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Autore: CaskaLangley    11/08/2003    1 recensioni
“E se non ti parlo, non pensare sia perché non ti voglio bene. Ma è perché te ne voglio troppo.”
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gendo Ikari
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il vetro, la luce e l'ombra

Autore: Caska Langley

L'uomo stanco nella stanza buia.
Non vi si recava da anni, ormai.

Ma era come l'aveva lasciata, allora: fredda, immobile, desolata.
Sfasciata.
Solo con qualche strato di polvere in più.

- Sei sicura che non sia esagerata…? Insomma, a me va bene anche com'è ora…
- Oh, fosse per te dovrebbe stare in una spelonca! A me così piace!

Una sedia spaccata contro al tavolo che sentiva più d'ognuno il peso dell'età.
Già allora, era piuttosto antico.
Ormai, solo tana di acari e termiti.
E ancora tutto sottosopra…
Il letto disfatto
I cuscini svuotato delle loro piume e cotone
Un quadro, l'unico ch'avessero mai appeso, ora giaceva a terra con la tela stracciata.
E la vernice scrostata dalle pareti dipinte di bianco…
E gli armadi svuotati, a terra i vestiti, i suoi vestiti…qui pochi che non aveva avuto la forza di portare ad incenerire con gli altri…
Il camice bianco ancora dove lei l'aveva posato quel mattino, sostenendo che non ne avrebbe avuto bisogno.
E lui aveva insistito…
Ma lei non aveva ascoltato…
Non era facile, farle cambiare idea. Anche per le cose più sciocche…

- Scusa se te lo dico ma…
- Ma…?
- Errr…no, nulla, non importa…
- Su, forza…che mi devi dire?
- Beh, questo colore…
- Mh?
- Ecco…detto francamente…FA UN PO' SCHIFO…
- Che COSA??
- E' da diabete…
- OH! Dunque hai da obbiettare sulla mia scelta?
- Non prendertela male…lo sai che non mi importa quale colore scegli…ma hai insistito per un opinione, ed io te l'ho data…comunque fai come vuoi, davvero…
- Uuuuhm…davvero fa schifo…?
- …si…fa DAVVERO schifo…
-…dunque, sai a cosa sto pensando…?
- Non credo di aver ancora imparato a leggerti la mente…
- Male, dovresti rimediare…comunque sto pensando…
- Mh…?
- Che non me ne frega nulla di quello che dici, a me piace così!!
- Eccola lì…
- Eheh…no, sul serio, a me piace…e poi che vuoi capirne, tu? Se dovessi dare retta a te la stanza di nostro figlio sarebbe nero pece…!
- Esagerata…
- ……?
- Beh…grigia…bianca…non vedo che problemi bisognerebbe farsi…
- Ecco, lo vedi come sei? Qui ci dovremmo tenere un bambino, mica un carcerato…!
- Oh, è che…dai, senti, non sono bravo con queste cose, lo sai, fai tu, va bene?
- Non fare l'offeso ora…
- Ma mica sono offeso, è solo così evidente che non è roba per me…
- Va bene, va bene…
- Ecco, meno male…ora se non ti spiace, torno al lavoro…è meglio se ci pensi tu…
- Certo che quando si tratta di vita privata, come scarichi tu i barili non li scarica proprio nessuno, eh?
- Ma no, ti ho detto che…
- Vorresti lasciare tutto il lavoro a me?
- Ma io ho detto che…
- Ah, ma non te lo permetterò…!
- Ok, ci rinuncio…parla tu…
- Mmmmh…aaah!! Ci sono!! Senti, io mi occupo della cameretta, ma tu in cambio…si, tu dovrai pensare ad un nome!
- Che cosa…?!
- Un nome! Quella cosa con la quale le altre persone ti chiamano…
- LO SO cos'è un nome…ma dai, queste cose non fanno per me, non saprei da dove iniziare per scegliere…e poi un nome vale l'altro…
- Oh, questo non è assolutamente vero! Andiamo, su, scegli il nome! Dai, uno per un maschietto e uno per una femminuccia!
- Uff, ma io non…
- Gendo…
-…
-…………per favore…………
-….oh, e va bene, ci penserò, ma non garantisco nulla…
- Ah, fantastico!! Sono sicura che sceglierai due nomi bellissimi!!
- Eh già…
- Sono davvero felice…!!
- Beh…sono contento, allora…
- Bene…ora puoi andare, dunque.
- Allora mi congedo…
- Ah…Gendo, tesoro, solo un secondo…
- Dimmi.
-…………davvero questo colore fa così schifo?


