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Autore: wiston87    02/12/2014    2 recensioni
Avevo passato anni nel reparto mangiatori-di-merda dell ufficio 7B. Mi attaccavo con la cannuccia e la succhiavo direttamente dal culo dei colleghi, per evitare che questi perdessero tempo per andare in bagno. Questa è parte della storia di come, dopo aver vinto parecchi soldi ed essermi licenziato, mi vendicai di quel bastardo del mio capo. La scena si svolge in qualunque bar: io sono al piano superiore, nel reparto ricconi; il capo è al piano terra, tre metri sotto di me.
Genere: Azione, Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Presi l’imbuto e lo infilai in uno dei due fori del tubo. Poi afferrai quest’ultimo con due mani e cominciai a calarlo per un paio di metri dal cornicione, facendolo stare perfettamente perpendicolare al terreno.
“Capo! Sono quassù, mi vede?”. Lo chiamai così forte da sgolarmi. Lui alzò il capo parandosi gli occhi dal sole con una mano sulla fronte. Quando mi ebbe riconosciuto, si aprì in un grande e sincero sorriso, mostrando i denti bianchissimi ed allungando la mano destra all’altezza della testa per salutarmi.
Mentre ricambiavo il saluto con la mano libera gli dissi: “è sorpreso di vedermi quassù? Nella zona riservata ai ricconi? Su, mi faccia un espressione sorpresa. Faccia una bella O aperta con la bocca, come nei fumetti!”.
Doveva essere per colpa del sole scintillante che non notava il tubo aderente al cornicione, mimetizzato nello stesso color bianco avorio. Ma pure se l’avesse visto, cosa mai avrebbe potuto sospettare?
Fatto sta che quando aprì la bocca per manifestare in maniera così precisa l’aderenza alla mia richiesta, riappiccicai la mano libera al tubo, aderente all’altra, e con tutte le forze che avevo in corpo e la poca concentrazione residua, mirai ficcandoglielo in bocca!
Come avessi avuto tra le mani un badile da piantare in un anfratto di terriccio secco per scavare.
Il capo con il tubo in bocca che iniziava a penetrargli in gola, produsse un gorgoglio schiumoso, come di semi-soffocamento. Non era in grado di ammazzarlo, ne ero sicuro. Tutto era calcolato a puntino: sul filo dei millimetri.
Mi calai le braghe e scorsi il fondo schiena sull’imbuto come fosse stato un water planetario, o al limite la bocca di un salariato raccatta-merde.
Scaricai tutto quel gran gorgoglio che avevo in corpo, residui di pranzi e cene degli ultimi due giorni, dolendomi soltanto di quanto fosse un peccato che non avessi fatto firmare al capo un contratto schiavista standardizzato nel quale dichiarava che se fosse stato pescato a ingurgitar merda da un tubo collimante con la parte terminale del mio intestino, sarebbe divenuto all’istante mio servo per l’eternità. Sarebbe stata l’esatta riproduzione di quanto avevo subito, ma era chiedere troppo, dovevo accontentarmi.
E invece, sia maledetta mille volte la mia ingordigia, non mi accontentai proprio per nulla!
Non appena mi resi malamente conto che avevo terminato il materiale escrementizio e che dunque la festa era già terminata, con grande anticipo rispetto a quanto avrei voluto giacché non avevo restituito al capo che un milionesimo del torto avendo io ingurgitato negli anni almeno mille volte tanto, mi convinsi che dovevo chiedere aiuto al vecchio tricheco obeso nonché padre di famiglia del tavolo in fondo o non sarei riuscito a venirne a capo.
Di certo non ero completamente rincitrullito o ebbro a tal punto da non rendermi conto della relativa sconvenienza insita nella richiesta che stavo per fare ad un perfetto sconosciuto. Però capitemi: certe occasioni capitano una volta nella vita.
Con la decisione di una pallina da flipper spinta dalla stanghetta verso il bonus/record del mondo di punteggio massimo, scattai in direzione della tavolata attorno cui era stipata l’allegra famigliola di perbenisti con la puzza sotto al naso.
Mi rivolsi al padre farfugliando qualcosa come: “buongiorno, è un emergenza. Sarebbe così gentile da cagare nell’imbuto affacciato sul cornicione?”.
Il tricheco si contorse in un ghigno scandalizzato: “io dovrei cag… spero che stia scherzando! Non lo vede che stiamo mangiando? Non si parla di certe cose a tavola! Ci lasci in pace, grazie”.
“È appunto perché stato mangiando che ve lo chiedo. per come siete ben piazzati, probabilmente conterrete anche molta materia escrementizia per raggiungere il mio scopo. Specialmente lei…”, gli tastai la pancia affondando di dieci centimetri nel grasso, “… mi sembra parecchio in carne!”.
