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Autore: dustintome    30/11/2014    0 recensioni
«Signore, sono venuto qui per conto della signorina Sheila che mi ha chiesto di leggerle questo diario, se a lei non dispiace. Mi ha detto che ultimamente è solo e vicino alla morte, mi scusi per il mio esser diretto, e che un po' di compagnia e di sana lettura non le avrebbe fatto male.»
John restava immobile, allorché il signore tirò fuori il diario e iniziò a leggere.
23 maggio 1967
Caro diario,
Genere: Fluff, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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I.

Dal terreno continuava ad alzarsi polvere che offuscava la vista dei soldati. Le urla si alternavano agli spari, i silenzi agli scoppi delle bombe. La maggior parte delle tende umanitarie erano state fatte a brandelli ma erano ancora l'ultima zattera per avere  la vita salva.

Un bambino che poteva avere all'incirca dieci anni era steso per terra in una di queste, tratteneva a stento le lacrime dal dolore: lo avevano ferito ad una gamba ma il suo medico era stato ucciso da una lamina di ferro proveniente da qualche carro armato finito in fiamme ed ora lui si ritrovava lì, solo, confuso ed impaurito. In quel campo ormai non era rimasto nessun alleato, quindi di chi erano quei passi che si sentivano vicino alla tenda? Jasaf, il bambino, decise di nascondersi dietro ad un armadio di metallo, purtroppo non riusciva a piegare l'arto dal dolore e così un piede rimaneva fuori.

Un passo, poi un altro e la sagoma dell'uomo iniziò ad intravvedersi. Il casco rotondo, un facile a doppia pompa : doveva essere dell'armata nemica. Di qui la decisione di scappare. Jasaf con le ultime forze che gli rimanevano fece leva sulla gamba sana e si alzò, ma perse subito l'equilibrio e appoggiandosi troppo sull'armadio lo fece cadere provocando un tal frastuono che il cadetto lì fuori preso di sorpresa sparò un colpo, allora il ragazzino gridò.

Dall'altra parte della tenda John Watson entrò come un lampo fulmineo, tappò la bocca al bambino e si accucciarono insieme. Il militare entrò nella tenda e puntò il fucile contro Jasaf.
Con gli occhi azzurri in lacrime John urlò «È solo un bambino. In nome di Dio, come- » ma un colpo fu sparato e John cadde di lato. Il bambino iniziò a strillare ed un secondo colpo lo zittì.


«Signor Watson! Signor Watson, si svegli! Sta rifacendo quegli incubi sul passato!»  John socchiuse gli occhi, la stanza bianca era appena stata illuminata dal sole e in giro si aggiravano due persone con lunghi camici bianchi, uno stava riordinando la stanza, l'altro osservava con aria minacciosa una cartelletta «Sono le nove e un quarto, avrebbe già dovuto prendere la sua medicina. Ma dov'è la dottoressa Torres?» disse rivolgendosi all'altro medico, poi con aria rassicurante e indossando un sorriso palesemente falso cinguettò «Signor Watson, presto le faremo avere la sua colazione.» scrutò ancora un po' la cartelletta «Ah! Oggi aspetta visite, signor Watson, questo pomeriggio, e c'è anche la 'priorità assoluta', quindi deve essere una persona importante. Una fidanzatina dei tempi della guerra? Eh, suvvia, mi dica! Oh, aspetti, deve aver già firmato i moduli. Si, ecco qui: Sh-» il volto di John si illuminò «Sheila. Sheila e basta, non c'è il cognome. Le dice qualcosa?» il medico alzò il viso sul paziente che non mostrava segni di interesse «Mick, questo si è riaddormentato.»





«Signor Watson, si svegli!» John socchiuse per la seconda volta gli occhi, stessa stanza bianca, stessi mobili verde mela, ma il sole che illuminava ciò non era quello del mattino. «La sua visita è arrivata.»
«Mi scuso con lei, ma la signorina Sheila non è potuta venire ed ha mandato me.» ai piedi del letto c'era un uomo slanciato, snello, ma che aveva certo la sua età. Indossava un bel completo: la cravatta viola balzava all'occhio senza troppa insistenza tra una camicia bianca e una giacca nera. Le scarpe, anche se nessuno le riusciva a vedere, erano ben tirate a lucido: tutto era stato curato nei minimi dettagli. L'uomo si passò una mano tra i capelli bianchi arruffolandoli un po', poi si volse verso il dottore «Ci potrebbe lasciare soli?»
«Certamente!» come al solito sorrise e se ne andò chiudendo la porta.
«Signore, sono venuto qui per conto della signorina Sheila che mi ha chiesto di leggerle questo diario, se a lei non dispiace. Mi ha detto che ultimamente è solo e vicino alla morte, mi scusi per il mio esser diretto, e che un po' di compagnia e di sana lettura non le avrebbe fatto male.»
John restava immobile, allorché il signore tirò fuori il diario e iniziò a leggere.