L'uomo accarezzò la superficie liscia delle finestra con la mano guantata.
Il tessuto bianco si sporcò della polvere grigia.
La polvere che eppure non riusciva a spogliare la stanza da quell'aria di buono…
Quel profumo agrodolce di lei…
E tutto lì attorno sapeva di loro…

Per questo, se ne era andato…
Era tornato al suo vecchio appartamento.
Lasciando dietro di se la distruzione d'una notte di folli sfoghi…e nulla di più…


Si avvicinò al tavolino.
Alla cornice voltata.
Senza sapere se avrebbe trovato la forza…o il semplice coraggio di rimetterla in piedi.
Perché alla fine, quella era l'unica fotografia che non avesse strappato…

- Tesoro? Gendo-kun? Hai un attimo?
- Sicuramente più di te…dimmi pure.
- Allora? Li hai trovati i nomi?
- Uff…speravo te ne fossi dimenticata…beh, si, ci ho pensato…
- …e?
- …e qualcosa mi è venuto in mente.
- Fantastico, spara…!
- Si, ma…non sono un granché… cioè, nulla di originale…
- Non preoccuparti, dimmi.
- Si, però…intendiamoci, lo so che non sono nulla di particolare…quindi se non ti piaceranno, non mi farò nessuno problema. Lo sai che non mi importa, qualunque nome andrà bene per…
- Gendo…?
-…si?
- I N-O-M-I…
- Va bene, va bene…con te non si può proprio averla vinta, eh?
- Gendo…
-…?
- I NOMI…!
- Va bene, allora…
-…
- Se sarà un maschio, si chiamerà Shinji. E se sarà una femmina, allora la chiameremo Rei…


Ed eccola…

Dall'ombra dei ricordi…lei

A fissarlo dalla pellicola che sapeva crudelmente di passato…

Quel sorriso semplice da ragazzina…
Così diverso, da quello di tutte le altre donne che aveva sempre frequentato…
Poco più che puttane d'alto borgo…buone a farsi una scopata e poi via, giù a capofitto nel lavoro…


Non gli importava che espressioni assumessero le persone, poiché non fossero fuori luogo.
Non aveva mai amato le risa della gente.
Neppure i bronci. E neanche le lacrime.
Neanche i sorrisi.


Ma quello di lei…e solo quello di lei


…lo aveva sempre fatto impazzire…

PLICK…PLICK…PLICK…

Le goccioline picchiettavano l'animo marcio.
Ma neppure una bagnava la lucida carta che stringeva tra le mani.
Le lacrime non scendevano.
Come undici anni prima.
E non sapeva se si fosse recato lì…in quella casa…in quella stanza, quel giorno…
In riconferma di quello…


*


Ci sono dei giorni in cui le grida non si sentono.
O si ignorano.

Il ragazzino s'alzò riordinando le proprie posate e stoviglie.
E la voce biascicante di chi è ubriaco fin da quell'ora del mattino, che gli chiese di tirare via anche la sua roba.
Fece di si, con un cenno del capo e lo stampo d'un sorriso.

"Ora io vado…" annunciò, sperando che non gli fosse chiesto "Dove?".
Difatti, non accadde.

Fece un profondo respiro impugnano la maniglia. Era ormai l'ora d'uscire.
Aveva salutato, non aveva più scuse per non mettere piede fuori da quella casa.
La sua casa.
Disordinata finché si vuole. Ma pur sempre accogliete. In qualche modo.
Se non altro, qualcuno li lo aspettava sempre.
Anche solo per punirlo di non averle rifatto il letto…

La voce che mancava all'appello si fece sentire, quando fu in procinto di varcare la soglia.

"Ehy, Stupi-Shinji, ti sei costruito una vita sociale? Come mai esci?"

Scosse la testa, senza girarsi verso di lei.
Non poteva punirla per essere semplicemente stata se stessa. Dopotutto lei non sapeva.
E neanche glielo avrebbe detto.

Ma ancora la sua voce, a blaterar scemenze…
Troppo forte, e squillante…
E rumorosa…

La liquidò con un gesto della mano, chiudendosi la porta alle spalle e ascoltando provenir dall'interno vagonate d'insulti e commenti biascicanti.

Ci sono dei giorni nei quali de grida si ignorano.
O non le sopporti e ti fanno impazzire.

