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Autore: Ms_Arj    01/12/2014    5 recensioni
“Ovvero… come una ragazza distratta si scontrò con un ragazzo distratto e, insieme, infransero un pregiudizio.”
L’idea mi è venuta dopo aver sostenuto la seguente conversazione: - Davvero giochi a rugby? Come i maschi. - Io - Si, Perché?. - Lei faccia schifata, passo indietro - No, niente -. Ed ecco cosa ha partorito la mia mente (malata).
Prima OS romantica che scrivo lasciate un parere così che io possa migliorare. ThankYou =)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“Perché, secondo voi, è opinione condivisa da molti che una ragazza, poco più che ventenne, che gioca a rugby debba essere per forza una fan del “Club della Vagina”? In altre parole, perché deve essere per forza lesbica?” Questo si chiedeva lei ogni volta che diceva a qualcuno che sport facesse.
 
Ok, forse non era l’incarnazione della femminilità, questo poteva anche concederlo. Però non voleva dire nulla! Aveva compagne di Università, lesbiche per l’appunto, che erano molto più che femminili. Erano la quintessenza della femminilità. A Lei semplicemente non interessava. Si vestiva con jeans e maglietta tutti i giorni, anche in inverno, portava scarpe da ginnastica ed evitava accuratamente gonne e tacchi. Le prime perché le “facevano freddo”, i secondi perché, dall’alto del suo metro e 75, era la più alta delle sue amiche e non voleva farle sfigurare (bugia, erano scomodi e non le piacevano!).
 
E poi a lei interessava Lui. Alessandro, terza linea, prima squadra Seniores, 25 anni, ingegnere e un culo da cinema! Passava gli allenamenti del giovedì e quelli del lunedì, una settimana si e una no, a guardarlo… Beh quando non stava facendo un esercizio o non stavano giocando.
Correre insieme, due giri di campo, tutti i giovedì le aveva fatto molto bene. Il ragazzo era abbastanza veloce e per stargli dietro la nostra Lei doveva correre più velocemente del solito. Ammirare quel bel corpo scultoreo coperto solo da calzettoni, calzoncini e una maglietta era ossigeno per i suoi poveri polmoni. Lui correva, chiacchierava con i compagni come se niente fosse. Quando si fermavano per fare stretching e lasciavano passare le ragazze Lei cercava sempre di guardarlo negli occhi. Perdersi in quelle pozze blu, blu come i laghi di montagna, perfetti.
Lui all’inizio non l’aveva notata poi, un giorno, aveva iniziato a rallentare durante la corsa. Lei stava chiacchierando, distratta, per una volta, da una compagna di squadra insistente, quando se lo ritrovò affianco. Non le disse nulla ma più volte i loro avambracci si sfiorarono. Lei lo guardava negli occhi ogni volta e Alessandro, ogni volta, le sorrideva.
 
Quel giorno Lei non l’aveva guardato nemmeno un secondo. Domenica ci sarebbe stato il suo esordio come capitano della Squadra2 e non poteva permettersi distrazioni. Doveva concentrarsi sull’allenamento.
Mischia a sinistra. Introduzione colorati (la squadra di Lei). Si posizionarono per la mischia: basse, tocco, contatto. Via. Palla che esce dalla parte giusta del campo, Lei che segue le compagne nell’azione. Il centro venne placcata ma Lei era troppo lontana per fare sostegno. Sentì il mediano d’apertura che le urlava - Larga che facciamo un interno - Lei si allargò. Sta correndo per prendere la palla dalla parte libera del campo. Le avversarie erano schierate tutte dall’altra parte, alla sua destra. Nessuno si stava preoccupando di quella piccola parte di campo, così vicina ai maschi, e così lontana dalla palla.
Lei correva, non guardava dove andava. Guarda da dove viene la palla.
Poi, in un attimo, si sentì un tonfo. Lei era a terra con un peso sullo stomaco.
 
