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Autore: tamss    02/12/2014    0 recensioni
Occhi azzurri e biondi capelli indomiti, Sage faceva tre lavori diversi ma non era mai stanca, non era mai triste. Aveva sempre un sorriso sul viso e un libro diverso in borsa. Prendeva una miseria ma stava mettendo via i soldi per qualcosa di meglio, per quando l’universo le avrebbe rivelato il grandioso piano che aveva in serbo per lei. Credeva nel destino e nella magia delle coincidenze.
Harry era un pittore, un disegnatore, non lo sapeva nemmeno lui. Disegnava le facce che vedeva, che lo colpivano per strada, per un dettaglio, un sorriso strano o occhi belli. Sentiva sempre la mancanza di qualcosa o qualcuno, così disegnava facce sperando che una di loro gli dicesse cosa fare e dove cercare.
DAL TESTO
Harry non aveva idea di chi fosse, sapeva solo che moriva dalla voglia di baciarla e abbracciarla e sentirne il profumo e imprimere nella memoria l’ordine esatto dei nei che aveva sul corpo e portarla in quel pub a Camden dove suonava quel gruppo di cui in quel momento proprio non ricordava il nome. E glielo disse. Perché davanti a quegli occhi il suo cervello non distingueva più tra pensiero e parole, sogno e realtà.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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People fall in love in misterious ways

Sage non faceva nulla di particolare nella vita, niente di significativo. Si alzava ogni mattina alle sette in punto e meccanicamente si preparava per uscire: si sciacquava la faccia, si lavava i denti, puntualmente valutava se truccarsi o meno e non lo faceva mai, correva a vestirsi e cercava disperatamente delle calze appaiate, dava da mangiare al gatto e prendeva dalla dispensa una schifosa merendina che avrebbe mangiato in metro; si guardava allo specchio dell’ingresso per qualche istante, si convinceva che quel giorno sarebbe stato il giorno della svolta e poi usciva di casa, una scarpa slacciata e una canzone nelle orecchie.
 
Harry dormiva troppo, certi demoni lo lasciavano in pace solo quando crollava su letto, distrutto dal troppo rimuginare. Harry era un pittore, un disegnatore, non lo sapeva nemmeno lui. La mattina si piazzava a Hyde Park e disegnava le facce che vedeva, che lo colpivano per strada, per un dettaglio, un sorriso strano o occhi belli. Sentiva sempre la mancanza di qualcosa o qualcuno, così disegnava facce sperando che una di loro gli dicesse cosa fare e dove cercare. Harry aveva gli occhi verdi e le mani grandi, e se si concentrava bene riusciva ancora a sentire sua madre che gli diceva che con quelle mani avrebbe potuto fare qualsiasi cosa al mondo.
 
Quella mattina non fu diversa. Sage indossava un vestito azzurro e un giacchino di jeans, i capelli biondi e crespi le ricadevano lungo la schiena, liberi e sciolti. Faceva tre lavori diversi ma non era mai stanca, non era mai triste. Aveva sempre un sorriso sul viso e un libro diverso in borsa.
Salì in metro diretta verso Green Park, dove faceva la fiorista. Prendeva una miseria ma il lavoro le serviva, stava mettendo via i soldi per qualcosa di meglio, per quando l’universo le avrebbe rivelato il grandioso piano che aveva in serbo per lei.
Sorrideva sempre ai clienti e provava un sincero afferro verso l’anziana proprietaria del negozietto, che puntualmente le chiedeva quando avrebbe lasciato quell’insulso lavoretto per andare a fare qualcosa di davvero grande.
“Mi piace vendere fiori e mi piace stare qui con lei! Se vuole licenziarmi può farlo, ma probabilmente non servirebbe per liberarsi di me!” le rispondeva Sage ogni volta, fissando i suoi ostinati occhi azzurri in quelli altrettanto chiari ma velati da troppa vita della signora.
“Oggi devi fare tu le consegne, Josh è malato. Prendi le chiavi del furgoncino e il foglio degli ordini, tesoro! Sai guidare, non è vero?” chiese la signora Clark. Sage sorrise, “Certo che so guidare, non si preoccupi ho tutto sotto controllo”.
Il primo ordine era per un evento organizzato a Hyde Park, così Sage si munì di pazienza e affrontò con tranquillità il traffico londinese per arrivare all’angolo est del parco. Caricò i fiori sul carretto a ruote, chiuse il furgoncino e si incamminò a fatica.
 
