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Autore: Smaugslayer    29/11/2014    2 recensioni
[seguito di Quidditch con delitto, http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2540840&i=1]
I (doppi)giochi sono aperti, e questa volta condurranno Sherlock Holmes e John Watson dal 221B di Baker Street al numero 12 di Grimmauld Place, Londra.
Se a Hogwarts i due eroi erano al centro delle vicende, ora saranno trasportati dalla storia del Ragazzo Sopravvissuto fino al cuore della Seconda Guerra Magica. E per tenere fede alle proprie convinzioni dovranno tradirle...
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Poco tempo dopo, Sherlock fu costretto a provare la propria fedeltà al Signore Oscuro per poter entrare tra schiere dei Mangiamorte.
 
“Hanno detto che ci andrò da solo, ma naturalmente all’ultimo secondo mi affibbieranno uno dei loro per assicurarsi che non mi tiri indietro e compia il mio lavoro come si deve. Non si scherza col test rosso… non mi hanno ancora comunicato chi dovrò uccidere, ma ho un paio di idee. Mi dispiace, ma dovrò farlo. Devo portare avanti il mio compito, e se in futuro potrò salvare delle vite lo farò, ma non questa volta.”
 
Era sera, e i due coinquilini stavano oziando in salotto al lume di una lampada. John aveva un libro aperto sulle ginocchia; non leggeva da quando l’amico aveva iniziato a parlare, ma nemmeno gli rispose: Sherlock non stava realmente conversando con lui, stava solo cercando di ripulirsi la coscienza. Aveva già ucciso una volta, ma in circostanze completamente diverse: l’aveva fatto per tenere fede a una promessa, e la sua vittima era un uomo che meritava davvero di morire. Stavolta avrebbe dovuto assassinare un innocente.
 
“John, non mi ignorare. Lo vedo che stai ascoltando.”
 
John levò lo sguardo verso di lui e alzò le spalle. “Che vuoi che ti dica? Che ti perdonerò se stanotte ammazzerai qualcuno? Non posso farci niente, io, se la causa dell’Ordine vuole che tu diventi un Mangiamorte. …E dai, ammettilo” aggiunse poi, dopo una pausa “in fondo adori tutti questi pericoli, i doppi giochi, rischiare la vita…”
 
“Tu sai perché lo sto facendo, vero? Oltre all’adrenalina, e al fatto che odio Voldemort perché attacca chi è diverso” disse Sherlock in tono grave, sporgendosi sulla sedia.
 
“Che intendi?” John chiuse il libro e lo ripose a terra, come a intendere che con quella frase aveva catturato la sua attenzione.
Sherlock aveva le mani congiunte e i gomiti posati sulle ginocchia. Teneva gli occhi bassi, come se non osasse guardarlo. “Come già sai, mia madre è Purosangue, mentre mio padre è nato Babbano.”
 
John annuì. “Mhm.”
 
“Durante la Prima Guerra Magica, nel 1980, due Mangiamorte fecero irruzione a casa nostra. Credo che l’obiettivo fosse mio padre, ma i due presero di mira tutta la famiglia. Uno di loro era lì per il test d’iniziazione… come me stanotte.”
 
John sapeva che entrambi i genitori di Sherlock erano tuttora vivi e vegeti, e si chiedeva dove sarebbe andato a parare con la narrazione.
 
Sherlock prese un profondo respiro e batté una volta le mani. “Per farla breve, Mycroft non è il mio unico fratello.”
 
“Davvero? Non mi hai mai detto di averne un altro.” Come al solito, John non aveva afferrato la questione fondamentale.
 
“Non ne ho un altro. Non più.”
 
Cosa?”
 
“Ne avevo un altro. Aveva circa dieci anni più di me. E…”
John sbuffò e alzò le braccia. “Sherlock, ci sarà una volta in cui mi racconterai tutta la verità su di te? Mi pare che ne avessimo già parlato.”
 
“Lo sto facendo ora.”
 
“Bene. Vai avanti” sospirò John.
 
“Quando i due Mangiamorte fecero irruzione, mia madre prese mio fratello Mycroft e si Smaterializzò con lui in un rifugio sicuro che i miei avevano predisposto in precedenza. Io ero dall’altro lato della casa da solo, nascosto sotto un letto, quando i due mi trovarono…
 
 
 
Il pavimento era freddo e polveroso, ma se fosse rimasto nascosto non lo avrebbero trovato. Aveva addirittura lasciato spenta la luce della stanza, ingoiando la propria paura per il buio, perché non capissero dove si era rintanato. Quando sentì i loro passi in corridoio si ritrasse contro il muro, aderendo completamente al battiscopa per essere certo di non sporgere fuori dal letto. I due si affacciarono alla porta, esaminando ogni angolo della stanza con la luce delle bacchette.
 