Era andata a sbattere contro qualcuno. Aprì piano gli occhi: “Scusa non ti ho visto” disse una voce. Alessandro era sopra di lei. Avevano fatto un frontale. Lui non stava guardando dove andava, Lei non stava guardando dove andava e si erano scontrati. Ora lui era sopra di lei, comodo grazie alle forme dolci della ragazza, e lei non respirava. Tutto il peso del ragazzo la privava del poco ossigeno che avrebbe potuto avere come sollievo da quello scontro.
- Non… non… - disse piano. - Non ti devi scusare. È colpa mia! - fece Alessandro, non volendo accennare a spostarsi di un centimetro. - Non respiro! Sei pesante - disse finalmente Lei.
- Oh scusa - disse il moro scostandosi.
Finalmente aria pura! Due colpi di tosse e la voce dell’allenatore che le chiedeva: - Tutto bene? Ti sei fatta male? - Scosse la testa e aprì di nuovo gli occhi. Qualcuno le teneva la mano, forte, protettivo. Piano la tirò e Lei si ritrovò tra le braccia di Alessandro. L’aveva tirata su con troppa forza e si era ritrovata ad andargli contro. Di nuovo. Ma questa volta lui era preparato. L’aveva tenuta.
- Sei sicura di star bene, mi sembri un po’ frastornata - disse piano lui. Lei scosse la testa. Sono frastornata perché hai un profumo buonissimo, idiota!  - Forse dovrei sedermi un minuto. Credo di aver battuto la testa - affermò Lei dirigendosi fuori dal campo mentre il suo allenatore le diceva di prendersi pure tutto il tempo necessario e di fare respiri profondi. Respirerò profondamente, sicuro! Per togliermi dalla testa il suo profumo mi ci vorrà molto più che qualche respiro profondo!! pensava Lei, assorta. Si stava sedendo sull’erba e guardare le compagne che avevano ripreso a giocare quando qualcosa, o meglio qualcuno, attirò la sua attenzione. Alessandro si era seduto proprio accanto a lei.
- Sicura che non ti viene da vomitare e non ti gira la testa? - disse lui, gli occhi pieni di preoccupazione. No decisamente non mi viene da vomitare ma la testa un pochino gira. Però è colpa tua, e del profumo al bergamotto e terra bagnata che sento se mi stai così vicino! Lei scosse la testa. - Scusami, davvero. Non ti ho vista. Stavamo provando un nuovo schema ed ero concentrato sulla palla! Spero di non averti fatto male. Io non me ne sono fatto - disse toccandosi le mani. Il palmo destro però sanguinava. - E questo? Non mi sembra niente?! - lo ammonì. - Non è niente. Quando siamo caduti. - Lei alzò un sopracciglio - Ok quando ti sono caduto addosso, ho messo avanti le mani e ho beccato delle sterpaglie e mi sono sbucciato. Non è niente! - lei gli aveva già preso la mano per controllare che non ci fossero residui di terra o sassolini. - Vieni con me - disse alzandosi. Alessandro la seguì in silenzio verso il container dove tenevano tutto il materiale delle varie squadre.
- Aspetta un attimo - disse lei mentre si dirigeva verso l’armadietto con scritto ‘FEMMINILE – Pericolo estrogeni’. Tornò dal ragazzo con acqua ossigenata, un pezzo di garza e una pomata. Delicatamente passò la garza con l’acqua ossigenata sopra la ferita del ragazzo. Lui storse il naso quando Lei fece un po’ di pressione per togliere i residui di terra e di sporco. Poi, piano e sorridendo, soffiò sull’abrasione per far asciugare il disinfettante. Mise in tasca la garza sporca e prese la crema. Iniziò a spalmarla, delicata sul palmo del giovane. Poi prese un altro pezzo di garza e un pezzo di tape e coprì la ferita. Una volta finito di sistemarlo strinse la mano del ragazzo tra le sue e diede un bacio, leggero, sul palmo bendato. - Una bacio sulla bua e passa tutto –
Non si era accorta di quello che aveva fatto fino a che non l’aveva fatto.
Alzò gli occhi e arrossì vistosamente. Lui la guardò accigliato. Poi sorrise. – Scusa – disse lei imbarazzata. – Faccio la maestra al Sant’Irene e… con i bambini…. Sai… – arrossì ancora più vistosamente. Alessandro la osservò mentre abbassava lo sguardo. Che bella! Perché non mi sono mai accorto di lei? pensò in quel momento.
- Andiamo – disse lei lasciando la mano del giovane. Lui non fece in tempo a fermarla, a dirle alcunché, che lei stava già correndo dalle sue compagne per ricominciare a giocare.
La aspettò, finito allenamento, ma Lei sembrava scomparsa nel nulla.
 
