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Autore: IceQueenJ    01/12/2014    2 recensioni
Bella e Edward si conoscono da quando erano bambini, ma un giorno Bella deve trasferirsi con in genitori in Italia. Passano gli anni e i due continuano a tenersi in contatto, questo grazie alle loro famiglie.
Tutto cambia con una visita inaspettata.
Cosa accadrà quando Edward rivedrà Bella?
Cosa accadrà quando Bella lascerà il suo ragazzo e dopo qualche mese tornerà a Forks a conoscenza di cose che non dovrebbe sapere?
E come reagirá Edward?
Riusciranno a risolvere i loro problemi?
Riusciranno a superare tutte le sfide che gli si presenteranno?
-Questa storia è stata pubblicata anche su Wattpad.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Charlie/Renèe, Emmett/Rosalie
Note: AU, Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film, Contesto generale/vago
Capitoli:
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Salve a tutti e scusate l'enorme ritardo per questo nuovo capitolo. Sono davvero ... davvero dispiaciuta. Mi dispiace non aver pubblicato prima, ma ho avuto e ho tante cose da fare e poi il capitolo non si corregge e scriva da solo, quindi capite?

Spero che non abbiate perso interesse per la storia che è quasi giunta al termine. Credo manchino 4 o al massimo 5 capitoli compreso l'epilogo.

Adesso vi lascia al nuovo capitolo che è tutto un Pov Edward!

Capitolo 24: Come Back To Seattle With Me?

Pov Edward

Trascorsi quasi tutto il pomeriggio a organizzare il mio piano.
Di solito, ogni volta che litigavamo, andavo sempre dietro a Bella come un cagnolino.
Stavolta, invece, le cose sarebbero andate in maniera diversa.
Sarebbe stata dura, perché sicuramente avrebbe fatto di tutto per parlarmi ed io avrei rischiato di riderle in faccia e quindi di farmi scoprire, ma ci avrei provato.
È dura fingersi arrabbiati quando non lo si è più. Sperai con tutto il cuore di riuscirci.
Uscii dalla stanza dopo aver sistemato i miei bagagli e aver nascosto le cose che avevo per Bella in un posto sicuro.
Non volevo che, per nessun motivo, le trovasse. Volevo gustarmi la sorpresa sul suo volto.

Mentre mi dirigevo in cucina, il mio cellulare squillò.
Risposi.
“Hey Edward! Avete fatto pace tu e la mia cognatina preferita?”.
“No Emmett, non ancora”.
“Edward … dimmi cosa ci sei andato a fare a Volterra se non ci hai fatto ancora pace”.
Sbuffai.
“Emmett … non posso farci nulla se Bella è arrabbiata e non fa altro che urlarmi contro da quando mi ha visto oggi a pranzo”.
“D’accordo, hai ragione … devo darti atto di questo. Mio figlio, però, vuole sapere se hai consegnato il regalo. A – aspetta … te lo passo! È così impaziente”.
Sorrisi all’idea di sentire la voce del mio piccoletto.
“Tio Eddy … tio Eddy! Tei allivato? Potto pallale con tia Bella?”.
“Sì cucciolo, sono arrivato, però non gli ho ancora dato il tuo regalo e quindi non puoi parlare con lei, altrimenti roviniamo la sorpresa”.
“Ma … tio Eddy! Avevi plomesso, uffa! Ti plego tio, ti plego”.
“Tranquillo Tommy, glielo darò stasera prima di andare a dormire, d’accordo?”.
‘O almeno spero’, ma questo lo tenni per me.
“Va bene … potto chiamalti domani? Mi manchi tanto tio!”.
Mi commossi a quelle parole.
Quanto adoro il mio piccolo.
“Oh tesoro … mi manchi tanto anche tu e certo che puoi chiamarmi domani”.
Nel frattempo, mi ero avvicinato al frigo per prendere un bicchiere d’acqua e notai che Bella era uscita dalla sua stanza e, che molto probabilmente, aveva sentito l’ultima parte della mia conversazione. Così, decisi di farla ingelosire un po’.