23 maggio 1967

Caro diario,
finalmente il primo quadrimestre è finito. Mary insiste ancora per farmi andare alla festa di questa sera e con molta probabilità mi ritroverò là senza volerlo. Il campus è così grande, ci sono tante confraternite e Mary doveva entrare proprio in quella che in me poteva scaturire irritamento? Prenderò una birra e starò in disparte, solo questo. Farò felice me e avrò l'illusione di essere felice anche io. Bussano alla porta, ti scriverò più tardi.


24 maggio 1967

Caro diario,
perché la Luna è così sola? Probabilmente non dovrei essere rinchiuso nello sgabuzzino con un lume acceso solo per non dare fastidio al mio coinquilino, ma ricordare questa sera per me è la priorità.
Mary è venuta nella mia stanza, diciamo che si è pure fiondata, vestita con un elegantissimo abito giallo,  al collo c'era un foulard bianco e sulla testa un fiocco legava i capelli in una coda.
«Ancora non sei pronto?» mi ha detto guardando la mia maglietta «E quella cos'è? Una macchia di caffè? Ah John Watson, sei un ragazzo impossibile. Va bene che fare tardi alle feste aumenta la popolarità, ma noi non vogliamo essere popolari, quindi mettiti il vestito che ti ho portato l'altro giorno, ringrazia mio fratello e raggiungimi al piano di sotto, io intanto vado a bussare a Jo e Jenna, loro di sicuro saranno pronti.»
Brontolai e appena chiuse la porta mi gettai sul letto per prepararmi psicologicamente.
Mi misi il completo preso in prestito, non sembrava affatto adatto a me e le manche erano troppo lunghe. Ma la cravatta azzurra piaceva a Mary, diceva che si abbinava ai miei occhi.
La raggiunsi scendendo le scale, insieme a lei c'era Jenna che era intenta a sistemare il papillon a Jo. Quest'ultimo si voltò verso di me e mi venne ad abbracciare «John! Ma quale onore averti tra noi questa sera. No, seriamente, dovresti farti vedere più spesso in giro. Magari potremmo organizza un'uscita a quattro.»
«Ma io e John non stiamo insieme.» disse Mary per puntualizzare, poi mi guardò e abbassò gli occhi arrossendo. Sapevo cosa Mary provasse per me, ma i miei sentimenti non erano gli stessi ed io ho davvero bisogno di un'amica come lei ora.
Jenna interruppe il silenzio con una risata «Eddai Jo, non stare sempre a farti gli affari degli altri!»
«Io volevo essere solo carino. Sarà meglio andare. John, la tua pigrizia ci farà morire prima o poi.»
Arrivati alla festa mi diressi subito in cucina buttando giù una scusa che suonava più o meno come «Vado a prendervi da bere.» ma che in realtà era più un «Vado a cercare un posto sicuro per me.».
Passò mezz'ora, nessuno venne a cercarmi e la gente iniziò ad arrivare. Andai in sala e venni subito raggiunto dalla mano di Mary «Dov'eri finito? Le bevande le hanno messe di qua. Guarda chi sta arrivando! Quelli sono i più anziani della confraternita.» guardai lungo il dito che aveva alzato per indicarli e notai un gruppo di ragazzi alti che si guardavano intorno per assicurarsi che tutto stesse procedendo per il meglio «Vado a salutarli. Tu resta qui.» approffitai dell'occasione per dirigermi da qualche altra parte in un posto sicuro «Dove stai andando, John? La festa è appena iniziata.» un'altra mano mi cinse il polso, era Coraline del corso di medicina, «Non sto molto bene, vado un secondo fuori a prendere un po' d'aria.». Vidi la porta sul retro e mi gettai all'esterno. A sinistra c'era una coppia intenta a consumare la propria passione, quindi girai l'angolo a destra, camminai per qualche metro e poi mi sedetti lungo il muro della casa. Da dentro potevo sentire gli schiamazzi e qualche canzone dei Beatles che faceva ballare una quarantina di cuori innamorati.
Gettai la testa all'indietro e mi misi ad osservare la Luna.
«Perché la Luna è così sola?»
«Come scusa?» mi ritrovai a dire prima ancora di vedere il mio interlocutore.
«Perché la Luna è così sola?»
Un ragazzo davanti a me aveva le mani in tasca e, come me, era intento ad osservare il cielo. I capelli corvini erano illuminati dalla luce argentea.
«Non lo so.» risposi confuso.
«La Luna non è sola: ha tantissime stelle intorno a lei. Solo che preferisce rivolgere il suo amore verso di noi.»
Il ragazzo si girò verso di me e i suoi occhi incontrarono i miei, subito esplose un sorriso nel suo volto che era più luminoso di qualsiasi stella.
Questo fu il giorno in cui conobbi Sherlock Holmes.











   
 
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