Una
seconda possibilità
Iniziò
tutto una fredda sera d'inverno, quando il destino bussò
alla mia
porta in un modo inaspettato.
Era il primo di Dicembre. Il freddo
esterno, in contrasto con il calore interno della casa, appannava i
vetri delle finestre, dove mia sorella Nojiko si divertiva a scrivere
con il dito indice, lasciando messaggi che erano destinati a
svanire.
Io, Nami Cocoyashi, ero rannicchiata sulla poltrona
davanti allo scoppiettante fuoco, intenta, non solo a riscaldarmi, ma
anche a fissare l'orologio appeso al muro della sala, proprio di
fronte a me.
Erano le otto e mezza, lo ricordo bene visto che ogni
sera mi toccava uscire di casa per andare al lavoro a quell'ora. Un
lavoro che non mi soddisfava appieno ma che facevo per guadagnare
qualche soldo, per arrivare a fine mese senza essere sommersa dai
debiti.
Mi incamminai verso l'appendiabiti accanto alla porta
d'entrata e presi il mio cappottino di lana bianco con bottoni neri.
Lo indossai insieme a sciarpa e cappello, sembrava quasi che stessi
per uscire nel bel mezzo di una tempesta di neve per come mi ero
conciata.
Non avevo molta voglia di abbandonare il calore di casa
per il freddo esterno, eppure mi toccava.
Baciai mia sorella
minore sulla fronte, solleticandole il naso con i miei lunghi capelli
color del fuoco e poi salutai i miei genitori.
Quella sera in
casa non si respirava un clima gioioso come di solito, ma c'era
tensione, nervosismo, forse troppo.
Sono sempre stata una persona
empatica, fin da bambina: quando un mio compagno soffriva, per
qualche motivo serio, non per stupidaggini come un mal di pancia, io
sentivo, percepivo il suo dolore dentro di me come se lo provassi in
prima persona. È per questo che quella sera di Dicembre,
percependo
la tensione dei miei genitori, l'assorbii rendendola mia, rendendola
parte di me.
Basta un soffio per portarti lontano.
Un
alito di vento per spezzare una foglia.
Uscii di casa
rabbrividendo, portandomi le mani a coppa davanti alla bocca,
sfregandole e riscaldandole con il mio fiato.
Abitavo in una
piccola villetta fuori città, accanto a casa mia passava la
strada
provinciale, a quell'orario solitamente deserta.
Con mille
pensieri per la testa e il nervosismo che aleggiava dentro di me come
un toro che aspetta di uscire nell'arena, salii la piccola salita
ritrovandomi sul ciglio della strada, camminando dritta per
raggiungere la mia macchina parcheggiata a qualche metro di
distanza.
Era mia abitudine, tutte le sere, voltarmi per una
frazione di secondo, con lo sguardo puntato sulla strada buia dietro
di me, come se aspettassi qualcuno, quel qualcuno che però
non
arrivava mai.
Il buio sembra parlarmi, cosa vuole dirmi?
Il
buio è mio nemico, oggi lo so.
Quella sera però troppi
erano i pensieri che opprimevano la mia mente, troppe le
preoccupazioni, così per la prima volta non mi voltai.
Continuai a
camminare ed è lì che il destino ha giocato la
sua carta.
Veloce,
da quel profondo buio, due fari illuminarono la mia figura,
abbagliandola con la loro luce dorata.
Non ho avuto il tempo di
realizzare niente, il tempo di pensare, il tempo di salvarmi...
Il
rombo del motore sempre più vicino, troppo vicino...e poi lo
schianto.
Sono stata presa al fianco sinistro dal muso della
macchina, ma è bastato per sbalzarmi in avanti.
Metri di asfalto
si susseguono sotto di me, mentre volo, come una foglia portata dal
vento.
E quando ormai pensi che sia arrivata la fine, il
destino si beffa di te
Niente è mai come sembra, anche quando
tutto sembra ormai chiaro
Lì nel buio di quella strada
costeggiata di pini.
Lì, in un angolo del ciglio della strada,
con gli aghi di pino nei capelli e il sangue rosso come un rubino, ma
ora scuro come la notte, intento a macchiare l'asfalto ed il terreno
vicino; c'ero io, o meglio il mio corpo, agonizzante.