Sarebbe stato uno di quelli, se non fosse che quel mattino avrebbe ignorato qualunque cosa, fuorché ciò che gli avesse inciso la pelle…

*

Ed ecco, lo aveva testato. Se mai ce ne fosse stato bisogno.
Non aveva pianto.
E non aveva neppure il desiderio di farlo.
Che ricordasse, non gli era mai successo. Neppure quand'era bambino.
Sfogare il dolore, in fondo, non è sempre utile.

Lui non lo aveva mai fatto.
E aveva sempre riservato sguardi di dissenso a chi invece s'era mostrato propenso ai sentimentalismi.

Sempre quel sentimento non d'odio, non di schifo…ma neppure d'invidia…
La solita indifferenza, forse. Solo più fredda.
Veder esternati i sentimenti degli altri lo aveva sempre messo a disagio.
Per quanto gli altri potessero mettersi a parlare dei loro crucci, lui non poteva mica far niente per alleviarli.
Quindi, molto meglio ch'ognuno tenga i propri fardelli per se.

Ciò che non ti ripaga è superfluo. E il superfluo è inutile.

………………

Ma solo una volta, non era stata solo indifferenza…
Erano state le prime lacrime che lo avevano colpito in pieno viso.
E forse fu per quello, che ne ebbe paura…

Non era preparato a farsi indagare nell'animo da qualcuno che non fosse stata Yui…

- Papà…

Il bambino gli si era avvicinato, piccolo come un bambolotto.
Indifeso…eppure tanto più forte di lui…

- Cosa c'è? Non vedi che ho da fare?
- Papà, dov'è la mamma?
- Shinji, non è la prima volta che ti proibisco di venire qui. Va di là. Sono impegnato.
- Ma la mamma? La mamma…dov'è?

L'ingenuità protegge meglio di molti anni di vita vissuta sulle spalle.
Per un po'.
Ma poi la corazza si rivela esser di vetro…

E lui non era mai stato molto bravo a maneggiare il vetro…

- La mamma non c'è.
- E quando…torna?

E aveva alzato la voce…pur sapendo d'avere le mani pesanti…incapaci di impugnare un balocco di cristallo senza farlo in mille pezzi…

- Non c'è, Shinji, non c'è.

Ma a chi lo stava dicendo?
A se stesso, o a quel piccolo visino tondo e fiducioso?

- Non c'è più. Non l'hai ancora capito? Non c'è più.

Ma quanto può fare male la verità?
Quando può far soffrire accettarla?
Quanto può distruggerti parlarne ad alta voce?

- Non esiste più su questo mondo. Tu non la rivedrai. Io non la rivedrò. Nessuna la rivedrà. La mamma non tornerà.

E lo aveva rotto. Rotto per sempre.

- Shinji, non piangere. Mi innervosisco quando piangi, Shinji, ti ho detto di non piangere, SMETTILA DI PIANGERE!

Eppure non era stata davvero rabbia…
E non era stato neppure disgusto…

…………………

Non era la prima volta che rompeva un ninnolo di vetro con quelle mani incapaci di delicatezza.

Ma fu la prima volta, in cui venne colpito dalle schegge…

Ed erano piccole, quasi invisibili…come le lacrime che il bambino piangeva solo e inconsolato…

……………

Piccole. Quasi invisibili.

Ma facevano male.

……………

Troppo male.

*

No, non avrebbe comprato dei fiori.

Ci aveva pensato. Davvero. Ma non li avrebbe comprati.

Io…non ho idea di quali fiori possano essere piaciuti alla mamma.

Che fosse tipo da mughetto…? Piccolo, ma forte...

Che fosse più da margherita…? Semplice, luminosa…

Avrebbe potuto essere una rosa, forse. Ma allora avrebbe dovuto sceglierne il colore più simile a lei.

E scosse di nuovo la testa

Non so neppure quale fosse il colore il colore che preferiva.

Abbandonò l'impresa da bravo codardo.
Meglio non scegliere, che fare la scelta sbagliata.

S'avviò a mani vuote, diretto alla macabra distesa d'anonime lapidi grigie.
E quel solito squallido pensiero lo avvolse

Alla fine, non vado che a trovare una pietra tra le pietre…

Una pietra sulla quale scolpito v'era il nome di quella sconosciuta chiamata Yui Ikari.


*

- Papà, parlami…

Ma non lo aveva mai fatto…

- Papà, dì qualcosa…

Ma non lo aveva voluto ascoltare…

- Papà…per…favore…

Ed eccole ancora, le lacrime…

Quelle lacrime che non potevano infastidirlo.
Quelle lacrime che non potevano renderlo felice.
Quelle lacrime che non riusciva ad ignorare.
Che non lo sfioravano. Eppure lo toccavano, e lo ferivano.

