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Autore: AlfiaH    30/11/2014    1 recensioni
L'espansione dell'Impero Ottomano nell'Europa dell'Est, le vicende di Romania (Valacchia), Moldavia, Ungheria. Presenza di Bulgaria, Polonia ed Austria in alcune scene. Lievi accenni alla RomaniaXUngheria.
Dal 1461 al 1541.
Dal testo:
“Questo posto è, tipo, totalmente spaventoso. La proposta di spostarci a casa mia è ancora valida” si lagnò Feliks facendo ridere il moldova. “Qui è perfetto, i turchi non ci mettono piede perché credono sia infestato dai fantasmi!”
“E non lo è?” domandò il bulgaro lasciandosi cadere stancamente su una sedia; a volte faceva fatica a reggersi in piedi. Il polacco gli si sedette accanto, attorno al tavolo di legno, e Andrej vi poggiò nel mezzo il proprio lume, poco distante da altri due. Eliza faticava a credere ai propri occhi.
Genere: Angst, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Romania, Turchia/Sadiq Adnan, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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I Owe you a Silence

 
Rating: giallo (non mi sembrava da arancione, ma posso cambiare).
Avvertimenti: contenuti forti (precauzione)
Note: Andrej è il nome che ho usato per Romania (Valacchia) e Stefan quello che ho usato per Moldavia.
Note storiche a pie' di pagina.
 
 
Budapest, 1461.


“No. La risposta è no”.
Elizaveta, seduta dietro il grande tavolo in noce,  non si degnò neppure di sollevare lo sguardo dalla pila di scartoffie ingiallite. Fermo sull’uscio Andrej si conficcò le unghie nei palmi per non urlare dallo sdegno.
“Non hai ancora ascoltato la mia richiesta” le fece notare, un sorriso accondiscendente che si piegava nel tono stanco. L’ungherese inarcò un sopracciglio e finalmente lo guardò: un livido violaceo gli deturpava lo zigomo destro ed un taglio vivo percorreva la pallida linea del collo scomparendo sotto il ferro dell’armatura. Ritornò ai suoi affari ignorando qualunque sensazione si avvicinasse anche lontanamente al dispiacere.
“Vedi? È proprio questo il punto: richieste. Penso di avertene esaudite a sufficienza negli ultimi trent’anni, non credi? Sono piuttosto stufa”.
“Mi sembra di averti sempre ricompensata adeguatamente”.
Una risata di scherno lo schiaffeggiò in pieno viso e Andrej fu nuovamente costretto a stringere i denti per intrappolare le parole che imperiose lottavano per liberarsi; lei era la sua unica speranza e, benché Elizaveta non fosse stupida e avesse probabilmente già capito da tempo di non andargli a genio (la cosa, tra l’altro, era decisamente reciproca), non poteva permettersi di inimicarsela, non nella sua situazione attuale, non con Impero Ottomano che gli puntava un coltello alla gola e depredava le sue terre.
“Sei lontano secoli dal ricompensarmi adeguatamente, Valacchia” lo derise, assottigliando gli occhi verdi. “Ti ho fornito armi, uomini. Ho messo un dannato principe sul tuo trono, anche se a quanto pare è stato inutile dal momento che Otto – Braccia ti tratta come la sua sgualdrina. Ho sentito che pratica la magia nera, non è vero? Dovreste andare d’accordo”.
“Probabilmente avrebbe più stima di me se fossi la sua sgualdrina” stavolta fu la risata bassa e amara del biondo a riempire l’aria, accompagnata dal fruscio del mantello purpureo e dall’avanzare di qualche passo. “Se davvero quell’idiota che tu chiami principe fosse in grado di utilizzare la magia nera, pensi che mi troverei qui ora? Pensi…” prese fiato ed un minimo dell’autocontrollo che si era prefissato di avere, “pensi che non esista un luogo, un qualsiasi altro luogo in cui preferirei essere in questo momento? Il tuo principe, quello che tu hai messo sul mio trono si è messo in testa di voler sconfiggere i turchi da solo! Ha impalato gli ambasciatori di Impero Ottomano, si è rifiutato di pagare i tributi. Ci farà ammazzare tutti! Sta venendo a prendermi, Eliza, e io non ho la forza per combatterlo. Prenderà me, poi toccherà a mio fratello. Chi credi che sarà il prossimo?” ringhiò, più furioso con se stesso che con la donna.
Perché era debole.
Era debole e, pur non essendo sempre onesto con se stesso, faceva fatica a ricordare un tempo in cui non lo era stato, in cui l’avevano guardato con timore come ora lui guardava Impero Ottomano; inarrestabile, invincibile. Non poteva vincere, non da solo, non con un sovrano tanto crudele da infangare il nome del Drago, e tanto folle da sfidare la morte. La pesante sedia stridette contro il pavimento e l’ungherese scattò in piedi, gli artigli piantati sul grande tavolo in un muto avvertimento a non continuare. Gli parve di scorgere del dolore sul suo volto e si sentì meglio, piegò le labbra in un sorriso cattivo e proseguì: “Ma guardati; pensi di essere al sicuro rinchiusa nel tuo bel castello, come una principessa” avanzò come un’ombra, la voce un sussurro freddo, “pensi che i tuoi uomini ti rimarranno fedeli anche quando cominceranno ad essere decimati, quando non riuscirai a proteggerli; saranno i primi a rivoltartisi contro e i tuoi amici non correranno a salvarti, Ungheria. Austria e Brandeburgo se ne laveranno le mani. E quando sarai sola contro Impero Ottomano, quando ti farà a pezzi e desiderai essere morta, ti pentirai di essere stata così stupida” esclamò scoprendo i denti affilati, gli occhi fiammeggianti, e lo sguardo di Eliza si riempì di sgomento, catturato dalla profonda ferita alla gola che ora il rumeno le mostrava, spostando il bavero del mantello con le dita scheletriche. Sembrava  il morso di una bestia quello che squarciava con violenza la carne del suo collo, i cui radi brandelli non bastarono a celare l’inquietante movimento di quella poltiglia rossastra quando Andrej aprì la bocca per parlare. “Sai perché la lascio aperta, Ungheria? Perché il dolore che provo ogni volta che respiro mi ricorda di non essere ancora morto. Mi ricorda che posso ancora farcela”.
“Avanza le tue richieste, Valacchia, o esci da questo catello”.
 
