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Autore: kiko90    30/11/2014    4 recensioni
In una fredda sera d'inverno la vita di Nami viene stravolta, ma spesso da una cosa brutta può nascerne una bella, e Nami si accorgerà di avere una seconda possibilità per vivere al meglio la sua vita.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro, Un po' tutti | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Una seconda possibilità




Iniziò tutto una fredda sera d'inverno, quando il destino bussò alla mia porta in un modo inaspettato.
Era il primo di Dicembre. Il freddo esterno, in contrasto con il calore interno della casa, appannava i vetri delle finestre, dove mia sorella Nojiko si divertiva a scrivere con il dito indice, lasciando messaggi che erano destinati a svanire.
Io, Nami Cocoyashi, ero rannicchiata sulla poltrona davanti allo scoppiettante fuoco, intenta, non solo a riscaldarmi, ma anche a fissare l'orologio appeso al muro della sala, proprio di fronte a me.
Erano le otto e mezza, lo ricordo bene visto che ogni sera mi toccava uscire di casa per andare al lavoro a quell'ora. Un lavoro che non mi soddisfava appieno ma che facevo per guadagnare qualche soldo, per arrivare a fine mese senza essere sommersa dai debiti.
Mi incamminai verso l'appendiabiti accanto alla porta d'entrata e presi il mio cappottino di lana bianco con bottoni neri. Lo indossai insieme a sciarpa e cappello, sembrava quasi che stessi per uscire nel bel mezzo di una tempesta di neve per come mi ero conciata.
Non avevo molta voglia di abbandonare il calore di casa per il freddo esterno, eppure mi toccava.
Baciai mia sorella minore sulla fronte, solleticandole il naso con i miei lunghi capelli color del fuoco e poi salutai i miei genitori.
Quella sera in casa non si respirava un clima gioioso come di solito, ma c'era tensione, nervosismo, forse troppo.
Sono sempre stata una persona empatica, fin da bambina: quando un mio compagno soffriva, per qualche motivo serio, non per stupidaggini come un mal di pancia, io sentivo, percepivo il suo dolore dentro di me come se lo provassi in prima persona. È per questo che quella sera di Dicembre, percependo la tensione dei miei genitori, l'assorbii rendendola mia, rendendola parte di me.

Basta un soffio per portarti lontano.
Un alito di vento per spezzare una foglia.


Uscii di casa rabbrividendo, portandomi le mani a coppa davanti alla bocca, sfregandole e riscaldandole con il mio fiato.
Abitavo in una piccola villetta fuori città, accanto a casa mia passava la strada provinciale, a quell'orario solitamente deserta.
Con mille pensieri per la testa e il nervosismo che aleggiava dentro di me come un toro che aspetta di uscire nell'arena, salii la piccola salita ritrovandomi sul ciglio della strada, camminando dritta per raggiungere la mia macchina parcheggiata a qualche metro di distanza.
Era mia abitudine, tutte le sere, voltarmi per una frazione di secondo, con lo sguardo puntato sulla strada buia dietro di me, come se aspettassi qualcuno, quel qualcuno che però non arrivava mai.

Il buio sembra parlarmi, cosa vuole dirmi?
Il buio è mio nemico, oggi lo so.


Quella sera però troppi erano i pensieri che opprimevano la mia mente, troppe le preoccupazioni, così per la prima volta non mi voltai. Continuai a camminare ed è lì che il destino ha giocato la sua carta.
Veloce, da quel profondo buio, due fari illuminarono la mia figura, abbagliandola con la loro luce dorata.
Non ho avuto il tempo di realizzare niente, il tempo di pensare, il tempo di salvarmi...
Il rombo del motore sempre più vicino, troppo vicino...e poi lo schianto.
Sono stata presa al fianco sinistro dal muso della macchina, ma è bastato per sbalzarmi in avanti.
Metri di asfalto si susseguono sotto di me, mentre volo, come una foglia portata dal vento.