- …io… ho perso la mamma…non il papà…


Lo sentì tirare su col naso.
E poi andare via.
Erano solo le parole di un bimbo. Ma che risuonavano strane, come un'accusa.

"Ti sbagli…con la mamma se n'è andato anche papà. Tu sappi vivere da solo, Shinji."

Ma non glielo disse.
Non gli disse nulla.
Rimase a dargli la schiena, seduto su quella sedia, immobile.
Incapace di guardarlo anche solo andar via…

Lo aveva lasciato fuggire dirgli neppure una parola.
Neppure una parola, per quel figlio fragile e piccolo…
Quella parola che lo avrebbe aiutato, se giusta.
O che lo avrebbe ucciso. Se sbagliata.

…………

Non poteva rischiare. Non voleva rischiare.

Lo aveva già spezzato…ma non aveva mai avuto intenzione di calpestarlo …
La logica che aveva seguito, era stata sempre quella…

"E se non ti parlo, non pensare sia perché non ti voglio bene.
Ma è perché te ne voglio troppo."


*

Sfiorò la lapide fredda, immobile.
E cominciò a pensare.

Pensò a Misato.

Alla donna dai capelli lilla e corvini.
L'unico essere umano capace di bere birra appena sveglia.
L'unica folle che avrebbe mai tenuto un pinguino come animale domestico.
L'unica creatura tanto sola da accettare di circondarsi d'altre due solitudini, piuttosto che rimaner sola con la propria...

Scosse la testa

< < Madre… > >

E ancora quella parola, a riportalo lì.
Sulla pietra.

< < …famiglia… > >

E poi il pensiero si fa vago, solo un attimo, e poi diventa nitido.
Fin troppo.
Ed eccola, ancora. Misato. Asuka.

E poi Ayanami.

Toji.

Kensuke.

Hiroaki.

La signorina Ritsuko.

Il signor Kaji.

Kaworu.

Gendo Ikari. Suo padre.


E per ognuno un ricordo. Magari sgradevole. Ma pur sempre un ricordo.
Per ognuno un'immagine.
Per ognuno dei suoni.
Per ognuno degli odori.
E delle parole.


La mente sorvolava quell'oceano di ricordi sopito nella sua testa.

E non uno per quella lapide fredda.

Non uno per quella madre alla quale nulla di meglio trovava da dire che

"Ciao mamma."

Incapace pure di versare una lacrima.

Perché piangere una pietra?
Cosa aveva vissuto, in fondo, una pietra?
Cos'aveva fatto, e perché?
Cos'era significata per lui, quella pietra?

Nulla.

Solo il freddo. E il vuoto.

E quell'ombra a raggelargli le spalle. Anche nelle più splendenti giornate di sole.

L'ombra del padre che dietro di lui, in piedi, non aveva proferito parola.

*

< < Credevo non saresti venuto… > >

< < Ne ero tentato. Ma avrei solo rimandato d'un paio d'ore. > >

< < Ah, capisco…però…visto che ci sei…forse dovresti parlare alla mamma…
Io credo…che quando qui ci sono solo io, lei si senta sola… > >

*

Ma non poteva parlarle.

Ed in contraddizione, era quell'unico immenso desiderio a tenerlo invita.

Parlarle di nuovo. E vederla. E toccarla.

Lei.

E non una lapide inutile che non sigillava alcuna spoglia.

A quella, aveva paura di parlare.

Paura di sentir tornare indietro solo l'eco d'un vuoto.

Paura, forse, di sentirsi come quel bambino anni indietro.

*

"Il giorno dell'ombra sulle spalle"

Non v'era null'altro.

Solo una pietra tra le pietre, una pietra che doveva chiamare mamma.

E quell'ombra, a farlo rabbrividire dal freddo.
Benché il sole brillasse come sempre.

Ed era sempre stato così.
Lui inginocchiato davanti alla pietra, senza nulla da dirle.
E quell'ombra a coprire qualunque spiraglio di luce.
Quell'ombra che non parlava. Ma colpiva sempre e comunque troppo forte.

*
Strinse la fotografia nella tasca.

Non sapeva perché se la fosse portata dietro.

