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Autore: Vala    31/10/2008    2 recensioni
Una sagra di paese e due amici è lo scenario di questo racconto. Uno scenario semplice con attori che però non sono poi così semplici come vorrebbero far credere.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Essere annoiati alla mia età non è certo una bella cosa. O così almeno pensavo quando fissando lo schermo digitale dell’orologio contavo passare i minuti nell’attesa che scoccasse l’ora fatidica in cui mi sarei potuto alzare e avrei potuto lasciare quel posto assurdo.
Il mio sedere ormai aveva la forma della sedia scomoda sulla quale si era posato all’arrivo in quel luogo angusto, puzzolente e affollato. Ma d’altronde, non c’era altra via d’uscita se non aspettare che tutto avesse un compimento. Tutto un suo piano prestabilito. Tutto una grande noia.
Accanto a me il mio migliore amico rideva alle battute di una ragazza mai vista prima, con un bel viso e un ancor più bel davanzale. Aveva fortuna in amore lui. Lui non era gay.
Mi guardai attorno con l’aria di chi non ne può più, e immediatamente mi si avvicinò una ragazza per offrirmi qualcosa da bere. Il mondo era davvero cambiato, un tempo le ragazze erano sedute ad aspettare il principe azzurro, adesso erano i principi a sedere su trespoli in attesa di essere notati e scelti dalle guerriere di passaggio.
“No grazie, sono a posto” risposi sorridendo affabile mentre in verità desideravo solo vederla sprofondare sotto terra per aver osato rivolgermi la parola di fronte a tutti, per aver messo in mostra ancora una volta il mio poco interesse per il lato femminile del mondo.
La ragazza si allontanò con l’aria da cane bastonato offeso, non mi guardò più per il resto della serata, mentre il mio amico mi scoccava una lunga occhiata di rimprovero. Divertiti, sembravano dire quegli occhi, e come fai a divertirti se non rimorchi nemmeno quelle che ti vengono a cadere ai piedi? Non aveva poi tutta quella importanza rimorchiare quella sera, in una festa di paese in cui l’unica cosa che era in grado di fare era stare seduto a tracannare birra facendo finta di rimirare le curve delle ragazze che ondeggiavano più o meno a ritmo sulla pista di cemento. Allungai la mano e afferrai l’ennesimo bicchiere, giusto per stare in tema con la serata che mi era prefissato. Mancava poco ormai, all’una avrei avuto una qualche scusante per tagliare la corda e andare a rifugiarmi in casa sotto le coperte. Non ci volevo venire, non ci sarei venuto affatto se avessi saputo che lo scopo dell’uscita era rimorchiare. Ma in fondo era sempre rimorchiare.
La birra aveva un gusto freddo ma piacevolmente speziato, potevo sentire tutta la lavorazione scorrermi sulla lingua, giù fino alla gola secca per l’irritazione. Qualcuno si sedette accanto a me, un ragazzo che non avevo mai visto. Gli gettai appena un’occhiata perplessa, prima di prendere un altro lungo sorso.
“Com’è quella scura?” mi chiese la voce sconosciuta, e io sorrisi a quella voce, al volto che l’aveva prodotta e alla figura slanciata che mi si era accostata per una innocua informazione gastronomica.
“Non male, un po’ forte se non sei abituato alla birra, ma se chiedi una scura è ovvio che devi aspettarti una gradazione maggiore rispetto alle altre…” risposi mentre mi leccavo con tranquillità la schiuma dalle labbra.
Il ragazzo ordinò una birra scura, come me. Era piacevole vedere che forse la serata si sarebbe risolta in qualcosa di più di una noia mortale e qualche battutina ironica scambiata con il mio migliore amico, attualmente impegnato a limonare la ragazza sulla pista da ballo. Macinavano i fianchi come stessero per scoparsi sul momento, di fronte a tutti. Gran bella visione di lascivia e istinto animale. Disgustato, presi un’altra sorsata di birra sotto lo sguardo pensieroso del mio nuovo compagno di bevute.
“Sei di queste parti? Non mi pare di averti mai visto in giro” mormorò bevendo un sorso anche lui dal suo bicchiere, un sorso lungo che mise in risalto il pomo d’Adamo sviluppato, mentre beveva con calma la sua birra gelata.