Avevo
pensato mille volte a come sarei morta, chi non ci pensa infondo. Un
incidente era una delle possibilità, quando si pensa ai modi
più
brutti e dolorosi, ma in realtà non ci ho mai creduto
veramente. No!
Io volevo vivere ancora! Realizzare il mio sogno di diventare una
scrittrice, non per la fama, ma per me stessa. Ma ora quel sogno,
mentre sono qui, distesa a terra con il corpo in preda ad un dolore
così forte da non avvertire neanche il gelo della notte,
anche lui,
anche il mio sogno è sfumato.
Un angelo sei tu.
Un
angelo sei sempre stato.
Caduto o no dal cielo, mi hai
salvato.
Gli occhi mi si chiudono lentamente e ripenso
alla mia famiglia.
Alla tv accesa, è così alta da sopprimere
ogni suono esterno.
Penso alla macchina che mi ha ridotto così,
ed è scappata.
Penso a me, che me ne sto andando, chissà dove.
Forse, se esiste, in un paradiso che la terra si può solo
sognare.
Chiudo gli occhi, stanca.
Sono pronta.
Un
improvviso stridere di pneumatici mi fa capire che sono ancora qui,
che sono ancora viva.
Delle luci, fari.
Dei passi,
frettolosi.
Una voce, profonda.
-oh mio Dio!- esclama una voce
maschile - dimmi che non sei morta, cazzo!- vorrei rimproverarlo per
la parolaccia appena detta come faccio con mia sorella, o dovrei dire
come facevo, ma non ne ho le forze.
Sento delle dita calde sul mio
collo ed il respiro di quell'uomo mi fa sentire viva, mi fa
aggrappare con tutte le forze all'ultima possibilità che ho
di
vivere.
Lotto.
Lotto per non cedere.
Lotto per il mio
sogno.
Lotto perché non sempre è il destino ha decidere
il
nostro futuro.
La sua voce roca mi arriva come un sussurro ora. È
sempre più lontana, sempre più debole.
- Un'ambulanza sulla
provinciale nove! Subito! C'è una donna in fin di vita...-
E
poi il buio ti porta via
In luoghi lontani e sconosciuti
In
silenziose tenebre che cullano il tuo sonno.
Non so quanto
tempo sia passato da quella notte, ma so con certezza che non sono
morta, anche se in realtà non sono neanche totalmente viva.
Mi
risveglio, se così si può dire, da quel sonno
profondo che mi ha
travolto di colpo, quella notte.
I miei occhi sono ancora chiusi,
ma il mio corpo ora è sveglio, attivo.
Mi sento rinata, anche se
non riesco a destarmi completamente.
Ebbene si, sono uscita da
quel limbo in cui ero caduta, ma una parte di me è
intrappolata
ancora nel mezzo.
Provo ad aprire gli occhi, ma non ci
riesco.
Scalpito, non voglio restare così, non voglio rimanere un
vegetale.
La mia rabbia si quieta quando improvvisamente sento
delle voci. Voci molto familiari.
-Si è mossa! Nami ha mosso la
mano, ne sono sicura!- la mia sorellina. Vorrei piangere, ma non
posso. Sento la sua presenza qui, accanto a me. Le sue mani a coppa
sulla mia.
Voglio darle una speranza, devo darle una speranza.
A
lei, a me.
Mi dibatto con tutta me stessa obbligando il mio corpo
a muoversi, ma sembra inutile, finché...
-Dio! Non ci posso
credere! La mia bambina...- la voce di mio padre Genzo, forte ma in
quel momento così fragile, mi scioglie.
Voglio svegliarmi, devo
svegliarmi, per loro, per me.
-Chiama i medici Nojiko, vai!- le
ordina mio padre e lei corre, lo sento dai suoi passi frettolosi sul
pavimento.
Diverse voci si susseguono, una sopra l'altra. Mani
guantate toccano il mio corpo, ed ora percepisco anche dei fili
attaccati alle mie braccia, alle mie tempie.
Sto impazzendo,
voglio svegliarmi, ma non ci riesco.
-Le condizioni di sua figlia,
Signor Cocoyashi, sono migliorate. Ma è ancora presto per
pronunciare una prognosi- la voce roca del medico mi riporta
indietro, catapultandomi in un ricordo non troppo lontano.
Una
stessa voce roca mi intima di non morire, di non mollare. La stessa
voce dell'uomo che mi ha salvato, del mio angelo.
