cambiò parecchie volte, così come
cambiarono parecchi bicchieri. Dopo due giri ci stufammo di quella
scura e prendendo ispirazione dalla ragazza che si stava facendo il mio
migliore amico, proposi una bionda. Mozione accettata. Altri tre giri.
Poi fu il turno delle rosse, come i capelli del mio sfidante. Dopo una
decina di giri totali, dovetti però chiedere pausa bagno.
Anche il collega pareva sul punto di scoppiare, almeno dal modo in cui
si teneva la cinta dei jeans.
Ci alzammo in contemporanea, ridendo come due idioti. E dire che non mi
ricordavo nemmeno il suo nome, se me lo aveva detto tra una bevuta e
l’altra. Ci allontanammo dalla pista senza il minimo accenno
di instabilità. Eravamo due esperti. I bagni erano a poca
distanza, qualche metro dalla pista forse, ma in un punto abbastanza
isolato da darmi da pensare. E se le birre fossero state un pretesto
per portarmi a quel punto? Ormai non aveva poi molta importanza dato
che ci eravamo infilati nel bagno degli uomini, un prefabbricato di
lamiera issato in tutta fretta a giudicare dai numerosi
spifferi…o erano buchi per vedere chi c’era
dentro? Se le figurava con facilità le orde di ragazzine
curiose che sbirciavano i bagni dei maschi alla ricerca di qualche
uccello da commentare. Magari era dopo aver esaminato il contenuto del
pacco che sceglievano la preda da abbordare in pista. Gli
scappò una risata acida, e dovette spiegare il pensiero al
collega che per tutta risposta rise come lui prendendo
l’ipotesi per probabile mentre si sbottonava i pantaloni.
“Allora diamo qualcosa da vedere a queste
assatanate!” commentò lo straniero tirando fuori
un arnese di tutto rispetto. Io lo guardai interdetto per un attimo
prima di accostarmi al mio bagno prescelto ed estrarre il mio. Mi
guardava. Interessante. Buon segno per la continuazione della serata.
Improvvisamente però la porta principale in lamiera si
spalancò con uno scricchiolio allarmante, come se qualcuno
dovesse buttarla giù da un momento all’altro, e il
mio migliore amico fece la sua comparsa.
“Ah! Non ce la facevo più!”.
Si infilò con naturalezza nel box accanto al mio, non
degnando di un’occhiata me o l’altro ragazzo ora
vagamente imbarazzato. Figurarsi, non avrebbe mai permesso ai suoi
occhi di posarsi sul cazzo di un altro uomo, a lui non interessavano
certe cose. Finii con calma, mi pulii con un fazzoletto che avevo in
tasca e tirai l’acqua. Lo scroscio dello sciacquone mi
ricordò che la sfida non era ancora conclusa, avevamo altri
giri di birra da finire.
“Passiamo a qualcosa di più
sostanzioso?” domandai con aria innocente al rosso mentre
questi ridacchiava sotto i baffi.
“Chiosco del vino o preferisci il piatto forte: la
grappa?” domandò lui come se avesse proposto
effettivamente di andare a bere e basta.
“Dipende, offri tu o devo pagare qualcosa?” certo
che ero uno stronzo, di fronte al mio caro amico poi.
“Se la compagnia merita, un paio di giri li posso
sopportare” rispose lo sconosciuto uscendo dal prefabbricato
del bagno.
Con un accenno di saluto al mio amico corrucciato, lo seguii
all’esterno sentendomi rinfrancato dall’aria fresca
della sera. Da qualche parte, il campanile batteva le due. Non mi ero
nemmeno accorto del tempo che passava. Ottimo.
Il rosso prese posto. Grappa. Andava dritto al sodo. Non mi feci
pregare e mi posizionai accanto a lui. Uno, due, tre,
quattro…erbe, mirtillo, miele, liquirizia…il mio
equilibrio cominciò a vacillare. Era giunto il momento.