“No, vengo da un paese a una ventina di chilometri da qui…” risposi alla domanda di rito mentre con un dito disegnavo il contorno del bicchiere sul tavolo, il segno della condensa. Il bancone di legno era pieno di segni del genere, molti dei quali lasciati dalle mie consumazioni.
“Ah ecco…” si limitò a dire il mio sconosciuto amico con un altro lungo sorso che dimezzò il contenuto del bicchiere. Se avesse continuato così ben presto mi avrebbe raggiunto. Non sia mai! Afferrai il mio e presi una lunga sorsata, ben consapevole dello sguardo dell’altro sulla mia gola, così simile a quello che avevo rivolto a lui durante il suo turno di mettersi in mostra che mi venne da ridere. Era una sfida? Sfida raccolta. Tanto non avevo nulla di meglio da fare in quella serata maledetta.
Anche lo sfidante afferrò il bicchiere e prese a tracannare con maestria. Niente male. Poggiammo il vetro nello stesso momento, rivolgendoci uno sguardo di intesa. La sfida era stata lanciata e accolta favorevolmente.
“Altro giro?”.
“Altro giro” risposti tranquillo. Almeno avevo smesso di guardare l’orologio digitale.
La musica cambiò parecchie volte, così come cambiarono parecchi bicchieri. Dopo due giri ci stufammo di quella scura e prendendo ispirazione dalla ragazza che si stava facendo il mio migliore amico, proposi una bionda. Mozione accettata. Altri tre giri. Poi fu il turno delle rosse, come i capelli del mio sfidante. Dopo una decina di giri totali, dovetti però chiedere pausa bagno. Anche il collega pareva sul punto di scoppiare, almeno dal modo in cui si teneva la cinta dei jeans.
Ci alzammo in contemporanea, ridendo come due idioti. E dire che non mi ricordavo nemmeno il suo nome, se me lo aveva detto tra una bevuta e l’altra. Ci allontanammo dalla pista senza il minimo accenno di instabilità. Eravamo due esperti. I bagni erano a poca distanza, qualche metro dalla pista forse, ma in un punto abbastanza isolato da darmi da pensare. E se le birre fossero state un pretesto per portarmi a quel punto? Ormai non aveva poi molta importanza dato che ci eravamo infilati nel bagno degli uomini, un prefabbricato di lamiera issato in tutta fretta a giudicare dai numerosi spifferi…o erano buchi per vedere chi c’era dentro? Se le figurava con facilità le orde di ragazzine curiose che sbirciavano i bagni dei maschi alla ricerca di qualche uccello da commentare. Magari era dopo aver esaminato il contenuto del pacco che sceglievano la preda da abbordare in pista. Gli scappò una risata acida, e dovette spiegare il pensiero al collega che per tutta risposta rise come lui prendendo l’ipotesi per probabile mentre si sbottonava i pantaloni.
“Allora diamo qualcosa da vedere a queste assatanate!” commentò lo straniero tirando fuori un arnese di tutto rispetto. Io lo guardai interdetto per un attimo prima di accostarmi al mio bagno prescelto ed estrarre il mio. Mi guardava. Interessante. Buon segno per la continuazione della serata.
Improvvisamente però la porta principale in lamiera si spalancò con uno scricchiolio allarmante, come se qualcuno dovesse buttarla giù da un momento all’altro, e il mio migliore amico fece la sua comparsa.
“Ah! Non ce la facevo più!”.
Si infilò con naturalezza nel box accanto al mio, non degnando di un’occhiata me o l’altro ragazzo ora vagamente imbarazzato. Figurarsi, non avrebbe mai permesso ai suoi occhi di posarsi sul cazzo di un altro uomo, a lui non interessavano certe cose. Finii con calma, mi pulii con un fazzoletto che avevo in tasca e tirai l’acqua. Lo scroscio dello sciacquone mi ricordò che la sfida non era ancora conclusa, avevamo altri giri di birra da finire.
“Passiamo a qualcosa di più sostanzioso?” domandai con aria innocente al rosso mentre questi ridacchiava sotto i baffi.