Harry stava canticchiando una canzone di cui nemmeno si ricordava il nome, pensando che avrebbe dovuto cercarla e scaricarla perché gli piaceva proprio, e stava disegnando volti che intravedeva tra la folla. Aveva disegnato un ragazzo che avrà avuto si e no sedici anni che camminava con la fronte corrucciata, e si era chiesto quale problema potesse affliggere un sedicenne alle dieci del mattino. Stava disegnando una coppia quando un carrello carico di fiori che sembrava muoversi di forza propria gli coprì la visuale. Sbuffò ma non si lamentò, non lo faceva mai, e attese, finchè da dietro il carrello e da dietro quei colorati e bellissimi fiori non spuntò fuori il più bel fiore di tutti. Era alta e accaldata e aveva due diamanti splendenti conficcati nelle cavità oculari e i capelli biondi erano mossi dal vento e assolutamente indomiti, dal vestitino azzurro spuntavano solamente due chilometriche gambe che per un attimo gli fecero girare la testa. Fu un attimo. Un solo istante e Harry aveva trovato quello che stava cercando.
 
Sage si rese conto che stava intralciando qualcosa da come una coppietta si era messa a fissarla con rabbia, così aveva sorriso a mo’ di scuse e aveva accelerato il passo, raggiungendo ben presto la sua meta. Consegnò i fiori e fece un altro giro per tornare al parcheggio, decisa a godersi quanto più sole e parco potesse.
Finì di fare tutte le consegne a mezzogiorno, così riportò il furgoncino al negozio e corse a prendere la metro per raggiungere South Kensington, dove lavorava come animatrice per anziani.
Si infilò la divisa e raccolse i capelli in uno chignon sbarazzino, si armò del suo miglior sorriso ed entrò nella sala svago del centro. Gli anziani le mettevano addosso una malinconia indescrivibile, spesso durante quei pomeriggi si sentiva scoppiare il cuore di tristezza nel vederli così soli e vulnerabili. Erano i derelitti dell’umanità. Sage sentiva sulla sua pelle il dolore del mondo intero e sua sorella le ripeteva sempre che la sua empatia avrebbe finito per ucciderla, ma a lei non importava perché non era capace di stare in disparte quando qualcuno soffriva, non sapeva come non dare il cuore a chiunque sembrasse aver bisogno di conforto. La tristezza che emanava quel posto l’avrebbe fatta morire di crepacuore prima dei venticinque anni, forse, ma la gioia che le dava vedere i sorrisi su quei visi dove solitamente c’era smarrimento, era per lei qualcosa di insostituibile.
Beh questo, e il ragazzo carino che nella sala affianco insegnava disegno agli anziani malati.
 