“Pausa patatine fritte?”.
“Pausa patatine fritte” concordai alzandomi a
fatica mentre lui per precauzione passava dietro di me in caso fossi
scivolato all’indietro.
Era un ragazzo così premuroso a proteggermi le spalle, o
aveva già deciso che il primo giro lo avrei offerto io. Le
patatine fritte si potevano prendere al bancone accanto alla pesca di
beneficenza, o a quello più lontano accanto alla sala
giochi. Inutile dire che scelse quello più lontano dalla
pista da ballo dove il mio migliore amico aveva ripreso a manipolare il
sedere della ragazza bionda.
Le mani del mio sconosciuto accompagnatore erano calde e solide mentre
me le metteva sulle spalle per darmi una scrollata, come a dire
“ehi, sveglia che adesso arriva il bello!”. Io
sapevo che stava per arrivare il bello, ma era proprio quello il mio
problema al momento.
All’ultimo, deviammo senza che nessuno dei due avesse detto
nulla, e passammo oltre il banco delle patatine, oltre le giostre,
oltre le prime case. Stavamo vagando a caso o avevamo una meta? Le mani
dello sconosciuto ancora sulla spalle mi guidarono con sicurezza,
probabile che fosse di quelle parti o che conoscesse il posto. Io non
ci ero mai stato. Era stata un’idea del mio migliore amico di
fare un giro così lontano, fare nuove esperienze. Belle o
brutte avrei saputo dire solo al termine della serata. Per ora non si
preannunciavano poi così orribili.
Persi vagamente l’equilibrio e mi andai ad appoggiare contro
un palo della luce. Il mio compagno di bevute ridacchiò
della mia debolezza, ma poi si poggiò al palo come me.
Facevamo una bella coppia di ubriachi.
“Ehi, non ti facevo così deboluccio” gli
mormorai su una spalla divertendomi del brivido che lo percorse.
“So essere ben più resistente di
così…” rispose alla provocazione mentre
la sua mano destra vagava come per sbaglio a sfiorarmi la cinta dei
pantaloni. Era tutta una tecnica. Non poteva sapere che io ero gay,
così come io non potevo essere certo se lo fosse lui. Un
passo alla volta, una battuta alla volta, finché uno dei due
non fosse stato sicuro delle intenzioni e inclinazioni, allora le cose
sarebbero precipitate fino al punto di non ritorno, fino alla giusta
conclusione di una serata del genere. La mia mano fece eco alla sua
sfiorandogli la cinta allentata. Ecco, avevo compiuto il gesto di non
ritorno. Ora era fatta, le carte svelate. E il volto dello sconosciuto
si accese di nuova consapevolezza mentre con un ghigno mi scompigliava
i capelli.
“Ecco che fine avevi fatto! …ti senti bene? Dai
muoviti, se torniamo a casa troppo tardi non ci fanno più
uscire! E dire che dovevi essere tu a tenermi
d’occhio!”.
Le carte erano state messe in tavola troppo tardi. Il mio migliore
amico era comparso sulla scena, un jolly inaspettato che aveva
sconvolto il piano prestabilito per la continuazione. E dire che avevo
pensato di dover passare tutta la serata seduto su una sedia al bancone
a consumarmi il fegato con la birra mentre lui si spupazzava la solita
ragazza rimorchiata sul posto. E invece ora che le cose si facevano
interessanti, ecco che tornava fuori con la scusa vecchia e stravecchia
dei genitori che ci aspettavano. Il mio sconosciuto accompagnatore
allontanò la mano dai miei capelli con un sospiro colpevole.
Adesso che ci eravamo riconosciuti dovevamo allontanarci.
“Concluderemo la nostra sfida alla prossima festa di
paese” commentò salutandomi con un cenno mentre si
allontanava verso una strada laterale, verso casa.