Sento il bisogno
sfrenato di udire ancora quella voce. Di aggrapparmi ad essa come ho
fatto quella sera, non cedendo alla morte, ma lottando.
Tendo le
orecchie per udirla, ma non c'è.
Il medico pensavo fosse lui, la
sua voce, la mia ancora, ma non è così.
Passano i giorni, forse
settimane ed io sono sempre qua.
Mia sorella ogni giorno mi legge
qualche capitolo dei miei libri preferiti e le voglio bene anche per
questo.
I miei genitori sono distrutti, lo percepisco dalle loro
voci strozzate, deboli. Mi supplicano di svegliarmi, di tornare da
loro, vorrei tanto farlo, ma non ci riesco.
Ho atteso tanto di
sentire la sua voce, ma lui non è mai arrivato. Non so
perché lo
cerchi così disperatamente, so solo che ho bisogno di lui.
Ti
cerco ma tu non ci sei. Dove sei?
Il sole caldo che mi ha
riscaldato, ora non c'è, come mi risveglierò ora?
Successe
un giorno, quando ormai anche la più piccola speranza era
svanita,
eppure capitò lo stesso.
-Dai vieni! Sono mesi che resti fuori
dalla stanza a guardarla, è ora che parli con lei. Sono
sicura che
sente tutto- la voce squillante di mia sorella mi risveglia dallo
stato di torpore in cui mi ero nascosta, stanca di
lottare.
-Ehm...ciao- una voce impacciata, ma che riconosco lo
stesso. È lui, non posso crederci! Nojiko ha detto che mi
viene a
trovare da mesi, ma non è mai entrato nella mia stanza,
perché?
Ecco perché non sentivo la sua voce, ma cercavo la sua
presenza.
Lui è sempre stato qui, accanto a me.
-Beh, dannazione non so che
dire- mi viene da ridere, il suo imbarazzo è palpabile - Ora
devo
andare. Spero che un giorno ti risveglierai- con queste ultime parole
quella voce tanto attesa si interrompe. Vorrei urlargli di non
andare, di restare, ma non posso, non ci riesco sono confinata qui,
in questo stato semi cosciente.
Percepisco un tocco leggero sulla
guancia. È lui, lo sento. Il mio cuore batte più
forte, perché uno
sconosciuto mi fa tutto questo effetto?
È vai via,
lontano
Dove non posso cercarti, trovarti
Subito dopo
che è andato via mi sono sentita sola, vuota. Pensavo di non
aver
più speranze e, invece, quella notte mi sono svegliata.
Sono
tornata a vivere, decisa a sfruttare ogni secondo a mia disposizione.
A rischiare per i miei sogni. Perché la vita è
una sola e va
vissuta appieno, soprattutto quando si ha una seconda
possibilità.
E
vivrò come se ogni giorno fosse l'ultimo
Continuando a cercarti,
sempre.
Sono passati due anni, due anni intensi e vissuti,
finalmente.
Mi sono completamente ripresa, per fortuna,
dall'incidente, che ora è solo un brutto ricordo del mio
passato,
tranne lui.
Non l'ho più visto, o meglio sentito da quel giorno.
Non si è fatto più vivo all'ospedale, ma questo
non ha fermato la
mia ricerca.
So solo il suo nome: Zoro, riferitomi da mia sorella.
So che è un bel ragazzo, atletico e con i capelli di uno
strano
verde smeraldino. Basta, non so altro di lui, per questo in due anni
non sono riuscita a trovarlo.
Però ho sfruttato appieno ogni
attimo ed ho finalmente realizzato il mio sogno.
Sono una
scrittrice, anche piuttosto amata.
Invento storie d'amore, senza
viverne una pienamente. Su questo punto sono ferma, bloccata, senza
sapere un perché.
Sto aspettando qualcosa, qualcuno.
Oggi,
nell'ennesima presentazione del mio nuovo libro "Amori rubati",
penso a lui.
Firmo autografi sui libri, soddisfatta di me stessa.
Felice.
Ho pensato molte volte a cosa sarebbe successo se non
avessi mai avuto l'incidente, forse la mia vita sarebbe rimasta
monotona e piena di paure e rimpianti.
Chi lo sa, a volte da una
cosa brutta ne viene una bella, come nel mio caso.
Concentrata nel
firmare autografi, uno dopo l'altro, non mi accorgo di lui.