“Edward … mi raccomando! Fa come ti dice mio figlio, perché non so più come calmarlo. Dì a Bella di chiamarlo, così si mette l’anima in pace. Ci sentiamo domani, ti voglio bene fratellino”.
Sorrisi.
“Certo, lo farò. A domani e ti voglio bene anch’io”.
Misi il telefono in tasca e mi voltai verso di lei, che mi stava osservando, facendo finta di niente.
“Ciao … non ti avevo sentita arrivare. Ero impegnato in una conversazione importante”.
“Ho sentito. Chi è che ti manca così tanto? Senti … parlando di quello che hai sentito prima … non è come pensi”.
“Tranquilla, io non penso niente. So già quello che devo sapere e … mi basta, te lo assicuro. Appena avrò finito quello che ho da fare qui, tornerò a Seattle e riprenderò la mia vita. Non era questo che volevi?”, dissi, ignorando la sua domanda.
Si avvicinò.
“Edward … perché non la smettiamo con tutte queste stronzate? Perché non ci mettiamo una pietra sopra e …”, ma non le diedi il tempo di terminare, perché le sue parole risvegliarono l’Edward arrabbiato.
Nonostante stessi fingendo di essere offeso per quello che avevo visto nel pomeriggio, alcune delle cose che dissi, le pensavo davvero.
“No! Non possiamo metterci una pietra sopra. Non mi va di fare come un mese fa. Non mi va di fingere che non sia successo niente, perché sappiamo entrambi che non è così. No … decisamente non mi va!”.
Lei mi guardò con occhi imploranti. “Per favore Edward, ascoltami. Ti chiedo solo questo”.
Sospirai pesantemente.
‘Dio! Quanto mi piace essere melodrammatico! Sarei un bravo attore’, mi congratulai con me stesso.
“D’accordo, ma non adesso. Ho delle cose da fare”.
In realtà non avevo nulla da fare, semplicemente … voglio che soffra un po’, così come ho sofferto io in questi giorni.
Non c’è dubbio sul fatto che anche lei abbia sentito la mia mancanza, ma io non ho fatto altro che sentirmi in colpa e ora è liberatorio sentirsi con un peso in meno e non colpevoli.
Come mi aspettavo, si mise davanti a me e, assumendo la sua tipica posa da generale, ereditata da Alice, mi indicò di sedermi.
“No! Tu adesso mi ascolti, chiaro?”.
Sbuffando e alzando gli occhi al cielo, mi sedei sul divano.
Di fronte a lei.
“D’accordo, ti ascolto”.
Fece un respiro profondo e iniziò a parlare.
“Edward io … so di essermi comportata male. So di … so di aver sbagliato tutto e di averti attaccato ingiustamente, ma … cerca di metterti nei miei panni. In questi giorni ho sentito tanto la tua mancanza e il fatto che tu non ti facessi vivo ha fatto crescere la rabbia dentro di me. So che … so che non è colpa tua. So che avevi bisogno di tempo per metabolizzare. Mi dispiace averti accusato di questo, credimi e mi dispiace ancora di più che tu ti senta in colpa. Oggi … quando … quando ti ho visto, avrei voluto abbracciarti e … e chiederti perdono, per tutto, ma il mio orgoglio ha preso il sopravvento e mi sono ritornate in mente le parole di Alice e … e non l’ho fatto. Ho solo pensato che avessi tradito la mia fiducia e che alla prima occasione avessi dimenticato il nostro patto. Sono io quella che deve chiedere scusa, non tu. Tu … ti prego … perdonami!”.
Per tutta la durata del suo discorso, aveva tenuto lo sguardo fisso nel mio e quando aveva iniziato a piangere avevo faticato a trattenermi, ma volevo che ammettesse le sue colpe, così … strinsi i pugni e lasciai che terminasse, senza abbracciarla.
Purtroppo.
“Ti prego … dimmi … dimmi che vuoi ancora me, nonostante tutto. Nonostante … nonostante ti abbia mentito … nonostante … ti prego! Dimmi che non sei arrabbiato … ti prego”, continuò singhiozzando.
Si buttò tra le mie braccia ed io … io non potei fare a meno di stringerla a me.
Come mi era mancato quel contatto.
Forse … forse era il momento di smetterla con questo tira e molla e ricominciare.