E quando ormai pensi che sia arrivata la fine, il destino si beffa di te
Niente è mai come sembra, anche quando tutto sembra ormai chiaro


Lì nel buio di quella strada costeggiata di pini.
Lì, in un angolo del ciglio della strada, con gli aghi di pino nei capelli e il sangue rosso come un rubino, ma ora scuro come la notte, intento a macchiare l'asfalto ed il terreno vicino; c'ero io, o meglio il mio corpo, agonizzante.
Avevo pensato mille volte a come sarei morta, chi non ci pensa infondo. Un incidente era una delle possibilità, quando si pensa ai modi più brutti e dolorosi, ma in realtà non ci ho mai creduto veramente. No! Io volevo vivere ancora! Realizzare il mio sogno di diventare una scrittrice, non per la fama, ma per me stessa. Ma ora quel sogno, mentre sono qui, distesa a terra con il corpo in preda ad un dolore così forte da non avvertire neanche il gelo della notte, anche lui, anche il mio sogno è sfumato.

Un angelo sei tu.
Un angelo sei sempre stato.
Caduto o no dal cielo, mi hai salvato.


Gli occhi mi si chiudono lentamente e ripenso alla mia famiglia.
Alla tv accesa, è così alta da sopprimere ogni suono esterno.
Penso alla macchina che mi ha ridotto così, ed è scappata.
Penso a me, che me ne sto andando, chissà dove. Forse, se esiste, in un paradiso che la terra si può solo sognare.
Chiudo gli occhi, stanca.
Sono pronta.

Un improvviso stridere di pneumatici mi fa capire che sono ancora qui, che sono ancora viva.
Delle luci, fari.
Dei passi, frettolosi.
Una voce, profonda.
-oh mio Dio!- esclama una voce maschile - dimmi che non sei morta, cazzo!- vorrei rimproverarlo per la parolaccia appena detta come faccio con mia sorella, o dovrei dire come facevo, ma non ne ho le forze.
Sento delle dita calde sul mio collo ed il respiro di quell'uomo mi fa sentire viva, mi fa aggrappare con tutte le forze all'ultima possibilità che ho di vivere.
Lotto.
Lotto per non cedere.
Lotto per il mio sogno.
Lotto perché non sempre è il destino ha decidere il nostro futuro.
La sua voce roca mi arriva come un sussurro ora. È sempre più lontana, sempre più debole.
- Un'ambulanza sulla provinciale nove! Subito! C'è una donna in fin di vita...-

E poi il buio ti porta via
In luoghi lontani e sconosciuti
In silenziose tenebre che cullano il tuo sonno.


Non so quanto tempo sia passato da quella notte, ma so con certezza che non sono morta, anche se in realtà non sono neanche totalmente viva.
Mi risveglio, se così si può dire, da quel sonno profondo che mi ha travolto di colpo, quella notte.
I miei occhi sono ancora chiusi, ma il mio corpo ora è sveglio, attivo.
Mi sento rinata, anche se non riesco a destarmi completamente.
Ebbene si, sono uscita da quel limbo in cui ero caduta, ma una parte di me è intrappolata ancora nel mezzo.
Provo ad aprire gli occhi, ma non ci riesco.
Scalpito, non voglio restare così, non voglio rimanere un vegetale.
La mia rabbia si quieta quando improvvisamente sento delle voci. Voci molto familiari.
-Si è mossa! Nami ha mosso la mano, ne sono sicura!- la mia sorellina. Vorrei piangere, ma non posso. Sento la sua presenza qui, accanto a me. Le sue mani a coppa sulla mia.
Voglio darle una speranza, devo darle una speranza.
A lei, a me.
Mi dibatto con tutta me stessa obbligando il mio corpo a muoversi, ma sembra inutile, finché...
-Dio! Non ci posso credere! La mia bambina...- la voce di mio padre Genzo, forte ma in quel momento così fragile, mi scioglie.
Voglio svegliarmi, devo svegliarmi, per loro, per me.
-Chiama i medici Nojiko, vai!- le ordina mio padre e lei corre, lo sento dai suoi passi frettolosi sul pavimento.