Harry era arrivato al centro per anziani in anticipo di mezzora, ma quel lavoretto gli piaceva da matti, si sentiva utile e a guardare tutti quegli uomini e quelle donne sbiadire lentamente, sentiva forte il suo attaccamento alla vita. Insegnava loro cose basilari come tenere in mano una matita o come non uscire dai bordi quando si colora, ma lo guardavano come se stesse loro donando quel sollievo a cui avevano rinunciato da anni. Harry disegnava per cercare qualcosa, un pezzo di sè o chissà, ma era consapevole che quegli anziani avevano bisogno di lui per rappresentare quello che un tempo erano stati e che non sono più, per cercare di riportare alla vita il volto di qualcuno che un tempo dovevano aver amato e di cui ora anche il nome era perduto nella demenza. C’era un signore che sembrava trovarsi lì per sbaglio, non dava nessun segno di stordimento, di confusione o di malattia. Aveva gli occhi vispi e lo sguardo di chi la sa lunga e mai si lasciava trattare come un menomato mentale.  “Ragazzino”, diceva sempre a Harry, “non hai motivo di essere sempre così triste, la vita è troppo bella e troppo breve per sprecarla in pensieri malinconici” e Harry sapeva che quel vecchio aveva ragione, dannazione lo sapeva eccome!, ma a volte la vita gli sembrava un fardello troppo pesante e i ricordi bruciavano come marchi a pelle. Quella mattina però era diversa. Quella mattina Harry aveva intravisto quello che dall’inizio del mondo stava cercando. E lei era così bella e gli ricordava estati felici e barbecue in famiglia.
 
Sage aveva una cotta da mesi per quel tenebroso ragazzo della sala accanto che accuratamente evitava e che sicuramente non sapeva nemmeno della sua esistenza. Sage sapeva tutto di lui, l’aveva osservato di nascosto e aveva carpito tutti i suoi segreti, le sue abitudini strambe, i suoi modi di fare. Sapeva che leggeva moltissimo ma non aveva mai sentito nessuno dei libri che gli vedeva in mano, aveva gli occhi tristi ma sorrideva spesso ed era sempre, sempre gentile quando con le sue dolci fossette si rivolgeva tranquillamente a qualche anziano duro di comprendonio, aveva i capelli ricci e scuri e Sage aveva spesso sognato di sentirne il profumo o di giocherellarci con le dita. Sapeva che disegnava meravigliosamente e che aveva una bella voce, perché canticchiava sempre distratto mentre si arrovellava su qualche abbozzo. Sage passava davanti alla porta della sala dove lui lavorava tutti i giorni, ma non si azzardava mai ad entrare o a farsi vedere. Perché Sage credeva nelle cose belle, nelle favole e nei libri, credeva nel destino e nella magia delle coincidenze, credeva negli amori spontanei e muovere anche solo un dito per farsi notare sarebbe stato un tradimento nei confronti di tutto ciò in cui aveva sempre creduto.
 
Erano le 19 e Harry era stanco, sfibrato e l’unica cosa che lo faceva sentire meglio quando si sentiva così era andare a comprare dei libri. Così uscì dal centro per anziani e si diresse verso la metro, Louis gli aveva detto che c’era un nuovo mercatino di libri e CD usati a Bakerloo ed era proprio lì che stava andando. Salì in metro e fu un attimo, così breve che pensò fosse uno scherzo della sua mente, ma di nuovo quella chioma bionda e quel vestito color del cielo che salivano in metro. Nella stessa metro. Harry e tutto ciò che stava cercando erano nello stesso spiazzo di terra e respiravano la stessa sudicia aria di metro. Non badò nemmeno alle fermate, semplicemente la seguì e ad un certo punto scese e camminò finchè la folla non inghiottì il suo sole. “Non è possibile..”, pensò una volta resosi conto dove fosse arrivato seguendola: il mercatino.
Harry era orfano da così tanto che la tristezza che gli aleggiava intorno era la sua migliore amica, ma il realizzare che forse quella ragazza che gli aveva riattivato il cuore si stava recando nel suo stesso identico posto gli fece tornare alla mente vecchi ricordi sbiaditi, dei suoi genitori che ballavano senza musica e ridevano come adolescenti la Vigilia di Natale, mentre Harry e Gemma li fissavano tra l’incantato e l’annoiato, senza capire bene cosa significasse quella felicità ma sapendo che era quello che avrebbero cercato per il resto delle loro vite.
 