 

*****

Confine tra Transilvania e Valacchia, 1470*

L’imponente palazzo si stagliava contro il grigiore cupo delle nubi squarciandolo laddove s’innalzavano le appuntite torri e lasciandosi avvolgere dalla densa nebbia che celava il l’oscuro crepaccio ai margini del quale era situato. Gradino dopo gradino la sensazione d’inquietudine che aveva provato nel sollevare gli occhi al cielo e nello scorgere le bianche vetrate del castello, e che si era appollaiata sulla sua spalla con l’evidente intenzione di non lasciarla andare, le penetrava nelle ossa e le faceva palpitare il cuore ogni volta che un sinistro fruscio si levava dai cespugli o il piccolo Moldavia faceva parlare il suo giocattolo e cominciava a canticchiare. Eliza non era mai stata una donnina paurosa, ma quando il vento faceva oscillare il lume di Andrej e minacciava di spegnerlo non riusciva ad impedirsi di trattenere il respiro, e si sentiva stupida perché dei tre sembrava l’unica ad essere terrorizzata – e, santo cielo, Moldavia era un dannato marmocchio.
“Ci siamo quasi” mormorò Valacchia, ma per sicurezza Ungheria continuava a tenere salda la presa sulla spada. All’interno il castello era buio – non se ne sorprese – e tutte le vetrate erano coperte da drappi rossi che, spiegò Moldavia, non venivano spostati neppure durante il giorno per non far entrare la luce – Eliza non chiese altro.
“Valacchia!” urlò una voce. La donna fece per armarsi ma il rumeno posò una mano gelida sulla sua e allungò l’altra per i nuovi arrivati.  “Bulgaria, Polonia” salutò.
“Questo posto è, tipo, totalmente spaventoso. La proposta di spostarci a casa mia è ancora valida” si lagnò Feliks facendo ridere il moldova. “Qui è perfetto, i turchi non ci mettono piede perché credono sia infestato dai fantasmi!”
“E non lo è?” domandò il bulgaro lasciandosi cadere stancamente su una sedia; a volte faceva fatica a reggersi in piedi. Il polacco gli si sedette accanto, attorno al tavolo di legno, e Andrej vi poggiò nel mezzo il proprio lume, poco distante da altri due. Eliza faticava a credere ai propri occhi.
“E questo cosa significa?” sibilò, dopo aver preso da parte il rumeno. “Cosa ci fa lui qui? Hai idea di quanto parli? Ha la bocca più larga del posteriore di Francia!”
“Ti sei accorta che siamo disperati, mia cara? Io e Bulgaria siamo compromessi, quindi rimanete tu e un bambino. Fidati, il suo aiuto ci servirà eccome” rispose, liberandosi in malo modo dalla presa dell’ungherese. “Ci servirà tutto l’aiuto possibile” aggiunse più amaramente che mai.
La riunione segreta cominciò, presieduta da Valacchia. Moldavia al suo fiancò mostro alle altre nazioni presenti il documento che li avrebbe salvati, che avrebbe concesso loro aiuti dall’occidente e, con essi, la tanto agognata libertà. Mai come allora i loro cuori erano stati colmi di speranza e persino Eliza, benché perseverasse nell’ostentare un’aria scettica, sospirò d’aspettativa nel porre la propria firma.
Per Polonia non era più di un gioco misterioso, Bulgaria fu il primo a firmare; a Moldavia l’armatura andava larga e Valacchia viveva nel terrore di bruciare.
La Lega Santa era la loro ultima possibilità, altrimenti, pensò Andrej, avrebbero fatto meglio a vendere l’anima al demonio.