“Smettila amore … non … non piangere. È tutto apposto, davvero. Non sono arrabbiato con te … non …”.
Alle mie parole, lei alzò la testa. “Davvero?”.
“Davvero Bella. Non posso dirti di non esserlo stato in questi giorni, o oggi, ma adesso la rabbia è passata … un po’. Dio solo sa quanto sia stato arrabbiato con te in questi giorni e quanto … una piccola parte di me, vorrebbe urlarti ancora contro, ma sinceramente, non voglio litigare. Cerca di metterti tu nei miei panni e prova a capire quanto il tuo comportamento mi abbia deluso e ferito. È normale che abbia avuto bisogno di tempo per metabolizzare e …”.
Appoggiò di nuovo la testa sul mio petto e si strinse a me.
“Quindi? Co – cosa significa?”, disse andando di nuovo in panico.
“Tranquilla. Ho detto di non voler litigare, quindi è tutto apposto. Io voglio te e tu vuoi me, giusto? Abbiamo fatto pace. Fine della storia. Almeno fino a domani non voglio parlare di tutta questa storia. Ci stai?”.
Sorrise. “C – certo che ci sto. Posso … posso baciarti, vero? Oppure vuoi … vuoi che …”, ma stavolta fui io ad interromperla, sfiorando le sue labbra con le mie.
Le sorrisi. “Ti basta? E’ tutto okay, amore. Rilassati”.
“Mi sei mancato. Tanto”, mi disse, appoggiando di nuovo il capo sulla mia spalla.
“Anche tu, piccola, anche tu”.
Per un po’ restammo in silenzio, poi sospirò e si sporse per guardarmi negli occhi.
“Adesso me lo dici che è Kate?”.
Risi della sua espressione buffa che, in teoria, avrebbe dovuto nascondere la sua gelosia per una persona innocua e che, in pratica, mi fece solo morire dal ridere.
“No, non te lo dico. Non è il momento giusto per dirti chi è Kate. Penso che per un po’ ti farò rodere dalla gelosia”, dissi continuando a ridere per la sua espressione.
“Edward! Smettila! Non è divertente!”.
Mi diede uno schiaffetto sul petto e poi vi si appoggiò sopra, mormorando qualcosa di incomprensibile. “Perché non vuoi dirmelo”, continuò. “Devo preoccuparmi?”.
“No, tranquilla. Non devi preoccuparti. Non è nessuno di importante”.
“Se non è nessuno d’importante, perché ha il tuo numero di telefono e avete parlato di qualcosa che tu devi confessarmi?”.
Anche questa volta, non potei fare a meno di ridere.
“Allora hai sentito la nostra conversazione. Meno male che mi avevi detto non averlo fatto. Sei una piccola … bellissima … impicciona!”, dissi iniziando a farle il solletico sui fianchi.
Cercando di fuggire alle mie mani, ridendo, mi rispose. “No – non cambiare di – discorso. Dimmelo, ti prego”.
Scossi la testa e poi risposi dopo averle fatto una linguaccia. “No, mi dispiace. Credo proprio che non te lo dirò”.
“Almeno dimmi chi era poco fa al telefono?”.
Ormai avevo perso i freni inibitori.
Non riuscivo più a smettere di ridere.
“No, non ti dirò nemmeno questo”.
“Uffa! Sei snervante. Odio tutti questi segreti”.
Sorrisi, carezzandole le guancie. “Tranquilla, molto presto avrai tutte le risposte che vuoi e poi non sono il primo ad avere dei segreti, che detto sinceramente, in confronto ai tuoi sono meno di niente”, dissi acidamente.
“D’accordo, hai ragione. Ma adesso … posso sapere cos’hai sentito della mia conversazione con il mio amico Marco?”.
Sbuffai.
Non volevo dirle che mi ero ingelosito lo stesso, pur sapendo che Bella lo stava semplicemente aiutando.
Vedere che lui potesse toccarla ed io no, mi aveva davvero fatto ribollire il sangue nelle vene.
“Ecco … ehm … io”, tergiversai un po’ e poi la presi in giro. “Beh … ti ha chiesto di andare con lui a Bologna e …”.