Il più alto tra loro era spaventoso: i suoi capelli biondi sembravano bianchi, aveva il viso lungo e smunto e occhi pallidi. Il più basso era anche più robusto e più giovane, e aveva ancora la faccia butterata dai brufoli. “Dovremmo dividerci” propose.
 
“Non se ne parla” replicò l’altro con acidità. “Devo tenerti d’occhio.”
 
“Ci metteremo ore se…”
 
Sherlock sentì un familiare pizzicore al naso mentre la polvere gli solleticava le narici e si tappò la bocca, ma ormai era troppo tardi per bloccare lo starnuto.
 
Ci fu un lungo silenzio. Il bambino tenne le mani davanti al volto, senza osar muovere un muscolo. Quasi sperava ancora di non essere stato udito. Poi vide le ginocchia dei due uomini piegarsi e le loro luci abbassarsi e si rannicchiò di scatto, come se questo potesse renderlo invisibile ai loro occhi.
 
“È solo un bambino” grugnì quello alto con delusione. “Muoviti, andiamo.”
 
“È uno schifoso mezzosangue” sputacchiò quello basso in uno scatto d’ira.
 
“Non siamo qui per questo” lo rimbrottò l’altro, tirandolo per una manica. “Dobbiamo cercare il vecchio.”
 
“Bene! Vediamo se uscirà fuori più facilmente, una volta che avremo il ragazzino.”
 
Sherlock li fissava ad occhi spalancati, senza reagire. Quando quello basso si avvicinò lui si ritrasse ancora di più, e i due scoppiarono a ridere.
 
“Lascialo in pace! Stupeficium!” urlò una voce in corridoio: suo fratello, senza dubbio. Quello alto, che era ancora fuori dalla stanza, fu colpito da una luce rossa e fu scaraventato via, fuori dalla sua visuale.
 
Quello basso corse fuori, esultante, con la bacchetta sguainata. “Holmes! Sapevo… protego! …oh, non provarci con me, vecchio Babbano! Scagliami una fattura, e io avrò tutto il tempo di colpire tuo fratello!”
 
“Lascialo stare, è mio padre che state cercando. Lui non c’entra nulla” disse la voce di suo fratello al di là del muro.
 
“È uno schifoso Mezzosangue, proprio come te, e tu lo sai benissimo. Oppure adesso neghi addirittura di aver nascosto a tutti di essere figlio di un Nato Babbano, a Hogwarts?” ringhiò quello con disprezzo.
 
“Non nego nulla” disse suo fratello con voce glaciale. “Ero un idiota, e ora me ne pento. Tu eri un idiota allora, e un idiota sei rimasto.”
 
Sherlock si rese conto che l’uomo vestito di nero non lo stava guardando, era troppo preso da suo fratello. Gli ci volle un attimo per decidere: prestando molta attenzione a non fare rumore, strisciò fuori dal letto e zampettò fino al muro, scivolando poi sulla parete per non farsi notare. Dalla nuova angolazione, vide che suo fratello distava meno di tre metri dal suo aguzzino, ma non si era accorto del suo spostamento: stava fissando un punto dritto davanti a sé, quasi senza sbattere le palpebre. I suoi capelli castani erano piatti e gocciolanti d’acqua, e indossava una tuta da ginnastica e una maglietta sformata: doveva essere sotto la doccia, quando i due Mangiamorte erano arrivati.
Sherlock doveva dargli un vantaggio per permettergli di colpire quello basso.
 
In quel momento suo fratello urlò: “Ora!”
 
Colto di sorpresa, lui fece l’unica cosa che gli venne in mente: si buttò con tutto il peso addosso all’uomo nero, mandandolo a sbattere contro il muro del corridoio e facendogli perdere la presa sulla bacchetta.
 
In quell’esatto momento, una terza voce gridò: “Expelliarmus!”, ma l’incantesimo, anziché colpire l’uomo in nero, che era appena crollato addosso alla parete, colpì suo fratello.
 
L’uomo nero ruggì, scrollandosi di dosso il bambino e gettandolo a terra; si scagliò addosso al vecchio compagno a mani nude, senza recuperare la bacchetta e rotolò, con lui per diversi metri.
 