Sage arrivò finalmente al mercatino di Bakerloo e il cuore le si gonfiò di gioia. Si sentiva a casa come in nessun altro posto al mondo. Quelle erano le sue case, le sue vite, i suoi mondi, le sue identità, le sue gioie e dolori, i libri. Li accarezzava e coccolava, li apriva con cura e delicatezza, come se avesse paura di fare loro del male. Prendeva in mano i volumi più consunti e se li portava al viso per sentirne il profumo, per ascoltare quali meravigliosi segreti avessero da raccontarle. Qualcosa sicuramente non andava in lei, glielo ripetevano i suoi genitori e sua sorella da quando era venuta al mondo e ogni sua azione contraddiceva ogni qualsivoglia insegnamento che le veniva impartito. Se le dicevano di dormire lei leggeva, se le dicevano di sedersi e fare i compiti lei correva in giardino e si arrampicava sugli alberi, scappando e ridendo finchè qualcuno non la riacciuffava. Sage però non si era mai sentita diversa, strana o sbagliata. Brillava di luce propria. Era il sole di se stessa, del suo piccolo mondo. Non ce l’avevano mai fatta a renderla ordinaria.
Teneva in mano un’edizione consunta de “Alice nel paese delle meraviglie” quando lo vide, gli occhi stanchi e i capelli scompigliati mentre rovistava tra i romanzi.
 
Harry era distratto, mentre frugava tra quelle copie consunte di romanzi che erano passati di mano in mano, tramandando la magia, raccontando storie e salvando vite. Trovò “Alice nel paese delle meraviglie” e pensò a Gemma, che lo chiamava ogni giorno e che gli mancava tanto. Decise di andare a pagare ed eccola lì, raggiante e bella come il sole, intenta a comprare un’edizione che aveva l’aria di avere cent’anni di “Cime tempestose”. Ci mise qualche secondo a riprendere il controllo del proprio corpo e a riportare il battito del suo cuore ad un ritmo decente, prima di decidersi a parlarle.
Sta sempre con me, prendi qualsiasi forma, rendimi pazzo! Ma non lasciarmi in questo abisso… dove non ti posso trovare!” recitò Harry, chinandosi il giusto per poter avvicinarsi con la bocca all’orecchio di lei. Vide chiaramente la pelle del suo collo rabbrividire, mentre con uno scatto si voltava.
 
Riconobbe la sua voce. Roca, calda, avvolgente. L’aveva sentita mille volte rivolgersi agli anziani del suo corso, ma non l’aveva mai sentita così vicina. Quella volta era solo per lei. Non si spaventò, non saltò, non si scansò. Prese un respiro e si voltò, pronta ad affrontare i suoi occhi, che per la volontà di qualche stella finalmente l’avevano vista.
Sorrise furba, guardando il libro che Harry teneva tra le mani, “Non vale, però…” disse, “ io Alice nel paese delle meraviglie non lo leggo da quasi quindici anni!” e poi rise. Il ragazzo la guardava meravigliato e sorrideva quando disse “Mi chiamo Harry”, la voce ferma e la mano tesa pronta ad accogliere quella della ragazza dagli occhi color del cielo. “Lo so.” Rispose lei senza smettere di sorridere.
 
“Lo so.” Gli rispose lei, senza presentarsi, senza stringergli la mano, senza fare nulla se non guardarlo negli occhi. “Lo sai?” chiese lui.
“Si, insegni disegno agli anziani malati di demenza nel centro di South Kensington.”
“E tu che ne sai?” insistette Harry, accennando a una risata.
“Proprio non hai idea di chi io sia, vero?” domandò lei. Harry non aveva idea di chi fosse, sapeva solo che moriva dalla voglia di baciarla e abbracciarla e sentirne il profumo e imprimere nella memoria l’ordine esatto dei nei che aveva sul corpo e portarla in quel pub a Camden dove suonava quel gruppo di cui in quel momento proprio non si ricordava il nome. E glielo disse. Perché davanti a quegli occhi il suo cervello non sapeva più distinguere tra pensiero e parole, sogno e realtà.
“Portamici allora.” Gli disse lei infilandosi il libro nella borsa. “Sono Sage, comunque.”
 