Alle mie parole sbiancò.
“Beh … non è come credi, anche perché lui è fidanzato e tra noi non c’è stato nulla. E poi perché ci conosciamo da una settimana e …”, la bloccai per tranquillizzarla.
“Tranquilla! Non devi giustificarti io … io so che lo stavi semplicemente aiutando. Ho sentito tutto. Ti stavo solo prendendo in giro, ma …”.
A quelle parole riprese il suo colore naturale. “Perché allora mi hai tenuto il muso per tutto il pomeriggio ed eri arrabbiato?”.
“Perché vedi … io sono arrabbiato. In quel momento la mia rabbia era amplificata anche dalla gelosia e quindi beh … ho risposto freddamente, ma … cacchio e quanto mi sono ingelosito!”, ammisi, tutto d’un fiato.
Sospirò di sollievo nel sapere che non pensavo mi avesse tradito, ma si accigliò, rendendosi conto di ciò che avevo detto.
“Co – come sei arrabbiato? Poco fa hai detto che non lo eri, io … io sono confusa”.
La zittii con un bacio.
“Sono arrabbiato, è vero, ma solo perché non riesco a comprendere le motivazioni delle tue azioni e come ti ho detto, ci penseremo domani, ora non mi va di parlarne, quindi per favore … cambiamo argomento?”.
“D’accordo … d’accordo. Quindi … ti sei ingelosito? Devo farlo più spesso. Davvero non devi preoccuparti di lui. E poi sia lui che la sua ragazza muoiono dalla voglia di conoscerti. In questi giorni non ho fatto altro che parlare di te”.
L’abbracciai. “Tranquilla … voglio conoscerli anch’io. Saranno i primi tuoi amici italiani che mi conosceranno come tuo ragazzo e non come tuo amico. Sono emozionato!”, dissi per sdrammatizzare.
Lei rise. “Ma smettila! Non farò di certo le presentazioni ufficiali. Adesso, però, voglio sapere chi era al telefono prima”.
Sbuffai, inventando una bugia. “Erano Alice e Jasper. Conosci mia sorella. Vuole sempre che ammetta il mio affetto per lei. È lei che ho chiamato tesoro e a Jasper ho detto che gli voglio bene”.
“No, non è vero. Quando parli con loro non ti brillano gli occhi e poi Alice non la chiami mai tesoro. Di solito hai questa reazione solo quando parli con me, Tommy e … no, solo con noi due”, ma poi s’interruppe, credendo di aver risolto l’arcano. “Se non parlavi con me, allora parlavi con Tommy”.
Per non riderle in faccia, mi alzai di scatto e iniziai a negare. “No … ma che dici. A quest’ora? Insomma …”.
Lei mi venne incontro con un sorriso smagliante e mi chiese il cellulare. “Allora se non era Tommy … chi era?”.
Iniziammo a girare intorno al divano.
Lei che inseguiva me ed io che scappavo.
Aspettate, ma … le parti non dovrebbero essere invertite?
‘Già, genio. Proprio così’.
“Edward … dammi il telefono!”.
Uno scatto di Bella verso di me e uno mio verso il lato opposto.
“No! Mai! Piuttosto muoio! Smettila di corrermi dietro, Bella!”.
Un altro movimento e poi iniziammo a correre.
“No … dimmi chi era, allora!”.
“D’accordo … d’accordo. Se smettiamo di rincorrerci, te lo dico”, dissi con il fiatone.
“D’accordo”.
Si fermò ed io colsi l’occasione al volo e … beh, il resto è storia.
Bella urlò per lo spavento e iniziò a correre, per fuggire dalla mia presa.
Io non mi fermai fino a quando non l’acchiappai e la intrappolai sotto di me sul divano e iniziai a farle il solletico, tra le sue urla e i suoi calci.
Dopo mezz’ora di schiamazzi, riuscimmo a calmarci e a respirare normalmente. O meglio … lei si calmò, io … beh io, continuai a ridere per la sua espressione.
“Sei sempre il solito, Cullen. Non accetti mai la sconfitta. Dio … sono tutta sudata ed è tutta colpa tua!”, disse mettendo una mano sul suo cuore come a volerne calmare il battito.