-A chi
devo fare la dedica?- dico alzando lentamente lo sguardo.
-A
Chopper- che nome strano, penso per poi realizzare....Quella voce, la
conosco!
È lui!
Rimango di sasso a fissare questo ragazzo
alto, dai profondi occhi neri e i capelli smeraldo.
È lui, il
mio angelo.
Mi alzo di scatto, tanto velocemente da far cadere la
sedia all'indietro. Ho attirato l'attenzione di tutti i presenti,
mentre lui mi guarda con occhi spalancati.
-Sei tu! Sei Nami!-
dice con la sua profonda voce maschile.
La mia manager intuisce
che ho bisogno di una pausa e fa spostare i presenti nella stanza
affianco dove c'è un lauto banchetto ad attenderli. Anche il
piccolo
Chopper va con loro.
Ora siamo solo io e lui.
Nami e Zoro. Come
quella fredda sera d'inverno quando lui mi ha salvato.
- Non sei
più venuto a trovarmi! Ti ho cercato ovunque!- dico con una
confidenza tale da sembrare che ci conosciamo da sempre.
-Ho
ricevuto una proposta di lavoro l'ultimo giorno che sono venuto a
trovarti. Sono partito...ma io...- arrossì, evidentemente
imbarazzato per ciò che non riusciva a dire. Eppure aveva
un'aria
così fiera che l'imbarazzo sembrava l'ultima cosa che lo
potesse
sfiorare.
-Ma tu…?- gli domandai. Volevo sapere cosa mi stava
nascondendo. Sono sempre stata una ficcanaso, ed ora non faccio
differenze.
-Ma io ti ho sempre pensato- continua, lasciandomi di
sasso -Non so perché, ma da quella sera, quando ti ho
trovato sulla
strada, tra la vita e la morte, mi sono sentito legato a te-
- La
tua voce mi ha portato indietro! Mi hai salvato! Mi hai dato una
seconda possibilità di vivere!- dico con gli occhi lucidi,
l'emozione è troppa.
Sento, ed ora posso anche vederla, la sua
mano che mi sfiora la guancia - Sei viva... Sei sveglia... Non posso
crederci...- piego il capo e mi appoggio al suo palmo aperto
-È
bello poterti vedere e risentire la tua voce, finalmente-
I nostri
sguardi si incatenano, si fondono, diventando un'unica cosa.
-Cosa
ci fai qui?- gli chiedo improvvisamente.
-Il mio fratellino
adottivo vuole fare un regalo a nostra sorella Robin. Lei ama
leggere. Il tuo libro mi ha come chiamato e non ho avuto dubbi che
fosse il regalo perfetto- mi racconta, per poi riprendere un po' di
contegno e serietà. Mi guarda ancora, sempre - Ti va di
prendere un
caffè insieme?- mi chiede.
Annuisco. Come mai potrei rifiutare?!
In fondo aspettavo solo questo!
È stato il destino a farci
incontrare?
Era già tutto scritto? Non so.
Però come una
foglia sono volata via, per poi rinascere di nuovo e
ritrovarti.
Rimanemmo chiusi in quella caffetteria per
un'ora, mentre la mia assistente, Kaya, si occupava di Chopper.
Zoro
mi raccontò che per molti anni aveva lavorato nella palestra
a
qualche kilometro da casa mia, la stessa palestra a cui avevo sempre
desiderato iscrivermi, ma ero troppo pigra per farlo.
Ogni sera
lui passava davanti casa mia, mezz'ora dopo che io ero uscita per
andare al lavoro, tranne quella fatidica sera, quando mi ha
salvato.
Parlammo così tanto, eravamo in sintonia, sulla stessa
lunghezza d'onda. Due facce della stessa medaglia.
Il destino
aveva giocato bene le sue carte, calcolando tutto.
Capii che in
realtà, nel mio cuore, ogni sera quando uscivo di casa e mi
voltavo
ad osservare la strada buia dietro di me, aspettavo lui, senza
incrociarlo mai.
Ora però siamo qui, insieme, vivi.
Siamo
liberi come l'aria, senza nessun legame, tranne quello che il destino
ha creato per noi.
Usciamo sfiorandoci le mani.
Ci guardiamo e
quello basta per farmi capire che da oggi in poi lui sarà
sempre lì,
al mio fianco, così come deve essere.
Perché lui è la mia
seconda possibilità e io la sua.