“Ma come si permette!”, sfuriò il tricheco, “chi è lei? Chi l’ha fatta entrare? Scommetto che si è intrufolato senza neanche possedere i requisiti per…”
“Li posseggo eccome, invece!”. Estrassi l’assegno dal taschino come una semiautomatica al momento clu di una rapina e glielo appiccicai agli occhi, così vicino che per il primo momento non poté vedere che i tre zeri centrali. “Un milione di euro! E a casa ne ho cento volte tanto sotto al materasso! Il proprietario del circondario è mio amico fin dai tempi della prima infanzia, e la faccio cacciare se non mi tratta col dovuto rispetto!”. Tanto valeva esagerare rabbiosamente a quel punto, no? “Posso darle la bellezza di diecimila euro se va a cagare nell’imbuto entro dieci secondi! Su, si sia una mossa, non faccia il timido. Guardi che io mantengo le promesse, se lo fa poi sgancio veramente!”.
Il tricheco sembrò indeciso per alcuni secondi. Guardò l’imbuto con aria meditante, poi la sua famigliola, e poi di nuovo me. Infine il buon decoro prevalse e si mise a gridare: “ma neanche per idea! Lei si dovrebbe solo vergognare! Se non se ne va subito la faccio rinchiud…”
La figlia più grande lo interruppe dicendo: “ma dai papà, non puoi perdere quest’occasione! Diecimila euro guadagnati così possono far comodo, mi ci comprerei l’intera collezione autunno-inverno al negozio di tiffany. Se non ci vai tu ci vado io, ecco!”. Si alzò e fece due passi in direzione dell’imbuto, già con le due mani impresse sulla cintola per poterla sbottonare.
Suo padre ne soffocò l’impeto sul nascere, bloccandola severamente con una mano aperta all’altezza della bocca. “Ferma qui, signorina!”.
La moglie e l’altra figlia lo ricoprirono d’ingiurie: “ma dai, che sarà mai, lasciala andare, tanto non c’è nessuno a guardare!”.
Lui ci meditò un attimo grattandosi il capo rasato per poi subito rispondere: “forse avete ragione, sarebbe un peccato perdere quel denaro praticamente regalato… ma non permetterò che voi vi infanghiate, andrò io al posto vostro!”. Mi guardò con due occhi di fuoco e disse: “sono pronto!”, così convinto che fu lui a superarmi e aprirmi la strada verso l’imbuto che spiccava al di là della terrazza invece del contrario.
Mi era fin troppo chiaro quello che era appena accaduto: il tricheco era intenzionato fin dall’inizio ad appropinquarsi a capofitto nella mia proposta indecente, però temeva il giudizio perbenista della famigliola. Fosse stato da solo sarebbe accorso subito. Non appena le tre galline avevano dato il loro assenso, si era ristabilito in lui il vigore dell’eroe con la strada spianata innanzi, ma che deve comunque preservar l’onore delle donzelle.
Quella vicenda mi diede da pensare a che sarebbe successo se ognuna delle tre fosse rimasta chiusa nel suo loculo di desiderio senza però il coraggio di esplicitarlo, si sarebbe verificato il curioso caso di quattro che spingevano interiormente in una direzione, mentre i loro corpi navigavano verso la sponda opposta. Quanto spesso nella vita diurna si verificano simili strazi, senza che nessuno lo venga mai a sapere?
Quando giungemmo all’imbuto, il mio uomo si era messo al margine del tavolo con davanti il boccale di birra quasi terminato, con le braccia conserte ed una postura che sembrava dire: “fai quello che ti pare, io non ti conosco”, subito però contraddetta dalle sue parole al galoppo quando vide il tricheco sbottonarsi i jeans e calarsi inginocchiato sul famelico imbuto.
“Che stai cercando di fare? Fermati! Fermalo! Combinerai un casin…”
“Taci, stolto compagno di bevute e viaggi a sbafo! Non lo vedi? La mia vendetta sta per essere compiuta, hai solo da rallegrarti per il tuo amico David, d’ora in poi conosciuto come il baciato dalla buona sorte!”.
Mi affacciai sul terrazzo per controllare come fosse messo il capo. Aveva ancora il suo bel tubo infilato in bocca. Alcune gocce marrognole gli contornavano le guance come lentiggini. Stringeva la scatola a due mani come per darsi forza nel bel mezzo di quell’intemperia. Povero pezzente, non poteva certo immaginare che quanto più gli si stringeva quanto più diventava molle e incapace di reagire alle mie provocazioni! Mi scoprii a compatirlo nonostante (o proprio perché) fossi stato nell’identica condizione fino a poco tempo prima, come certi fumatori incalliti che quando finalmente riescono ad appender la sigaretta al chiodo son soliti guardare con triplo disprezzo coloro che ancora si arrovellano con la bastarda bionda tra le labbra.
Intravidi una leggera stortura nel tubo verso destra: avrebbe magari potuto cadere se fosse giunto un alito di vento guastafeste. Lo ricondussi alla retta via col palmo della mano. giusto in tempo per sentire un rumoreggiare di tromba e intravedere lo scroto del tricheco che si allargava come gli ingranaggi di quei distributori di gelati preparati in uso negli oratori e nei bar di provincia. 
Una schiattata mi colpì di rimbalzo sulla guancia sinistra, più un tocco al bordi del labbro: non ne feci un dramma. Chi vuole toccare il cielo con un dito deve anche esser preparato a sopportare il freddo.
  
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