Per dargliela, forse.
E rimpiazzare così quella parola che non gli aveva detto.
Benché immaginasse quanto stupido il gesto sarebbe stato, ad undici anni da quando gli era stata chiesta…

Oramai Shinji era grande. O quasi.
Stava diventando un uomo. O lo sarebbe diventato.
Era cresciuto senza un padre, e non ne avrebbe avuto bisogno in quel momento.

E lui, dal canto suo, neppure avrebbe voluto darglielo, un padre.

Aveva avuto più volte fugaci rimorsi di coscienza.
Ma mai un ripensamento.
Poiché sapeva d'aver fatto l'unica cosa giusta da fare.

Per Shinji. E per lui.

Soprattutto per lui.

Stando solo con Shinji, riuscivo unicamente a calpestarlo.

E perché lo struggimento per la perdita di Yui era troppo.
Troppo per poterlo addossare su un bambino senza colpa.

E soprattutto troppo per vederselo aumentato a dismisura da quelle piccole…ma tremendamente dolorose lacrime…


Sarebbe stato tutto più facile se mi fosse stato indifferente come tutti gli altri.
Sarebbe stato dannatamente più facile.


Poiché la sua presenza non lo avrebbe ferito al punto da preferire la sua assenza.

*

Ed eccoli, ancora, quei soliti vecchi silenzi.
Un appuntamento irrinunciabile, ormai, con quel freddo alla schiena.

Perché quello era suo padre.

Un ombra nera che si stagliava prepotente ovunque lui andasse.

…………

Anche dove avrebbe potuto esserci il sole.

*

Strinse più forte la foto.
Senza pensare di starla rovinando.

Su quella foto, il viso di Yui.
E il suo.
E quello di Shinji.

Aveva deciso di fare una cosa, almeno.

Rendere la madre a quel bambino.
Dargli finalmente un volto al quale rivolgere le su preghiere alla fredda pietra.
E donargli finalmente la possibilità di rassegnarsi una volta per tutte all'idea che quel giorno, a morire non fu solo la mamma.

Ma anche il papà.

*

- Io quel giorno ho perso mia madre, non mio padre…!
- Shinji, che…
- Io…TI ODIO, NON VOGLIO VEDERTI MAI PIU', TI DETESTO!!!

< < Papà… > >

Ecco, lo aveva chiamato.

Per dirgli cosa?
Per chiedergli cosa?

Quanti anni aveva la mamma quando nacqui?
Come vi siete conosciuti?
Com'era? Che viso aveva? I capelli? E gli occhi, papà, gli occhi?
Erano azzurri? Azzurri come i miei?

Si rese conto di non sapere di che colore fossero gli occhi del padre.

*

Si levò un guanto.

E poi l'altro.

E la prese in mano, la fotografia.

Un'ultima occhiata alla famiglia che erano stati.

Un ultimo saluto al viso sorridente dell'amata, che portava nel cuore.

L'unica cosa, che portava nel cuore.

E la strappò.

Strappò la fotografia in due parti.

Cosicché la sua immagine poté separarsi da quella della moglie e del figlio…

Entrambe amati.

Entrambe persi.

Quello stesso giorno.

E ora, ormai, non poteva esserci affetto negli occhi con cui guardava le fragili spalle tremanti del ragazzino inginocchiato sulla pietra.

Solo nostalgia.

Quelle spalle, in fondo, non erano forse le stesse di allora?

Ma la nostalgia è comunque un sentimento molto futile.
Lo si può tranquillamente ignorare.

*

Shinji sentì qualcosa strapparsi dietro di sé.
Avrebbe voluto girarsi, ma non lo fece. Chissà perché.

Sfiorò con una mano la lapide

Perdonami mamma…

Sospirò

Ma se ancora vengo qui non è per te, ma solo per sentire sulla schiena l'ombra di papà…

*

< < …papà… > >

Ancora. Ma non continuò. Non disse nulla.
Perché forse, non aveva proprio nulla da dirgli.

Avrebbe solo voluto sentirlo parlare.
Perché ormai conosceva fin troppo bene il suono che aveva il suo silenzio…

*

Gendo mosse un passo verso il figlio.
Ripose in tasca la metà della foto che lo raffigurava…con quella sua solita faccia di chi pensa 'Muoviti a scattare sta roba o ti salto alla gola'…
Yui lo rimproverava sempre per quello…

- Guarda, nelle foto sembri sempre imbronciato e infelice

diceva

- Perché non prendi esempio da Shinji? Non lo vedi lui che bei sorrisi che fa?


*

< < Papà, senti… > >


Una lunga pausa.