Io non commentai, mi limita a scrollare le spalle come a dire che mi
dispiaceva. Ma mi dispiaceva davvero? Il mio migliore amico mi
piazzò un gomito sulla spalla, come se volesse sostenersi a
me, mezzo ubriaco com’ero. Gli sorrisi innocentemente, e lui
mi risistemò i capelli scompigliati.
“Andiamo stallone, ti riporto a casa, per oggi abbiamo fatto
abbastanza vita sociale…” sussurrò
contro il mio orecchio provocandomi un brivido molto simile a quello
che avevo causato io allo sconosciuto dai capelli rossi.
“Ti sei divertito stasera, playboy?” domandai al
mio migliore amico mentre mi affidavo a lui per trovare il nostro mezzo
di trasporto.
“Per niente” rispose il mio ragazzo con un cenno di
scusa.
Camminammo fino alla macchina ridendo delle battute che ci lanciavamo
per cancellare la presenza del mondo dalla nostra vita. Io battute
sulle bionde, lui battute sui maniaci. Eravamo due bambini. Ma quando
la macchina finalmente fu in vista, io mi sentii quasi triste
all’idea che il nostro gioco fosse finito. Finito come la
pretesa di non stare insieme, di non essere diversi da quello che
eravamo.
“A quando la prossima sagra di paese?” domandai con
voce angelica mentre metteva in moto, la mano sul cambio una fantasia
troppo violenta perché io me ne stessi zitto.
“Non c’è fretta, oggi in pista
c’erano anche Morena e le sue amiche. Direi che per un
mesetto siamo a posto. Certo che se anche tu facessi la tua parte,
potremmo non dover fare questa commedia ogni
tot…!”.
Mi allungai slacciando la cinta di sicurezza, prima che pigiasse
sull’acceleratore, e gli schioccai un bacio sulla guancia,
sicuro che con i vetri scuri e il buio della notte le pettegole del
nostro giro di amici non ci avrebbero beccato. Il mio ragazzo
reagì immediatamente afferrandomi con violenza la testa,
ruotando le labbra verso le mie, fino a quando non ci incontrammo con
rabbia e disprezzo, fino a quando la mia lingua non venne risucchiata
nella sua bocca, torturata fino alla soglia del dolore, fino a
dimenticare la mia paura di venire scaricato per una bionda di
passaggio, di venire abbandonato di fronte a tutti come un semplice
amico non più desiderato. Mi morse con violenza il labbro
inferiore ed io gemetti sentendomi in colpa. Ero solo un vigliacco in
fondo.
“La prossima volta non lasciarmi di nuovo da
solo…” mi implorò staccandosi, il
sapore del mio sangue che cancellava l’odiosa presenza
femminile che lo aveva nauseato per tutta la serata, cancellava dalla
mia il preludio del tradimento.
E di nuovo le mie labbra disperate andarono a coprire le sue cercando
di dargli un conforto, una sicurezza che non avrei potuto. Dei due
quello che soffriva di più per quelle stupide recite non ero
io che passavo il tempo al bancone a bere birra e guardare
l’orologio, ma lui a dover fare tutto il lavoro intrattenendo
con il suo corpo ragazze delle quali non gli importava nulla.
“La prossima volta lo faccio io…”
mormorai contro le sue labbra mentre il respiro mi si mozzava
già al solo pensiero.
“Non credo…dei due sei tu quello più
forte, io non potrei sopportare di vederti con…”.
Mi affrettai a zittirlo mentre allungava le mani sul mio corpo, dopo
un’intera serata passata a toccare un corpo che non voleva.
Come sempre la stessa storia, lui che si disprezzava per quella che io
consideravo forza e io che mi disprezzavo per quella che lui
considerava forza.
“Non importa, abbiamo almeno un mese…”.
Un mese solo per noi. Un mese per cancellare la presenza di estranei
dal nostro mondo. Un mese per prepararci al nuovo teatrino.