“Colpevole vostro onore!”, dissi guardandola con la faccia da cucciolo, continuando a ridere. “Su … vieni a dare un bacio a questo povero ragazzo colpevole solo di essere innamorato di una pazza ragazza bellissima”.
Lei rise, ma mi baciò lo stesso e senza che io me ne accorgessi, mi rubò il cellulare.
“Ore 18:30 … Emmett! Hahahahah … Beccato! Sapevo che era Tommy. LO SAPEVO!”, disse iniziando a saltellare per tutto il salotto.
“D’accordo mi hai beccato, ma cosa posso dire a mia discolpa? Volevo solo farti ingelosire un po’ e attirare la tua attenzione”, confessai.
Bella smise di saltellare alla mia affermazione e iniziò a guardarmi con sguardo indagatore. “A – attirare la mia attenzione? Edward … tu hai già la mia attenzione”, disse con fare ovvio.
“Beh … a me non sembra”, continuai imbronciato. “Nell’ultimo periodo non hai pensato a me neanche un po’. Eri troppo concentrata su te stessa e sui tuoi problemi universitari, per pensare a me e a come avrei potuto aiutarti, se solo tu me l’avessi chiesto … ovviamente. E invece tu hai preferito ignorarmi, come si fa con una persona che conosci da poco ed io credo … credo di essermi sentito trascurato. Anzi … non credo. Mi sono sentito trascurato”.
“E perché non me l’hai detto?”.
“Perché? Mi chiedi anche il perché? Perché eri così distratta che non ti sei nemmeno accorta che Alice sentiva la mancanza della sua migliore amica … che Christian era preoccupato per te … che IO ero preoccupato per te! Se te l’avessi fatto notare, sarebbe cambiato qualcosa? No … non credo! Non ci sono scuse per il tuo comportamento, eppure io sono qui. Alice, Christian … anche se non ti hanno detto nulla e non te l’hanno fatto pesare e ti assicuro che non te lo faranno pesare … sono qui. Non fisicamente, ma ci sono. E ci sono perché ti vogliono bene, esattamente come io ti amo”.
Mi guardò con gli occhi sbarrati e mi si avvicinò.
“Io … io … mi dispiace. Non … non me ne sono nemmeno resa conto. Non ero distratta … ero … ero … hai ragione …”, sospirò poi, “non ci sono scuse. Fai bene a essere arrabbiato con me. Era questo quello di cui non volevi parlare stasera? Alla fine ci siamo arrivati lo stesso”.
“Più o meno sì, anche se c’è molto altro di cui voglio parlarti, ma non è il momento giusto”, dissi cercando di calmarmi, visto che la rabbia aveva preso il sopravvento.
“Non vuoi lasciarmi … vero?”, mi chiese quasi in lacrime.
Mi venne da ridere alla sua affermazione, ma non lo feci, sapendo che questo l’avrebbe offesa.
“Ti ho appena detto che ti amo e tu pensi che ti voglia lasciare? Sei incredibile!”, scossi la testa e poi ripresi. “Solo tu puoi pensare cose del genere. Non sei solo ego – … distratta, ma anche tremendamente pessimista. Avevo dimenticato questo lato del tuo carattere”, dissi, cercando di sdrammatizzare.
Vedendo che non rispondeva, alzai lo sguardo verso di lei e mi accorsi che piangeva senza sosta.
Senza pensarci, l’attirai a me e l’abbracciai.
‘Ma perché piange per ogni cosa che le dico?’, chiesi a me stesso e promisi che prima o poi gliel’avrei chiesto.
“Scusami … scusami. Sono un cretino! Non avrei dovuto dirti tutto in questo modo così … così duro. Non piangere amore, ti prego. Hey … guardami …”. Le presi il viso tra le mani e con i pollici iniziai ad asciugare i suoi zigomi, costringendola a guardarmi negli occhi. “Come potrei lasciarti se ti ho aspettata per tutto questo tempo? Ci hai messo due anni ad accorgerti di me, eppure io non mi sono mai arreso, ho sempre sperato e alla fine guardaci … in due mesi abbiamo fatto così tante esperienze insieme che mi è sembrato di recuperare due anni in un colpo solo e … basta piangere Bella, ti prego. Tra un po’ torneranno i tuoi genitori. Vuoi che ti trovino così?”.