 
Sorella Alice la guardava sempre in tralice da quando aveva dovuto spiegare come mai avesse un grosso livido sull’avambraccio, qualche settimana prima. La pensava come tutti gli altri ma non aveva prove a sostegno della sua teoria, e comunque non avrebbe potuto fare niente. Quella ragazza era una delle maestre più brave che avesse assunto da molto tempo. L’unica che riusciva a coinvolgere anche i bambini più timidi, quelli con qualche problema, quelli con molti problemi senza fare distinzioni di sorta. Era un po’ stramba con quei camicioni pieni di disegni e pezzi di stoffa cuciti sopra e quei capelli sempre in disordine. I jeans sempre sporchi di vernice e il sorriso stampato sul volto.
Parlava ai bambini come se fossero suoi pari e insegnava loro cose che sorella Alice non approvava in pieno ma tant’è che i genitori l’adoravano e anche le altre consorelle, quindi non poteva fare proprio nulla.
 
I bambini stavano raggiungendo i loro genitori quel pomeriggio, nel cortile del Sant’Irene, quando un ragazzo entrò dal cancello correndo. Veloce si diresse verso il portone dove una ragazza, con i capelli in disordine e un segno di tempera blu su una guancia, stava osservando i suoi alunni e rideva felice. Quasi non si accorse quando due braccia forti la abbracciarono, tirandola in aria e facendola girare su se stessa. Alessandro la lasciò andare proprio mentre sorella Alice usciva dal suo ufficio sul balconcino antistante il cortile e guardava giù, verso di loro.
Il ragazzo la guardava negli occhi – Scusa ancora – disse, prima di baciarla. Un bacio lento e appassionato che le fece girare la testa. Le bambine più vicine applaudirono mentre i maschietti facevano delle facce a metà tra lo schifato e il curioso. Quando si staccarono lei lo stava ancora guardando negli occhi – Se tutte le volte che ti cado addosso ti scusi così potrei pensare di farlo tutti i giorni – disse lei sorridendogli.
- Signorina Seoli! Cosa crede di fare? – sorella Alice la guardava ancora più in tralice battendo un piede per terra. La signorina in questione, tenendo per mano Alessandro, disse: - Andare a casa in verità. A domani sorella Alice. – prese la propria borsa, appesa ad un gancio proprio vicino alla porta e salutando con la mano libera corse via con il ragazzo.
Arrivata al cancello si girarono, il sorriso stampato sul viso di entrambi. Lei diede un buffetto sulla testa di un suo alunno prima di dare un altro bacio, più casto questa volta, ad Alessandro poi se ne andarono.
 
Non sapeva cosa sarebbe successo con quel ragazzo. Sapeva solo che da quel giorno nessuno, almeno lì, avrebbe potuto pensare che era una fan del famoso Club e che Alessandro era ancora più bello di come lo poteva immaginare guardandolo da lontano. 



- Angolofinalecondelirio
Allora, che mi dite? Mi è venuta così, di getto. Non so se è scritta bene, è scritta male, è scritta peggio... non lo so perchè non l'ho fatta leggere alla mia Beta (non trucidarmi) e quindi non lo so. Qualcuno mi ha detto, però di andare fiera delle mie storie e così ho voluto pubblicarla. Anche se di Lei non sono per niente sicura o convinta. Anche io come la protagonista gioco a rugby, come lei osservo da lontano Ale ma, per ora non c'è stato ancora nessun frontale. 
Sempre per la solita storia, se mi lasciate un commento (anche un pm va bene) io sono contenta. Capisco dove sbaglio, capisco dove faccio bene e cresco come funwriter. Grazie in anticipo =) 
La storia è dedicata a tutte le ragazza che fanno sport non convenzionali (calcio, karate, rugby o che so io) e che spesso vengono guardate come quella Signora ha guardato me, qualche giorno fa. Non demordete! 
Arj =)
  
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