 
*****
 
Fortezza di Chotyn , 1485*

Suceava bruciava.
Andrej percorse a grandi falcate il lungo corridoio che lo separava dalla camera da letto, inorridendo di fronte alla scia di sangue che si era lasciato dietro. Poggiò il corpicino di Moldavia tra le lenzuola candide, ma il fratellino, in lacrime, si ostinava a rimanere aggrappato con le unghie e con i denti alla sua casacca, rossa del sangue di entrambi. Teneva gli occhi chiusi ed urlava, come in preda ad un brutto sogno, ma Andrej non poteva rimanere ad accarezzargli i capelli, non poteva dirgli che sarebbe andato tutto bene, perché aveva bisogno di staccarselo di dosso per il bene della propria salute mentale. Aveva bisogno di scappare perché tutto quel sangue gli faceva girare la testa e gli dava la nausea, le urla gli impedivano di pensare, e lui non riusciva a trattenere le lacrime.

Sta morendo.
Sta morendo tra le mie braccia.

“Stefan, Stefan, ascoltami. Non posso aiutarti se non mi lasci andare. Hai capito? Andrà tutto bene, Stefan, te lo prometto. Ti fidi di me?”
Gli accarezzò la schiena e gli baciò i capelli biondi, ma il bambino scosse violentemente la testa sulla sua spalla ed urlò più forte, il corpo pervaso dai brividi, solo per metà tra le lenzuola su cui ormai si era dilagata una scura macchia fetida.
Quando sentì la voce di Ungheria che lo chiamava e la vide entrare, Andrej ringraziò il Signore perché da solo non poteva farcela e suo fratello stava morendo.
“Sta morendo! Sta morendo tra le mie braccia!” ripeteva come una mantra, e lo cullava tra le braccia, tanto scosso dai singhiozzi da non riuscire a chiedere aiuto.
Eliza, però, non ne ebbe bisogno.
Strappò il bambino dalle braccia del fratello e lo adagiò sul letto, tenendolo fermo per le braccia. “Oddio… Oddio… Tienilo, Andrej, tienilo, per l’amor del cielo!”
Tremante, Valacchia obbedì, continuando a sussurrare promesse alle quali egli stesso non riusciva a credere, mentre l’ungherese tentava di rimettere insieme ciò che era rimasto della gamba di Stefan, e arrestava la fuoriuscita del sangue. Gliela fasciò con le lenzuola, poi ordinò dell’acqua, delle erbe e un ago da sutura.
Stefan tenette stretta la mano di Andrej per tutto il tempo e sembrò calmarsi grazie all’infuso di Eliza – o forse aveva solo perso la voce – malgrado le lacrime ancora scivolassero copiose sulle sue tempie. Valacchia non seppe dire per quanto tempo tenne gli occhi chiusi, ma quando li riaprì l’immagine di Ungheria che si prendeva cura di suo fratello lo colpì come un pugno allo stomaco.

Non morirà.
Ma non certo grazie a te.
Tu sei inutile.