Diverse voci si susseguono, una sopra l'altra. Mani guantate toccano il mio corpo, ed ora percepisco anche dei fili attaccati alle mie braccia, alle mie tempie.
Sto impazzendo, voglio svegliarmi, ma non ci riesco.
-Le condizioni di sua figlia, Signor Cocoyashi, sono migliorate. Ma è ancora presto per pronunciare una prognosi- la voce roca del medico mi riporta indietro, catapultandomi in un ricordo non troppo lontano.
Una stessa voce roca mi intima di non morire, di non mollare. La stessa voce dell'uomo che mi ha salvato, del mio angelo.
Sento il bisogno sfrenato di udire ancora quella voce. Di aggrapparmi ad essa come ho fatto quella sera, non cedendo alla morte, ma lottando.
Tendo le orecchie per udirla, ma non c'è.
Il medico pensavo fosse lui, la sua voce, la mia ancora, ma non è così.
Passano i giorni, forse settimane ed io sono sempre qua.
Mia sorella ogni giorno mi legge qualche capitolo dei miei libri preferiti e le voglio bene anche per questo.
I miei genitori sono distrutti, lo percepisco dalle loro voci strozzate, deboli. Mi supplicano di svegliarmi, di tornare da loro, vorrei tanto farlo, ma non ci riesco.
Ho atteso tanto di sentire la sua voce, ma lui non è mai arrivato. Non so perché lo cerchi così disperatamente, so solo che ho bisogno di lui.

Ti cerco ma tu non ci sei. Dove sei?
Il sole caldo che mi ha riscaldato, ora non c'è, come mi risveglierò ora?

Successe un giorno, quando ormai anche la più piccola speranza era svanita, eppure capitò lo stesso.
-Dai vieni! Sono mesi che resti fuori dalla stanza a guardarla, è ora che parli con lei. Sono sicura che sente tutto- la voce squillante di mia sorella mi risveglia dallo stato di torpore in cui mi ero nascosta, stanca di lottare.
-Ehm...ciao- una voce impacciata, ma che riconosco lo stesso. È lui, non posso crederci! Nojiko ha detto che mi viene a trovare da mesi, ma non è mai entrato nella mia stanza, perché?
Ecco perché non sentivo la sua voce, ma cercavo la sua presenza. Lui è sempre stato qui, accanto a me.
-Beh, dannazione non so che dire- mi viene da ridere, il suo imbarazzo è palpabile - Ora devo andare. Spero che un giorno ti risveglierai- con queste ultime parole quella voce tanto attesa si interrompe. Vorrei urlargli di non andare, di restare, ma non posso, non ci riesco sono confinata qui, in questo stato semi cosciente.
Percepisco un tocco leggero sulla guancia. È lui, lo sento. Il mio cuore batte più forte, perché uno sconosciuto mi fa tutto questo effetto?

È vai via, lontano
Dove non posso cercarti, trovarti


Subito dopo che è andato via mi sono sentita sola, vuota. Pensavo di non aver più speranze e, invece, quella notte mi sono svegliata.
Sono tornata a vivere, decisa a sfruttare ogni secondo a mia disposizione. A rischiare per i miei sogni. Perché la vita è una sola e va vissuta appieno, soprattutto quando si ha una seconda possibilità.

E vivrò come se ogni giorno fosse l'ultimo
Continuando a cercarti, sempre.


Sono passati due anni, due anni intensi e vissuti, finalmente.
Mi sono completamente ripresa, per fortuna, dall'incidente, che ora è solo un brutto ricordo del mio passato, tranne lui.
Non l'ho più visto, o meglio sentito da quel giorno. Non si è fatto più vivo all'ospedale, ma questo non ha fermato la mia ricerca.
So solo il suo nome: Zoro, riferitomi da mia sorella. So che è un bel ragazzo, atletico e con i capelli di uno strano verde smeraldino. Basta, non so altro di lui, per questo in due anni non sono riuscita a trovarlo.
Però ho sfruttato appieno ogni attimo ed ho finalmente realizzato il mio sogno.
Sono una scrittrice, anche piuttosto amata.
Invento storie d'amore, senza viverne una pienamente. Su questo punto sono ferma, bloccata, senza sapere un perché.
Sto aspettando qualcosa, qualcuno.