“Non scusarti … è … è colpa mia. Come puoi pensare questo di me, nonostante quello che ho fatto? Io mi odierei, se potessi. Hai ragione! Proverò a non piangere. Li farei solamente preoccupare”.
“Non potrei mai odiarti amore, mai. Smettila di dire queste cose. E calmati, adesso. Parlami un po’ dell’università, su”, dissi mentre le davo un bacio tra i capelli.
Mi è sempre piaciuto baciarla lì. Non so perché, ma è un posto che mi piace.
“D’accordo. Mmm … cosa vuoi sapere?”.
“Qualsiasi cosa. Mi basta sentirti parlare”.
“Va bene … volevo chiederti, domani verrai con me?”.
Alla mia risposta affermativa sorrise e, sistemandosi meglio sulla mia spalla, iniziò a raccontare cosa aveva fatto nei giorni scorsi.
Quando prima le avevo detto che mi bastava sentirla parlare, non mentivo.
Mi piaceva ascoltarla.
Mi rilassava.
E poi la sua voce è così melodiosa che … beh, come si può non restarne incantati?
Il modo in cui parla e in cui racconta è unico.
Credo che sarebbe stata una brava insegnante, se avesse intrapreso la strada dell’insegnamento e visto quanto le piacciono i bambini, il risultato sarebbe stato più che scontato.
Sarebbe stata un’ottima insegnante.
Amata da tutti. In primis dal sottoscritto.
Ascoltai il suo racconto rapito, senza perdermi nemmeno una parola o una sua espressione facciale, fino a quando … beh, fino a quando non iniziai a ridere e quindi fui costretto a interromperla per essere sicuro di aver capito bene.
“Cioè … fammi capire, il primo giorno ti sei persa?”.
Bella, fintamente offesa, mi diede uno scappellotto sul collo, facendomi male.
Cazzarola! Avevo dimenticato quanto la mia ragazza menasse forte.
“Non ridere! Beh … sì. È stato così che ho conosciuto Marco e Francesca, la sua ragazza. Se volevo tornare a casa in tempo per la mia videochiamata quotidiana con Alice, allora dovevo chiedere per forza aiuto a qualcuno e così alla fine siamo diventati amici, visto che abbiamo fatto lo stesso viaggio di ritorno”.
“Perché era così importante quella videochiamata?”, chiesi, non conoscendo il vero motivo.
Alla mia domanda arrossì. “Beh … perché in fondo, molto in fondo, speravo che in una di quelle videochiamate ci fossi anche tu a salutarmi”, sussurrò.
Sorrisi. “Oh Bella … ma è una cosa bellissima. Anche io speravo di ricevere una chiamata da Christian in cui mi comunicava che tu … che tu eri tornata. Sono stato per giorni chiuso in casa a … a rimuginare su quello che era successo e poi …”, e poi scossi la testa. Non volevo dirle di quello che avevo sentito in quel momento, così cercai di cambiare argomento.
“Poi?”.
“Poi nulla. Il resto lo sai. Mio padre mi ha minacciato e così ho cominciato ad andare un po’ in giro”.
“Come … cos’è successo che ti ha fatto decidere a partire?”, mi chiese titubante.
“Nulla … sono andato da Christian e lui mi ha portato nella tua stanza. Ho letto la tua lettera e ho capito. Così … così ho deciso di partire”.
“Davvero?”. Io annuii. “E hai … hai aperto anche l’altra lettera?”.
A quella domanda finsi di non aver notato quella lettera, riuscendo anche ad assumere un’espressione piuttosto confusa.
‘Ti prego! Ti prego! Fa che mi creda! Fa che mi creda!’.
Le chiesi di quale lettera stava parlando.
Mi chiese se l’avessi portata con me, ma io le risposi che quando ero entrato nella sua stanza, avevo trovato solo la lettera che mi aveva scritto.
Potei notare la sua incredulità davanti a quell’affermazione, ma se volevo che la sorpresa riuscisse, al momento, dovevo fare in modo che credesse a questa piccola bugia detta a fin di bene.