“Sherlock!” chiamò suo padre, correndo da lui. Avrebbe desiderato scagliare una fattura al Mangiamorte, ma lui e il figlio erano avvinghiati troppo stretti, un groviglio di corpi, e non poteva rischiare di tramortire la persona sbagliata. Così avvolse tra le braccia il bimbo e si Smaterializzò insieme a lui.
 
 
 
…Attendemmo per ore che mio fratello ci raggiungesse. Invano. Quando finalmente i miei osarono tornare a casa, lo trovarono lì, in corridoio, ucciso da una Maledizione Senza Perdono.”
 
Per Godric, Sherlock…” John era rimasto a bocca aperta.
 
“E io stasera sarò quell’uomo.” Sherlock non aveva ancora osato sollevare lo sguardo. “Stasera io –Simon- sarà quel fanatico disposto a uccidere chiunque si metta sul suo cammino di distruzione.”
 
John era ancora sconvolto. “No, non è vero. Tu dovrai solo fingere di essere quel fanatico. Non lo sarai per davvero.”
 
“Hai mai notato che mio fratello Mycroft è la persona più fredda e insensibile del Regno Unito?” replicò Sherlock.
 
“Anche del resto del mondo, probabilmente.”
 
“L’ha imparato quel giorno, ad evitare qualsiasi coinvolgimento emotivo, quando ha visto il fratello maggiore morire per aver provato dei sentimenti.”
 
“Tuo fratello doveva amarti molto se è morto per te” si lasciò sfuggire John. “Scusa” si affrettò a dire non appena si rese conto dell’inadeguatezza delle proprie parole.
Sherlock alzò per la prima volta gli occhi, fissandolo con sguardo penetrante. “Sì, doveva amarmi molto se è morto per me” concordò. “Forse però Mycroft non ha tutti i torti: mi servirebbe un po’ della sua freddezza, stasera…” aggiunse poi in tono leggero. “Be’, rallegrati, John. Domattina sentirai parlare delle mie imprese.”
 
 
 
Amelia Bones, membro del Wizengamot, fu trovata morta il mattino seguente. Le autorità Babbane impazzirono nel risolvere il mistero del suo omicidio, poiché quando era stata uccisa la donna era barricata in casa con porte e finestre sbarrate dall’interno.
Sherlock si prese un giorno libero dal lavoro, e quando John tornò a casa, quella sera, lo trovò a suonare il violino.
 
Aveva sempre trovato curiosa la passione di Sherlock per la musica, una forma di poesia che aveva espressione nelle emozioni e nei sentimenti suscitati nell’ascoltatore. Sherlock riversava tutto se stesso nei suoi componimenti, come se non potesse esprimersi in altro modo. Di solito la sua musica era melanconica e nostalgica, mentre stavolta sembrava che volesse bruciare l’archetto eseguendo una successione sempre più rapida di note stridenti; stava riprendendo spartiti celebri, storpiando accordi e melodie nell’agghiacciante parodia del perfetto violinista classico.
 
Non appena notò il coinquilino sulla soglia di casa, Sherlock gettò il violino nella custodia e si acciambellò sulla sua poltrona come un gatto.
 
John avrebbe preferito che continuasse a suonare; ora non poteva più chiudersi nella propria stanza e ignorarlo, ma non aveva la più pallida idea di cosa dirgli. Non si era mai sentito così a corto di idee.
 
“Sei stato tu, vero?” No, John, pessimo, pessimo inizio.
 
“No. È stato Simon Church.”
 
“Sì. Giusto. Porte chiuse dall’interno?”
 
“Il mio collega riteneva che fosse divertente mettere i Babbani in difficoltà. L’ho assecondato.”
 
“Non aveva figli, lei, vero?”
 
“No. Era sola. Ed era una brava persona.”
 
Sherlock si alzò dalla poltrona e gli andò incontro, continuando a guardarlo negli occhi. Si arrotolò la manica sinistra della camicia, esponendo il Marchio Nero tatuato sull’avambraccio. La pelle attorno al disegno era rossa, probabilmente infettata dalla maledizione. Una vena pulsava all’impazzata nell’incavo del suo gomito.
 
“È stato… è stato doloroso?”
 
Sherlock arricciò le labbra mentre rifletteva. “Non proprio. Non ha fatto male al braccio. Ma non è stata nemmeno indolore: indica pur sempre una sottomissione volontaria a un mago oscuro.”
 
“Oh.”
 