“Chiosco del vino o preferisci il piatto forte: la grappa?” domandò lui come se avesse proposto effettivamente di andare a bere e basta.
“Dipende, offri tu o devo pagare qualcosa?” certo che ero uno stronzo, di fronte al mio caro amico poi.
“Se la compagnia merita, un paio di giri li posso sopportare” rispose lo sconosciuto uscendo dal prefabbricato del bagno.
Con un accenno di saluto al mio amico corrucciato, lo seguii all’esterno sentendomi rinfrancato dall’aria fresca della sera. Da qualche parte, il campanile batteva le due. Non mi ero nemmeno accorto del tempo che passava. Ottimo.
Il rosso prese posto. Grappa. Andava dritto al sodo. Non mi feci pregare e mi posizionai accanto a lui. Uno, due, tre, quattro…erbe, mirtillo, miele, liquirizia…il mio equilibrio cominciò a vacillare. Era giunto il momento.
“Pausa patatine fritte?”.
“Pausa patatine fritte” concordai alzandomi a fatica mentre lui per precauzione passava dietro di me in caso fossi scivolato all’indietro.
Era un ragazzo così premuroso a proteggermi le spalle, o aveva già deciso che il primo giro lo avrei offerto io. Le patatine fritte si potevano prendere al bancone accanto alla pesca di beneficenza, o a quello più lontano accanto alla sala giochi. Inutile dire che scelse quello più lontano dalla pista da ballo dove il mio migliore amico aveva ripreso a manipolare il sedere della ragazza bionda.
Le mani del mio sconosciuto accompagnatore erano calde e solide mentre me le metteva sulle spalle per darmi una scrollata, come a dire “ehi, sveglia che adesso arriva il bello!”. Io sapevo che stava per arrivare il bello, ma era proprio quello il mio problema al momento.
All’ultimo, deviammo senza che nessuno dei due avesse detto nulla, e passammo oltre il banco delle patatine, oltre le giostre, oltre le prime case. Stavamo vagando a caso o avevamo una meta? Le mani dello sconosciuto ancora sulla spalle mi guidarono con sicurezza, probabile che fosse di quelle parti o che conoscesse il posto. Io non ci ero mai stato. Era stata un’idea del mio migliore amico di fare un giro così lontano, fare nuove esperienze. Belle o brutte avrei saputo dire solo al termine della serata. Per ora non si preannunciavano poi così orribili.
Persi vagamente l’equilibrio e mi andai ad appoggiare contro un palo della luce. Il mio compagno di bevute ridacchiò della mia debolezza, ma poi si poggiò al palo come me. Facevamo una bella coppia di ubriachi.
“Ehi, non ti facevo così deboluccio” gli mormorai su una spalla divertendomi del brivido che lo percorse.
“So essere ben più resistente di così…” rispose alla provocazione mentre la sua mano destra vagava come per sbaglio a sfiorarmi la cinta dei pantaloni. Era tutta una tecnica. Non poteva sapere che io ero gay, così come io non potevo essere certo se lo fosse lui. Un passo alla volta, una battuta alla volta, finché uno dei due non fosse stato sicuro delle intenzioni e inclinazioni, allora le cose sarebbero precipitate fino al punto di non ritorno, fino alla giusta conclusione di una serata del genere. La mia mano fece eco alla sua sfiorandogli la cinta allentata. Ecco, avevo compiuto il gesto di non ritorno. Ora era fatta, le carte svelate. E il volto dello sconosciuto si accese di nuova consapevolezza mentre con un ghigno mi scompigliava i capelli.
“Ecco che fine avevi fatto! …ti senti bene? Dai muoviti, se torniamo a casa troppo tardi non ci fanno più uscire! E dire che dovevi essere tu a tenermi d’occhio!”.
Le carte erano state messe in tavola troppo tardi. Il mio migliore amico era comparso sulla scena, un jolly inaspettato che aveva sconvolto il piano prestabilito per la continuazione. E dire che avevo pensato di dover passare tutta la serata seduto su una sedia al bancone a consumarmi il fegato con la birra mentre lui si spupazzava la solita ragazza rimorchiata sul posto. E invece ora che le cose si facevano interessanti, ecco che tornava fuori con la scusa vecchia e stravecchia dei genitori che ci aspettavano. Il mio sconosciuto accompagnatore allontanò la mano dai miei capelli con un sospiro colpevole. Adesso che ci eravamo riconosciuti dovevamo allontanarci.
