Semir si
bloccò
all’improvviso in mezzo al parcheggio e rimase immobile a
bocca aperta per
alcuni istanti.
Non era vero.
Non poteva crederci.
Strinse gli occhi per mettere bene a fuoco la piccola figura che si
avvicinava
di corsa e si accorse che non poteva essere solo una sua allucinazione.
No, era vera... lei era vera!
Mentre qualunque pensiero razionale si interrompeva
all’interno della sua
mente, l’ispettore cominciò a correre a perdifiato
verso quella figura che
nella limpida aria settembrina si faceva sempre più nitida.
E quando le fu abbastanza vicino, si inginocchiò e la
accolse tra le sue
braccia ancora senza credere ai propri occhi.
«Aida...»
mormorò stringendo
a sé l’esile corpicino della bambina, lasciando
che lacrime di liberazione gli
scorressero senza freno sulle guance «Aida, cucciolo
mio!».
«Papà!» esclamò lei ridendo
dalla gioia e divincolandosi poi dall’abbraccio del
padre, che però sembrava non volerne sapere di lasciarla
andare.
Passarono attimi interminabili prima che finalmente Semir si
distanziasse
appena da lei rimanendo in ginocchio, le prendesse le mani tra le sue e
la fissasse
negli occhi per un lungo istante, scostandole una ciocca di capelli da
davanti
al viso.
«Cucciolo mio, stai bene?» domandò in un
soffio accarezzandole la fronte senza
distogliere lo sguardo dai suoi profondi occhi scuri.
Aida annuì con un sorriso, nonostante la sua espressione
tradisse una forte
stanchezza «Ma papà, perché
piangi?».
Semir sorrise asciugandosi le lacrime e senza rispondere alla domanda
della
figlia «Ti voglio bene cucciolo... non sai quanto ti voglio
bene!»
«Anche io papà.».
L’ispettore sorrise ancora, quindi lentamente prese in
braccio la bambina e si voltò
per avviarsi verso l’entrata del commissariato, quando vide
Ben corrergli
incontro sbalordito.
Il più giovane aveva l’aria stupita e sconvolta.
«Principessa!» sussurrò prima che Aida
si gettasse tra le sue braccia per
salutarlo.
Ben la prese in braccio togliendola a Semir, che ne fu sollevato
perché non
sapeva per quanto la avrebbe retta ancora, gli tremavano troppo le
gambe, era
troppo agitato.
Gli sembrava di non riuscire più a respirare, di non
riuscire a muoversi e non
riusciva ad impedire alle lacrime di scendere.
Rideva e piangeva contemporaneamente, non capiva nemmeno cosa stesse
succedendo.
Per la prima volta dopo tre mesi e mezzo stava riscoprendo il
significato della
parola “felicità” e ancora non capiva
come tutto ciò potesse essere possibile.
Mezz’ora
dopo, i due
ispettori erano seduti nel loro ufficio e Aida era comodamente
sistemata a
cavalcioni delle gambe del padre.
Nemmeno la Kruger e il resto del distretto aveva creduto ai propri
occhi non
appena l’aveva vista entrare al comando tra le braccia di
Ben, ma dopo che il
commissario si era assicurata che la bambina stesse bene, aveva
concesso ai
suoi uomini di portarla con loro nell’ufficio per fare in
modo che la piccola
raccontasse tutto solo a loro due e che così si sentisse
più libera di parlare.
«Quanto è buio questo ufficio papà, non
possiamo accendere la luce?» esordì
Aida guardandosi intorno.
«La principessa è servita.» fece
scherzosamente Ben schiacciando con il dito
l’interruttore. E improvvisamente una luce bianca invase la
stanza rendendola
più allegra, sostituendo la penombra e la tristezza che
l’avevano riempita
nelle ultime settimane.
Poi il poliziotto uscì dall’ufficio in fretta e
rientrò pochi secondi dopo con
una tazza di tè fumante che pose delicatamente tra le mani
della bambina.
«Grazie zio Ben.».
«Prego tesoro. Allora, ci racconti tutto o sei stanca e vuoi
prima riposarti?».
«No no, vi racconto.» disse lei sorseggiando la
bevanda bollente con calma,
sempre in braccio a Semir, che ancora non riusciva a proferire parola.
«Però non so dirvi dove mi abbia tenuto
quell’uomo. Era una stanza buia e
quadrata ma non si sentiva nessun rumore dall’esterno e
quando mi ha liberata
mi ha portata prima bendata in centro e solo lì mi ha
lasciato andare perché venissi
in commissariato.».
«Ti ha liberato?» fece Ben corrucciando la fronte
«Ma non sei scappata?».
Aida scosse il capo posando la tazza ancora mezza piena sulla scrivania
«Ha
detto che mi avrebbe liberato perché ha cambiato i suoi
piani e che vi chiamerà
perché ha in mente un gioco...».
«Un... gioco?».
«Sì ma non so altro zio Ben, quell’uomo
non mi ha detto nulla.».
L’ispettore più giovane storse la bocca in una
smorfia di incomprensione «Vai
avanti, principessa.».
«Non è che abbia molto da raccontare, in
realtà. In fondo mi ha trattata bene,
mi dava da mangiare e da bere normalmente e mi lasciava libera di
girare per la
stanza, poi ogni tanto passava a controllarmi. Non mi ha fatto del male
e ha
parlato poco con me, ha solo accennato ad un altro suo ospite.».
A queste parole Semir si irrigidì visibilmente e finalmente
trovò il coraggio
di parlare «Un... un altro ospite?».
«Sì papà, ma non mi ha detto il suo
nome e io non l’ho mai visto.».
L’ispettore annuì ma a Ben non sfuggì
l’ombra di preoccupazione che tornò ad
impossessarsi dei suoi occhi sostituendo la serenità che era
stata l’unico
sentimento alleggiante nell’aria in quell’ultima
mezz’ora.
«Tu sei sicura di stare bene, cucciolo?»
domandò ancora Semir accarezzandole i
capelli.
Aida annuì scendendo dalle ginocchia del padre e guardandolo
negli occhi
«Possiamo andare da Lily e dalla mamma?».
«Ma certo che possiamo, anzi ci andiamo subito. Ben, va bene
se porto Aida a
casa e torno? Lo dici tu alla Kruger?».
Ben annuì comprensivo «Se mi dai retta Semir, tu a
casa ci rimani e passi
l’intero pomeriggio con Andrea e le tue splendide
bambine.» propose facendogli
l’occhiolino.
«Grazie.» sorrise Semir uscendo
dall’ufficio con la figlia per mano.
Comincio
con il
ringraziare tutti voi che state leggendo. Grazie a chi ha
già inserito la
storia tra le seguite o le preferite e a chi ha recensito.
Piccola
parentesi di felicità... riprenderemo presto con agonia e
disperazione
;)
Un
bacione!
Sophie
:D