“Mi hanno dato anche la maschera e il mantello. Se non sapessi cosa fanno abitualmente, penserei che siano una qualche ridicola confraternita di teatranti. Per di più sono davvero scomodi, non ho idea del perché li usino.”
 
Sherlock tentava di scherzare per alleggerire la situazione, e John gli diede corda. “Già, mi chiedo se il prossimo passo saranno delle maschere da Carnevale Veneziano.”
 
“Bellatrix Lestrange potrebbe vestirsi da Colombina” aggiunse Sherlock con un sorrisetto forzato.
 
John si allontanò da Sherlock facendo un passo indietro. “Ok, basta così.”
 
“Oh, Mary, eccoti qui.” Sherlock si tirò giù la manica della camicia e riabbottonò il polsino tenendolo stretto contro il petto.
 
“Mary!”
 
“John, sei tornato!” La ragazza gli si avvicinò per baciarlo. “Ero venuta a trovare Sherlock, e la signora Hudson mi ha chiesto di aiutarla con una piccola faccenda” spiegò.
 
John sorrise, senza sapere bene come replicare. “Bene” tentò. “Come va con… insomma…”
 
“Sherlock mi ha dato un medicinale contro la nausea, per fortuna, quindi sto bene. A proposito, Sherlock, mi ero dimenticata di dirti che dobbiamo andare a fare le prove del tuo abito, sabato.”
 
“Il mio cosa?” disse Sherlock, allibito, e John scoppiò a ridere.
 
“Il tuo abito da testimone! Devi provarlo, prima di indossarlo.”
 
“Sì, giusto.” Sherlock scosse la testa e inviò all’amico un’occhiata terrorizzata. “Ehm, sì. Come stavo dicendo, John, ho inviato un messaggio in codice a Silente per informarlo che ha una nuova spia. Ne è stato piuttosto soddisfatto.”
 
“Aspetta, cosa intendi con nuova? Non sei l’unico?” chiese John, accigliandosi.
 
“Certo che no, che sciocchezza. Cosa credevi? Silente ha sempre avuto le sue risorse.”
 
“Però la Giratempo te la sei dovuta rubare da solo.”
 
“Ecco, a questo proposito… stavo riflettendo sulla cosa che Silente mi ha detto quella sera, ti ricordi? Che quell’orologio mi avrebbe permesso di diventare padrone del tempo, ma alla fine dal tempo sarei stato soggiogato. Te lo ricordi, no?”
 
“L’avrai ripetuto almeno cinquantasette volte da allora…”
 
“All’inizio ho creduto che fosse una citazione e ho provato a ricercarla, pensando che potesse essere un indizio o un consiglio che non poteva pronunciare ad alta voce, ma poi ho scartato l’idea. Quando l’ho contattato per informarlo che il nostro progetto procede, stamattina, gli ho chiesto delucidazioni. Lui mi ha inviato questo.” Sherlock estrasse dalla tasca dei pantaloni un pezzettino di pergamena pieghettato e glielo porse. “Io e Mary stavamo aspettando te per passare alla prossima fase del piano.”
 
“«R.J.L., 1980, metamorfomagus, ?»” lesse John. “Cosa significa? E di quale piano parli?”
 
“Ho fatto delle ricerche. Quel cartiglio accompagnava una delle profezie conservate all’Ufficio Misteri che si sono rotte durante l’incursione di Harry Potter e dei suoi amici. Sappiamo che questa profezia è stata pronunciata nel 1980 da un veggente il cui nome inizia per R. J. L., giusto? Così mi sono travestito da mio fratello, sono andato a controllare negli archivi del Ministero –c’è il libero accesso a tutti, lo sapevi? - e ho scoperto che esiste solo una persona con il dono della Vista e con quelle iniziali che era in vita vent’anni fa e lo è tuttora: Reyna Jane Hartnell, nata Reyna Jane Lindsey. Attualmente risiede a Chiswick, Londra con il marito e la figlia. Io e Mary pensavamo di farle una visitina.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Smaug’s cave
Dunque, dunque. Dato che l’unica cosa che sappiamo del terzo Holmes è che ha avuto uno slancio di amore fraterno ed è probabilmente finito male, ho voluto fare lo stesso. Ho deciso di non dargli un nome perché non mi andava di inventarlo, nel caso che poi comparisse davvero in una delle prossime stagioni.
Nonnn ho molto altro da dire, quindi… alla settimana prossima! Preparatevi ad incontrare Reyna Jane Hartnell ;)
 
 
  
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