“D’accordo non importa. Magari Christian o la sua domestica l’avranno buttata”, disse scrollando le spalle.
“Non credo proprio che Christian profanerebbe così il tuo mondo. Non sposterebbe nemmeno una sedia, figuriamoci, buttare una lettera. Magari l’hai messa da qualche altra parte, che so, in un cassetto, nell’armadio, e adesso non lo ricordi”.
“Hai ragione. Non lo farebbe mai. Mio cugino è troppo pignolo. Ah! Quanto mi mancano tutti!”, sussurrò per poi sporgersi per baciarmi.
Io ricambiai il bacio e le dissi che anche loro sentivano la sua mancanza.

Dopo non so quanto tempo, trascorso solo a chiacchierare, tornarono Renee e Charlie.
Cenammo e poi … tutti a letto.
Prima di entrare ognuno nella propria stanza (già, io e Bella avremmo dormito in stanze separate, purtroppo … ma non volevamo far arrabbiare Charlie), Bella mi trascinò nella sua e iniziò a baciarmi, spingendomi verso il suo letto.
Tra un bacio e l’altro cercai di farla smettere, perché sarebbe potuta entrare Renee o peggio Charlie, che Dio solo sa cosa mi avrebbe fatto, se mi avesse trovato in atteggiamenti intimi con sua figlia o con le mani in posti in cui non sarebbero dovute essere.
Poco importa che sia il mio padrino!
Sono pur sempre innamorato di sua figlia e beh … non c’è bisogno che continui.
Spesso Bella, quando si arrabbia, somiglia a lui.
Finalmente riuscii ad allontanarla.
“Bella, ragiona. Se tuo padre entrasse, non ne sarebbe felice e non voglio perdere i miei gioielli, amore. Lo sai, ci tengo. Poi sai che senza quelli neanche tu potresti divertirti?”.
Lei iniziò a ridere così forte, che alla fine risi anch’io.
“Ah no amore. Ti sbagli. Si può … si può, tranquillo”, disse facendomi l’occhiolino.
Mentre stavamo per riprendere a baciarci, entrò Charlie che ci scansionò con i suoi occhi marroni penetranti.
‘Meno male che non ho ascoltato Bella e i miei istinti, se no ora sarei fregato e meno male che siamo ancora vestiti come a cena’.
“Ah eccoti Edward. Non riuscivo a trovarti. Sapete che dovrete dormire in due letti separati, vero?”.
“Sì papà, lo sappiamo. Stavamo solo chiacchierando un po’. Tra un po’ andiamo a dormire”.
“D’accordo, allora a domani. Buona notte! Ah Edward, ti consiglio di dormire, il fuso orario è molto stancante”, rise mio padre e, entrambi, comprendemmo cosa intendeva.
“Tranquillo Charlie, adesso vado”.
Charlie uscì ed io subito mi alzai per salutare la mia ragazza e andarmene, perché io ci tengo davvero ai miei gioielli.
Prima non stavo di certo scherzando.

Dopo essermi cambiato ed essermi messo a letto, il mio cellulare vibrò.
“Amore sto per venire da te, fammi spazio e fatti trovare presentabile”.
Subito le risposi. “Bella ma sei impazzita? Tuo padre ci uccide!”.
Non rispose perché subito si aprì la porta della mia stanza, rivelando Bella.
“Fammi spazio Edward. Non riesco a dormire senza te. Mi sei mancato molto”.
Mi spostai verso l’altro lato del letto e, dopo che si fu sistemata, l’attirai a me.
Dopo un momento di silenzio in cui credei si fosse addormentata, mi diede un bacio nell’incavo del collo e mi sussurrò di amarmi.
Sorrisi e le risposi che anch’io l’amavo.
Poi un’idea mi attraversò la mente.
La parte finale del mio piano era cambiata.
“Se ti chiedessi una cosa, prometti che ci penserai senza prendere decisioni affrettate?”.
“Devo preoccuparmi?”. Scossi la testa. “D’accordo … dimmi”.
“Torni a Seattle con me?”.
Lei restò a bocca aperta ed io trattenni il fiato, impaziente di conoscere la sua risposta.
   
 
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