< < Quali erano i fiori preferiti della mamma? > >

*


E allora Gendo ritrasse quel passo che aveva compiuto.

Sentendosi improvvisamente stupido, strinse in una mano anche lo stralcio di foto raffigurante Shinji e Yui.


Un ultimo saluto.
E poi la strappò in minuscoli pezzetti.

Perché aveva cominciato troppo tempo prima a non fare nulla per quel figlio di vetro…
E non aveva intenzione di tornare indietro.

Chissà a cosa diavolo stavo pensando…

Si voltò.


- Uff, non dovresti essere sempre così rigido…
- Mhpf…che c'è di male nell'essere rigidi?
- Tu sei eccessivo, ed è quindi molto stupido!
- Ma che dici?, non è vero…
- Posso raccontarti una storiella che raccontava spesso mia nonna a me?
- Oh, Yui, siamo arrivati fino a questo punto?
- Te la racconto o no?
- E' necessario…?
- Si!
- Allora raccontamela pure…
- Bene! Allora…vediamo se me la ricordo…
- Se non te la ricordi fa niente………
- Ah, ecco, me la sono ricordata! T'è andata male!
- Ehe…dai, dimmi…
- Dunque…all'inizio dei tempi gli uomini utilizzavano armi di pietra che si rompevano facilmente…
- Si, lo so.
- Fammi finire…!
- Oh, scusa…
- Dicevo…col passare dei secoli le sostituirono con armi di ferro, che sebbene molto più resistenti, presentavano l'inconveniente di arrugginire presto.
- …ah-ha…
- E allora a un fabbro era venuta la felice idea di creare una lega di metalli che chiamò acciaio.
- Mh…
- Ma l'acciaio, perché sia tale, deve superare la prova degli elementi: prima il fuoco, per fondersi, poi l'acqua e l'aria per solidificarsi, infine la pietra per forgiarsi.
E alla fine eccolo trasformato in una spada d'acciaio, la più resistente delle armi.
- Suppongo che la morale di questa bella storia, sia che una persona diventa forte solo dopo aver superato ogni genere di difficoltà...
- No Gendo, non 'forte'.
Forti lo erano anche la pietra e il ferro.

Flessibile.

Ecco dove sta la differenza.

Non puoi sopravvivere se non lo sei.


< < I girasoli. > >


Shinji sollevò la testa. Come avesse udito il richiamo divino.

< < Yui amava molto i girasoli. > >

Gettò i brandelli della fotografia al vento.
Poi capì ch'era ora d'andarsene.

Lasciò il figlio solo, insieme alla pietra e alla sua solitudine.
Decise di non opprimerlo oltre caricandogli sulle spalle anche la propria.

Non costringerlo a sopportare anche il peso di quel dolore che non gli apparteneva era stato fin dal principio uno strano atto d'amore…l'unico atto d'amore che avesse mai voluto e potuto concedergli.

***

Nota dell'autrice: ho sempre amato molto il personaggio di Gendo. Fin dai primi episodi. O forse è stato soprattutto l'odio che gli altri solitamente gli riservano, a farmelo amare così. Ad ogni modo, ho sempre desiderato scrivere qualche pagina (seppur modesta e -diciamocelo- decisamente bruttina come questa…) su quel mostro che semina Fourth Impact a destra e a manca, progetta massacri su larga scala e si limita a dire "Già" in 9 fan-fiction su 10. Perché, ragazzi, ditemi quello che volete, forse io sono decisamente sentimentale…ma non credo che un Gendo già distrutto abbia fatto i salti di gioia per 10 anni all'idea di aver abbandonato il figlio…
Dopotutto Rei Ayanami non si comporta in modo molto diverso da Gendo col prossimo, eppure si sono spese (a mio parere fin troppi) fiumi di parole per dire quanto sia dolce, quanto sia carina, quanto non sia vuota…
E poi Gendo è un personaggio così profondo nel suo dolore, come si fa a non amarlo *.*??
Vabbè, probabilmente a molti di voi questa fiction sembrerà assurda e totalmente OOC, ma cosa ci posso fare se nutro la malsana convinzione che anche Gendo Ikari abbia un cuore oO? Ok, magari è un po' atrofizzato perché non lo usa spesso, ma ce l'ha…
Questo raccontino ho iniziato a scriverlo pensando alla mia amica Daeva, e dunque voglio dedicarlo a lei (che culo) perché è una Gendo-maniaca e perché le sue mail strampalate sono irrinunciabili ;D!

  
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