Oggi, nell'ennesima presentazione del mio nuovo libro "Amori rubati", penso a lui.
Firmo autografi sui libri, soddisfatta di me stessa. Felice.
Ho pensato molte volte a cosa sarebbe successo se non avessi mai avuto l'incidente, forse la mia vita sarebbe rimasta monotona e piena di paure e rimpianti.
Chi lo sa, a volte da una cosa brutta ne viene una bella, come nel mio caso.
Concentrata nel firmare autografi, uno dopo l'altro, non mi accorgo di lui.
-A chi devo fare la dedica?- dico alzando lentamente lo sguardo.
-A Chopper- che nome strano, penso per poi realizzare....Quella voce, la conosco!
È lui!
Rimango di sasso a fissare questo ragazzo alto, dai profondi occhi neri e i capelli smeraldo.
È lui, il mio angelo.
Mi alzo di scatto, tanto velocemente da far cadere la sedia all'indietro. Ho attirato l'attenzione di tutti i presenti, mentre lui mi guarda con occhi spalancati.
-Sei tu! Sei Nami!- dice con la sua profonda voce maschile.
La mia manager intuisce che ho bisogno di una pausa e fa spostare i presenti nella stanza affianco dove c'è un lauto banchetto ad attenderli. Anche il piccolo Chopper va con loro.
Ora siamo solo io e lui.
Nami e Zoro. Come quella fredda sera d'inverno quando lui mi ha salvato.
- Non sei più venuto a trovarmi! Ti ho cercato ovunque!- dico con una confidenza tale da sembrare che ci conosciamo da sempre.
-Ho ricevuto una proposta di lavoro l'ultimo giorno che sono venuto a trovarti. Sono partito...ma io...- arrossì, evidentemente imbarazzato per ciò che non riusciva a dire. Eppure aveva un'aria così fiera che l'imbarazzo sembrava l'ultima cosa che lo potesse sfiorare.
-Ma tu…?- gli domandai. Volevo sapere cosa mi stava nascondendo. Sono sempre stata una ficcanaso, ed ora non faccio differenze.
-Ma io ti ho sempre pensato- continua, lasciandomi di sasso -Non so perché, ma da quella sera, quando ti ho trovato sulla strada, tra la vita e la morte, mi sono sentito legato a te-
- La tua voce mi ha portato indietro! Mi hai salvato! Mi hai dato una seconda possibilità di vivere!- dico con gli occhi lucidi, l'emozione è troppa.
Sento, ed ora posso anche vederla, la sua mano che mi sfiora la guancia - Sei viva... Sei sveglia... Non posso crederci...- piego il capo e mi appoggio al suo palmo aperto -È bello poterti vedere e risentire la tua voce, finalmente-
I nostri sguardi si incatenano, si fondono, diventando un'unica cosa.
-Cosa ci fai qui?- gli chiedo improvvisamente.
-Il mio fratellino adottivo vuole fare un regalo a nostra sorella Robin. Lei ama leggere. Il tuo libro mi ha come chiamato e non ho avuto dubbi che fosse il regalo perfetto- mi racconta, per poi riprendere un po' di contegno e serietà. Mi guarda ancora, sempre - Ti va di prendere un caffè insieme?- mi chiede.
Annuisco. Come mai potrei rifiutare?! In fondo aspettavo solo questo!

È stato il destino a farci incontrare?
Era già tutto scritto? Non so.
Però come una foglia sono volata via, per poi rinascere di nuovo e ritrovarti.


Rimanemmo chiusi in quella caffetteria per un'ora, mentre la mia assistente, Kaya, si occupava di Chopper.
Zoro mi raccontò che per molti anni aveva lavorato nella palestra a qualche kilometro da casa mia, la stessa palestra a cui avevo sempre desiderato iscrivermi, ma ero troppo pigra per farlo.
Ogni sera lui passava davanti casa mia, mezz'ora dopo che io ero uscita per andare al lavoro, tranne quella fatidica sera, quando mi ha salvato.
Parlammo così tanto, eravamo in sintonia, sulla stessa lunghezza d'onda. Due facce della stessa medaglia.
Il destino aveva giocato bene le sue carte, calcolando tutto.
Capii che in realtà, nel mio cuore, ogni sera quando uscivo di casa e mi voltavo ad osservare la strada buia dietro di me, aspettavo lui, senza incrociarlo mai.
Ora però siamo qui, insieme, vivi.
Siamo liberi come l'aria, senza nessun legame, tranne quello che il destino ha creato per noi.
Usciamo sfiorandoci le mani.
Ci guardiamo e quello basta per farmi capire che da oggi in poi lui sarà sempre lì, al mio fianco, così come deve essere.
Perché lui è la mia seconda possibilità e io la sua.

   
 
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