“Non camminerà più” constatò la donna con una smorfia di dolore. Qualcosa nel petto del rumeno si ruppe. “Tienilo d’occhio, preparo qualcosa per far scendere la febbre”.
Andrej aprì la bocca, ma alla fine non disse nulla. Si chinò e adagiò la fronte su quella del piccolo moldova; scottava. Gli poggiò un panno umido sulla fronte, tentò di rassicurarlo, lo vegliò ed Ungheria tenne a bada la febbre, cambiarono le lenzuola.
Stefan era fuori pericolo, ma Valacchia non riuscì a scacciare quel peso che aveva nel petto.

Stava morendo.
Sei inutile.

Scivolarono entrambi sul pavimento, esausti, la schiena poggiata al letto; nessuno chiuse gli occhi per dormire e nessuno parlò, il rumeno avvolgeva ancora la manina di Moldavia con la sua.
“Grazie” sussurrò alla fine, socchiudendo gli occhi. Si aspettava un commento aspro e sarcastico, ma Ungheria non rispose, non lo guardò nemmeno; posò la mano sulla sua e la strinse, scaldandogli il cuore.
Moldavia era compromesso.
 
*****
 
Vienna 1541.

Impero Ottomano ghignava dietro la sua maschera, Austria firmava la spartizione.
Ungheria, troppo lontana per sentire ciò che dicevano, in piedi e con la schiena poggiata al muro, per orgoglio s’impediva di piangere.
Aveva perso tutto.
“Avevi ragione” mormorò con un sorriso amaro, mentre Andrej si sistemava accanto a lei. “Sono stata stupida”.
“Ti stai compiangendo, Ungheria? Non è da te” commentò sarcastico, incassando la testa tra il bavero del mantello. “Nemmeno darmi ragione, per la verità”.
“Appena le cose sono andate storte i contadini hanno cominciato a fare la guerra ai nobili, l’esercito a fare la guerra ai contadini. Roderich…” non terminò la frase ed indicò il tavolo delle trattative con un cenno del capo, “sono solo un pezzo di terra, ora. Quindi si, avevi ragione. E si, mi sto compiangendo. Non potrei fare altro nemmeno volendo”.
“Potresti essere come sempre” tentò, sorprendendo se stesso. Stava davvero cercando di consolare Ungheria?
“Come?”
“Forte”.
Eliza sorrise amaramente, qualche lacrima si infranse sul pavimento freddo quando Austria ed Impero Ottomano si alzarono e si strinsero la mano.
Andrej intrecciò le dita con quelle dell’ungherese, ma non disse nulla.
Infondo le doveva un silenzio.
 
 


#Angolo della disperazione

Si, lo ammetto, ho visto Dracula Untold. Ma non dilunghiamoci e passiamo alle note storiche.
1. Il sovrano folle di cui parla Andrej è Vald III detto l'impalatore, alias Dracula. Viene innestato sul trono dagli ungheresi perché odia i turchi ma la storia ci dice palesemente che era pazzo. (Ma lo amiamo lo stesso). In quel periodo l'Ungheria ha aiutato militarmente la Valacchia ma con scarsi risultati. 
2. La Prussia nasce solo un paio di secoli dopo, prima era rappresentata dal territorio di Brandeburgo, ma dato che in Hetalia Gilbert compare molto prima...
3. La Lega Santa. Stefano il Grande, sovrano della Moldavia, chiese rinforzi al papa per costituire una lega cristiana contro i turchi ma il papa gli diede la sua benedizione e se ne infischiò altamente. Così re Stefano, sul letto di morte, consigliò al figlio di arrendersi ai turchi.
4. Il castello dove si reca la combriccola è ovviamente quello di Dracula, che in realtà non si trova nella culonia della Transilvania (che apparteneva all'Ungheria) ma nel comune di Arefu o giù di lì, ma quello di Bran era scenicamente più bello quindi pace, zio Bram.
5. Moldavia e la sua gamba. Si dice che re Stefano il Grande dopo una battaglia non potesse più camminare (o comunque non potesse più camminare come si deve) quindi mi sono ispirata a questo.
6. Ungheria. Dopo la sconfitta, l'Ungheria viene divisa tra l'Impero Ottomano e quello Asburgico mentre la Transilvania diventa indipendente.
7. Suceava è la capitale della Moldavia incendiata dai turchi.
8. La fortezza di Choyn era una fortezza costruita per un voivoda moldavo ma fu conquistata dai polacchi e poi restituita a Stefano il Grande. 
Penso che sia tutto!
Grazie a chi ha letto fin qui, lasciate un commento se vi va <3 (Come sempre vi spetta un biscotto)
AlfiaH <3




 
  
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