Aveva dieci anni quando decise che lei al principe azzurro ci avrebbe comunque creduto, anche se si era resa conto che le favole erano probabilmente solo favole e che se avesse perso una scarpetta avrebbe semplicemente dovuto ricomprarla perché nessuno gliel’avrebbe riportata, ma Sage aveva deciso di non smettere di credere nell’amore e nel destino e in qualunque fosse quella forza che spinge le persone a farsi l’amore e dirsi cose sdolcinate.
Così seguì Harry-occhi-tristi in metro, e dalla metro al pub, mentre come se si conoscessero da tutta la vita parlavano del più e del meno, della musica e dei libri, e lui le raccontava di Alice e di come quel libro fosse tutto meno che una favola e di come avrebbe tenuto per se quella copia e ne avrebbe comprata una più bella per sua sorella, che stava girando il sud America ma che per Natale sarebbe tornata a casa con il suo ragazzo che si chiamava Pedro e parlava un inglese strano. E Sage aveva riso per come Harry gesticolava e non aveva saputo dire nient’altro se non che anche lei avrebbe desiderato girare il mondo e fare riti magici e strani e trovare il suo animale totem e farsi intrecciare un poncho da una vecchia signora Peruviana. Gli raccontò di come quella che aveva in borsa fosse la tredicesima copia de “Cime tempestose” che avrebbe popolato la sua libreria e di come non potesse fare a meno di comprare quel libro ogni volta che se lo trovava sottomano perché narrava la storia di un amore così bello che Sage voleva accumularne il più possibile.
 
Harry la guardava in trans e il gruppo si chiamava Red Dressed e stava suonando una canzone carina ma a lui non importava perché aveva tra le mani una birra fredda, in tasca un libro e davanti agli occhi una meraviglia.
“Ti ho vista oggi per la prima volta, com’è possibile?” le chiese d’un tratto.
“Non fa niente, la colpa è mia. Ti ho guardato per mesi e non ho fatto niente”  replicò Sage scrollando le spalle.
“Vorrei lasciare qui la birra e portarti a casa con me.” , le disse sfacciato. Sage sorrise e tamburellò con le dita sul tavolo prima di fissare i suoi occhi in quelli di Harry e rispondere.
“Portamici allora.” Disse ancora, come poche ore prima. Sembrava che quella frase portasse fortuna e Harry pensò che gli aghi gli facevano paura, ma quelle due parole, in quella esatta sequenza, se le sarebbe tatuate in fronte.
Si alzò di scatto e le prese la mano, mollò qualche banconota sul tavolino e uscirono ridendo. “Sei bella che mi fai dimenticare tutti i modi infinitamente più romantici per dirtelo”. Le sussurrò all’orecchio spingendola contro il muro del locale da cui erano appena scappati come adolescenti eccitati. Sage rise qualche secondo e poi si fece seria, passò una mano tra i ricci di Harry che in quel momento pensava di essere morto e finito in paradiso e si morse il labbro.
 
“Baciami.” Gli disse come se gli avesse detto l’ora. Sage era una donna, era emancipata, era sicura, era fiera e forte e bella. Ma tutto questo non aveva importanza, perché le ci volle una forza da leone per impedire alla sua voce di tremare nel pronunciare quelle sette lettere. Fu un lampo, un battito di ciglia e si trovò le labbra calde di Harry sulle sue, nelle sue. Fu un nanosecondo e le loro lingue danzavano e giocavano, lui sapeva vagamente di alcool e soprattutto di allegria e canzoni urlate al cielo, lei teneva gli occhi serrati e nella sua testa stavano fluttuando. Harry la teneva stretta e il battito dei loro cuori sembrava essere l’unico rumore in tutta Londra.
 