“Concluderemo la nostra sfida alla prossima festa di paese” commentò salutandomi con un cenno mentre si allontanava verso una strada laterale, verso casa.
Io non commentai, mi limita a scrollare le spalle come a dire che mi dispiaceva. Ma mi dispiaceva davvero? Il mio migliore amico mi piazzò un gomito sulla spalla, come se volesse sostenersi a me, mezzo ubriaco com’ero. Gli sorrisi innocentemente, e lui mi risistemò i capelli scompigliati.
“Andiamo stallone, ti riporto a casa, per oggi abbiamo fatto abbastanza vita sociale…” sussurrò contro il mio orecchio provocandomi un brivido molto simile a quello che avevo causato io allo sconosciuto dai capelli rossi.
“Ti sei divertito stasera, playboy?” domandai al mio migliore amico mentre mi affidavo a lui per trovare il nostro mezzo di trasporto.
“Per niente” rispose il mio ragazzo con un cenno di scusa.
Camminammo fino alla macchina ridendo delle battute che ci lanciavamo per cancellare la presenza del mondo dalla nostra vita. Io battute sulle bionde, lui battute sui maniaci. Eravamo due bambini. Ma quando la macchina finalmente fu in vista, io mi sentii quasi triste all’idea che il nostro gioco fosse finito. Finito come la pretesa di non stare insieme, di non essere diversi da quello che eravamo.
“A quando la prossima sagra di paese?” domandai con voce angelica mentre metteva in moto, la mano sul cambio una fantasia troppo violenta perché io me ne stessi zitto.
“Non c’è fretta, oggi in pista c’erano anche Morena e le sue amiche. Direi che per un mesetto siamo a posto. Certo che se anche tu facessi la tua parte, potremmo non dover fare questa commedia ogni tot…!”.
Mi allungai slacciando la cinta di sicurezza, prima che pigiasse sull’acceleratore, e gli schioccai un bacio sulla guancia, sicuro che con i vetri scuri e il buio della notte le pettegole del nostro giro di amici non ci avrebbero beccato. Il mio ragazzo reagì immediatamente afferrandomi con violenza la testa, ruotando le labbra verso le mie, fino a quando non ci incontrammo con rabbia e disprezzo, fino a quando la mia lingua non venne risucchiata nella sua bocca, torturata fino alla soglia del dolore, fino a dimenticare la mia paura di venire scaricato per una bionda di passaggio, di venire abbandonato di fronte a tutti come un semplice amico non più desiderato. Mi morse con violenza il labbro inferiore ed io gemetti sentendomi in colpa. Ero solo un vigliacco in fondo.
“La prossima volta non lasciarmi di nuovo da solo…” mi implorò staccandosi, il sapore del mio sangue che cancellava l’odiosa presenza femminile che lo aveva nauseato per tutta la serata, cancellava dalla mia il preludio del tradimento.
E di nuovo le mie labbra disperate andarono a coprire le sue cercando di dargli un conforto, una sicurezza che non avrei potuto. Dei due quello che soffriva di più per quelle stupide recite non ero io che passavo il tempo al bancone a bere birra e guardare l’orologio, ma lui a dover fare tutto il lavoro intrattenendo con il suo corpo ragazze delle quali non gli importava nulla.
“La prossima volta lo faccio io…” mormorai contro le sue labbra mentre il respiro mi si mozzava già al solo pensiero.
“Non credo…dei due sei tu quello più forte, io non potrei sopportare di vederti con…”.
Mi affrettai a zittirlo mentre allungava le mani sul mio corpo, dopo un’intera serata passata a toccare un corpo che non voleva. Come sempre la stessa storia, lui che si disprezzava per quella che io consideravo forza e io che mi disprezzavo per quella che lui considerava forza.
“Non importa, abbiamo almeno un mese…”.
Un mese solo per noi. Un mese per cancellare la presenza di estranei dal nostro mondo. Un mese per prepararci al nuovo teatrino.
  
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