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Autore: Ossimoro Vivente    02/12/2014    1 recensioni
Era ormai da troppo tempo che Virgil non faceva visita a sua madre, e che evitava ostinatamente di pensarla. Lo stesso era con suo padre, ma era abbastanza ragionevole nel suo caso. Non avrebbe mai riprovato il disgusto di rivederlo. Anche se era vivo.
Genere: Dark, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Degli anfibi neri come la pece sproporzionatamente grandi rispetto alle scarne gambe che li indossavano, calpestarono sonoramente il terreno nel buio della città desolata, illuminata a volte da qualche lampione lontano. A parte lo scalpiccio profondo e il tintinnio delle catene che rimbombavano tra i veicoli, il silenzio regnava sovrano, come se fosse un territorio sacro.
Faceva freddo.
La figura femminile camminava a testa bassa con entrambe le mani affondate nelle tasche della giacca di pelle. L’aria condensata dei suoi sospiri vibrava leggera vicino alla pesante sciarpa scura. I lunghi ciuffi blu ondeggiavano ai delicati soffi del vento gelido.
Era ormai da troppo tempo che Virgil non faceva visita a sua madre, e che evitava ostinatamente di pensarla. Lo stesso era con suo padre, ma era abbastanza ragionevole nel suo caso. Non avrebbe mai riprovato il disgusto di rivederlo. Anche se era vivo.
La sua vecchia casa di quand’era sedicenne era lì vicino con un incerto cartello appiccicato alla porta: Vendesi. Sua madre la aspettava impazientemente insieme agli antichi reperti di quella che era la sua infanzia e adolescenza. Dal giorno in cui Virgil aveva lasciato quella baracca non osò più neanche entrare lì dentro. Eppure ci aveva lasciato metà della sua vita: i suoi giocattoli, i suoi libri di avventura incompleti, il suo letto… Avrebbe voluto rivederli, ma era inutile, tanto non avrebbe avuto senso ormai che era cresciuta.
-Quando crescerai, diventerai una bella ragazza. Troverai un bel ragazzo, ti sposerai con lui e avrai una bellissima famiglia, come ce l’ho io adesso. Come io ho te.-
Le diceva per darle speranza quando era piccola e piangeva.
Cazzate. Tutte.
Da piccola Virgil piangeva sempre. Almeno una volta al giorno. Nell’asilo la maggior parte delle volte se ne stava con la testa affondata tra le braccia sui banchi di scuola per non farsi vedere. E piangeva silenziosa senza aspettarsi che qualche compagno o maestra le dicesse niente. Forse era per questo che quando sua madre era morta non aveva versato neanche una lacrima. E neanche adesso, a ventun anni. Se pensava che nessuna delle previsioni che le aveva fatto precedentemente è stata avverata le veniva solo una faccia inespressiva. Non c’era di peggio ormai.
Sono cresciuta, ma per il resto hai solo preso un granchio, mamma.
Adesso ce l’aveva davanti, la casa. In tutto il suo spettrale fascino.
L’aria si fece tersa, e più Virgil guardava quell’ammasso di mattoni, più si sentiva oppressa dentro. L’aria condensata uscì dalla sua bocca a ritmi sempre più lenti, e la ragazza venne stregata. Fissava con le pupille sempre più dilatate quello che aveva davanti a lei. Scomparve tutto quello che c’era intorno. Si sentì vomitare: provò un contrastante miscuglio tra felicità e terrore. C’era solo quella casa, quella vecchia e buia casa.
Sentì istintivo sbattere le palpebre dopo quel tempo che le parve infinito, tutto tornò normale. Distolse lo sguardo dalla mamma e cominciò a smaniare aria inspirando profondamente, visto che quel momento l’aveva praticamente lasciata in apnea.
Rimase un lungo istante a fissare il vuoto con gli occhi spalancati. Non ci voleva credere.
Mamma…
Passò un bel po’ di tempo.
O almeno, così le parve.
Doveva essere passato più di un minuto.
 
Girò i tacchi.
Rifece i passi da dov’era arrivata.
Con gli anfibi a disturbare un’altra volta il silenzio della macabra città.
   
 
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