L’appartamento di Harry era un buco e inciamparono in un’edizione che avrà avuto vent’anni di una raccolta di racconti di Carver, mentre raggiungevano il letto, immersi nel buio e persi l’uno nella bocca dell’altra.
Harry le accarezzò il viso e sorrise mentre si prendeva qualche istante per ammirarla nella penombra dell’abat-jour che aveva accesso. Le sfilò il giacchetto e lo posò a terra, la fece girare e lentamente abbassò la lampo del vestito, liberandola. Le accarezzò i capelli e ammirò la sua schiena bianca, la pelle morbida, la baciò e sorrise ad ogni accenno di brividi che le causava. Le accarezzò le spalle e le braccia e la fece voltare, baciandola lentamente. Non portava il reggiseno e Harry impazzì nel prendere tra le mani i suoi seni, nel baciarne ogni centimetro. Si abbassò per sfilarle le mutandine bianche e lilla, baciandole il ventre e desiderando di fermare il tempo.
 
Sage stava per sciogliersi, per implodere dal desiderio, dal piacere sommesso che le mani di Harry le causavano. Prese con decisione i suoi ricci tra le mani e lo tirò su, decisa a farlo suo. Gli sfilò la maglietta sbrigativamente, ammirò il suo addome, il suo corpo tonico, baciò la cicatrice sulla spalla sinistra. Lo guardò negli occhi quando gli aprì i pantaloni e con un solo movimento abbasso quelli e i boxer. Erano nudi e si guardavano negli occhi. Si trovarono a metà strada e si baciarono con dolcezza, con foga, come se si fossero amati in un’altra vita per poi essersi persi e finalmente ritrovati in questa.
Fecero l’amore lentamente, godettero del calore dei loro corpi, dei loro odori che si mischiavano.

Harry si beò del viso di lei che si sfigurava dal piacere, del suo corpo che si tendeva per lui, delle sue mani che lo accarezzavano.
 
Sage si perse nel piacere, capace solo di sussurrare il suo nome chiedendogli di non smettere mai di amarla così.
 
Non esisteva il mondo e non esisteva il letto che stava ospitando il loro amore. Erano sospesi in una nuova dimensione, in un mondo dove niente aveva senso e niente era difficile, dove Harry era sempre felice e Sage non scappava davanti alla vita. Ovunque fossero si urlavano amore e si sussurravano parole sporche, ridevano e leggevano, ballavano stretti l’uno nell’altra e tutto, tutto era come doveva essere.
 
Il sole filtrava dagli scuri e illuminava la schiena nuda di Sage, quella che Harry stava ammirando da quando si era svegliato.
“Ho trovato quello che stavo cercando.” le disse, svegliandola inavvertitamente.
“E’ mattina.” disse lei, strofinandosi gli occhi. Harry sorrise. “Già, quindi?”
“Niente, è mattina… E’ mattina e sono ancora qui. Le cose che succedono di notte possono restare lì se non le vogliamo, possono restare fantasie. Ma adesso è mattina, quello che è successo è reale. E per la prima volta credo di non avere paura.”, replicò Sage.
 
Harry e Sage si sono amati per innumerevoli altre notti… e mattine. La vita si è messa in mezzo ed entrambi hanno vacillato, ma non furono mai più soli. Harry non è mai più stato triste per troppo tempo e Sage non scappa più davanti alle cose reali, leggono ancora ma mai per fuggire, ascoltano musica e ballano spesso in cucina, mentre lei si inventa piatti e lui le dà fastidio.
Le favole non esistono e Sage non ebbe mai il suo castello, ma quell’appartamentino pieno di libri e candele fu sempre molto, molto più di quanto avesse mai osato sperare.
 
The end


Ciaaaaao :-)
Beh che dire, questa OS l'ho scritta un giorno che avevo bisogno di credere nell'amore ed eccola qui. Spero che possa in qualche strano modo essere utile anche a voi :-)
Un bacione a tutte MERAVIGLIE!
Tamara.
 
  
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